I fatti degli ultimi tempi, avvenuti su questo nostro martoriato pianeta, mi hanno richiesto di fare alcune riflessioni.
Il noto Roger Walsh, uno dei più grandi esponenti della psicologia transpersonale, ha messo in evidenza i paradossi della nostra era, dove alla presenza di grandi risorse scientifiche, fa riscontro un allarmante grado di malessere e di ignoranza.
Secondo altri esperti, esistono nel mondo circa 600 milioni di persone malnutrite, e di queste circa 20 milioni muoiono ogni anno di fame. I dati di crescita demografica hanno già dimostrato che la terra ha raggiunto i 6 miliardi di persone, e che l’80% di queste saranno abitanti di paesi sottosviluppati.
Se a tutto ciò ci aggiungiamo il problema dell’inquinamento ecologico e la più grave minaccia nucleare., si arriva facilmente a dedurre che oggi il nostro mondo è all’alba di un collasso e che, in un’era che ha visto il trionfo della tecnologia e la conquista (a mio modo di vedere: inutile e costosa) di vari corpi celesti del sistema solare, esiste un tasso di distruttività capace di annientare l’intero globo terrestre.
Se poi, da un’analisi della situazione generale del pianeta terra passiamo ad una verifica più limitata delle condizioni delle nostre società urbane, vediamo che tutto, natura, ambiente, rapporti personali, è devastato da un tasso crescente di disarmonia, che si evidenzia nella violenza interpersonale, nella malattia mentale ed in quel particolare tipo di devianza che comprende lo scetticismo, l’accidia, l’assenza di valori, il non rispetto delle persone ed il culto dei beni di consumo – che riempiono i nostri vuoti – e che mina alla radice la crescita della società, della Polis.
Come ben ricorda Laura Gilot, ciò che rende davvero sconcertante, oltre che drammatica, la situazione del nostro pianeta è che per la prima volta in milioni di anni di faticosa evoluzione, le minacce alla sopravvivenza sono provocate dall’uomo stesso, ovvero hanno una matrice sostanzialmente psicologica.
I mali del mondo riflettono la disarmonia della psiche umana e si pongono come sintomi di un disagio profondo che alberga nella mente individuale.
La degradazione dell’ambiente, l’alienazione, il decadimento urbano e la sofferenza sociale sono specchi della nostra limitata visione del mondo: il nostro mondo esterno riflette quello interno, e l’avidità, l’ignoranza, la disarmonia, la mancanza di affetto per il prossimo, e in genere il male che stanno dietro le crisi del globo – come quest’ultima – sono evidenti segni di una basilare immaturità psicologica e spirituale dell’uomo moderno.
Ci si domanda. Perché l’intelligenza che è approdata a tante oggettive conquiste non riesce a proteggere la dimensione umana ?
Gli esperti dicono che la risposta può essere dedotta sia dalle statistiche della neurofisiologia, che mostrano come solo una minima parte del cervello umano è attivata, sia dai rilievi della psicologia che documentano come solo una modesta parte delle potenzialità della psiche è attualizzata nella coscienza ordinaria.
Tutte queste crisi e questi pasticci globali, così come queste considerazioni sulla distruttività dell’agire umano e sullo scarso sviluppo delle sue potenzialità sembrano convergere nella dimostrazione che qualcosa si è probabilmente bloccato nell’evoluzione dell’uomo, e che, quindi, al progresso scientifico ed economico, non corrisponde un adeguato progresso conoscitivo e spirituale.
Mai come ora sembra urgente – più che, invece, altri inutili simposi e faziose tribune politiche – lo studio della coscienza quale area connessa alla volontà, al pensiero, alla conoscenza, all’amore; il tutto però da finalizzarsi non solo alla cura temporanea dell’ordinaria patologia, ma anche alla cura di quella sindrome collettiva che è l’offuscamento delle motivazioni esistenziali, e la relativa confusione tra il bene e il male nelle scelte individuali, e quindi di massa.
