- Care Aral e Solerossella, nel transito di Plutone in dodicesima, ai miei valori in dodicesima, vedo i germi di ciò che lentamente, ma inesorabilmente, mi ha portato poi a postare persino un nome, su un sito della rete.
C’è tanto, in quel nome, anche dietro le scuse. Impossibile, per me, fino a qualche anno fa. Persino inconcepibile.
Il prima e il dopo. Plutone , mi ha donato “il senso del limite”. Questo il valore, dei miei personalissimi diamanti. Ad uno scorpione, va insegnato. Forse non lo possiede, o perlomeno è convinto di poter ancora una volta “controllare ogni cosa”.
Plutone, nelle pareti bianche. La depressione. Il periodo più difficile e importante della mia vita. Scorpione, doc, si diceva. Io e la consapevolezza, di non poter dire, per la prima volta in vita mia “ce la posso fare anche stavolta”. Posso ancora, rialzarmi, l’ho sempre fatto.
Il tutto è passato per una crisi matrimoniale. Non sono riuscita a superla, mi sono arresa, non vedevo via d’uscita.
Eppure quanto è stato importante quel Plutone. La risalita, la sfida più dura, perché allentata la morsa, la caduta procede libera, verso il basso. E ce ne erano tanti di motivi per restare sul fondo, bastava ricominciare dall’infanzia e poi a seguire. Prendere coscienza di tutte le fragilità, che io stessa ho per molto tempo rifiutato di possedere e farlo di colpo.
Alla volontà, sostituire, il suo totale contrario, significa, non riconoscersi n nulla. Non sapere nemmeno chi si è davvero. Essere messa all’angolo, non da qualcosa o qualcuno, ma dal proprio non reagire. L’abulia. La solitudine, scelta, non per accoglierla, ma come rifugio. Rifugio da un mondo, che mi chiedeva di reagire. Mi sono “concessa” invece, di non farlo. Forse è stata la prima volta, in cui ho assecondato il “mio sentire”. Per quanto doloroso, ma finalmente “mio”. Spezzare quel “mito di me” che mi portavo dentro e accorgersi invece che la donna forte, che pensavo di essere, non c’era affatto.
Ho cercato ,poi, fuori di me la forza che non avevo, per risalire. Forse, si potrebbe liquidare il tutto con un “sublimare”. Forse lo è stato, il passaggio nel “reale” lo sto facendo ora, in questa stagione della mia vita. In questo preciso “qui ed ora”.
Il qui ed ora, di quegli anni, doveva sperimentare la forza dell’abbandono totale e la consolazione totale. Se abbandono doveva esserci, doveva essere totale e totalizzante.
La consolazione “degli affitti, nell’anima”: la Fede. La Fede nell’Assoluto, per ridare gambe a chi fede non aveva . Nemmeno nei propri passi, nemmeno per recarsi a far la spesa. Un fuori di me, talmente Gigantesco, da provare smarrimento. Avevo “bisogno”, di restituirmi “la bellezza” dell’essere umano. La dignità, dimenticando “colpe”. L’abbraccio materno e paterno al contempo. Poi tutto è cambiato nei toni, all’immenso, i colori minori, ma non meno veri, e la lenta risalita.
Quanto è stato difficile accettare l’aiuto. Essere dall’altra parte della barricata, a “prendere” e a non “dare”. Forse la lezione dell’umiltà, nella psicoterapia. Credo- per me per le mie soggettive esperienze di vita- l’umiltà la dovevo sperimentare, proprio nel pronunciare, farfugliando “ho bisogno di aiuto, non ce la faccio da sola”. Anche qui, prospettiva da aggiustare, un resettare il proprio “sé”.
Sono stati anni, durissimi, ma hanno segnato un prima e un dopo dal quale non potrò mai più tornare indietro. Ho scoperto, che persino all’inferno, si può brillare, scoprendo parti di sé. Un fiore, bellissimo e atroce, nella sofferenza.
Altre due parole, per non liquidare una parte di me, con un linguaggio esclusivamente di cause ed effetti,, nel quale anche la psicologia può rischiare di perdersi. E nemmeno mi piacerebbe, perderla in questo.
Avevo “bisogno”- le virgolette ci stanno tutte- scrivevo, dell’Immenso per ridar gambe. Dovevo passare per la “santa”, per accettare un passato di “colpe”, ma la Fede, non si fa usare, piuttosto ti usa, perché trasforma. Né è questione di nomi o confessioni, i paletti, li mettono gli uomini. Non nascono dagli “Dei”, gli dei rifuggono i confini.
E’ un’esperienza talmente intima, e personale, che lo è più delle proprie nudità. E trasforma, come un forno alchemico.
Sebbene, i toni, siano cambiati, quella esperienza è comunque parte di me, come il mio nome, il mio passato, il mio essere madre, insegnante, figlia, sorella, ex-moglie. In questo qui ed ora, Plutone è in prima e pare stia lì a chiedermi , di fare la cosa, più semplice, ma forse più difficile per me. Far vivere “solo” la donna. Non sarà una passeggiata, ma non dimentico, perché ce l’ho stampato dentro, quel senso del limite e umiltà , che Plutone, mio “padre” astrale, mi ha insegnato.
Forse, è l’ora, che plutone ceda il campo e m’insegni ad integrare, Marte. Ho un problema non risolto con l’energia, la forza, la “rabbia”- sì proprio rabbia- da trasformare in positiva”.
Cara Cilli, ho rimandato un po’ prima di postarti il mio quesito. Leggendo anche le altre discussioni, aiutami a sciogliere un arcano. Come si fa a convivere, senza timori, con ciò che non si tocca, ma in qualche modo si “sente” e poi è davvero oggettivo , che a sensibilità, empatia, corrisponda “percettività”? Tu queste parti, sembra, che le hai integrate, come ci riesci? Come riesci cioè a conviverci, senza , resistere alla tentazione – passami il termine improprio - di liquidare il tutto con un banale “è un attimo di follia”. Ci si riesce, poi, a conviverci fino in fondo? Non si rischia di smarrirsi, di temere, di perdere i contatti con la realtà? Quando c’è , poi che parte, da dentro di noi- sempre che ci sia- e quanto “arriva” davvero, come esterno da noi….?
E’ puoi davvero, un “dono”o invece è più una “una condanna”? Come si fa poi a mantenere desto il “dubbio” di essersi “sbagliati”, qualora si accetti questo “quid”? Vivo, tanto ma tanto conflittualmente, questi interrogativi, che ti ho semplicemente girato. So che l’approccio giusto, non deve procedere né da una negazione aprioristica, ma nemmeno da un’accettazione supina. La vita, ha anche il suo alone di “mistero” e “magia”- credo che chiunque lo abbia sperimentato almeno una volta - ma c’è un modo per viverlo “consapevolmente” senza ridurlo a totale follia o a dottrine new age, senza scomodare l’antropologia culturale?
Chissà Cilli, forse avrei dovuto inserirlo come una nuova discussione.
Ciao, cara Kla , io credo, che devo imparare ad “usare” il controtransfert, in un contesto davvero allargato, che sappia partire dalle persone con cui condivido la quotidianità. Né dimenticare l’umiltà del chiedere, anche per sé. Perché in questo dare, vi è a volte, un sottile “egoismo”. Mi chiedevo , se la vera “generosità” non risieda da tutt’altra parte. Ci si abbandona davvero all’altro, quando lo si accoglie.. e non quando ci si limita ad accogliere. Era solo un pensiero, anche un po’ confuso cara Kla. Non ho purtroppo tempo, per renderlo più plastico e chiaro.
Buona domenica!