La Canzone del Burattino
“Silenzioso, guarda il tamasico gioco di questa marionetta. E ascolta, o anima, il racconto puro, del suo vissuto, passato e futuro.
Guazzava un tempo nel liquido mucoso della matrice, dura prigione buia; venne con un vagito e a festeggiarne il giorno tutti gli sorridevano all’intorno. S’accorse. “Eccomi rinato ! Che tragedia !” Che pianto irrefrenabile ! Di contra tutti quanti accarezzavano quel viso triste che gaio volevano.
Nel suo sudiciume lieto sguazzava senza provare impaccio né vergogna, cadeva e si rialzava nel cammino, durante il lungo gioco di bambino.
Ora corre e salta con i compagni, impara nuovi giochi e mille scherzi, in fretta cresce e senza alcun ritardo, diventa ognor più grande e più gagliardo.
La sua compagna trova: pigola e corteggia nella luce di un arcobaleno rosa, canta come non ha mai cantato, vuota la coppa che non ha mai bevuto. Questo Brahma Creatore che crea pupazzi a coppie, è instancabile e ne sforza a milioni ! Ignora il bambolotto, lì per lì, mentre gioca con le bambole. Maya, la bambola, ama il santo toro legato dalla fune di Tamas alle nari. Ira e Desio sono i flagelli osceni e dello schiavo dilaniano le reni.
Gli occhi gli brillano di gioia se gli altri si fermano a guardare; è un amen d’orrore: fa anche pena, ma col dolore non s’allena.
Grida, impreca, molto si agita; scuote le braccia, rossi gli occhi di rabbia; orribile a vedersi, il burattino, quando l’ira lo prende da vicino !
Scruta, scompone, scribacchia e sgobba, senza sapere perché; corre in preda al panico e s’affanna in cerca del cibo che lo inganna !
Ahimé, lo noti questo strano fantoccio, dallo scarso saper mal digerito che s’agita invidioso e inviperito se altri incontra più di sé istruito ?
Come si diverte e come ride, se uno sconcio impulso sensuale appaga il suo corpo e la sua brama sazia, rendendo la sua vita una disgrazia !
Ma poi si pente e si autoflagella quando sfiorisce la sua giovinezza, pian piano viene meno la baldanza, e trepida s’affaccia la speranza.
Povero vegliardo traballante rugoso, sdentato e assai malconcio ! “Vecchio scimmione” gli grida un monello, quasi a punirlo di essere stato bello. Paura infinita e senza tregua, pianto, crucci, angoscia e accoramento a che serve, pupazzo, non intendi ? Prega, intanto, e il Suo Giudizio attendi. Quale augello che agita le ali, lo spirito spicca il volo da quel corpo; o misera carcassa senza vita, gonfia, fetida e incartapecorita !
Si scindono gli elementi tutti e cinque, e tutto torna al processo antico, che val tanto cordoglio, mondo pazzo, se cenere diventa quel pupazzo ?
Tutta la parentela assai dolente, mesta s’aggira nella camera ardente; la bambola Maya, ahimé, oblia i parenti e il Nome Divino, che salva le genti.
O anima, non aggrapparti ad un esile fuscello ! Uno starnuto, e la fragile barca di pelle già da tre falle sconquassata, dagli impetuosi flutti è inabissata. Mentre piange il pupazzo, dorme e si sveglia, una mano invisibile i suoi fili tira: E’ il Signore, dietro il fondale, ma il pupazzo grida “Sono io, sono io, l’altro non vale !”. Il Dharma e il Karma sono i saldi fili ch’Ei tira o allenta, a piacimento; ignaro quel fantoccio, assai laconico calca le quinte di questo palcoscenico. Crede, lo sciocco, che il mondo sia stabile; che stupido, arrogante e babalocco ! Un attimo, un niente ed il sipario è chiuso; Dov’è la tua vanagloria, povero illuso ?
O anima, che viaggi disagiata, senza meta, tra esseri animati e inanimati, cerca senza indugio e con far solenne la via del tuo Dio, Gioia Perenne. Quanta fortuna benedetta ! Non vedi Khrishna ? Eccolo là ! Avvicinati a Lui, e poi saprai tutti i perché che ti assillano assai. Un milione di belle e sagaci parole ti placherà il morso del languore ?
Or dunque la luce dell’anima accendi e, libero da lacci, verso Dio propendi. Questa canzone del bambolo muto, lo so, trista ma saggia fa l’anima che ascolta.
O anima, di Sathya Sai Nath il gran Gioco Divino ammira e sappilo ….. “Quello tu sei ! Beato allor respira.”