Fra guerrieri abituati alla lotta, al sangue, al sudore non servono molte parole per capirsi, per muoversi all'unisono, per brandire le armi, per mettersi in cammino con lo stesso scopo. Fu così che bastò uno sguardo veloce d'intesa fra Eracle e Abdero, la meta stavolta era la Tracia, il nemico da fronteggiare le giumente antropofaghe di Diomede. Dinanzi all'ennesima fatica, la quinta imposta da Euristeo, Eracle comprese che aveva bisogno dell'aiuto del fidato e valoroso amico Abdero, complice di tante imprese, fratello non di sangue ma di armi. La superbia e l'arroganza dell'eroe si inchinarono dinanzi alla difficoltà della prova e, riconoscendo i propri limiti, cercò preziosi collaboratori per superare la prova, per continuare il suo cammino, per trovare la sua identità e conquistare la vagheggiata libertà.
Questa fatica sembra riportarci al valore Leonino e solare che porta con sé la capacità di lottare non solo per sé ma per un bene superiore, tipico dei veri eroi che sono disposti anche a rischiare la vita pur di eliminare ciò che, nell’immagine psicologica, può essere visto come un grande pericolo.
Insieme ad alcuni seguaci volontari, Eracle e Abdero partirono alla volta della Tracia, regione selvatica e accidentata sulle spiagge del Mare Nero, per sconfiggere il fiero popolo dei Bistòni che vi abitava governato da Diomede. I Traci, secondo il racconto erodoteo, erano un ethnos eterogeneo ma con usanze comuni, alquanto barbare ed inconcepibili per la mentalità greca: praticavano la poligamia, vendevano i propri figli, le fanciulle nubili erano dedite alla prostituzione e, durante i funerali, festeggiavano e banchettavano per ringraziare gli dei di avere posto fine all'esistenza umana del congiunto.
Non stupisce, allora, come il re tracio Diomede, figlio del bellicoso Ares e di Cirene, avesse fama di essere un iracondo (non a caso il mito attribuisce la paternità ad Ares), era famoso per l'allevamento di giumente bellissime ma feroci fino al punto da essere antropofaghe. La fama della crudeltà di Diomede (da non confondere con l'eroe civilizzatore omerico che combatté fra le schiere achee) aveva raggiunto ogni angolo della terra e gli stessi sudditi del re, i Bistòni, temevano l'ira del loro sovrano e, nonostante fossero guerrieri avvezzi ad ogni difficoltà, tremavano come bambini sentendo il nitrito delle giumente. E furono proprio le cavalle di Diomede la quinta prova per Eracle: liberare la Tracia da queste che devastavano le campagne e condurle vive a Micene, presso la reggia di Euristeo.
Le giumente sembrano la rappresentazione dei tratti peggiori del Re Diomede; infatti, possono essere associate alla “rabbia irrazionale” che, quando si scatena ha il compito di mostrare qualcosa di irrisolto e di assoutamente distruttivo che, nel nostro caso rappresenta il lato “femminile selvaggio” del Re Diomede, proiettato all’eterno poiché non può trovare accoglimento all’interno.
In effetti, l’immagine delle giumente feroci è quando di più lontano dalla realtà; nell’immaginario collettivo alle giumente viene data l’immagine di un istinto potente che vuole liberarsi per potersi esprimere, mentre, in questo caso l’istinto diventa qualcosa di assolutamente pericoloso che può originare nella grande sete di potere di Diomede che lo porta ad eliminare il sentimento..
Per poter vivere il lato tirannico, Diomede deve estirpare ed amputare dentro di sé la parte femminile che, altrimenti, gli impedirebbe di utilizzare la crudeltà pura; in questo modo, sensibilità ed empatia devono essere rimosse e rinnegate e, pertanto, il femminile si vendicherà del tiranno mostrando tutta l’ irrazionalità e la furia, tipiche di un istinto “indomabile” poiché non riconosciuto ed integrato.
Giunto nei pressi delle loro mangiatoie, l'eroe uccise i guardiani assopiti che sorvegliavano l'entrata e condusse gli animali verso il mare. Ma i Bistòni se ne accorsero e, temendo la reazione del loro re sanguinario, si scagliarono armati contro Eracle per recuperare la “crudele” refurtiva, allora l'eroe affidò la custodia delle bestie ad Abdero e si allontanò per cercare aiuto e fronteggiare l'ira di Diomede.
In questo passaggio vediamo Eracle che, per poter risolvere la sua fatica, cerca prima di rispettare la vita cercando di far fluire il lato femminile della vita (giumente) facendole accompagnare dal fido amico Abdero verso il mare.. in modo che possano riconciliarsi con una parte della loro anima e possano riunirsi simbolicamente alla totalità. Tuttavia, le cose non sono così semplici, perché esse mancano di contatto con la parte “ragione” sono incontrollabili e finiscono così per ribellarsi uccidendo l’amico di Eracle.
