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IL FORUM DI ERIDANO SCHOOL - ASTROLOGIA E DINTORNI
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Il Salotto di Urania |
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UN'AMICIZIA PERDUTA: IL SAPERE DELL'ANIMA
discussione inserita da naja |
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UN' AMICIZIA PERDUTA: il sentire dell'anima....
allora offro come spunto al dibattito il pensiero di una donna che ha speso la sua vita a cercare nelle piehe del corpo e della mente i fili dispersi di "questo antico tessuto"...mani rese callose dalla vita-reale ma sensibili alla delicatezza di quei fili
Il Metodo in Maria Zambrano
L’intera filosofia di Maria Zambrano intreccia fortemente vita e pensiero, spesso le sue stesse elaborazioni filosofiche nascono in corrispondenza a precisi avvenimenti biografici. Tutta la sua ricerca nelle sue molteplici declinazioni pone in atto dinamiche di riattivazione del sentire e del sentir-si all’interno dell’orizzonte del pensiero.
Il testo in cui la filosofa spagnola elabora l’idea di metodo porta il titolo di Note di un metodo, è del 1989 e perciò relativo al pensiero più maturo di Zambrano. Già nel titolo ella riunisce i due nuclei tematici fondamentali: la musica e odos, la via.
Per quanto riguarda le note musicali esse strutturano lo stesso testo che si divide in “note prime” e “note seconde” e già nelle prime pagine l’autrice chiarisce il motivo per cui la ricerca del suo metodo non può che intrecciarsi con la melodia. L’autrice spiega che il suo pensiero fluisce, dunque non può concludersi in un testo, proprio perché non può chiudersi; perciò per potersi esprimere ha bisogno di una forma che sappia accogliere la libertà di un tale pensiero:
«si tratterebbe allora di rendere possibile l’esperienza dell’essere proprio dell’uomo , del suo fluire, poiché una volta resa possibile fluisce inesauribile come unità sempre più intima e riuscita di vita e pensiero».
E la possibilità di assumere la discontinuità e la frammentarietà è garantita soltanto dalla melodia. Diversamente dal ritmo, che è ossessivamente ripetitivo, essa è creatrice, imprevedibile e conserva ancora la possibilità di sorprendere. Il ritmo è concettuale, è dato, scandisce le marce militari, mortifera la libertà di pensiero. Scrive Zambrano:
«I discorsi di Hitler e dei suoi seguaci erano efficaci in modo infernale. Non c’era posto per il pensiero nel ritmo di quei discorsi, qualsiasi parola dicessero. Ciò che è solo ritmo è un inferno, castello infernale, mortale in se stesso. E ciò che è mortale in sé è nemico allo stesso tempo non solo della libertà ma anche della vita».
La melodia ha mantenuto fin dall’antichità tre caratteristiche fondamentali: la semplicità, la piacevolezza sensoriale e il fatto di essere popolare e accessibile a tutte/i.
Il modo di pensare che sta cercando Zambrano è perciò fluido, semplice, popolare, capace di coinvolgere i sensi, il suo è un pensiero melodico. E tutto ciò perché la melodia è potenzialmente in grado di accogliere all’infinito e dunque anche l’infinito numero di sfumature che vengono dalla vita, non certamente dal pensiero finchè esso rimarrà logicamente im-posto.
Inoltre il canto riattiva la memoria, infatti «Mnemosine è madre di tutte le muse e musa essa stessa, agiva come musica e canto, numero e parola» , e i ricordi orientano e direzionano essi stessi la vita .
La musica ha dunque una doppia funzione: si misura con il passato e con il futuro allo stesso tempo.
Il metodo che Zambrano vuole conseguire è un metodo operante e presente nel mentre in cui facciamo esperienza, anche cantando.
