l grido d'amore dell'attrice-scrittrice
e il difficile compito di genitore
Mio bambino
mio leone
di MARGARET MAZZANTINI
Ti piacciono gli esperimenti, i vetrini, i gas, quegli sboffi di fumo in cui si addensano gli elementi chimici. Magari ti passerà, magari invece farai lo scienziato. L'aspetto non ti manca, hai grandi occhi liquidi e grandi occhiaie, e capelli irti che sembrano la radice di una pianta misteriosa. Dicono che sei molto simpatico, di certo fai domande stravaganti. Per strada mi sfianchi con le tue soste. Ai vecchi chiedi: "Come andavi all'asilo?", ai barboni: "Ti piace il fegato?". Il fegato è una tua ossessione. A tuo padre piacerebbe che tu imparassi cose a noi sconosciute, sì, vorrebbe saperti esperto di qualcosa che lui ignora.
Sei nato all'alba. Eri stato un piccolo baule calmo, d'improvviso eri un leone, la natura aveva artigli e mi scuoteva con implacabile furia. Ricordo di aver pensato: uccidetemi, ma levatemi questa cosa che ho dentro. Dopo poco eri nato. E' stata la notte dell'estasi, del naufragio. Tu eri fuori dal buio dell'acqua, io e tuo padre morivamo come figli. Ti ho guardato, odoravi della mia pancia, del mio dentro, eppure ho sentito subito che eri già una persona autonoma. Una sabbia vergine nella quale noi avevamo il compito difficile di porre le prime impronte. Abbiamo cercato di intuire le tue inclinazioni, per aiutarti nel tuo verso. Perché spingere un figlio in un verso che non è il suo è davvero un crimine. E se ci hai sfidati, ti abbiamo frenato, punito, spaventati di riproporre il rituale di un modello subito.
Mi chiedo se tutta quell'energia che ti circola dentro resisterà in questa opacità che ci circonda. Forse dovrei volerti più strutturato, invece mi piaci così, curioso, capace d'incanto. E' questa apertura, questo respiro partecipe, che vorrei tu conservassi. Perché purtroppo mi sembra che il mondo sia fatto di una pece che vuole chiudervi i pori. I bambini si sono ridotti a una schiera ridente di zainetti e optional, serbatoio per i pubblicitari, senza sapori, senza mocci, e senza desideri. Vite organizzate al dettaglio, niente spazi vuoti. Traghettati dalla piscina alla lezione d'inglese, dalla scherma al computer, stipati di merendine, di asma da smog, e di ansie da rendimento. Vige la dittatura dello stimolo continuo, il vortice delle immagini. C'è questa tele-scatola affollata di culi, di soldi e di carneficine. Ti mando di là quando arriva il telegiornale, tu fai capolino: "Chi hanno ammazzato?", chiedi. "Un vecchio" dico. "Non è vero, un bambino". Perché dietro la gonna di questa apparente felicità sapete di far parte di una categoria che non può difendersi. Tiri un calcio al pallone, spacchi una lampada. Io chiudo gli occhi. Non posso pensare ai bambini violati. Perdo coraggio, indietreggio. Come faccio a difenderti? Compro le mele biologiche. Basterà una mela biologica a difenderti? Basterà a salvare la mia parte di mondo? E il resto? Quei figli senza gadget e senza fortuna. Bambini-insetti che muoiono avvolti di mosche nelle nostre televisioni piene di prati e di bottiglie d'acqua purissime e di troie che ballano e d'imbecilli che vendono. Devo proteggerti, anche da questa tristezza. Come farai a essere felice? Come farai a districarti, a interpretare, a scartare, a scegliere?
Cerco di insegnarti l'esempio della mia vita "fuori sinc". Lo faccio non comprandoti le cose, non tutte almeno. "Tutti ce l'hanno", ti ribelli. "E tu non ce l'hai". In quel momento mi odi, ma io resisto, non voglio toglierti la capacità di desiderare. Vorrei insegnarti l'indipendenza dello spirito, a staccarti dal pensiero comune. Insegnarti la ribellione, in questo carnaio dove la tolleranza somiglia troppo all'indifferenza. Insegnarti a non sprecare.
Mi capita di spiare certe madri "emancipate", che guardano i loro figli con facce tristi, perplesse. Come mai, mi chiedo, questi figli tanto voluti, poi, non danno nessuna felicità? Non godersi i figli, che spreco. Poco spazio per l'anima, che peccato. Perché poi dove stanno i figli? In una certa arcaicità che non dobbiamo smettere di rivendicare, quella semplicità che sembra diventata una fatica. Ai figli bisogna lavargli il culo, raccontargli una favola, bisogna fargli il sugo buono, e riempirli di baci.
Perché poi non basterà il cellulare per seguire i loro spostamenti. Crescono in fretta, diventano adolescenti dagli occhi in fuga e dai passi strascicati. E spuntano quei delitti epocali, che segnano la nostra coscienza, la fanno sanguinare. Mattanze che s'appoggiano come un macabro santino sulla porta delle nostre case. Insieme alle domande. La madre era feroce, diabolica? No, era una donnina aggraziata. Il padre era uno stupratore? No, il padre aveva un cappotto, si alzava il bavero e andava a lavorare. Era tutto qualunque, tutto decente. Era dentro. Era dentro nel nostro mondo senza mosche.
Quando sono cadute le Torri Gemelle, non abbiamo avuto la forza di allontanarti dal televisore, non pensavamo che fosse giusto. Hai visto in diretta gli effetti speciali del mondo reale. Hai detto: "Non c'è il bollino rosso, posso stare?".
Puoi stare. Devi stare. Starai. La tua schiena si farà grande in queste strade, in questi autobus, tra tanta gente minuscola e laboriosa che resiste.
(26 febbraio 2002)