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a cura di Francesca Piombo 
L'ORSO DELLA LUNA CRESCENTE
 
L'orso della Luna Crescente (Tratto dal libro “Arianna e le Altre”, profilo di Artemide, Lulu.com 2015)


“La fiaba giapponese “Tsukina Waguma”, “L’orso della luna crescente”, invita a riflettere sull’eventualità che l’archetipo dell’Animus nella donna impieghi diverso tempo prima di essere personalizzato ed integrato dalla coscienza e tenda invece ad essere vissuto di riflesso attraverso le figure maschili della sua vita, fin quando la donna non riuscirà ad illuminarlo e ad esprimerlo in prima persona.

“C’era una volta una giovane che viveva in un bosco di pini. Il marito l’aveva lasciata per combattere una lunga guerra e lei non vedeva l’ora che tornasse a casa per dividere nuovamente tutto il tempo con lui. Quando finalmente ritornò era cambiato nel carattere e nei modi”.

In questo primo passaggio, incontriamo subito una giovane donna che vive in un bosco e quindi simbolicamente, nonostante la giovane età, possiede già sentimenti estremi e potenti, di forza appassionata ma inconscia. Il fatto che il marito sia lontano a combattere una lunga guerra mentre lei lo aspetta passiva, mette l’accento sul ruolo rinunciatario dell’Animus della donna, che ha spostato fuori di sé la capacità d’azione, di fare scelte autonome e soprattutto in linea con la sua volontà e che viene vissuto nella sua parte attiva solo di riflesso, attraverso una figura maschile.
La proiezione psicologica è il primo grande strumento che l’individuo ha per comprendere bene la sua natura, per riconoscere quanto di quello che è proprio viene spostato all’esterno perché troppo avulso dall’idea che si ha di sé e in cui ci si è maggiormente identificati e quanto invece fa parte della base fondante della personalità, valori a cui non si intende rinunciare, perché indispensabili a garantire un sano senso di sé.

“Quando il marito fu congedato, tornò a casa ma incattivito. Si rifiutò di entrare nella casa perché si era abituato a dormire sulle pietre e soprattutto non aveva intenzione di dividere nulla con la sposa, che aveva amato teneramente prima della guerra; la rifiutava e rifiutava quello che lei cucinava per lui, dimostrandole una rabbia furiosa ogni qual volta lei gli si avvicinava. La sposa era sbalordita da questo comportamento e profondamente rattristata, a tal punto che era andata a cercare l’aiuto di una vecchia saggia che viveva lontana e che le aveva promesso d’aiutarla, ma solo dopo che lei si fosse procurata un pelo dell’orso della luna crescente; avrebbe dovuto lasciare il bosco e scalare la montagna fino alla tana dell’orso e, fronteggiando la sua ferocia, strappargli un pelo dal manto e portarlo a lei, solo a quel punto il marito sarebbe tornato lo sposo devoto ed affezionato che era un tempo”.

E’ questo il momento in cui la donna entra in contatto con un’esigenza di cambiamento, di solito riflessa dalla situazione difficile che sta attraversando, perché tra il suo mondo interiore e quello esteriore si crea una frattura, uno squarcio che colpisce le sue illusioni; il mondo esteriore crolla e la donna ha bisogno di allontanarsi simbolicamente da tutto e tutti, intraprendendo un viaggio interiore attraverso il quale analizzare se stessa, la completezza delle sue motivazioni ed il perché dei risultati deludenti o dolorosi che le sue scelte hanno provocato.
La presenza dell’orso ci orienta subito su qualità specifiche che si possono acquistare in questo viaggio di ricerca nel mondo dell’inconscio: forza, lealtà, saggezza. Erano queste le qualità che i giapponesi attribuivano all’orso, onorandolo come animale sacro e “ponte” tra la Terra e il Cielo; in più, quello della Luna Crescente, con il suo pelo latteo sulla gola, è simbolo di massima spiritualità che la tradizione orientale collega alla dea buddista Kuan-Yin, la dea della guarigione e della compassione, il cui emblema è la luna crescente, così come lo era per Artemide nel mito greco.

