ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni |
ERACLE E IL LEONE DI NEMEA - (La 1° Fatica)
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a cura di Barbara Palumbo
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La prima delle dodici celebri fatiche di Eracle è quella dell'eroe contro il leone di Nemea, mostruoso animale, frutto dell’accoppiamento incestuoso ed innaturale tra la madre Echidna e uno dei suoi figli, il feroce cane Ortro, fratello del famoso Cerbero. Esiodo, nella Teogonia, narra come il temibile leone venga allevato dalla dea Era, secondo Igino, invece, svezzato da Selene, la luna, con il proprio latte. Tra le due varianti mitologiche è preferibile quella esiodea, non solo per la sua anteriorità, bensì per il legame che unisce i primi momenti della vita del mostruoso animale ad Era, la dea che più di ogni altro ha valide ragioni per odiare e ostacolare l’iter evolutivo di Eracle. In ogni caso tutte le fonti, da Apollodoro in poi, collocano la bestia a Nemea, città dell’Argolide. Questa regione, situata nel Peloponneso, presentava un territorio montuoso, aspro e con una sola pianura di proporzioni ridotte. Non è un caso che il leone sia collocato in una regione così inospitale e marginale, anche se tale distanza dal cosmos greco, non è tanto geografica (il cuore della cultura ellenica, ossia Atene, non è distante) quanto culturale. Il leone di Nemea, come racconta Apollodoro, terrorizzando gli abitanti del luogo e devastandone il territorio, per lungo tempo era stato ritenuto una forza distruttiva, tanto che nessuno degli uomini osava avvicinarsi alla sua spelonca per tentare di opporsi alla sua potenza. Eracle, giunto a Nemea, decise di affrontare il crudele animale e capì che l'unico modo era quello di chiuderlo nella sua tana. Il suo stratagemma tuttavia si rivelò inefficace in quanto la spelonca aveva due entrate e, cacciando il leone da una, l’animale usciva dall'altra. Non avendo altre risorse se non il suo acume, Eracle decise di chiudere una delle due entrate e poi, costretto il leone ad entrare dal lato rimasto aperto, lo seguì all'interno. La colluttazione fra i due, inizialmente, ha un esito inaspettato: il leone, infatti, rimane illeso nonostante i colpi di clava inferti da Eracle. Abbandonata l’arma fidata, l'eroe pensò di colpire il leone con pietre e punte di ferro, ma come racconta Teocrito: “la pelle non veniva via né col ferro, né con le pietre.” Dinanzi all'invulnerabilità del leone, Eracle capisce che gli strumenti “esterni”, le frecce o le pietre, siano inefficaci, ed è in questo momento che l'eroe ritiene opportuno ricorrere agli “strumenti soggettivi”, ossia le proprie capacità ed energie personali. Allora, per ispirazione divina, l'eroe affrontò e vinse il leone con la sola forza delle proprie mani e ne lacerò la pelle con gli stessi artigli dell’orrendo animale. È possibile notare come nel mito lo scontro fra i due si svolga all'interno della spelonca, al buio, lontano dagli sguardi o dall'incoraggiamento degli abitanti del luogo, Eracle è da solo con l'animale, ma in realtà è solo con se stesso: metaforicamente il leone rappresenta il lato più istintuale dell'eroe; uccidendo la bestia, apparentemente invincibile, Eracle vince e supera la parte ferina e bestiale che è in sé! Bisogna uccidere il leone della propria personalità, una personalità che, se guidata dalla forza ferina, appare devastatrice, ben lontana dall’equilibrio di forze, energie e coraggio che fa di ogni uomo un individuo coerente ed evoluto. Soltanto ammonendo la parte più aggressiva del proprio, selvaggio ed incontrollabile mostro personale, l'eroe potrà vincere la paura dell'ignoto che è in sé e con la forza fisica e, poi, mentale potrà affrontare la vita con determinazione e consapevolezza. Una volta ucciso il leone, Eracle si avvolse la cotenna sulle spalle come mantello e ricavò dalla teste della bestia un copricapo, secondo quella che sarà poi l'iconografia classica del personaggio. Non deve stupire che l'eroe decida di indossare la pelle dell'animale, nell'antichità, infatti, si sottraevano e si indossavano le armi del rivale sconfitto e lo scopo era duplice: da un canto, si rendeva pubblica la propria vittoria, d’altro canto, ci si impossessava della