Il secondo nucleo tematico riguarda appunto il metodo, etimologicamente odos, strada, via, cammino e metà, oltre, che porta oltre. Metodo è orientamento nel mare dell’esperienza senza nessuna finalità e senza alcuna esaustività. Non ha finalità etiche né semantiche, in quanto non appartiene ad un discorso né di ordine morale né tantomeno linguistico. È un cammino non disordinato. Tuttavia Zambrano sa che storicamente il termine “metodo” ha significato ben altro ed individua Parmenide come colui che per primo ha fatto coincidere pensiero e metodo, e dice pensiero e non pensare perché nel Poema ella non vede un cammino-metodo , secondo Zambrano nel testo parmenideo non vi è né avanzare, né progressione, né discorrere. Egli inaugura cioè:
«quel cammino dritto, che è ripercorso passo dopo passo senza che l’io , il soggetto della conoscenza, subisca alcuna modificazione, né soffra alcun cambiamento; senza che debba realizzare altro movimento che quello del passaggio nella sua mente che si limita così a distinguere, a separare, a unire proiettandosi essa stessa» .
E tale metodo trova la sua massima espressione in età moderna, in quanto età nata sulle rovine del Rinascimento sorge in contrapposizione a quella crisi per cui l’uomo comincia a sentirsi estraneo alla società e alla natura in cui è immediatamente inserito. Scrive Zambrano:
«Di fronte a questa situazione nasce non soltanto il “Discorso sul Metodo”, ma ciò che determina progressivamente l’interpretazione semplicista e schematica del suo contenuto diffuso tra coloro che, più o meno consapevolmente, confidano in esso anche senza conoscerlo. Il “Metodo” si converte in una “forma mentis” sostenuta da un atteggiamento di sfiducia, per cui ci si fida solo di ciò che si presenta come evidente, che ben presto diventerà l’ovvio, il banale, dando luogo ad una ermetizzazione crescente della vita spontanea del soggetto, ad un rimettersi prima di tutto e soprattutto ai risultati, riducendo la condizione umana al dominio sulla natura, sulla società a livelli differenti, nonché sul tempo e sulla cosiddetta interiorità che, sorta in contrapposizione, è destinata ad essere vinta dall’oggettività ideale o dalla necessità empirica. […] Sul piano intellettuale la “forma mentis”, conseguenza del predominio del Metodo – cartesiano e non – opera in maniera decisiva. Si verifica pertanto una crescente riduzione delle differenti e plurali forme di apertura alla chiarezza (la “clartè”) omogenea ed estesa. Una chiarezza che respinge le tenebre senza penetrare in esse, senza disfarle in penombra, senza aprire squarci di luce. La chiarezza dev’essere costante ed omogenea; ogni luce discontinua è disattesa, alterata. Per sé sola è un imperativo. Alla riduzione delle molteplici modalità del fare luce corrisponde la riduzione del tempo ad un tempo lineare, successivo piano e pianificatore. Tempo e luce sono le costanti che incorniciano, aprono e chiudono cammini e orizzonti alla vita umana […] La chiarezza omogenea, estesa, e il tempo piano e successivo appaiono istituiti dal predominio della coscienza, fantasmi della sua solitudine».
Eppure tanto il metodo proposto dalla filosofa spagnola quanto quello storicamente dato non costituiscono un primum: «Prima del metodo: l’esperienza, la via dell’amore, il frutto» . Ma la filosofia ha scelto di voltare le spalle all’esperienza, ha scelto di presentarsi da sola, ha lasciato nell’ombra i suoi presupposti e quindi l’unico tipo di esperienza che rimane all’uomo è quello di
«pensare senza aiuto, senza altro aiuto di quello del testo o della parola ricevuta, facendo vuoto, creando l’oblio indispensabile affinché la filosofia si converta in esperienza e in fonte di esperienza, affinché resti un sapere che occupi interamente il luogo della mente umana, precludendo ogni possibile rivelazione» .
Perché in effetti si ha rivelazione dal già noto quando “tornandoci su” il darsi e ridarsi di esso, un fatto, un ricordo, un testo, dice qualcosa di nuovo, ma affinché questo avvenga occorre porsi rispetto a quell’oggetto non con un pensiero pre-giudizievole e già saturo,
«perché nulla si sa in modo permanente. La storia e la tradizione stessa hanno bisogno di rinascere, di riapparire; ciò appare più intensamente nella storia personale».
Scrive giustamente Zambrano:
«Il pensiero, che è esperienza, rinasce dall’ignoranza e dall’oblio. Nella pienezza del sapere nulla può germogliare da sé» .
