ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
Il mito di Orfeo
a cura di Lidia Fassio
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Nella mitologia ellenica, il mito di Orfeo è tra i più carichi di intensità e di simbolismo oltre ad essere struggente e pieno di sentimenti che evocano fortissime emozioni ancora oggi.
E’ un mito antichissimo che si è sviluppato via via nel tempo fino a divenire una vera “teologia”. Il mito di Orfeo ha esercitato una sicura influenza sulla formazione del Cristianesimo primitivo ed in seguito sul teatro e sulla musica.
Per una serie di sue caratteristiche riesce ad entrare appieno nella simbologia del segno dei Pesci.
Orfeo era figlio di Eagro, re della Tracia, e della Musa Calliope, la più alta in dignità delle nove muse. Il Dio Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono ad usarla e lui era talmente abile che lo stesso Seneca narra:
"Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto ..."
Orfeo è il cantore per eccellenza, il musico e il poeta. Partecipò alla spedizioni degli Argonauti ma, essendo molto più debole degli altri eroi, a lui non veniva chiesto di remare ma di svolge la funzione di “capovoga”. Quando la nave di Giasone giunse in prossimità dell'isola delle Sirene, fu proprio lui ad attenuare, con il suono della sua cetra, la dolcezza del loro canto in modo che gli Argonauti non cedessero alle loro insidie.
Ciò nonostante Orfeo divenne molto più noto per la grande impresa che lo fece scendere nell'Ade.
La storia vuole che Orfeo si innamorasse di Euridice, unica donna della sua vita, amata da sempre. Il giorno in cui ci furono le nozze, Orfeo era al massimo della felicità perché coronava finalmente il suo sogno più grande. Era al settimo cielo e questo ci ricorda uno stato d’animo tipicamente nettuniano in cui, attraverso un’altra persona, sembra ricomporsi la fusione originaria che riporta la propria anima alla “perfezione assoluta”. Lui si sentiva di toccare il cielo; la sua anima stava sperimentando il senso di “assoluto”.
Euridice era figlia di Nereo e di Doride. Il destino però non aveva previsto per i due innamorati un amore duraturo poichè, purtroppo, qualcuno tramava alle loro spalle; infatti la bellezza di Euridice era tale da far ardere anche il cuore di Aristeo che si innamorò di lei anche se mai corrisposto; proprio il giorno del matrimonio, lui cercò di sedurla e, la fanciulla, per sfuggire alle sue insistenze, si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandole la morte istantanea per avvelenamento.
Orfeo impazzì dal dolore poiché non riusciva a concepire la propria vita senza la sua sposa e, siccome sembrava del tutto fuori di senno, qualcuno lo consiglio di scendere nell'Ade per chiedere in via del tutto eccezionale al Re degli Inferi di cercare di poterla riportare in vita. Convinse Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige e, circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, giunse alla presenza di Ade e Persefone totalmente affranto.
Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a cantare e declamare poesie; la sua disperazione e solitudine era tale che il suo canto lasciava trasparire tutto il suo dolore che, divenne troppo anche per gli stessi signori degli inferi che, di fronte a tanto amore, si commossero; anche le Erinni piansero; la ruota di Issione si fermò ed i perfidi avvoltoi che divoravano il fegato di Tizio non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro compito; perfino Tantalo dimenticò la sua sete e per la prima volta nell'oltretomba si conobbe la pietà come narra Ovidio nella Metamorfosi.
Fu così che fu Ade e Persefone concessero ad Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la superficie non si voltasse mai a guardarla in viso fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. In pratica Ade gli chiese di “fidarsi” e di non cercare conferme.
Anche questo è molto Nettuniano: Ade in fondo da vero re degli Inferi, sapeva perfettamente dove stava la debolezza di Orfeo; sapeva che lui non avrebbe retto e che, prima di arrivare sulla Terra, avrebbe capitolato.
Orfeo, era nuovamente felice e passava da uno stato d’animo di tristezza assoluta ad uno stato di euforia assoluta. In questo strano stato emotivo prese per mano la sua sposa ed iniziò il suo cammino verso la luce ma, durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Orfeo iniziò ad essere preso dai dubbi e pensò di essere stato ingannato. Pensò così che la mano che teneva dentro la sua non fosse di Euridice, ma fosse invece di una creatura degli Inferi.
Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma, nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto, Euridice svanì ed Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta.

Orfeo comprese che questa volta la morte sarebbe stata eterna e che niente avrebbe più potuto fare per salvarla. In fondo era stata sua la mancanza di fiducia e, in un certo senso, sapeva di aver perso definitivamente la sua compagna.

Nonostante questo Orfeo per sette giorni cercò ancora di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita.
Allora Orfeo si rifugiò sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e in preda alla disperazione.
I mito dice che lui, da allora, ricevette solo uomini e ragazzi a cui faceva lezioni sull'origine del mondo e degli dei.
Molte donne tentarono di catturare il suo cuore e tra queste alcune Baccanti che, piene di rabbia per la sua indifferenza ed istigate da Dioniso per la mancanza di devozione che Orfeo aveva nei suoi confronti, decisero di ucciderlo durante un rito orgiastico. Arrivato il momento stabilito, si scagliarono contro di lui con furia selvaggia, lo fecero a pezzi e sparsero le sue membra per la campagna gettando la testa nell' Ebro.
Dopo la morte di Orfeo la sua Lira venne portata in cielo ove divenne una costellazione. L’anima dello stesso Orfeo fu trasportata nei Campi Elisi, dove, rivestita di una veste bianca, continua i canti per i beati.
Attorno a questo mito si formò la teologia orfica. Dalla discesa agli Inferi alla ricerca di Euridice, si riteneva che Orfeo avesse riportato informazioni sul modo di giungere al paese dei Beati e di evitare tutti gli ostacoli e le trappole che attendono l’anima dopo la morte.
In pratica, questo personaggio ci riporta a Nettuno e al segno dei Pesci che, come scopo primario, hanno quello di riuscire ad “affidarsi” ad un progetto superiore, senza lasciarsi prendere dai dubbi e dalle incertezze. Orfeo è un eroe nettuniano che ci parla di cosa può succedere se non si ha fiducia in sé stessi e se non si crede che vi sia un Sé che ha in mente un progetto preciso per noi.
I Pesci ci ricordano che quando l’Io si erge a giudice del Sé, è difficile che vi possa essere una reale autorealizzazione. Purtroppo, Orfeo non avendo alcuna fiducia nelle sue intuizioni e motivazioni più intense e profonde perdette tutto ciò che più desiderava al mondo.
 
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