“La giovane sposa non esitò un attimo a compiere il viaggio, lasciò il bosco, raccolse poche cose e cominciò a scalare la montagna, non dimenticando di ringraziarla ad ogni passo: “Arigatò zaisho”, ripeteva mentre saliva rapida e decisa e gli alberi della montagna s’inchinavano e la lasciavano passare. Man mano che procedeva, il viaggio si faceva sempre più faticoso; le rocce su cui poneva i piedi erano aspre e dure e la ferivano e intorno a lei si affollavano cupi uccelli neri; in Oriente simboleggiano lo spirito dei defunti che vogliono essere onorati e rispettati. La sposa li onorava inginocchiandosi e ripeteva: “Arigatò zaisho” e gli uccelli la lasciavano e volavano via. Salì fino a vedere la neve in cima alla montagna e non esitò ad attraversare il gelo che le stava intorno; la neve le entrava dappertutto congelandola, ma lei continuava a salire e a ringraziare, fino a che i venti non soffiarono più forte e riuscì a raggiungere la cima della montagna e una piccola caverna nella quale trovò rifugio”.

I molti ostacoli che incontra la donna durante il viaggio sono il simbolo delle difficoltà emotive che s’incontrano nel compiere il percorso introspettivo, un passaggio iniziatico in cui è frequente ferirsi ma che viene accolto con forza d’animo e coraggio, per quel bisogno di completezza che è insito in ogni donna e che è più forte della paura.

“Passò la prima notte e non appena si svegliò la giovane sposa si mise subito alla ricerca dell’orso che vide in tutta la sua maestosità e ferocia. Quando l’orso fu entrato nella sua tana, lei prese del cibo che aveva portato con sé e lo mise non lontano dalla tana perché il suo profumo potesse arrivare all’animale. Così fu. L’orso uscì dalla sua tana e subito scorse il cibo che divorò in un sol boccone, poi si girò senza vedere la fanciulla e rientrò nella grotta. Andò così per molte sere: la giovane poneva il cibo nei pressi della tana, l’orso usciva e mangiava per poi rintanarsi di nuovo, non senza aver ringhiato ed emesso suoni che facevano tremare la ragazza in ogni fibra del suo essere. Finalmente, l’ultima sera, la giovane trovò il coraggio di porre il cibo proprio fuori della tana ed aspettò che l’orso uscisse per mangiare. Una volta uscito, l’animale si accorse della donna e ringhiò con tutta la sua forza, allungò le zampe per afferrarla e fu a quel punto che lei lo pregò così: “Per favore, caro orso, ho bisogno di una cura per mio marito, è per questo che ti ringrazio per aver accettato il mio cibo; per favore, puoi darmi un pelo della luna crescente che hai sulla gola? Solo se potrò averlo, mio marito guarirà dalla sua ira”. L’orso si stupì molto che una ragazza così giovane gli si rivolgesse con tanto coraggio, ma per premiarla del fatto che l’aveva nutrito, le permise di strapparle un pelo dal suo manto. La fanciulla non se lo fece ripetere due volte, si arrampicò veloce lungo il collo dell’orso e con il pelo strappato si diede svelta alla fuga, correndo ed inciampando lungo la via, ferendosi e cadendo più volte ma sempre ripetendo “Arigatò zaisho, arigatò zaisho”; lo ripeteva alle rocce che le ferivano le ginocchia, lo ripeteva agli alberi che le sbarravano la via, lo ripeteva ai rovi che le graffiavano il viso. Fu così che arrivò dalla vecchia saggia e le consegnò tutta festosa il capello; adesso l’avrebbe potuta aiutare a far tornare il marito quello che era, un uomo buono, gentile e innamorato”.
Il momento del confronto con l’orso è il momento della verità, il momento in cui si guarda in faccia la propria aggressività, ci si confronta con lei senza indietreggiare, per l’angoscia che procura questa rivelazione; la possibilità di riconoscere le parti inferiori della natura umana è un grande atto di coraggio, è la chiave d’apertura di una nuova porta nella psiche, che permette di visualizzare dimensioni e territori nuovi che non si supponeva esistessero, ma che sono lì innati, per essere attraversati e superati.

