ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
 
La psicologia di C.G. Jung
a cura di Fassio Lidia
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Furono i sogni a dare a Jung l’intuizione che la psiche individuale fosse radicata in una matrice collettiva e che, quindi, contenesse molto di più dell’esperienza soggettiva di una persona.
La sua ipotesi prese corpo prima attraverso ciò che definiva “immagini primordiali” e, solo in un secondo tempo, coniò il termine “inconscio collettivo”.

Ciò di cui parla Jung era già presente in varie culture sebbene sotto tutt’altra forma. In effetti certe manifestazioni particolari venivano interpretate come l’irruzione di uno “spirito” che distraeva l’anima del soggetto per portarla altrove. Le culture primitive avevano le figure degli sciamani che si occupavano di questi fatti trattando chi ne era colpito con svariate forme di “penitenza” e con rituali che erano condivisi da tutta la tribù. In modo analogo – attraverso sogni dello sciamano - gli spiriti si manifestavano portando saggezza, conoscenza e significati tesi a migliorare la vita della comunità stessa.
La cultura cristiana diede anch’essa molto risalto al fenomeno che venne definito “possessione demoniaca” qualcosa che veniva trattato da sacerdoti preparati a praticare rituali detti “esorcismi”. L’esorcismo è finalizzato a scacciare lo spirito e a riportare il posseduto alla tranquillità della vita e dell’anima.
Anche la filosofia si è occupata di questi particolari fenomeni anche se non veniva certo usata la parola “inconscio”.
La nostra cultura ha puntato tutto sulla “ragione” catalogando come fenomeni inferiori quelli che non ne facevano parte bollandoli come “irrazionali”. In particolare l’Illuminismo si fece strada con il suo iper razionalismo bandendo tutto ciò che non era scientificamente provabile. Ciò che non era spiegabile dalla ragione veniva definito opera del paranormale o della medianità, peraltro mai riconosciute.
Tuttavia, a partire dal romanticismi tedesco molti autori si fecero più coraggiosi e cominciarono a parlare di “inconscio” e questo parecchi anni prima della nascita di Freud; in particolare fu Nietzche ad esaltare l’inconscio e l’irrazionale come “fondamenti dell’essere umano”. Anche Shopenhauer riteneva che la specie umane fosse governata da “cieche forze interne” di cui si ha scarsa consapevolezza.
Furono però Von Hartmann e Carus ad individuare addirittura tre livelli diversi di inconscio: uno inconscio, uno preconscio ed uno legato al materiale rimosso. Praticamente questi furono gli antefatti che portarono poi a Freud e Jung alla loro psicologia.

Come ben sappiamo fu Sigmund Freud a far conoscere con la psicanalisi questi termini. Sotto l’egida di Breuer condusse per l’università di Vienna una ricerca su un gruppo di donne isteriche che lo portarono a cambiare radicalmente il modo di pensare della psichiatria dell’epoca secondo il quale ogni malessere psicologico partisse da una base organica. In effetti, proprio nel caso di “Anna O.” Freud sperimentò per la prima volta quella che definì “la cura delle parole”; in pratica Freud incoraggiava la sua paziente a dire tutto ciò che le veniva in mente utilizzando il processo delle “libere associazioni”; scoprì così che poteva stabilire dei collegamenti e arrivare all’origine dei sintomi. Una volta compresi questi collegamenti la patologia diminuiva fino a risolversi il che, chiaramente, rendeva nulla l’idea di una causa organica.
Dimostrò così al mondo che alla base di certe patologia c’era un “trauma” rimosso nell’inconscio, qualcosa che il soggetto non poteva affrontare in quanto risultava intollerabile alla coscienza.
Ovviamente Freud si assestò sul fatto che erano prevalentemente contenuti di natura istintiva quelli che venivano rimossi, in particolare quelli di natura sessuale data anche l’educazione dell’epoca particolarmente vessatoria nei confronti del femminile.

Nello stesso periodo Jung, poco più che adolescente, aveva deciso di lasciare gli studi di archeologia per dedicarsi alla medicina e, in particolare alla psichiatria. Appena laureato entrò a lavorare nel famoso ospedale Burghozli, collegato all’università di Zurigo sotto la direzione di Eugen Bleuler, uno psichiatra particolarmente avanguardista nel modo di trattare le malattie mentali; li’ vi erano per lo più pazienti affetti da gravissime patologie psicotiche gravi e questo portò Jung a conoscere un universo mai esplorato in precedenza.

Jung, come ben descrive nel suo “ricordi, sogni e riflessioni” arrivò a concettualizzare l’inconscio grazie a tre fattori: la consapevolezza della sua personalità, l’interesse per tutti i fenomeni paranormali e parapsicologici e, infine, la passione per Nietzche.
Fin dall’infanzia Jung aveva ipotizzato che vi fossero due diverse personalità, chiamate in origine “personalità numero uno e personalità numero due”; la prima era ovviamente quella che si esprimeva per lo più all’esterno nella vita quotidiana e di relazione mentre, la seconda, risultava essere molto più tenebrosa, riservata e restia a farsi conoscere.
Chiaramente queste prime considerazioni arrivavano dallo studio di sé stesso e dal fatto che aveva una madre con una spiccata sensibilità parapsicologica ed una cugina Helene Preiswerk medium, soggetti che studiò con molta attenzione partecipando esso stesso alle loro performaces.

