Nel giorno lieto delle nozze fra Zeus ed Era, Gea, la Terra, il suolo del mondo su cui camminano uomini e dei, si avvicinò alla giovane sposa per offrirle il suo regalo. Aprì le mani rugose strette sul grembo e mostrò alla futura consorte di Zeus dei piccoli frutti d'oro: tre mele. Il dono era troppo prezioso per poterlo esporre agli sguardi invidiosi degli invitati, fu così deciso di nasconderlo in un meraviglioso giardino in un luogo lontano, di cui sarebbe stato custode un serpente immortale, nato da Echidna e Tifone. Tale mostruoso animale aveva cento teste ed emetteva suoni di ogni sorta e ed insieme con esso avrebbero fatto la guardia le ninfe del tramonto: le Esperidi (Egle, Espèra e Aretusa), figlie di Atlante.
A Eracle, su ordine di Euristeo, fu imposto di trovare il luogo che custodiva i doni di Gea ad Era. L'eroe, a differenza delle prove affrontate precedentemente, non sapeva dove dirigersi, gli sembrava che nessuno potesse aiutarlo. Si mise così in cammino da solo, con la speranza di trovare per strada qualcuno in grado di fornirgli un aiuto. A differenza delle prove precedenti, l'eroe sapeva che non gli bastavano più la forza fisica e l'energia animalesca, ora doveva affinare le proprie facoltà mentali ed elaborare un piano d'azione che contemplasse l'attesa di segnali che non dipendevano più da lui.
Qui possiamo vedere come funziona Marte in Gemelli che, ovviamente deve raffinare le sue qualità.. unendo alla forza anche la capacità di discriminare.. tipica dell’intelletto Mercuriale.Nei Gemelli Marte non si trova completamente a suo agio perché deve utilizzare un tipo di energia che non gli appartiene e che sembra inizialmente non alla sua portata: è l’energia riflessiva che obbliga Marte ad attendere, a riflettere e a preparare un piano di azione e per poter giungere a questo deve riuscire a “percepire” ciò che c’è fuori e dentro di lui ed analizzare i segnali per poi poterli sfruttare al meglio.
E' indicativo come lo stato d'animo dell'eroe è inizialmente di completa impotenza: non sa da dove iniziare, in quale direzione andare, può soltanto cominciare il suo cammino, fiducioso di trovare un segno, un'indicazione per superare la prova richiesta. Non c'è più un luogo lontano, aspro e impervio da raggiungere, non c'è più un animale feroce e combattivo da uccidere, non c'è più una strategia di combattimento da attuare; Eracle è per la prima volta disorientato, solo, abbandonato a se stesso e, comprendendo che è proprio da questa sensazione di abbandono che deve prendere inizio la prova richiesta, sa che deve rimanere vigile e carpire con gli occhi della mente, “percepire” con tanta velocità quanto è solito brandire la sua clava.
Furono molti gli ostacoli che incontrò lungo il suo viaggio, il primo fu il dio marino Nereo a cui gli antichi attribuivano la virtù di predire il futuro, Eracle lo colse di sorpresa nel sonno e lo legò saldamente al letto per costringerlo a svelargli qual era il cammino da seguire per giungere al giardino delle Esperidi. Nella colluttazione il dio si trasformò in leone, in serpente, in fuoco tentando di sfuggire al rivale; ma in ultimo si vide nella necessità di rispondere esaurientemente all'eroe.
Quando Eracle ottenne le informazioni necessarie, si mosse e attraversò la Libia, il cui re era Anteo, figlio di Poseidone e di Gea (non a caso colei che aveva donato i frutti nuziali), che costringeva gli stranieri giunti presso il suo regno a gareggiare con lui. Dopo averli vinti e uccisi, soleva appendere le loro spoglie nel tempio dedicato al padre. In realtà Anteo risultava vincitore in ogni gara perché quando il rivale era distratto toccava la terra (sua madre) con le mani, traendo così nuove forze e nuove energie per sconfiggere il nemico.
Eracle, costretto suo malgrado alla lotta, lo sollevò in aria e lo stroncò con le braccia, uccidendolo a mezz'aria.
In questa parte della fatica Eracle necessita di “informazioni”, altra qualità gemellare; non vi è possibilità di poter conoscere il proprio mondo circostante se non c’è la possibilità di acquisire e scambiare informazioni che aiutano ad orientarsi e ad adattarsi alle circostanze.
