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Caro diaro...
E’ cominciata la tradizionale sagra dei calendari sexy e quest’anno, sul mitico Perelli, c’è anche Sofia Loren; quasi contemporaneamente Gina Lollobrigida sposa un uomo che potrebbe essere suo figlio se non addirittura suo nipote. I gossip ci sguazzano a riproporre l’antica competizione tra la ciociara e la bersagliera, rubandosi titoli originalissimi del tipo “l’amore (o la bellezza) non ha età”… Ma loro sì, perbacco, loro ce l’hanno: rispettivamente 72 e 79 anni! Ed io provo sempre un senso di disagio di fronte alla pretesa di perpetuarsi “tali e quali” con cui tanti individui affrontano l’esistenza: se gli anni non portano anche “età”, cioè esperienza, consapevolezza, maturità ed una conseguente modifica delle nostre scale di valori, a cosa serve che passino? Non giudico e tanto meno mi scandalizzo per le scelte delle due ex primedonne del cinema italiano, che rispetto se non altro per totale disinteresse in merito, tuttavia mi incuriosisce il risvolto astrologico che può motivarle o sostenerle. Anche perché quando si parla di tempo, di età, di giovani o vecchi, la mia dominante mista (saturnino-mercuriale) si sente coinvolta direttamente. Così, osservo i due temi e noto subito gli ascendenti: rispettivamente Capricorno e Gemelli. Diversissimi ma convergenti sulla tematica: il primo infatti è tipico delle persone “longeve”, il secondo di quelle “giovanili”; il che non toglie che la questione più importante riguardi il loro modo di intendere e gestire il tempo che passa, sia come quantità che come qualità. Curiosamente, hanno entrambe un aspetto di trigono tra Mercurio e Saturno, che sembra assicurare una equilibrata integrazione tra i due valori. Noto anche che hanno lo stesso Marte in Leone, che unisce volontà a vanità per combattere il tempo che passa (vista l’opposizione e la quadratura a Saturno che forma nei due casi), e sicuramente le rende ben determinate a “non mollare” la propria autoimmagine… Forse non è un’immagine molto realistica, a giudicare della strettissima congiunzione di Venere a Nettuno (in Vergine per la Loren, in Leone per la Lollobrigida), ma è comunque un ideale che hanno portato avanti, e se smettessi di storcere il naso riuscirei forse ad ammettere che anche oggi, in fondo, stanno esprimendo bene il loro tema, che per altro i temi sono due e diversi, e che soprattutto sono diversi dal mio. Tant’è che, se mi guardo allo specchio, non posso negare che la mia faccia mi piacesse di più quando aveva meno rughe, ma poiché in quelle rughe c’è la traccia di ogni emozione provata, di ogni pensiero formulato, di ogni sorriso e lacrima che hanno creato il mio ieri… non vorrei mai, oggi, una faccia diversa.
a cura di Sandra Zagatti
Ogni tanto, nel reparto piante del Conad mi lascio tentare da acquisti che io reputo veri e propri salvataggi (già il mio amore per le piante grasse mi impedisce di sostenere a lungo la vista di poveri cactus gonfiati d’azoto, sacrificati in vasetti mignon pieni di asfittica torba imbellita da sassolini dal colore improbabile, ma l’umiliazione dei fiori finti proprio non la reggo!). Però questa mattina il mio acquisto non è stato motivato da nobili principi bensì da egoistica voluttà: lo ammetto. C’era dei giacinti, già in piena fioritura ed assolutamente fuori stagione, quindi sapevo bene che erano una coltivazione forzata e che comunque sarebbero durati come un battito d’ali… Ma al naso non si comanda, e i giacinti come pochi altri fiori (in ordine stagionale i calicantus, i mughetti, le robinie, i ligustri, i tigli) sanno parlare alla mia anima e ridurre a zero il mio autocontrollo razionale! Insomma li ho comprati, ed ora la mia casa è profumatissima. Forse troppo, mentre io non sento la solita euforia. Questo odore mi piace ma non mi inebria, non mi commuove, non mi esalta di gioia di vivere… direi persino che un po’ mi disturba la sua invadenza. Perché? Domanda retorica: so già la risposta e la sapevo anche stamattina, d’altra parte non posso considerarmi “esperta” di aromaterapia e poi cadere in questi tranelli. Il profumo dei giacinti esprime la vibrazione energetica della natura di fine inverno. Qui siamo ormai all’inizio dell’inverno, e la natura ritira la sua energia e i suoi profumi: un giacinto adesso è come quei profumi di marca, anzi di laboratorio, artificiali e rigorosamente uguali in ogni esemplare che tanto detesto; come un vestito rosso in una giornata uggiosa fuori e dentro o un maquillage da Capodanno sul viso stanco di un lunedì di lavoro. Pesante e forzato, insistente nella sua insensibile indifferenza ai contesti ambientali e agli stati d’animo. Tant’è che ho messo sulla fiamma della cucina le bucce di un mandarino, per riequilibrarmi con la stagione. Vi chiederete: e che c’entra tutto ciò con l’astrologia? Poco o niente, forse. Eppure, non so voi ma io avverto con disagio questo accumulo di pianeti in Scorpione. Sarà la dissonanza di Nettuno, ma mi sembrano agitati, arrabbiati, suggestionabili quanto presuntuosamente suggestivi nel loro proporsi adesso-tutti-subito! Gli alberi non sono ancora spogli e lo Scorpione già parla di humus e vaneggia pure di rinascita acquariana… Quando è troppo è troppo. Quando poi è troppo presto una Vergine si inquieta e si rattrista. E si sente anche un po’ in colpa per quei poveri, meravigliosi, giacinti che hanno fatto del loro meglio per far sentire meglio anche me, profumandomi di domani. In fondo non è colpa loro se ho a che fare con l’oggi.