Vedeva spesso la cugina cadere in “trance” e non ricordare nulla di ciò che faceva quando era in quello stato. Da li’ Jung cominciò ad ipotizzare che vi fossero due personalità anche se del tutto indipendenti l’una dell’altra. Non si limitò però solamente all’osservazione ma iniziò a formulare l’ipotesi che ciò che emergeva durante gli stati di trance della cugina fosse materiale non solo “personale” ma scaturente da qualcosa di più profondo e, forse, collettivo.

Lavorando al Burghozli Jung non poteva certo dimenticare la sua natura di medico per cui cercò una via scientifica per indagare la psiche dei suoi pazienti e arrivò a formulare la “teoria dei complessi”.
Jung, come ben sappiamo, fu all’inizio uno strenuo sostenitore di Freud ma, pian piano, le divergenze sul suo di vedere la psiche divennero sempre più evidenti e cominciarono a cozzare con quelle del suo maestro.
Jung era molto insoddisfatto del dogma sessuale su cui Freud aveva impostato la sua psicanalisi e cominciò a pensare che la “libido” - termine che in latino significa “fame” – non potesse essere solamente un’energia sessuale ma fosse invece un’energia psichica unica che, pertanto, poteva essere canalizzata in forme diverse al servizio sia dell’energia sessuale e riproduttivo ma altresì capace di nutrire e di spingere verso un livello spirituale ed evolutivo.
Jung si rivolge alla mitologia per spiegare le sue teorie.
Fu proprio il sogno della “casa” a dargli lo spunto per teorizzare l’inconscio collettivo.
Quando cominciò ad individuare l’inconscio collettivo, ovvero quella parte della psiche che si radica nella cultura e nel passato, comprese anche in modo più definito il funzionamento dell’inconscio personale.
Certo, ci sono somiglianze nella definizione di inconscio personale con ciò che intendeva Freud ma, pur partendo entrambi dal punto di vista della rimozione di contenuti infantili, Freud sosteneva che fossero i traumi a causare i sintomi isterici presenti nell’età adulta mentre, Jung, intuì che i sintomi avevano invece uno scopo preciso - una sorta di “teleologia” - e che, l’esperienza infantile, rappresentasse semplicemente la forma con cui il paziente cercava di risolvere la crisi presente nello stato adulto.

In pratica per Jung l’inconscio personale è:

“tutto ciò che io so ma a cui momentaneamente non penso; tutto ciò che per me una volta è stato cosciente ma che ora è dimenticato tutto ciò che viene percepito dai miei sensi ma che non è notato dalla mia coscienza; tutto ciò che io penso, sento, ricordo, voglio e faccio senza intenzione e senza attenzione, cioè inconsciamente; ogni cosa futura che si prepara in me e che affiorerà alla mia coscienza solo più tardi. Questi contenuti sono tutti, per così dire, più o meno suscettibili di assurgere alla coscienza, o se non altro sono stati consci e possono ridiventarlo quanto prima. In questo fenomeno marginale rientra anche il risultato a cui è giunto Freud”. Opere 8 p. 204.

Jung ritiene che l’Io sia il centro della coscienza ma sostiene che la vera creatività risieda nell’inconscio e che il pensiero cosciente è influenzato dall’inconscio stesso che, in genere, è più saggio e più vero.
I contenuti dell’inconscio personale contengono “i complessi” che si possono evidenziare attraverso i sogni.

Un modo più chiaro per capire l’inconscio è il concetto di “Ombra” che si manifesta nei sogni o attraverso le proiezioni. L’Ombra, per Jung, incarna tutto ciò che il soggetto non riconosce ma che è presente ed incalza la vita degli uomini per farsi notare.

Tutto ciò che “non è me” - dice Jung - appartiene all’inconscio e, all’interno di esso, pone proprio l’opera creativa che rappresenta qualcosa di altamente curativo per la personalità ma che spesso è rimossa a causa dell’educazione e dei condizionamenti.

L’inconscio collettivo invece contiene contenuti che non sono mai entrati nella coscienza individuale in quanto giungono da una forma del tutto particolare di ereditarietà; rappresenta un “a priori” istintuale e universale e, al suo interno si trovano gli “archetipi” anch’essi appartenenti a tutti.
Jung definisce i contenuti dell’inconscio collettivo “immagini primordiali” e motivi mitologici” e sostiene che i miti e le fiabe non sono altro che proiezioni dello stesso. Per il grande psichiatra sono le esperienze più comuni quelle che restano nella psiche: l’uomo, la donna, il padre, la madre, il bambino… che, ripetendosi eternamente, generano gli archetipi e, la loro attività, è visibile in tutti.
L’inconscio collettivo è dunque una sorta di “registrazione” che la psiche fa del genere umano che parte dagli inizi della vita umana; in un certo senso ricorda e ripete ciò che fa il nostro cervello che mantiene tracce ancestrali della morfologia del corpo umano in continua evoluzione.


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