Eppure il metodo, come forma di direzionamento e di cammino, è stata per l’umanità una formulazione necessaria. In una ricostruzione dal sapore mitico e religioso, quasi visionario, Zambrano dice che l’uomo è destinato al metodo in quanto l’uomo è nella storia, «cadendo dallo stato di natura, che non prevede alcun cammino» . Uscendo dal luogo originale in cui essere e stare, essere e realtà, visione e tatto coincidevano, all’uomo si frappone la realtà. Dalla perdita e dalla separazione si produce la distanza e quindi lo spazio e il tempo . E con ciò si apre l’alterità, la condizione originaria infatti è caratterizzata dall’assenza di immagini, cioè non esiste un’immagine propria (tant’è che secondo il libro della Genesi Adamo ed Eva non si vedono immediatamente nudi, o per lo meno tale fatto non fa problema, quindi è ragionevole pensare che il loro immediato vedersi non è un proprio un “aprire gli occhi”, dato che l’aprire gli occhi - della mente - è relativo alla conoscenza ); dunque non esiste nemmeno un’immagine degli altri, «azione e contemplazione non dovevano differenziarsi» , l’identità di ogni creatura con la propria immagine si costituiva in pura passività. Nel regno umano il primo ostacolo tra una creatura e l’alterità da sé è l’immagine che la prima ha di sé. Quindi nella realtà adamitica non vi è bilancia perché non vi è quella umana differenza che è la distanza. E un’ulteriore fondamentale effetto della venuta meno dell’immediata identità tra la creatura e la propria immagine è l’orizzonte del conoscer-si.
E tutto questo discorso ruota attorno ad un simbolo, che ricorre tanto nelle tradizioni religiose occidentali quanto nello gnosticismo, che è il serpente, la figura di tentazione che dà il cammino. Ed è il serpente stesso attorcigliato all’Albero della Scienza ad avere la forma di un sinuoso cammino: egli offriva sé come cammino senza distendersi. Il serpente condanna e dona all’uomo il cammino, offrendosi come qualcosa di sommamente enigmatico e anche proibito. E però questa proibizione fa sorgere una profondità, che è la presa di consapevolezza di sé e dunque all’uomo si pone il compito di conoscere questo sé di cui ha appena preso coscienza. E curiosamente il “conosci te stesso” socratico deriva dall’oracolo di Delfi, luogo di iniziazione di Apollo, dio della luce e del serpente. L’enigma del serpente inaugura il cammino, la parola e la conoscenza, la rivelazione dell’esperienza . E dunque a partire da tale esperienza il metodo è sempre un’astrazione, un’astrazione necessaria!
Ma tale metodo può essere declinato in tre modi: il cammino dritto, il cammino sinuoso e il cammino ricevuto.
Il primo è «una proiezione di un disegno della vita nella serpe distesa e semidistesa, proiezione di una volontà quando rivela di non avere altra giustificazione che quella di condurre in nessun luogo» . Tale è il cammino per antonomasia, quello definito dalla volontà e con essa dalla coscienza ed intelligenza, è la via più breve perché dritta, non considera la morfologia del terreno, persegue univocamente il proprio fine, il rettilineo è già una vera costruzione, è un principio di architettura.
All’opposto di tale cammino, così invadente e autoritario c’è il cammino sinuoso, Zambrano lo definisce «dalle intenzioni sempre curvilinee» . E’ il cammino dei fiumi, dei luoghi impervi, dei sentieri nascosti, è la via propria e prima degli animali che diversamente dall’uomo non hanno perso la plasticità che permette la metamorfosi, per cui l’uomo su tali sentieri non sa più mantenersi in equilibrio, tale è «il cammino sinuoso, serpeggiante, nasce dal desiderio, dall’avidità segreta e dal suo più nascosto disegno, che la mente ignora» .
