ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
 
REALTA’ SINCRONICA: COME IN ALTO COSI’ IN BASSO
a cura di Sandra Zagatti
Inserito il su Eridano School - Astrologia e dintorni
 
Gli individui che non si interessano di astrologia sono principalmente di due categorie: quelli che la considerano una primitiva superstizione, un trastullo per menti meschine, che offende la cultura scientifica generale e la loro in particolare... e quelli del “di che segno sei?”. Pur discutendone spesso e volentieri, va da sé che né gli uni né gli altri sanno di cosa parlano e soprattutto, per un’istintiva diffidenza diversamente motivata ma ugualmente avvertita, né gli uni né gli altri vogliono saperlo.

Presunzione, paura, dignità intellettuale? Non saprei. So però che per riflettere sul sistema simbolico legato all’astrologia è necessa­rio un impegno: a tempo indeterminato e in prima persona.

D’altronde i principi, i significati, i valori assoluti dell’essere e dell’esistere possono mostrarsi in diversi modi, a seconda dei diversi e relativi piani in cui si manife­stano, ma rimandano sempre al medesimo contenuto qualitativo: così, anche la serietà di una pratica astrologica dipende soltanto dalla capacità di interpretare le osservazioni fatte su un piano (quello celeste), trasferen­dole per analogia su altri piani.

Nel Vangelo di Giovanni si legge: “l’uomo non può ricevere cosa alcuna, se non gli è data dal cielo”.

Ma cos’è il cielo? Cos’è il cielo per l’uomo? E’ qualcosa di trascendente o comunque lontano e distaccato da lui (Dio, destino, fato, caso... a seconda di come vogliamo chiamarlo) o qualcosa che gli appartiene, che lo riguarda? Si potrebbe dire, non incoerentemente, che sia entrambe le cose: “ciò che è in Alto è come ciò che è in Basso”, recita il detto ermetico. Alto e Basso, quindi, Cielo e Terra, pur essendo dimensioni diverse e distinte non sono tra loro distaccate, ma sono anzi intimamente legate da una legge di corrispon­denza e di analogia. Ciò che è in alto non è, ma è come ciò che è in basso (“le cose che il padre fa, anche il figlio le fa similmente”): questa è appunto la verità misteriosa che tentiamo di cogliere attraverso i simboli astrologici, e che tali simboli a loro volta contengono; e così noi stessi.

Dal punto di vista astrologico significa che ciò che accade sulla terra deve in qualche modo corrispondere a ciò che accade nel cielo: un oroscopo, tuttavia, non ha affatto la funzione (né l’astrologo ha il potere) di predire “cosa” accadrà in conseguenza a particolari movimenti celesti, ma è uno stru­mento di osservazione del con­tenuto qualitativo di tali movimenti, e quindi della qualità – significativa e significante – del divenire nel tempo. In effetti un oroscopo, letteralmente, non fa altro che “osservare il tempo”.

Intendiamoci, la qualità del tempo non ha nulla a che vedere con la durata, che ne rappresenta invece l’aspetto quantita­tivo, ma si basa sull’idea, molto comune nelle culture antiche, della corri­spondenza tra forma e contenuto: secondo questo concetto, ogni istante possiede deter­minate “caratteristiche” che permettono soltanto la realizzazione di eventi ad esse adeguati. Ad esse simili, appunto.

Purtroppo l’ignoranza, le mode e i luoghi comuni hanno diffuso informazioni superficiali ed erronee, mentre l’astrologia possiede una struttura simbolica molto complessa e, senz’altro, molto più “iniziatica” che “magica”. Semplificando molto, si può dire che ogni segno, astro o pianeta, ogni ele­mento di questa struttura sia legato ad un preciso ambito qua­litativo, e quindi rappresenti un principio, un valore, un’energia particolare: un oroscopo definisce in forma simbolica la presenza, l’ordine e i rapporti tra queste diverse energie in un determinato tempo. E poiché ogni evento è visto come l’espressione formale di un contenuto, in parti­colare l’evento della nascita viene considerato come uno schema “in miniatura” dell’esistenza che seguirà, in cui sono racchiuse tutte le necessarie informa­zioni affinché, secondo la chiave analogica, sia identifi­cabile il destino del neonato.

Oh, so bene che il termine “destino” porta in sé un’idea di ineluttabilità e di passività che piace poco: sia ai non astrologi che a molti di essi. Vogliamo allora chiamarlo diversamente? E’ preferibile, più moderno e corretto parlare di... programma? Ebbene, l’oroscopo natale può essere visto come la sintesi simbolica del programma di una particolare esistenza: l’evoluzione (intesa appunto come l’aspetto qualitativo del divenire) che un parti­colare individuo deve o meglio può compiere.

Si potrebbe obiettare che affrontare la vita è spesso assai più problematico di una pur interessante teorizzazione. Già. Ma qui arriviamo al dunque, perché dal punto di vista sugge­rito dall’astrologia non esistono problemi “in sé”, o problemi causati dall’esterno; anzi, qualcosa sembra diventare per noi un problema soltanto laddove non riusciamo ad integrarne il significato cor­rispondente, manifestandosi quindi come effetto, e non causa, di disordine: l’effetto della differenza individuale tra un principio energetico ed una realtà coscienziale. D’altra parte anche per la scienza l’evoluzione è lo scopo della vita, e l’evoluzione si attua sempre (non solo per l’uomo, ma ovunque in natura) attraverso la risoluzione di problemi.

