ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni |
L'archetipo di Athena - Le Dee come modelli interiori |
a cura di Francesca Piombo |
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L’astrologia umanistica mitica rintraccia all’interno della psiche dei modelli archetipici, direttamente collegati alle figure divine dell’antica Grecia, maschili e femminili, che diventano le immagini simboliche delle risorse energetiche e degli istinti primordiali di cui l’individuo dispone e da cui hanno origine i suoi comportamenti e le modalità d’espressione nell’esperienza di vita. Grazie all’attivazione spontanea di queste immagini simboliche, l’individuo può indagare sui suoi potenziali, può conoscersi nella sua interezza, di cui non avrebbe una visione completa solo attraverso la mente conscia; ciò gli permette di “individuarsi” (individuo, dal latino = non diviso) e quindi non solo di riunirsi al suo centro interiore, ma anche differenziarsi dai modelli collettivi, che gli impedirebbero di esprimersi in pienezza e libertà. Per la donna in particolare, Jung sosteneva che non potrà ritenersi “individuata” se non attraverso l’incontro con tutte e sette le dee della mitologia greca, proprio attraverso il riconoscimento che lei saprà fare “della dea giusta a cui rivolgersi” per esprimere al meglio se stessa in quel momento specifico dell’esperienza che la vita le propone. Le Dee Vulnerate e le Dee Vergini. Secondo l’analista junghiana e studiosa di miti J. S. Bolen (“Le dee dentro la donna” – Astrolabio), le dee della mitologia greca rientrano in due categorie di divinità femminili: quella delle così dette “Dee Vulnerate”: Era, la moglie; Demetra, la madre e Kore, la fanciulla/figlia e in quella delle così dette “Dee Vergini”: Atena, dea della guerra e della saggezza, Artemide, dea della caccia e della Luna Nuova ed Estia, la dea del fuoco. Durante la giovinezza per esempio, sarà frequente per la donna vivere “l’Artemide che c’è dentro di lei”, quando avrà bisogno di esprimersi soprattutto nel mondo del lavoro; il modello Artemide darà alla donna la forza di rinunciare a tutto ciò che non sia strettamente collegato alla sua emancipazione e le donerà la sensazione di potersi affermare come persona di valore nel mondo che lavora e produce. Attorno ai venticinque, trent’anni, ma in questi ultimi tempi anche oltre a quest’età, si attiva di solito l’archetipo di Demetra, per permettere alla donna di incontrarsi col suo senso materno, con la capacità di dare la vita, nutrire ed amare le sue creature. Il modello Venere poi, così come è naturale si attivi nell’età della giovinezza, potrebbe comunque attivarsi in tutte quelle fasi della vita in cui la donna voglia entrare in contatto col suo potenziale femminile, col suo stesso essere donna e non solo in relazione ad un ruolo come quello di figlia, di sposa, di madre o di donna che lavora. Le età in cui si attivano gli archetipi infatti sono sempre meno fisse, ma piuttosto legate al cammino evolutivo storico della donna, senza preclusioni di sorta e nel rispetto dei percorsi individuali. Infatti, proprio perché i modelli interiori sono inconsci e collegati a specifici bisogni della psiche che non conoscono tempo, non hanno mai una linearità o consequenzialità temporale a ciò che il collettivo giudica “normale” ed inquadrato nei modelli convenzionali: il modello Artemide potrà attivarsi anche in tarda età in una donna che si è sempre e soltanto curata della famiglia, così come il modello Demetra che potrebbe essere espresso anche in un’età che deroga dal modello collettivo, ma anche non esprimersi affatto nel senso più classico della parola e cioè con la nascita di un figlio, ma semplicemente come capacità di essere madre di un progetto personale, per esempio, di un ideale da concretizzare, di un qualcosa che possa arricchire la donna emotivamente e psicologicamente, che possa farle toccare con mano la sua forza