E infine c’è il cammino ricevuto:
«Converrebbe molto di più chiamarlo sentiero, strada, viottolo, scorciatoia o mulattiera, il cammino ricevuto dall’uomo e da lui solamente allargato, talvolta spianato a forza di essere percorso. Quel cammino che si scava per un sommovimento del suolo e sempre per il passaggio di qualche animale. Quel cammino indicato da un valico che è, prima di tutto, passaggio, apertura. Ma c’è quest’altro cammino che si inerpica o discende, che penetra dove non sembra esserci passaggio alcuno, quel cammino che supera l’ “aporia”. Quello della saggezza segreta della bestia, che corrisponde al suo sapere e alle sue possibilità fisiche, alla sua poderosa lievità, alla finezza dei suoi sensi, dei suoi zoccoli, e che mette in rilievo la sua qualità di abitante proprio della terra, come se loro, le bestie, fossero i suoi abitanti, i suoi padroni, mentre l’uomo arrivato dopo, sempre dopo, fosse solamente un suo residente e alla fine suo estraneo ospite dominatore» .
E per poter percorrerlo l’uomo, dato che ha da tempo perso la leggerezza del suo corpo, ha bisogno di una guida, un animale guida, visibile o invisibile, e poi in uno stadio pienamente umano da un uomo guida. E tale guida o ordina il necessario o più spesso indica soltanto, non dichiara mai il suo sapere, lo esercita e basta, è perciò una guida discreta e riservata e l’ordine della sua indicazione deve essere captato come dalla persona guidata, essa è una certa musica, una melodia, uno sguardo o un lieve sorriso.
«Di qui il fatto che colui che riceve un cammino-guida debba uscire da sé, dallo stato in cui si trova, svegliarsi non da solo con se stesso, ma invero già dentro a un ordine; e che colui che segua questo cammino riceva nelle scarse parole e nelle enigmatiche indicazioni, le note, in senso musicale, di un Metodo» .
Dunque questa terza via, quella della saggezza segreta «non si apre senza una guida e non si entra dentro di esso senza che il cuore si sia mosso e la mete lo segua» .
Ancora una volta Zambrano sottolinea il ruolo fondamentale della guida, la cui figura più qualificata è quella dell’animale, «reale o mitologico che sia, ma sempre simbolico, è colui che trasmette all’essere umano messaggi, segnali di un sapere a lui estraneo» . La chiave di volta affinché l’uomo possa percorrere tale cammino è dunque la saggezza donata all’uomo dall’animale.
In conclusione di quanto detto attorno al metodo vorrei chiudere con le parole di Maria Zambrano:
«L’esperienza precede ogni metodo. Si potrebbe dire che l’esperienza è “a priori” ed il metodo è “a posteriori”. Ma ciò vale soltanto come un’indicazione, giacchè la vera esperienza non può darsi senza l’intervento di una sorta di metodo. Il metodo si dà fin dal principio in una determinata esperienza, che proprio in virtù di ciò arriva ad acquistare corpo e forma, figura. Ma è stata indispensabile una certa dose di avventura e persino un perdersi nell’esperienza, un’erranza del soggetto nel quale questa si va formando. Un perdersi che sarà poi libertà» .
Altre sue parole sparse così...polline al vento dei nostri pensieri
«l’esperienza ci insegna che non si vede mentre si va. Andando – se ammettiamo che il venire non sia anch’esso un andare – andando non si vede nemmeno dove si va. Se il tornare è realmente un tornare e non la ripetizione dell’andare, allora è lì che si vede. Ne è prova il ricordare, la necessità dello sguardo retrospettivo. Il movimento proprio del vivere personale, l’unico che può arrivare ad esserci relativamente trasparente, è quello di avanzare prima alla cieca, per poi dover retrocedere in cerca del punto di partenza. La ricerca dl punto di partenza è il avanzare prima alla cieca, per poi dover retrocedere in cerca del punto di partenza. La ricerca dl punto di partenza è il motore, la vera “causa movens” del ricordare, del rivivere per vedere; del rammentare per poter vedere. […] Ricordare è allora un dis-nascere del soggetto per andare a raccogliere ciò che in lui e attorno a lui è nato. E, nel raccoglierlo, restituirlo, se possibile al nulla, per riscattarlo dalle oscurità iniziale e dargli occasione di rinascere, perché nasca in altro modo, questa volta nel campo della visione».
Anche se in realtà nel Fr. 1 Parmenide allude ad un percorso: «le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere; mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa.