Secondo l’analisi di alcuni importanti studi psico-sociologici, il disagio della società attuale ed il conseguente smarrimento individuale sui significati e i compiti della vita sono collegabili ad una visione del mondo riduttiva che influenza negativamente i credi ed i valori su cui l’uomo basa la sua esistenza. Tale visione è frutto di una concezione scientifica che dicotomizza l’unità della vita, codificando l’esistere come un fatto meramente materiale, in cui la dittatura del lavoro e del denaro, soprattutto di recente, hanno preso particolare vigore e importanza.
Oltre a una visione meccanicistica newtoniana della realtà, la nostra cultura ha ereditato una filosofia razionalistica che ha come modello di base il dualismo cartesiano che divide le res extensa dalle res cogitans, e separa il reame della materia da quello della mente.
Questi principi sono poi confluiti – anche a causa di una religiosità becera e bigotta – in una concezione deterministica e positivistica dell’esistenza, che la definisce come uno strano accidente limitato nello spazio-tempo, e ostracizza la realtà spirituale oltre i confini di ciò che è reputato reale.
Questa separazione fra materia e spirito ha condotto allo sviluppo di una cultura della fisicità che ha privilegiato l’identificazione dell’uomo con i portati del corpo e della mente concreta, invece che con l’intera unità bio-psico-spirituale.
Se i vantaggi di una cultura razionalista e materialista si sono visti nello sviluppo tecnologico e scientifico, gli svantaggi sono apparsi evidenti nello svilimento dei significati spirituali ed etici dell’uomo moderno, tutto com’è preso a produrre, consumare e riprodursi.
Identificato con l’intelligenza razionale e con la dimensione della fisicità, l’uomo ha sempre più prodotto oggetti e beni di consumo, trascurando valori e significati che non trovano collocazione concreta e spazio-temporale secondo i canoni culturali.
Dedicato all’azione più che alla contemplazione, scegliendo quindi Marta a Maria, e dedicato sempre di più alla produzione che alla creazione, l’uomo moderno è andato perdendo il senso della poesia, della musica, della bellezza, degli affetti, della parola data, etc., mentre il trionfo di miti concreti ha sempre più incrementato la competizione e la corsa al successo materiale, monopolizzando l’umana intenzionalità in una dimensione orizzontale, e non verticale, della vita.
Se tutto ciò, da un punto di vista individuale, si è tramutato in un’atrofia delle potenzialità umane più alte che sono spirituali ed intuitive, dal punto di vista collettivo ciò ha portato ad uno scadimento di valori e significati esistenziali, ed al trionfo di una cultura materialista che si muove in senso antiestetico e antiecologico.
Nel complesso di un benvenuto miglioramento delle nostre condizioni oggettive di vita, si contrappone nella nostra attuale era una sorta di agonia dell’anima che si manifesta nella carenza di valori, di virtù, di affetti e sentimenti, e nell’alienazione dell’uomo dalla sua matrice trascendente, trasformato ora com’è da bravo bambino ubbidiente, a bravo lavoratore altrettanto ubbidiente.
Volto a ciò che è concreto, oggettivo e separato dalla sua sorgente immanifesta, l’uomo si è separato dal senso di Dio – quello autentico, non quello urlato per le strade – dell’amore, dell’eternità, dell’armonia, e conseguentemente diventa ed è diventato preda dell’attuale paura, della solitudine, della violenza, dei proclami politici, delle mode, degli scatti di anzianità, dei centri commerciali, etc., e, non da ultimo, della malattia mentale che colpisce – direi – l’80% della popolazione della terra.
Va da sé la comprensione, quasi infantile, che in una cornice concettuale che trascura la qualità per la quantità, non possono esistere i presupposti per una vera pace e per l’amore fra gli uomini, checché ne dicano i prossimi programmi elettorali e i proclami dal balcone.