creativa, al di là dell’essere o meno madre biologica di un figlio. Potrebbe essere interessante riflettere anche sulla distinzione tra “Vulnerate” e “Vergini” in cui sono distinte le dee greche, termini che nella psicologia mitica non sono certamente collegati alla sessualità, ma ad uno stato psicologico di maggiore o minore integrità interiore, tale che corpo, mente ed anima della donna possano mantenersi liberi o meno da qualsiasi dipendenza psicologica ed emotiva. L’archetipo della Dea Vulnerata e della Dea Vergine. Secondo la Bolen, l’ ’archetipo della “Dea Vulnerata”, dal latino “vulnus”, “ferita”, si ritrova di solito nella donna che ha necessità di stringere rapporti molto intensi con le persone a lei care, perché certa di potersi realizzare solo se in relazione affettiva stretta con un’altra persona, mentre l’archetipo della “Dea Vergine” è prescelto dalla donna che aspira a bastare a se stessa e quindi autosufficiente soprattutto dal punto di vista psicologico, a tal punto da rifiutare ogni legame sentimentale ed affettivo che si riveli a lungo andare limitante per la sua libertà o che comunque venga da lei sentito troppo gravoso ed impegnativo a livello emotivo. Col termine “Vulnerate” quindi, s’intende una condizione psicologica che può indurre la donna che si sia identificata soprattutto in Era, Demetra o Kore a dipendere da un’altra persona per sentirsi realizzata o valorizzata, ma nello stesso tempo la espone al rischio di soffrire per inevitabili stati di perdita, di abbandono e tradimento, proprio da parte delle persone da cui lei si è resa materialmente, psicologicamente o emotivamente dipendente. E’ per questo che le tre dee erano considerate “Vulnerate”, perché tutte e tre dipendenti da specifici bisogni interiori o identificazione in determinati ruoli: Era, la Giunone dei Latini, era dipendente dal suo bisogno di “essere la moglie” di Zeus, ma anche dal ruolo di “Regina di tutti gli dei”; Demetra, la Cerere dei Latini, era dipendente dal suo bisogno di “essere madre” e di dedicarsi esclusivamente alla figlia Kore e agli impegni che il ruolo materno le procurava e Kore/Persefone, la Proserpina dei Latini era dipendente dal suo “essere figlia” e quindi in una condizione che le permetteva di continuare a condurre una vita spensierata e serena, perché era la madre ad occuparsi totalmente di lei e dei suoi bisogni materiali. L’archetipo della Dea Vergine – Atena. Tra le dee così dette “Vergini”, oltre ad Artemide, dea della Caccia e della Luna nuova, messa dalla psicologia mitica in relazione al bisogno di indipendenza e libertà dagli schemi patriarcali e alla ricerca della propria realizzazione al di là delle imposizioni della psicologia collettiva; oltre a Vesta, la dea dei templi e del focolare, messa in relazione al bisogno della donna di “bastare a se stessa” dedicandosi alla sua creatività, al fuoco sacro che vive dentro ogni creatura come una scintilla divina che la riconnette all’intero Creato attraverso la spiritualità o una passione personale, ho voluto analizzare in questo studio il modello di Atena, la dea della saggezza e della ragione, ma anche della guerra e della tessitura; un archetipo che l’astrologia psicologica mette in relazione con la Luna in aspetto a Saturno, la Luna in Capricorno o la Luna nel decimo settore dell’oroscopo. Atena, nata direttamente dalla testa di Zeus, con elmo, lancia, scudo e corazza è il simbolo di un femminile guerriero che porta avanti un messaggio di indipendenza e di autonomia rispetto al mondo maschile, non concedendo quasi nulla al sentimento e al mondo delle emozioni, perché ha imparato che solo immergendosi nelle emozioni e nei sentimenti, si può più facilmente essere feriti, si può fallire e provare dolore. La dea Atena aveva un rapporto particolare col mondo maschile, prediligendo gli eroi, ma anche col mondo femminile, di cui non tollerava la fragilità. Era quindi molto più in contatto