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IL FORUM DI ERIDANO SCHOOL - ASTROLOGIA E DINTORNI
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ASTROPOESIA |
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L'INFINITO
discussione inserita da nunzy |
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Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
Infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare. GIACOMO LEOPARDI
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RISPOSTE A QUESTA DISCUSSIONE 35 - Inserisci una risposta a questa discussione |
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A CURA DI |
inserita il 05/01/2008 09:06:32
- Cara Nunzy,
infatti ho solo voluto riportare le parole del libro...so che Lidia dice per prima che dove cade la I casa sta lì l'asc. ma siamo proprio sicuri che l'influenza all'asc. non la possa poi dare tutta l'estensione della I casa nei vari segni in cui si estende? (La mia vuole essere solo una domanda,non affermazione!!!).
Ti dirò, avendo io l'asc. a 28° del sagittario, per tanti versi mi sento e posso anche apparire come capricorno (potrebbe però anche essere la mia luna sempre in capricorno...),scusami voleva essere solo una riflessione!!!!
Volevo anche dirvi se non lo sapete già che in febbraio uscirà vita,poetica,opere scelte di Leopardi in edicola...ieri è uscito Neruda e prossima settimana Carducci...sono informata perchè...ho l'edicola!!!
Con simpatia Ale
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Ale70 |
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inserita il 05/01/2008 13:07:40
- Cara Ale70,
hai l'edicola?!?
sto cercando "disperatamente" (direi che ci sta) quell'enciclopedia geografica uscita quasi due anni fa con il Corriere, che oramai è introvabile..ho fatto il giro di telefonate dalla DeAgostini di novara al giornale direttamente a milano..nisba.
come posso fare? cosa mi consigli?
...e per caso, hai qualche numero??
il trovarobe-arcangelo
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arcangelo |
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inserita il 05/01/2008 15:18:12
- Caro Arcangelo,
ho l'edicola,non sono una maga...
più che telefonare da privato direttamente alla DeAgostini, non saprei...non mi ricordo il nome dell'opera,ma quando passa così tanto tempo...forse l'unica cosa che puoi fare è attendere la ristampa che di solito ripropongono nel giro di 2 o 3 anni.
Ale
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Ale70 |
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inserita il 06/01/2008 01:36:51
- già..peccato.
grazie cmq per la risposta..vedrò le possibili opzioni, magari ebay o qualche libreria con inserti specializzati.
un salutone
GIACOMO LEOPARDI
°°°°°°°°°°Il Sabato del Villaggio°°°°°°°
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
mi dà sempre un atmosfera di spensieratezza, di quieta gratitudine e semplicità serena.
non ci sono poi parole per le sensazioni che descrive..
non vorrei peccare di hybris postando proprio io questa stupenda poesia, ma è davvero bella...
buonanotte a tutti con questo spirito :)
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arcangelo |
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inserita il 06/01/2008 13:34:01
- Caro Arcangelo,
l'avevo studiata tutta a memoria,ora me ne ricordo la metà...ma rileggendola più volte sono sicura che riuscirei a recitarla tutta...che bello! Oltre a leggerle infatti mi piace di più recitarle, anche alle mie figlie, pensa che quando avevano 2 anni io gli recitavo per farle addormentare il 5 Maggio di Manzoni(Ei fù, siccome immobile...)ne so un pò più della metà e quella è veramente lunga...solo per il piacere di recitarla...figurati loro cosa ci capivano....
Ale
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Ale70 |
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inserita il 06/01/2008 13:56:16
- Alla luna
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiai.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alla mie luci
il tuo volto apparia, ché travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!
( Giacomo Leopardi, Idilli 1819 )
(Ho collocato l'ora di nascita alle 19.30)
UN cancro a tutti gli effetti..
leggendo con attenzione questa poesia,ci trovo quel dolore che affligge i grandi
allorchè vengono allontanati dalla possibilità di rompere gli schemi..
plutone cong a marte in 2a in pesci...caro arcangelo mi fa venire i brividi...marte poi si oppone a urano in 8a..in vergine(altro brivido..
Sai che mi viene da pensare ...a un concepimento forzato..,obbligato e doveroso..un atto di non volonta materno,che a quel cucciolo che cerca il nutrimento...e il contenimento...e l'accudimento..lì in quella seconda casa qualcosa non ha funzionato..
Ha cercato con gli occhi dell'anima di poter essere capito guidato..ma sicuramente..ignorato perchè deluso intimamente dallo scarso amore materno e da una volontà paterna indiscutibile..
Madre non arida ma delusa (nettuno 10)
da padre(giove)incapace di mediare..
lei riversa le sue frustrazioni su quel bimbo che da buon cancro cerca proprio in lei il nutrimento che non ottiene..
come se fosse lui il grande leopardi a sfidare il destino ed odiare quel saturno...la mia sensazione è che se non avesse vissuto un dolore grande che trovo in tutti quelli che hanno saturno in cancro(se non erro è la generazione della seconda guerra mondiale) quella grandezza d'animo e di poeta non sarebbe venuta alla luce...
Non rimane che godere dei versi del dolore di un uomo che ci ha lasciato in eredità ...l'oscura ombra di un plutone
cosìprofondo..
Mi piacerebbe sapere caro amico(Qui non si può proprio appellarti elfetto...in te ..lo sai ci sono i semi del gigante)
come lo senti tu il dolore cosmico del leopardi...dove ritieni che sia la radice del suo male..