In questo caso vediamo Eracle ricorrere ad uno stratagemma con il Dio Nereo; possiamo individuare in questo caso sia la capacità di “astuzia” non presente nelle due fatiche precedenti nonché l’enorme potenzialità “persuasiva” che Eracle utilizza quando vuole “conoscere” qualcosa che gli serve profondamente.
C’è infine una grande capacità di osservazione: infatti, Eracle si salva nella lotta con Anteo grazie alla sua capacità di osservazione… che gli permette di notare che solo sollevandogli le braccia può renderlo assolutamente innocuo.
Anche questa è una qualità Gemellare che il nostro eroe interiorizza in questa sua fatica.
Lasciata la Libia, l'eroe giunse nel continente opposto e, scrutando il cielo, vide una maestosa aquila che volteggiava sulle aspre cime del Caucaso: con un colpo di freccia uccise il regale animale, anche lui figlio di Echidna e Tifone.
Era la stessa aquila che divorava ogni giorno il fegato del povero benefattore degli uomini, Prometeo. Vedendolo incatenato, Eracle, impietosendosi, spezzò le catene e gli restituì così la libertà, la stessa che molto tempo prima Prometeo aveva donato agli uomini. Commosso dal gesto di Eracle, il ribelle fra gli dei gli svelò il luogo dove erano custoditi i preziosi pomi: il paese degli Iperborei, regno di Atlante, padre delle Esperidi.
Questo lato vede due lati diversi dell’eroe: il primo è un lato quasi crudele a cui invece, fa seguito un gesto estremamente nobile come quello di spezzare le catena di Prometeo.. salvando un eroe che aveva pagato per la sua grande umanità e generosità.
Vediamo in questa fatica per la prima volta un “senso di solidarietà” in Eracle, anche questo simbolo dell’acquisizione di qualità “aria” legate al bisogno di socialità e di solidarietà.
Quando Eracle giunse nel luogo indicato incontrò Atlante che, condannato da Zeus a reggere sulle spalle la volta del cielo, mostrava tutta la sofferenza causata da quel peso così gravoso. L'eroe allora offrì di sostituirsi a lui purché Atlante lo aiutasse a rubare le mele e uccidere il serpente; ma dopo dovette giocare di astuzia per ristabilire i ruoli - perché Atlante non voleva riprendersi il proprio carico - e fuggire con i pomi.
Quando infatti l'eroe fece per riconsegnargli il cielo, Atlante si rifiutò di riprenderlo sulle spalle, in quanto aveva assaporato la libertà, la sensazione gradevole di camminare senza quel mondo così pesante da portare su di sé, aveva in breve apprezzato il privilegio di poter scegliere. Perciò l'idea di tornare immobile a sostenere un carico di quel genere non gli piaceva affatto.
Eracle allora capì come raggirare Atlante: lo pregò di riprendere solo per pochi istanti il peso del cielo così da permettere all'eroe di cercare un cuscino e trovare una posizione più comoda per sostituirlo per l'eternità. Atlante, ingenuamente, acconsentì alle richieste di Eracle ma quando riprese il suo carico e vide che l'eroe si allontanava di corsa con i frutti in mano, si rese conto di quanti volti e quali conseguenze possa avere l'astuzia umana.
I
n questo ultimo passo, possiamo vedere come l’eroe marziano sappia usare le qualità di astuzia e di inganno pur di liberarsi dal gravoso compito che Atlante voleva lasciargli sulle spalle; vediamo però anche Eracle alle prese con l’ opportunismo.. altra qualità tipicamente mercuriale gemellare, in cui manca ancora una reale spinta etica e, pertanto, non vi è la possibilità di utilizzare praticamente tutte le armi in proprio possesso, in quanto, questo primo stadio della coscienza manca ancora dell’introiezione di un vero senso di organizzazione dei propri valori.
Le mele furono quindi consegnate ad Euristeo che a sua volta, secondo la testimonianza di Apollodoro, le restituì a Eracle che infine le donò ad Atena. La dea della saggezza e della misura ritenne opportuno restituirle alle Esperidi, “perché non era lecito per nessuna ragione che fossero collocate in un luogo qualsiasi”.
Fra gli dei dell'Olimpo si sussurra che i pomi d'oro siano ancora oggi conservati in quel luogo lontano...