col suo Animus maschile, che con la sua Anima femminile. Animus ed Anima secondo Jung sono due Archetipi primari: L’ Animus, presente sia nell’uomo che nella donna, esprime la parte maschile della psiche, quella che ragiona, propone, agisce e lotta per conquistare ciò che vuole, mentre l’ Anima, anch’essa presente sia nella donna che nell’uomo, è la parte femminile, quella che vuole dipendere e creare legami affettivi, che vuole emozionarsi e relazionare. Ecco perché Atena è più vicina al principio junghiano maschile di Logos che a quello femminile di Eros: infatti, se il Logos è strettamente collegato alla capacità che c’è nell’uomo di risolvere ogni situazione della vita attraverso l’azione ragionata ed il pensiero, l’Eros elegge la donna a custode primaria del valore dei sentimenti e della capacità di mediare nelle relazioni attraverso il cuore, ma anche attraverso l’intuizione e la spontaneità del suo impulso vitale. Il fatto che la dea non avesse conosciuto né madre né infanzia e quindi simbolicamente che non avesse coltivato dentro di sé quella sfera di accoglienza e nutrimento che si sperimenta da bambini attraverso il contatto coll’amore materno e che forma all’Eros, ma soprattutto che fosse nata già vestita ed armata di tutto punto direttamente dalla testa di Zeus, può simboleggiare sia le poche concessioni che la donna Atena fa al mondo dei sentimenti o alla sfera emotiva, sia l’imprescindibile bisogno di risolvere ogni aspetto dell’esperienza soltanto con la ragione, con la logica ed il controllo mentale. Atena è la dea “impenetrabile”: tanto quanto le dee Vulnerate si rendevano vulnerabili perché mosse dal bisogno di intrattenere relazioni intense e partecipate, altrettanto Atena rimaneva fredda nella sua olimpicità, in un distacco ragionato che le permetteva di gestire ogni situazione attraverso il pensiero, attraverso la logica e la ragione. E’ per questo che la donna che si sia identificata soprattutto in questo modello divino si porge in maniera tale da scoraggiare ogni scambio affettivo ed emotivo col mondo esterno: tutto viene valutato e risolto da lei all’interno della sua “testa”, come se fosse un filtro capace di setacciare tutto ciò che può indurre sofferenza o l’incontro con una profondità emotiva che lei non vuole sondare. Solo così può restare “Vergine” e incontaminata dal desiderio e dalla dipendenza che può comportare il “sentire”, il partecipare. Atena non “sente”, Atena innanzitutto ha bisogno di ragionare. La verginità di cui parla la psicologia mitica quindi, in contrasto con la vulnerabilità, è sinonimo della volontà della donna che abbia aderito a questo modello divino di “non farsi toccare dentro”, nella parte più intima di sé, perché timorosa di perdere la sua tranquillità emotiva che potrebbe essere messa a rischio da una relazione coinvolgente, perché solo una relazione coinvolgente può far esporre il fianco alla sofferenza e alla sconfitta. E la donna Atena che non abbia ancora completamente evoluto questo archetipo divino teme soprattutto la sconfitta… sarebbe troppo doloroso per lei e la farebbe precipitare di nuovo in una condizione di fallimento che è stata sicuramente sperimentata nell’infanzia quando era vulnerabile, fragile e dipendente dal potere di qualcun altro, tanto da rifuggire nell’età adulta le esperienze che semplicemente balenino una tale evenienza. La psicologia junghiana infatti, dà un’importanza fondamentale al vissuto infantile, a tal punto da affermare che tutta la struttura razionale della persona poggia su sensazioni ed emozioni che sono state sperimentate nell’infanzia. E la donna Atena ha avuto un’infanzia in cui ha dovuto fare soprattutto da sola. Se c’era appoggio, lo aveva dal padre più che dalla madre, che era assente o le rifletteva un modello femminile che condannava ogni fragilità. Questa incapacità di contattare la sua parte emotiva e dare un valore positivo al principio di Eros