L’antico motto di Delfi è ancora un utile viatico per il moderno esploratore del profondo: conoscere se stesso fino in fondo è grande impresa per l’uomo che accetta di seguire percorsi di ricerca interiore, i quali non sono meno ardui delle mitologiche prove degli eroi omerici.
In questo caso però non si tratta di eroi “solari”, ma di eroi “lunari”, che completano la coscienza tantrica dell’uomo, finalmente in grado di riunire, con le funzioni degli emisferi cerebrali, le sue parti separate in un’alchimia filosofica, speculativa e quindi operativa.
Il XII Arcano dei Tarocchi Aurei ci parla di questa ricerca e del sacrificio che essa richiede.
L’Appeso è la raffigurazione di un grande eroe che ha accettato il sacrificio supremo per una catarsi profonda. Il suo non è un supplizio, giacché essere sospesi capovolti non è mai stata una pena capitale; e la sua non è neanche una vana tortura, perché è un’azione motivata e volontaria.
Osservando la figura si nota che l’Appeso non tenta di liberarsi dalla scomoda posizione, anzi la utilizza per avere una visione del mondo alternativa: la realtà ora è capovolta, tutto appare al contrario, il sotto sta sopra ed il sopra sta sotto, ciò che sembrava prioritario ora è secondario, ciò che sembrava importante non lo è più, ciò che non si notava ora diviene rilevante.
Ecco che l’Appeso, apparentemente fermo e bloccato, è sì incapace di muoversi fisicamente, ma è anche in viaggio verso le proprie dimensioni interiori.
E, infatti, chiude l’occhio sinistro lunare per rivolgere simbolicamente lo sguardo all’interno, ad esplorare gli infiniti universi negletti dall’uomo comune, distratto dalla Materia.
Nella mitologia nordica si trova un simile esempio nella storia di Odino, il quale sacrificò un occhio pur di bere alla magica fonte Mìmir, che zampillava fra le radici dell’albero cosmico Yggdrasil.
Odino rimase appeso, con i piedi rivolti alle fronde del frassino e la testa in basso per acquisire la magica conoscenza delle Rune.
Così lui stesso racconta l’esperienza nell’Edda poetica:
“Io credo di essere rimasto appeso all’albero ventoso,
Appeso per nove notti intere …”
Nove intere notti per celebrare il simbolico sacrificio dell’uomo-dio sono tre volte tre notti, e sono quasi un richiamo alla crocifissione, a cui si allude anche con la posizione delle gambe dell’Appeso dei Tarocchi raffigurati secondo le più antiche iconografie.
“Con la lancia fui ferito e venni offerto
A Odino, me a me stesso …”
A prezzo della sofferenza che ha accettato, l’Uomo realizza se stesso e comprende di essere un’Anima immortale, cosicché il sacrificio diviene un’offerta al Sé.
“Sull’albero di cui nessuno potrà mai sapere
Quali siano le radici sotterranee …”
L’ottenimento della saggezza non esclude, però, il Mistero originario, incomprensibile ad ogni uomo che sia ancora incarnato in un corpo e, ipso facto, prigioniero degli Elementi. Da qui anche la necessità di essere digiuni per controllare i sensi e la mente.
“Nessuno mi allietò col pane o con il corno …”
E solo a quel punto, superata la prova, Odino ci racconta di aver avuto la visione delle Rune, le antiche lettere sacre di rivelazione, che, come i Tarocchi all’iniziato, svelano i segreti per la crescita, per la salute olistica, per la conoscenza degli archetipi celati nelle figure e nei simboli che diventano parole.
“E lì sotto ho guardato:
Presi le rune, gridando le presi,
E subito ricaddi all’indietro.
Poi incominciai a crescere e ad acquistare saggezza;
Crebbi e stavo bene;
Ogni parola mi portava ad un’altra parola,
Ogni gesto a un altro gesto”.
Così Odino, l’Appeso, il “dio della corda”, conobbe se stesso ed apprese l’arte della lettura dei segni.
Così si spiega alchemicamente il XII Tarocco e la figura seminuda nella scomoda posizione capovolta, che celebra il sacrificio rituale dell’impiccagione per la realizzazione della Grande Opera.