forza del nemico, dell'Altro sconfitto. E' un topos antropologico frequente, basti pensare alla Scrittura: “ Si sono divise le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte” infatti, dopo la crocifissione i soldati romani tirarono a sorte per avere la veste del figlio di Dio. Caricato il leone sulle spalle, Eracle si recò a Micene da Euristeo che gli aveva commissionato la fatica. Il re, vedendo le dimensioni della bestia, rimase impressionato e ordinò all'eroe di esporla fuori le mura della città. Nell'antichità, ciò che era ritenuto temibile e nefasto per l'intera collettività, era posto extra moenia, oltre le mura dell'agglomerato urbano, usanza che fa pensare alla prassi per cui i cimiteri, ancora oggi, sono situati lontani dal centro delle nostre città e “confinati” in luoghi periferici, come se la lontananza potesse esorcizzare le paure. Finisce così la prima fatica di Eracle, l'eroe è solo all'inizio del proprio cammino, deve percorrere ancora molta strada ed è consapevole che il suo passato deve completarsi e integrarsi col suo futuro ma, nel frattempo, come racconta Igino, il temibile leone di Nemea fu trasformato in una costellazione, appunto, quella del Leone. INTERPRETAZIONE DI LIDIA FASSIO Anche se in alcune interpretazione questa prima fatica viene attribuita al segno del Leone.. per associazione all’uccisione di un leone, a mio avviso è preferibile il legame con il segno dell’Ariete che ha molto più a che fare con l’istintività pura che può trasformarsi imprevedibilmente in aggressività brutale in quanto troppo strettamente assoggettata al rapporto che Marte ha con la parte più profonda dell’istinto.. quella che in astrologia è legata a Plutone; in questo primo segno, l’aggressività è legata alla sopravvivenza fisica e quindi sottoposta ad una reattività esplosiva e senza controllo poiché non ancora mediata dalla coscienza. Infatti, in questo primo passaggio, l’eroe Eracle mostra due distinte fasi: la prima in è ancora assolutamente incapace di strategia.. e di “ragione” il che vuol dire che non è in contatto con le parti superiori di sè; infatti, simbolicamente non riesce a comprendere che la tana del Leone ha due entrate e quindi i suoi sforzi si dimostrano vani; in questa fase anche la lotta avviene completamente al buio.. e in questo possiamo rintracciare una difficoltà dell’eroe ad “illuminare” certi contenuti dell’inconscio.. che, pertanto, restano incomprensibili ma soprattutto in preda delle forze oscure “infere” …della psiche; questo indica che deve acquisire qualità superiori…che si vedono nel momento in cui la forza e l’impulso cominciano ad assoggettarsi ai dettami dell’Io che li indirizza e li organizza in modo creativo. Chiaro, qui l’eroe deve abbattere il leone (animale feroce simbolo di istinti potenti ma anche distruttivi) che sembra invincibile.. e, per farlo, deve riconoscere dentro di sé la forza e la ragione, in modo che la prima si metta al servizio della seconda. In questo è molto interessante l’associazione con il segno dell’Ariete che rimane praticamente alla merce’ del mondo pulsionale fino a quando non trova luce dentro di sé e, assieme ad essa, le qualità… che lo porteranno ad un lento riconoscimento dei suoi potenziali .. e, ad una possibilità di poterli far crescere fino a che potranno mettersi al servizio di progetti creativi. Da un punto di vista psicologico infatti.. la rappresentazione messa in atto da Eracle è molto evidente; l’eroe arietino non può far nulla di costruttivo e non può impegnarsi in battaglie fializzate ad uno scopo superiore fino a quanto non “riconosce la sua parte istintiva è distruttiva e feroce” e fino a che non viene a contatto con la forza della ragione che la può illuminare, mitigare, e trasformare.. Nell’ariete il simbolo di Plutone indica chiaramente sia l’impulso puro, la compulsione ad agire.. al di fuori dalla coscienza, ma indica altresì la possibilità di trasformazione di questo tipo di energia in un vulcano creativo. Infatti, l’Ariete deve impossessarsi della riflessione e della capacità di trattenere i suoi impulsi fino a quando non trova una vera “causa” per cui lottare e, in quel momento.. può sublimare certi bisogni primitivi fino ad elevarli. |
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