si è legata a sensazioni spiacevoli sperimentate nell’infanzia, che hanno segnato anche la struttura mentale, a tal punto che la bambina Atena è forte, responsabile e capace di fare da sola in ogni problema pratico della vita, ma via via sempre più in difficoltà con la sfera affettiva ed emotiva. Infatti, nell’età adulta, la donna Atena è pragmatica, efficiente e sa muoversi con competenza proprio in quei settori che la tradizione assegna come dominio del mondo maschile. E’ costante, determinata e capace di risolvere ogni problema ancor più dell’uomo perché attinge dal suo innato buon senso che è sicuramente in analogia con la sfera della razionalità. L’unico settore che le può creare difficoltà è quello del cuore… Infatti, proprio nell’attimo in cui riesce a stabilizzare la sua esistenza, il destino le riserva esperienze emotive particolari, che la invitano a scendere dentro di sé, a scoprire le sue profondità emotive, perché solo l’immersione nelle acque profonde della sua anima potrebbe mostrarle chi è, al di là dell’identificazione che ha scelto per sentirsi sicura. E a questo punto che di solito la donna Atena si ritrae e rinuncia alla lotta, perché è l’unica lotta che teme davvero: quella con se stessa e col suo bisogno di verità. Ed anche quando cede all’amore, perché nessun altro archetipo è più desideroso d’amore quanto questo, è solo per un attimo perché, dopo l’immersione in sentimenti positivi e fiduciosi, gradualmente tutto si confonde; è come se lei automaticamente s’infilasse in un labirinto senza uscita e in storie complicate, con l’inconscia paura che possano funzionare, mettendo a rischio l’unica immagine di sé in cui ha scelto di identificarsi per proteggere il suo cuore, ma anche per l’imprescindibile bisogno di libertà, che è fortissimo in questo archetipo divino. Il rischio più grande per la donna che debba ancora far evolvere l’archetipo e non farsi “rapire” da lui, è il rifiuto a sperimentare la gamma completa delle emozioni perché ne è spaventata; è il non volersi innamorare per non rischiare di soffrire; è la paura di mettersi in gioco ed esporsi a perdere; è il non partecipare spontaneamente alla gioia e alla sofferenza degli altri, perché ha il timore di vuole ascoltare la propria; è l’incapacità di ridere e di piangere quando sarebbe naturale farlo, perché la sua tranquillità emotiva ed il bisogno di distacco emotivo sono più forti del bisogno di dare e scambiare amore. La donna Atena si rifugia dietro un muro di roccia alto fino al cielo e si sente sicura: è la sua corazza, è il suo rifugio, nessuno potrà valicare quel muro, nessuno la potrà più ferire e soprattutto nessuno le potrà far male. Lei rimarrà “Vergine”, inviolabile, ma si allontanerà anche ogni giorno di più dal suo cuore, dall’essenza di sé e soprattutto dalla sua immensa capacità di amare. Ma il mito ci viene ancora una volta in aiuto, ricordando che Atena non era solo la dea della guerra e della ragione; Atena era anche la dea della tessitura. (seconda parte?) Atena, la tessitrice. La tessitura nei vari miti antichi, un’arte che era riservata esclusivamente alle donne, era un simbolo ben preciso di chiarezza interiore, ma anche di buon senso perché rappresentava la necessità che, ad un certo punto dell’opera, la filatrice riconoscesse “quando continuare a filare e quando stuccare il filo” della tela su cui era intenta; quando inserire un colore, abbandonandone un altro, in modo tale da impreziosire e portare avanti al meglio l’intero disegno. Si può ricordare che Signore della “tessitura della vita” erano le tre Moire, le Parche dei Latini: Lachesi, Cloto ed Atropo. Erano figlie di Zeus e di Temi, la dea della Giustizia, sorelle di Ananke, la Necessità. Le dee erano preposte a far sì che il disegno della vita assegnato ad ogni persona venisse portato avanti nel tempo stabilito, di conseguenza erano superiori a Zeus stesso perché fosse rispettato l’ordine