Là fui portato. Infatti, là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via.
L’asse dei mozzo mandava un sibilo acuto, infiammandosi – in quanto era premuto da due rotanti cerchi, da una parte e dall’altra - , quando affrettavano il corso nell’accompagnarmi, le fanciulle, Figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte, verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo. Là è la porta dei sentieri della Notte e del Giorno, con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra; e la porta, eretta nell’etere, è rinchiusa da grandi battenti.
Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono. Le fanciulle, allora, rivolgendo le soavi parole, con accortezza la persuasero, affinché, per loro, la sbarra del chiavistello senza indugiare togliessero alla porta. E questa, subito aprendosi, produsse una vasta apertura di battenti, facendo ruotare nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi fissati con chiodi e con borchie. Di là, subito, attraverso la porta, diritto per la strada maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle. E la Dea di buon animo mi accolse, e con la sua mano la mia mano destra prese, e incominciò a parlare così e mi disse: “O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici, con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora, rallegrati, poiché non un infausta sorte ti ha condotto a percorrere questo cammini – infatti esso è fuori dalla via battuta dagli uomini -, ma legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda: e il solido cuore della Verità ben rotonda e le opinioni del mortali, nelle quali non c’è una vera certezza. Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogno senso” ».
«Invece il tempo sorge da qualcosa di più intimo all’uomo, dalla discontinuità, forse da una rottura ripetuta. Quell’atomo di vuoto che il ritmo del cuore, ripetendosi, deve salvare. Il tempo sorge prima che dalla successione, dalla fatalità della ripetizione, dalla reiterazione per continuare ad essere, per continuare ad essere così. E’ la condanna iniziale che si subisce sottoil potere assoluto del tempo.
Il tempo-cammino arriverà così soltanto quando l’uomo si sarà in gran parte riscattato; dono di un dio nella religione greca, Crono, il primo mediatore che restituisce nella sua Età dell’ Oro egualitaria, comunicatrice e distributrice, la natura che in questa religione non appare come perduta dall’uomo, ma piuttosto come saggezza ricevuta dagli dei, pagata con la sofferenza divina e con la speranza umana. La via iniziatica greca fu quella del dare vita e del suo mantenerla, quella della diffusione e della speranza attraverso la partecipazione ai grandi misteri, una speranza alimentata più che rifiutata. La speranza che emerge alla fine dalla passività sofferente e calpestata in Demetra-Proserpina, o dalla vergine Pallade, la quale nasce essa stessa come un cammino, dalla fronte e dal pensiero del Padre Zeus, che contiene, come in un vaso virile la dea sua sposa, la Mentis passiva. Unico cammino offerto dal Padre della religione Olimpica agli umili mortali. Offerto senza esigere alcuna iniziazione. Intelligenza originaria attiva e attualizzante, intelligenza disgelata che penetra la notte, quell’insonnia dell’attenzione simbolizzata negli occhi del gufo di Atena – figlia del Padre -, dea a sua volta dell’ulivo e bevitrice dell’olio, che alimenta la fiamma di luce soave, luce ancora visibile nei templi, proprio la luce del cuore risvegliato, quella del santo disvelarsi».
ano, Note di un metodo, cit., p. 52.
«Se tutto aveva il carattere di rivelazione e perciò non c’era possibilità, né tanto meno necessità di conoscenza, se tutto era inondato nella luce prima, la rivelazione come tale non poteva essere conosciuta. Solo qualcosa di nascosto, una parola. Una parola e niente più, poiché in tale co.presenza, senza immagini frapposte né orizzonti, la parola doveva risuonare molto raramente».
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RISPOSTE A QUESTA DISCUSSIONE 6 - Inserisci una risposta a questa discussione |
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A CURA DI |
inserita il 08/05/2008 15:05:52
- carissima,
sai quanto apprezzi tutto il materiale di spunti-ricerca ..che tu con uno spirito da casa 11 ..offri al forum..
il problema comunque esiste ..perchè spesso questi post ..non hanno un seguito-forse perchè il tema non interessa-forse per non conoscere l'autore menzionato.
.forse...forse
.......- .infiniti...
una proposta..