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nunzy -arcangelo |
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inserita il 06/01/2008 14:07:11
- ...errata corrige..
volevo dire che la generazione della guerra aveva PLUTONE in cancro..non saturno...
SARA' CHE è LA GENERAZIONE DI MIO PADRE...E ANCHE LUI UN POETA....CI HO SEMPRE TROVATO SIMILITUDINI...
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nunzy per arcangelo |
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inserita il 06/01/2008 15:07:33
- ....ovviamente mi interessano molto anche le tue riflessioni su quello che chiedo ad arcangelo...
ho adottato l'ora ufficiale...però se tu senti davvero che lui possa essre un asc. saggittario..vorrei capire come posizioni
i pianeti e gli aspetti per sostenere questo..
tanto cara mia se ci sbagliamo che importa!nessuno potrà toglieci la nostra convinzione della grandezza dei suoi tristi versi...
..e "il naufragar c'è dolce in questo mare"
ciao
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nunzy per ale |
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inserita il 06/01/2008 18:25:06
- mi scuso in anticipo se magari i versi potranno contenere frasi sommarie, non chiare o poco accessibili..
ci provo, sono solo un appassionato.
dunque, analizziamo meglio il tema di Leopardi.
Io partirei dal pianeta che lo ha solcato profondamente, gli ha fatto sentire tutte le note della fatica dell'esistenza, donandogli per questo una sensibilità guadagnata, come dice la critica "La malattia diede al L. non un motivo di lamento individuale, ma divenne un formidabile strumento conoscitivo".
sembra davvero forte una presenza saturnina che riguardi le ossa e la precarietà di salute: dopo aggravamenti e ripetute ma palliative cure, si spegne a 39 anni ridotto a cecità e immobilità quasi complete il 14 giugno 1837. Lesione di Giove e della casa 2a (vista) e predominanza schiacciante di Saturno nel tema, anche se non ci è ancora chiara la sua debilità dati i tanti trigoni del pianeta e la sua forte presenza (Asc. e luna Capricorno, Sole cong saturno, marte e nettno in trigono, giove e urano in sestile. per sostenere così tanti aspetti, spesso (opinione personale) il vantaggio delle configurazioni armoniche risulta molto più sottile, poichè si ha cmq un rapporto di stretta collaborazione con questo pianeta che richiede così tanta responsabilità e consapevolezza di sè.
consapevolezza che richiamerà con vigore nei versi de "La ginestra o il fiore del deserto", (suo testamento morale) dove la ragione serve a far cadere i veli e a guardare in faccia la realtà. Siamo veri uomini se la guardiamo in faccia (trigono Saturno-Nettuno, stoicismo e dicotomia equilibrata tra "l'aggiungere nettuniano e il togliere saturnino: stato di equilibrio pratico della fantasia." Inoltre vi sono altre note tipicamente saturnine: nella polemica contro il XIX secolo L. aveva insistito spesso su questo presunto "infantilismo" dei suoi contemporanei -> qui lui si vede come eroe candido (cancro) che tuttavia si erge al di sopra degli altri, seppur con disincanto emotivo (cong saturno) in relazione col collettivo (trigono nettuno)con un giudizio che si riferiva da un lato al costante indebolimento fisico dell'uomo nel corso del progresso della civiltà, dall'altro alla tendenza a rifugiarsi nelle teorizzazioni spiritualistiche, nuove favole consolatorie per un'umanità tornata bambina. Riesce a dare un giudizio forte della civiltà (sole trigono marte) sebbene si senta in qualche modo "esterno perchè troppo in relazione con loro" (aspetto con nettuno).
Prosegue poi nel canto non definendo (chiama) sè stesso ricco o forte, e in mezzo alla gente non finge in maniera ridicola di possedere (non fa risibil mostra) una vita splendida o un fisico pieno di salute (valente); ma senza vergognarsi fa vedere (lascia parer) di essere privo (mendico) di forza e ricchezza (tesor) e parlando chiama le cose col loro nome apertamente, e stima la sua condizione (Sue cose) secondo verità-> modalità forte di realtà; spinge a vedere la verità come lui stesso, a togliere veli di disillusioni.
Non aggiunge alle sue miserie gli odi e l'ira e verso i fratelli (dando la colpa del proprio dolore agli uomini) ma segna la colpa a quella che è veramente responsabile, cioè la natura, "che de' mortali madre è di parto e di voler matrigna" (e qui salta fuori quella luna in capricorno-disillusione della madre nettuno in Xa, in contrasto con un bisogno forte di sensibilità nutritiva e generosa, quella luna in rapporto a venere giove in toro).
Considera inoltre la religione come mettersi dei veli davanti agli occhi: come dargli torto con quel Nettuno Xa opposto a giove? qui si vede proprio la dinamica nettuniana: l'aggiungere qualcosa (dei veli) davanti agli occhi (giove). precisa puntualizzazione della sua opposizione. preferisce vedere (giove) la vera realtà, senza aggiungerci troppe cose sopra (sebbene si malincuora per questa sua naturale tendenza all'infinito-nettuno, sebbene la poesia scritta si colorasse anche tanto dell'indefinito-luna, diverso dal collettivo in senso più ampio).
ma per ora termino qui.
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arcangelo |
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inserita il 06/01/2008 18:46:28
- qui di seguito LA GINESTRA (1836), per capire meglio l'argomento..è stato l'ultimo grande canto del poeta completo (Il tramonto della luna è rimasto interrotto).
°~°~La ginestra o il fiore del deserto°~
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
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arcangelo |
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