naturale dell’Universo, a cui anche gli dei erano soggetti. Platone, ne “La Repubblica”, ci parla delle tre dee nel “mito di Er”. Sedevano in circolo e ciascuna di loro era su un trono: le anime si presentavano dapprima a Lachesi che assegnava loro il “tessuto” della vita, stabilendone i tempi e la durata; poi passavano da Cloto, che confermava sotto il giro del fuso il destino assegnato e infine Atropo, l’inesorabile, tagliava il filo quando arrivava il momento stabilito, perché il “disegno” si ritenesse ultimato. Otre alle Moire, ricordiamo che comunque il tessere e filare erano azioni riservate alle dee femminili, soprattutto “lunari” che si preoccupavano che le leggi del divenire, della fine e della rinascita fossero sempre garantite e rispettate. E ad Atena il mito assegna l’invenzione stessa della tessitura, sconosciuta prima di lei. Nell’Odissea, Omero ci narra di quando i compagni di Ulisse si fermarono davanti alla casa della maga Circe e videro Atena che "cantava e tesseva una grande e immortale tela, come sono i lavori delle dee, sottili e splendenti e graziosi" . Questo attributo tipicamente femminile di Atena, perché non collegato né alle sue doti guerriere né a quelle razionali di saggezza e capacità intellettive, mette l’accento sulla capacità che ha la donna che abbia compiuto questo modello divino dentro di sé di esprimere al meglio l’intera gamma del potenziale femminile, anche se non ne è cosciente, anche se riconosce le qualità intellettive come le sue migliori qualità. Ecco perché la vita sistematicamente la invita ad abbattere quel muro, a lasciare elmo e corazza, anche a farsi ferire, se occorre, perché le ha anche donato l’ostinazione di incontrarsi con la sua totalità, la capacità di ascoltare i bisogni del cuore, rivendicando il diritto all’amore che spetta ad ogni creatura. Lei lo sa che il suo cuore è la sua più bella qualità, è la capacità di essere vera con se stessa, di capire quando è giusto “continuare a filare e quando stuccare il filo”… e cioè lasciar andare certi atteggiamenti mentali ostinati che non potrebbero più darle alcuna felicità, così come la tessitrice stucca il filo con cui ha tessuto fino a quel momento la tela ed inserisce quello che, per colore e bellezza, appare il più adatto per completare il disegno. La donna che abbia scelto di attivare il modello della vergine Atena quindi, una volta che si sia resa vulnerabile per esperienze di vita partecipate e trasformanti, è anche riuscita a capire quando sia il tempo di lottare e quando no; quando valga la pena battersi per ciò che l’appassiona e rappresenta una priorità della sua esistenza e quando è necessario invece cogliere altre opportunità che la vita in quel momento le sta offrendo; è riuscita a comprendere quando seguire l’istinto e quando la ragione, quando la testa e quando il cuore, senza dover abdicare ad uno dei due modi di essere ma miscelandoli tra di loro, ma soprattutto è riuscita ad accettare dentro di sé le opposte emozioni che fanno parte dell’animo umano e, non essendosene ritratta, se ne è anche distaccata, padroneggiandole dall’alto come la filatrice padroneggia la tela. E questo perché ha anche raggiunto un’immagine chiara di ciò che vuole conquistare in quel momento specifico della sua esistenza, di ciò che è prioritario esprimere per la sua felicità, così come la tessitrice ha chiaro dentro di sé in ogni momento come procedere nel suo lavoro per compiere al meglio l’intero disegno. Gli orientali hanno un detto per cui “ogni particolare del piccolo disegno danza con l’insieme del grande disegno”, il che significa che se la donna riesce a comprendere l’obiettivo che di volta in volta la vita le sottopone, acquista quello sguardo d’insieme che le può garantire la scelta migliore per la sua felicità e non soltanto la felicità di chi le sta a cuore. Non dimentichiamo infatti che di fronte al Capricorno c’è il segno del Cancro… così come