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uno spazio dove inserire(lo farei anche io)articoli interessanti come BIBLIOTECA DEL FORUM..?e magari..se fosse possibile e solo dove chi scrive lo ritiene opportuno-l'estrapolazione di un post di discussione...
un abbraccio..forteeeeeeeeeeeeCilli
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cilli-naja-lidia |
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inserita il 08/05/2008 15:17:22
- salve, sono nuova, ma ho fatto capolino in questo spazio circa un mese fa......e se posso anch'io dire in merito penso che l'idea di cilli sia veramente idonea effettivamente tutto questo materiale postato da naja che poi va perduto nella rete....è un vero peccato.
un saluto grande e grazie naja
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rebecca |
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inserita il 08/05/2008 15:57:44
- care amiche,
il problema con questo materiale sta nel fatto che anche in Internet vige il "diritto di autore" e bisognerebbe non solo citare la fonte, il libro e l'editore.. ma si è comunque perseguibili per legge perchè non si potrebbero postare più di alcune righe..
Quindi, la vedo dura nel fare una sezione biblioteca.. perchè per farlo bisognerebbe estrapolare delle cose personali.. e non mettere lunghi brani..
Purtroppo la situazione è questa. Un abbraccio LIdia
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Lidia |
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inserita il 08/05/2008 16:24:38
- Cara Lidia
sicuramente hai ragione e mi spiace ..è stato un impulso a spingermi a postare questo "LUNGHISSIMO" brano....spero di non aver creato problemi...
Resta la motivazione sincera che mi ha spinto a farlo e che ,come tu sottolinei saggiamente,MEGLIO masticare, elaborare e poi magari suggerire lo spunto con sintesi personali e magari l'invito a leggersi il testo o l'autore e se interessa e parlarne...
Non volevo mediare con la mia interpretazione
ma...ripensandoci è uno STIMOLO anche per me e mi sforzerò di trovare un modo per "aprirci ai pensieri" senza incorrere in questi errori....e poi riguardandolo è davvero LUNGHISSIMISSIMO
uno schiaffetto al mio Marte impulsivo e una coccola in più a Mercurietto che sono sicura troverà il modo più agile per fare tante belle discussioni
bacietti
naja
ps: se pensi possa creare problemi toglilo...e davvero sorry
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naja |
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inserita il 09/05/2008 08:31:09
- cara Naja,
tu sai che io apprezzo tantissimo i tuoi spunti.. e mi piacerebbe davvero poter avere uno spazio dove mettere le cose che ci hanno colpito o che vogliamo condividere.
Purtroppo questo dove viviamo, resta un mondo di affari, in cui ognuno vuole avere un tornaconto più che mai gli autori.
Devo sempre fare attenzione, anche con le traduzioni.. gli autori sono molto attenti e cercano subito di avere ciò che gli spetta.
Questa cosa del diritto d'autore.. sacrosanta per carità.. però è anche una calamità naturale nel senso che se devi scrivere un libro ti vien male tante sono le citazioni che devi fare.. per ogni cosa che dici.
Se parlo di qualcosa a livello psicologico è chiaro che vado comunque a cogliere idee di altri, studi di altri.. ed è anche difficile ricordarsi tutto.
Un abbraccio Lidia
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Lidia |
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inserita il 09/05/2008 08:31:10
- cara Naja,
tu sai che io apprezzo tantissimo i tuoi spunti.. e mi piacerebbe davvero poter avere uno spazio dove mettere le cose che ci hanno colpito o che vogliamo condividere.
Purtroppo questo dove viviamo, resta un mondo di affari, in cui ognuno vuole avere un tornaconto più che mai gli autori.
Devo sempre fare attenzione, anche con le traduzioni.. gli autori sono molto attenti e cercano subito di avere ciò che gli spetta.
Questa cosa del diritto d'autore.. sacrosanta per carità.. però è anche una calamità naturale nel senso che se devi scrivere un libro ti vien male tante sono le citazioni che devi fare.. per ogni cosa che dici.
Se parlo di qualcosa a livello psicologico è chiaro che vado comunque a cogliere idee di altri, studi di altri.. ed è anche difficile ricordarsi tutto.
Un abbraccio Lidia
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Lidia |
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