Rimane da chiedersi, e la domanda è scontata, fino a che punto tale programma esistenziale e spirituale, tale “destino”, sia determinato. A mio parere, all’uomo spetta e compete la libertà di scelta, per dirla con termini semplici ma chiari, non sul “cosa” ma sul “come”: su come portare a termine il proprio programma (in modo più o meno consapevole e veloce), su come confrontarsi con i prin­cipi (in modo più o meno difficile), su come evolvere (in modo più o meno volontario), ma il destino è in effetti… abbastanza determi­nato. Quasi mai, però, l’uomo possiede la disponibilità o accetta l’impegno costante che un’evoluzione consapevole e volontaria richiede, ed anzi spesso nega o rimuove le richieste del proprio destino, evitando di affrontare determinati problemi e di confrontarsi con i loro significati. Così il destino, a cui evidentemente interessa soltanto il risul­tato finale, non la strada seguita, straccia il contratto di collaborazione che gli aveva offerto, e lascia che i vari problemi (quelli che spesso definiamo proprio come “colpi del destino”) realizzino per lui l’aspetto passivo di un processo evolutivo coatto.

Ma se i problemi hanno lo scopo di obbligarci a prendere coscienza di alcune verità (che ci appartengono), lo scopo dell’astrologia è, al limite, di renderli superflui, sostituendoli con il corrispon­dente apprendimento: per prendere coscienza del “principio-morte”, ad esempio, può bastare ed avanzare una bella nevrosi, ma può anche essere sufficiente un qualsiasi cambia­mento radicale, non necessariamente interiore, se chi cambia riesce a capirne il significato simbolico e quindi il valore esistenziale. Rendere superflui i problemi, comunque, non vuol dire schivarli, come sembrano invece indicare tanti pseudo-oroscopi, magari suggerendo di non uscire di casa perché un transito negativo minaccia incidenti... quasi fosse un camion. Così come nessun problema è tale di per sé, e lo dimostra il fatto che ciò che è un problema per qual­cuno può non esserlo per qualcun altro, analoga­mente ogni energia, se chiede all’uomo di essere trasfe­rita nella realtà, può diven­tare più o meno “negativa” solo di fronte alla resi­stenza dell’uomo nei confronti di un tale lavoro.

Analizzare i principi astrologici e il loro significato dentro di noi, studiarne i rapporti e le alchimie nel nostro oroscopo natale e gli stimoli che lo dinamizzano nel tempo, può essere più di un sem­plice gioco superstizioso, e può aiutarci molto a riflettere su noi stessi. Questo perché per l’astrologia non c’è diffe­renza tra carattere e destino, tra ciò che siamo e ciò che dobbiamo essere: è solo una que­stione di maggiore o minore comprensione. Semmai, non ha molto senso ciò che “vogliamo” essere, perché la felicità è indipendente da ragioni esterne, ed è esclusivamente uno stato di coscienza.



Purtroppo, non di rado l’uomo instaura e mantiene con la pro­pria coscienza un rapporto di estraneità e disarmo­nia, magari per pigrizia, per ignoranza, o per un orgo­glioso omaggio a ciò che crede un suo libero arbitrio. Personal­mente non vedo alcuna umiliazione nell’onesta, produttiva ed anche creativa attuazione di un programma, comunque l’uomo è davvero libero di credere di essere padrone e non servo, così come è libero, eventual­mente, di sentirsi vittima di un destino alieno ed ingiu­sto, nonché di maledirlo ed odiarlo, diventando sempre più infe­lice.

Mi rendo conto di quanto queste mie parole possano apparire retori­che, magari ridicole o addirittura di dub­bio gusto: in realtà, descrivono senza alcuna pretesa un’idea che mi accompagna ormai da parecchi anni. L’idea di un’esistenza da condurre alla luce di una necessità evolutiva, in cui tutto ha quindi valore e giustizia, e bellezza, al di là della nostra capacità o volontà di comprendere, rassegnarci od opporci a ciò che forse va semplicemente vissuto.

Se semplicemente vissuta – se vissuta sul serio, con rispetto e gratitudine – l’esistenza potrebbe davvero essere un processo di apprendimento, comprensione, evoluzione… ma se mi guardo intorno (e non è necessario che mi spinga tanto lontano) vedo solo un drammatico processo di dissipazione. Forse anche la società, la morale, la cultura, forse tutto il nostro mondo sta subendo gli effetti della non consape­volezza, della non umiltà, costretto a prendere coscienza suo mal­grado di errori, doveri, esigenze di riflessione o trasforma­zione a lungo non viste o rimandate o, appunto, non prese sul serio. Non so trovare altro significato al degrado, alla vio­lenza, alle oscure contraddizioni di questi tempi.

Ma una cosa è certa: la responsabi­lità non è delle stelle.
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