Oggi si commemorano i defunti, ed io non ho avuto nemmeno un minuto per andare a trovare i miei al cimitero. Non che mi importi granché, visto che credo non importi nemmeno a loro… Cioè non credo che sia importante ricordarli oggi in particolare. Però ci andrò senz’altro nei prossimi giorni, e intanto ho messo un cero al davanzale. Non quelli rossi dentro il contenitore che fanno tanto altarino: è azzurro e profumato, e l’ho già riacceso più volte perché fuori c’è un bel vento questa sera! Ho una casa ottava particolarmente ampia ed ospitale – Sole, Mercurio, Venere, Plutone e Nodo Nord – ed ho sempre provato una forte attrazione per la morte. Niente di morboso o angosciante, al contrario: una fascinazione intellettuale, questo sì, ma anche un rispetto squisitamente spirituale ed una tenerezza tutta umana. Già da ragazza amavo passeggiare nei cimiteri. Nei giorni normali, appunto, non nel “doveroso” caos delle ricorrenze ufficiali. Amavo ed amo in particolare i verdi cimiteri inglesi, o quelli più piccoli dei paesini. Nei cimiteri “monumentali” delle città, compresa la mia, evito comunque di intrufolarmi tra le lapidi recenti alla ricerca di qualcuno che conosco, come purtroppo molti fanno, ma mi piace guardare le tombe storiche, quelle che sono ormai lontane nel dolore e persino nella memoria di eventuali discendenti e possono proporsi semplicemente come simboli, icone, legami tanto sottili con un’esistenza che non fu nostra – non fu mia – eppure resta qui, ora, nel mondo del presente, come una flebile ma ancora visibile impronta sulla sabbia. Ci sono uomini dal volto serio e responsabilizzato da un evento (quello fotografico) non certo comune come oggi, e donne vestite di scuro e imbarazzate per il medesimo motivo ma ancor più a disagio perché i contesti ufficiali non erano parte della loro vita; ci sono i giovani soldati della Grande Guerra, dallo sguardo fieramente puntato verso il futuro che non avrebbero raggiunto ma che comunque hanno amato, ed anche le innocenti vittime delle malattie infantili, angioletti “immortalati” già con gli occhi chiusi e avvolti in preziosi e compassionevoli pizzi, degni di un Battesimo purificatorio di cui non avevano certo bisogno… Guardo quelle immagini ceramicate, i vestiti, gli sguardi, e provo un sentimento che non saprei definire se non come dolcezza; a volte struggente, più spesso rasserenante e grato. Sì, grato. Perché mi sento erede più che orfana di quel passato che loro hanno vissuto, senza di me ma in un certo senso anche per me. E mi piace pensare che, da lassù, vedano la luce che emana dal cuore di chi li ha amati; e vedano anche la tremula fiammella della mia candela, azzurra come il cielo e profumata dei fiori che ancora crescono sotto quel cielo, sulla terra.
Alla faccia della mia Luna in quinta casa, che tanti manuali associano all’istinto materno, io non ho avuto figli, né ho mai sentito una particolare simpatia per i bambini (eppure io a loro piaccio, paradossalmente o inevitabilmente incuriositi da questa strana donna tutta vestita di nero che parla tanto quanto tace…). Non che li detesti, per carità, ma solitamente mi stancano, a volte mi annoiano. Forse dipende dal fatto che non so relazionarmi a loro, e li considero più adulti o, viceversa, più infantili di quanto siano. Direi anzi che associo loro un’età inversamente proporzionale a quella reale, arrendendomi con assoluta venerazione a quelle creature misteriose e meravigliose che sono i neonati. Non parlano, non camminano, qualcuno dice che piangono solo per bisogni primari ma io non ci credo; anche perchè quando offrono il loro sdentato sorriso a chi nemmeno vedono… è ben difficile che il cuore non si sciolga, e il cervello non si sgretoli. Almeno così accade a me, che rimarrei a guardarli per ore pur senza osare nemmeno prenderli in braccio; e quando mi è capitato era come ricevere un’investitura sacramentale. Angioletti che non hanno ancora perso le ali. Io credo che loro sappiano, conoscano, ricordino il Progetto che li ha portati ad incarnarsi. Credo che abbiano ancora, dentro quel corpo piccino, fragile e totalmente dipendente, la coscienza di un’anima più antica dei loro pochi giorni o mesi di età anagrafica; che siano ancora un Tutto e che lo rimangano più o meno a lungo (chi o cosa decide quanto?) prima di relativizzarsi e “ri-dimensionarsi”, diventando poi quegli esserini indisponenti e latinamente ignoranti che chiamiamo bambini, ometti, adolescenti… e poi cittadini, elettori, consumatori, contribuenti, insomma “persone fisiche”!