“La vecchia la guardò, le sorrise e in un attimo gettò il pelo nel fuoco, tra le urla di disperazione della fanciulla che non comprendeva cosa stesse facendo. “Perché mi fai questo? Perché?” le chiese e quella girandosi e con un sorriso dolce sulle labbra le disse: “Ricordi tutto quello che hai fatto in questo viaggio? Ricordi la fiducia che hai usato verso l’orso, la pazienza per arrivare, la gentilezza che hai usato con chi ti feriva? Bene figlia mia, torna a casa e fai lo stesso con tuo marito”.

La fiaba gira tutta intorno ad un punto cruciale: si può ottenere la cura per il proprio Animus ferito solo una volta che si sia onorata la propria parte vulnerate e offesa, che continua ad alimentare una parte del Sé che rimane in collera. Il nutrimento che la donna dà all’orso è simbolo del nutrimento che bisogna dare a questa parte, che non è stato possibile riconoscere nell’esperienza di vita perché sottoposta a giudizio dall’Io civilizzato e quindi rimossa e negata. Le grandi prove che attraversa la fanciulla con forza interiore e buona volontà sono la conferma che nella psiche di ogni donna ci può essere la capacità di elaborare queste parti negate, facendo pace con se stessa e predisponendosi anche a migliorare.
Infatti, non sottraendosi all’incontro e al riconoscimento di questa parte interna profondamente risentita, ringraziandola per l’opportunità che le dona di fare luce, di elaborare anche le emozioni più negative, la donna Artemide che è stata “vulnerata” può permettersi di vivere la parte più bella dell’archetipo racchiuso in questo mito: la capacità di compassione e di accoglienza nei confronti di chi le chiede aiuto, la capacità di diventare “madre di se stessa”, “Luna per se stessa”, di amarsi, accettarsi e perdonare le sue manchevolezze.
Scrive ancora la Estès in “Donne che corrono con i lupi”: “Tutte le emozioni, inclusa la collera, portano sapienza e penetrazione, ciò che alcuni chiamano illuminazione. La nostra collera può farci da maestra, possiamo usare la sua luce per vedere là dove di solito non riusciamo a vedere. Il ciclo della collera è come tutti gli altri cicli: monta, cala, muore e si libera sotto forma d’energia nuova; l’attenzione rivolta al riconoscimento della collera avvia il processo di trasformazione”.

Ogni donna può fare questo, può rivolgersi alla sua “vecchia saggia”, la guaritrice interiore e prendersi del tempo per accogliere la nuova verità; a conclusione di questo percorso impegnativo e certamente non facile, potrà acquistare la conoscenza e la padronanza delle proprie emozioni e solo a quel punto potrà servirsi di una delle più belle qualità di Artemide: scoccare la freccia e fare centro”.

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Il libro “Arianna e le Altre” propone uno studio sul mondo degli archetipi femminili, attinti dalla Storia e dal Mito, ai quali si aggiungono accostamenti di carattere astrologico e l'interpretazione di alcune Fiabe, in cui si muovono figure immaginarie, la cui matrice mitica e simbolica, proprio perché universale, si fa eterna e fonte d'insegnamento per il cammino evolutivo di ogni donna.

"Riconoscere la dea interiore”, quella che rappresenta di più le sue inclinazioni, i valori e gli obiettivi che la donna vuole realizzare, può aiutarla ad esprimersi in pienezza, ad approfondire la conoscenza di se stessa e dei suoi potenziali.

Il titolo del libro è dedicato al personaggio mitologico di Arianna di Cnosso, figura riassuntiva dell’esigenza innata nella donna a non delegare ad altri il riconoscimento del suo valore personale, ma rintracciarlo, coltivarlo e farlo crescere prima di tutto in se stessa.

Con Lulu, l’autrice ha anche pubblicato “L’Alchimia Astrologica”, in cui ha illustrato le analogie esistenti tra Alchimia, Astrologia Umanistica e Mito e “Mitologia di LOST”, sulla nota Serie televisiva americana.

http://www.lulu.com/shop/francesca-piombo/arianna-e-le-altre/paperback/product-22237410.html



 
 
 
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