Giunone – una femminilità regale
E’ un mito prettamente romano, non vi è una figura simile nel mito greco, o meglio, la più simile è Artemide, anch’essa legata alla luna crescente, ma nel suo mito vi è qualcosa di adolescenziale che la Dea romana non riporta poiché si presenta invece una Dea matura, intensa e con molte funzioni.
Giunone era considerata la “portatrice di luce” poiché indicava la prima falce di luce che annunciava che il nuovo ciclo era cominciato e, quindi, “visibile”.
I tre momenti della lunazione nel mito romano erano divisi in “calende”, “none” e “idi”; Giunone presiedeva alle “calende”, ovvero al primo quarto, quel momento in cui, nella vita pubblica romana, si chiamava la gente “a raccolta” per proclamare l’inizio del mese e onorare la Dea che rappresentava l’eterno principio femminile.
Giunone era vergine, sposa, madre e regina: quindi in lei vi è racchiuso un simbolo di totalità; era simbolo di vero e proprio orgoglio femminile, completo che si manifesta in tutte le sue fasi; qualcosa di Giunone oggi possiamo ritrovarlo nella donna Leone in cui il femminile si esprime in modo particolare, orgoglioso in quanto capace di vivere pienamente le sue fasi, senza pensare che sia migliore la giovinezza o lo stato di innamoramento piuttosto che la maternità o la fase avanzata della vita.
Infatti, Giunone accompagnava la donna in ogni fase della sua vita, dalla nascita fino al momento della morte e, pertanto, soprassiedeva a: adolescenza, matrimonio, maternità, maturità.
L’origine di Giunone era nell’Italia centrale; molto probabilmente i romani adottarono il simbolismo della Dea etrusca Uni (una delle nove divinità manubiae) considerata la protettrice delle donne, unica Dea che aveva la prerogativa di poter lanciare i fulmini quando era arrabbiata; simbolo anche questo di un femminile attivo, diretto, chiaro e potente in grado di farsi valere e di essere considerato paritario al maschile. Tra l’altro, i fulmini sono anche da associarsi alla “luce” dell’intelletto, altro simbolo molto evidente in Giunone. Solo Zeus possedeva la “folgore” che indicava la ragione.
Questa divinità, secondo alcuni studiosi di miti, portava un nome indoeuropeo che, tradotto significava “forza che caratterizza la persona al massimo dell’energia vitale”.
Con il nome “Uni.. che deriva da Iuno” si intendeva una donna che aveva in sé una grande energia vitale in grado di rappresentare “la grande potenza del cosmo”; essa simboleggiava la totalità in quanto in lei si potevano ritrovare qualità femminili e qualità accreditate invece più propriamente al maschile. Non c’è dubbio che le donne Leone e in particolare la Luna nel segno, dia proprio questo tipo di caratteristica: forza, immaginazione, potenzialità creativa ma anche desiderio di avere un impatto con il mondo.
Iuno presiedeva al parto e sicuramente i romani furono molto ispirati da questa divinità al punto da importarla nella loro cultura dandole il nome Giunone. Tra l’altro, la civiltà romana ha molto a che fare con il segno del Leone; Roma era simbolo della potenza di un impero, ma anche di generosità e magnanimità, espressione di fierezza e di orgoglio e quindi, le qualità di Iuno sicuramente riflettevano anche molt qualità delle matrone romane.
Giunone veniva adorata come “salvatrice, madre e regina”; aveva dunque una triplice funzione cosa abbastanza inconsueta nel nostro paese dove solo gli Dei maschi potevano assumere su di sé più funzioni.
Era dai miti matriarcali delle Grandi Madri che non vi erano divinità femminili con grandi poteri, mentre questi li aveva la Giunone romana.
Giunone era detta la “sopita”, ovvero la salvatrice, ma in questo nome c’era racchiuso qualcosa di “guerriero” e quindi, Giunone incarnava anche tratti di femminilità selvaggia, tipica della donna ancora “vergine”, che non ha ancora nelle sue mani il suo progetto di unità e di dar vita.
In questo lato Giunone ricordava Artemide, Dea molto aggressiva e selvaggia che interveniva spesso con le armi e con la forza (era un’arcera potente e invicibile) per difendere le donne che si trovavano nei guai a causa della violenza degli uomini.
Il simbolo di potenza è dato dal fatto che simboleggiava il primo quarto che rappresentava la potenza inarrestabile della luce che vinceva definitivamente sul buio della notte e riconfermava il ciclo.
L’altro suo simbolo era quello di Regina poiché essa assumeva su di sé le funzioni di sovrana politico-religiosa. Aveva un posto nel Campidoglio e sull’Aventino e, per questa peculiarità, troneggiava insieme a Giove.
In questa sua veste tutelava le donne dopo la maternità ed illuminava le famiglie con i suoi consigli, sempre estremamente saggi. In questo lato Giunone ricorda qualcosa della “saggezza” incarnata dalle Dee Madri che si trasformavano in “sophie” per far crescere gli uomini con il loro nutrimento culturale e psichico.
Indubbiamente Giunone è la Dea che più si avvicina alla Dea trifasica della fase matriarcale allorchè tutte le tre lune erano unite in una sola divinità chiamata “Hera Chera” che veniva considerata “feconda, guerriera e politica” vera e propria divinità armata, la cui effige era conservata in un tempio di Argo, città da cui proveniva.
Certo, nel tempo si è persa ogni traccia di questo orgoglio di femminilità, anche perché, a partire dal 494 d.C. papa Gelasio I° irritato dal vedere ancora le donne adorare la pagana Giunone, invei’ minacciando la scomunica a coloro che partecipavano ai culti della Dea. Fu proprio per allontanare la presenza di questa Dea guerriera e sovrana, salvatrice e purificatrice e in più protettrice delle famiglie e delle nascite che venne stabilita la festa della Candelora - Festa di purificazione di Maria Vergine – in cui si distrubuivano le candele benedette a cui venivano attribuite capacità protettive contro la stregoneria pagana.
In ogni caso, per tantissimo tempo ancora, rimase fermo il suo culto e, quando una donna desiderava avere un figlio, vegliava il fantoccio di Giunone per tutta la notte con una torcia accesa in mano, simbolo del grande potere fertilizzante della luna crescente.
Inoltre, all’apparire del primo quarto di Luna, quando Giunone appariva nel cielo, nell’antica Roma si soleva pranzare un pasto sacrificale sotto un caprifico, albero selvatico simbolo della fertilità che veniva utilizzato dai romani per “fecondare” il fico coltivato e questo rito, nelle campagne rimase a lungo, nonostante la persecuzione che la chiesa fece ai culti pagani.
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