Restano, dentro di noi, tracce della nostra originale identità. Nelle immagini oniriche ad esempio; o nelle immagini fotografiche. Le istantanee del nostro cielo interiore che, al pari del tema di nascita inaugurano un ciclo evolutivo che ne trasformerà l’espressione pur rimanendo immutabili: punti di partenza che sono anche punti di arrivo e insieme tragitti, mappe, viatici. Tengo vicino a me, qui nel mio studio, alcune foto che mi ritraggono da piccola: momenti diversi ma età vicinissime, e solo la traccia di quell’antica e radicata coscienza del “Sé” mi permette di dire che in entrambi i casi ero (sono) “Io”. C’è una bimba con gli occhi enormi e scuri, penetranti, malinconici e struggenti; ce n’è un’altra sorridente e birichina, ironica, eccitata di curiosità; un’altra imbronciata e frustrata; un’altra seducente e maliziosa, un’altra ancora tenera e fragile… Tutti aspetti di me, ben riconoscibili nella mia doppia dominante saturnina e mercuriale, ma anche nella mia Venere, nel mio Marte, nel mio Sole e nella mia Luna e tutto il resto. Sub-personalità, si dice, relative eppure a loro modo assolute: io sono Una! Vorrei riuscire ad invecchiare verso il mio centro, e versare lacrime sorridenti, osservare stupita cose già viste, trovare risposte in nuove domande. Vorrei morire così come sono nata: responsabilmente e semplicemente.
Personalmente guardo al nucleare, da sempre, come ad una minaccia: anche quando lo propongono come l’unica alternativa possibile al futuro e crescente bisogno di energia; anche quando viene descritta come “energia pulita”. Non è dell’energia in sé che mi preoccupo, ma del suo utilizzo, perché la storia ha già dimostrato abbondantemente che può non essere altrettanto pulito, o innocuo, se maneggiato in modo improprio o, peggio, per improprie finalità. Da questo punto di vista, basterebbero gli incidenti alle centrali o ai sottomarini nucleari a porre interrogativi… ma dietro c’è sempre lo spauracchio dell’uso militare, poco importa se palese o semplicemente sbandierato come avvertimento. E l’Iran prima e la Corea del Nord poi, hanno di recente ricordato alle superpotenze nemiche e odiate che il potere ce l’hanno anche loro, che hanno tutto il diritto di tenerselo, difenderlo ed usarlo, nel caso, a piacimento o a discrezione. Si sperava che il passaggio di Urano in Pesci rivoluzionasse il concetto di appartenenza, dilatandone i confini dalla nazione al pianeta, dalla patria razziale alla casa universale, ma Saturno in Cancro e in Leone non ha certo favorito questa apertura, mentre l’enfasi sui segni fissi dell’ultimo anno ha fatto il resto; il risultato è un irrigidimento ideologico, politico e territoriale che lascia ad Urano in Pesci il solo compito di allarmare il mondo. Almeno per ora, e non sarò certo io a perdere la speranza, nonostante il futuro astrologico non mi aiuti a sostenerla. Il primo passo sarà il passaggio di Saturno in Vergine – a proposito di irrigidimenti – che andrà ad opporsi ad Urano nel 2008; ed è già molto che Plutone sia già troppo avanti nel Sagittario per peggiorare le cose con una Croce a T. Poi però Plutone entrerà in Capricorno – a proposito di potere – più o meno nel 2009, e un paio d’anni dopo Urano entrerà in Ariete; e l’Ariete può essere citato a proposito di tante belle cose ma resta la casa del Dio della Guerra. La quadratura tra i due pianeti del 2011, 2012, 2013 è uno di quegli aspetti che non si formano proprio tanto spesso e che non può non ricordarci le fatidiche date da “fine del mondo” verso cui tanti calendari e profezie dell’antichità convergono… Io non credo ad una fine del mondo in senso letterale ed assoluto, ma non escludo che stiamo approssimandoci alla fine di “un mondo”: quel mondo arrogante e vergognosamente contraddittorio, paradossale, dispendioso, autolesionista quanto autoindulgente che abbiamo creato negli ultimi cinque minuti della storia del pianeta terra. Potrebbe bastare un attimo perché un qualsiasi staterello tra i tanti premesse il bottone sbagliato: l’attimo dopo il mondo ci sarà ancora, ma non più il nostro mondo di certezze e comodità.