Fu brevissimo l'istante in cui Abdero cercò di imbrigliare le giumente, infatti, mentre tirava loro il freno, queste gli si rivoltarono contro e, dilaniandolo, lo uccisero.
Quando l'eroe vide lo scempio del corpo straziato del caro amico, sentì un moto nel cuore, un dolore che non trovò conforto nelle lacrime: ad un eroe non è permessa la desolazione, l'angoscia, lo strazio della perdita.
In questa parte del mito emergono i grandi sentimenti, il vero e proprio CUORE di Eracle che, straziato dal vedere il corpo dilaniato dell’amico, ricontatta la sua natura selvaggia ed istintiva per poter vendicare l’amico.. di cui non accetta la perdita.
Il nostro eroe passa facilmente dalla bontà e dal sentimento nobile alla rabbia più feroce nel momento in cui gli viene inflitta una perdita gravissima che ritiene senza senso e senza spiegazione.
Ritoviamo in questa fatica il grande guerriero che, se viene a contatto con un’ingustizia profonda può diventare anche molto feroce fino a non riconoscere più il Re se non governa con saggezza, coraggio e bontà.
Il guerriero Leonino è molto ben simboleggiato dalla figura di Lancillotto che, dopo aver fatto a lungo il mercenario senza trovare un vero scopo, trova in un fine nobile (servendo Artu’) coraggio e grande capacità di combattere fino anche all’estrema donazione di sé.
Infatti, il vero guerriero deve trovare valori nobili.. e li deve trovare in un Re, che simbolicamente, è l’intermediario tra gli uomini e la divinità e che, da essa dovrebbe essere ispirato.
In questo caso, Eracle comprende che questo Re ha perso il cuo CUORE, non è in contatto con l’anima e quindi non serve una aparte spirituale ma solo un’ambizione materiale e terrena; è un Re che ha perduto la dignità del suo ruolo.. e , pertanto, non puo’ più incarnare quel ruolo; è in quel momento che Eracle decide di ucciderlo vendicando l’onore e la vita del suo amico.
Senza proferire una parola, lo spasimo di Eracle si trasformò in rabbia incontrollata, furore cieco, collera istintiva tanto da affrontare da solo, con le mani nude, i Bistòni che gli si lanciarono contro e, dopo averli sterminati, il suo sguardo gelido da guerriero si posò su Diomede. Il re tracio non ebbe il tempo di brandire la lancia, l'eroe lo aveva già afferrato e in pochi istanti donato la vita del disumano sovrano agli dei della vendetta.
La bilancia della giustizia aveva ritrovato il suo equilibrio, la morte era stata espiata con la morte, l'offesa cancellata con la violenza, il perdono (dono cristiano di un Dio che muore per amore) negato al cuore greco.
Prima di salpare da quella terra, l'ultima vista da Abdero, Eracle celebrò i funerali per il fedele amico e fondò una città in eterna memoria di quella morte, la morte di un prode, un combattente, la colonia prese il nome di Abdera.
La furia di Eracle viene scatenata dall’ingiusta morte di Abdero che produce in lui una ferita profonda che deve essere sanata. Infatti, l’eroe solare leonino è fedele sia ai principi che alle persone che ama e pertanto è leale verso gli amici per difendere i quali è pronto anche a gesti estremi. In questo caso Eracle ne onora la morte e la memoria dedicandogli una città.
Quando Eracle giunse a Micene alla corte di Euristeo, consegnò le giumente crudeli al re che gli chiese: “Cosa ne faremo ora di questi animali?”. L'eroe non rispose, il suo compito era terminato, ma il suo dolore iniziava in quel momento.
Euristeo decise di lasciare libere le giumente che raggiunsero il monte chiamato Olimpo, dove morirono sbranate dalle belve...nello stesso istante in cui Abdero faceva il suo ingresso nell'Ade, così come era vissuto: da eroe.
In quest’ultimo passaggio della fatica di Eracle i conti sembrano tornare tutti: lui conclude la fatica consegnando le giumente. Il destino delle stesse è segnato; infatti, se il lato istintivo non viene trasformato ed elevato non ci può essere che desolazione e morte. Le giumente vengono sbranate dalle belve nel momento in cui Abdero entra nell’Ade quasi a simboleggiare che l’atto finale di Eracle porta anche a conclusione i contenuti distruttivi che erano stati liberati ma che non avevano trovato un Io pronto ad accoglierli e a domarli per cui vengono reinglobati dall’inconscio stesso.