nella donna Atena, accanto alla forza interiore, al senso di responsabilità e serietà nel portare avanti le sue scelte, c’è un immenso cuore… c’è un’immensa capacità di rinuncia, la capacità di anteporre ai suoi bisogni quelli degli altri, per i quali lei si prodiga con attenzione e disponibilità, ma allo stesso tempo la tendenza a ritrarsi quando sarebbe naturale chiedere aiuto per il rispetto della sua felicità. Prendendo invece consapevolezza della sua totalità, della sua ricchezza interiore, della sua grande capacità di dare, ma anche dei limiti e delle fragilità che comporta l’umana natura, la donna Atena può diventare “la tessitrice della sua vita” e non affidare a nessuno il compito di indicarle la via o di proporle un “disegno” che non sia quello che ha scelto in prima persona. Ma per fare questo, la donna Atena ha bisogno di rimanere in contatto con la bambina che è dentro di lei e che lei ha confinato nella stanza più buia della sua psiche; la deve riprendere in mano come se prendesse in mano un fiore ed aiutarla ad esprimersi, ad esprimere le sue emozioni senza vergogna e senza paura e con quella dignità che Atena le ha insegnato a non svendere a chicchessia, a lusinghe di nessun tipo, né di bellezza, o di potere, nè di vittoria, di immagine o di riconoscimento. Nessun archetipo infatti ha tanta dignità quanto l’archetipo Atena. Un mondo emotivo serio e responsabile, che lei deve coltivare con cura e con pazienza come fosse un campo di fiori, irrigandolo di tanto in tanto con l’acqua dei suoi sentimenti, con l’acqua delle sue emozioni, non vergognandosi più delle sue lacrime perché è solo grazie a quest’ “acqua” rigeneratrice e pacificatrice che lei potrà far crescere in quel campo il fiore più bello. Non è un percorso facile questo… è irto di rovi, ci si ferisce continuamente, ma è l’unico cammino che può dare alla donna la consapevolezza del proprio valore femminile e cioè una persona che dopo aver lavorato su di sé, sia riuscita a mediare tra la ragione ed il cuore, tra la ragione e l’istinto perché, pur non sottraendosi ad una vita di intensità e profondità affettiva, ha imparato a perdonare se stessa, ha imparato a volersi bene, a stemperare le sue rigidità e ad integrare gli opposti psichici come “tessendoli su di una tela”, col risultato di rimanere lucida anche nel bel mezzo di una tempesta emotiva ed attingere da questa sua ritrovata forza e maturità le potenzialità e le risorse che le permetteranno di risolvere al meglio il qui ed ora dell’esperienza che la vita le sta proponendo. Ma soprattutto ha imparato a darsi importanza, riconoscendo le sue molte qualità al di là del riconoscimento del mondo maschile, che non sarà più lo specchio con cui confrontarsi o da sfidare per dimostrare le sue qualità, visto che le sue qualità di donna non deve dimostrarle a nessuno, perché sono lì come il miracolo d’amore di cui lei è ricca e capace. Recuperando la stima nel suo essere donna e nel potenziale femminile, credendo nella possibilità di infrangere una tradizione di secoli che vuole assegnarle un ruolo subalterno rispetto al potere maschile, lei potrà iniziare a scambiare con l’uomo senza rivalsa ma in parità, perché attingerà le sue risorse non dalla parte maschile della sua natura, ma da quella femminile, quella che è in contatto con la sua Anima, col suo cuore, col suo stesso “essere donna”. Un cammino doloroso ed irto di spine, per il quale è richiesto coraggio ed amor di sè, perché gli unici in grado di portare la donna a riconoscere che è affidata a lei e a lei soltanto, è affidata alla sua sensibilità, alle sue capacità intuitive e di buon senso, la possibilità di comprendere intimamente il mistero della vita; che è affidata a lei la capacità di amare, di perdonare e collaborare così per un ritorno ai veri valori. In un momento di oscuramento delle coscienze e di sopraffazione collettiva, è di fondamentale importanza che la donna prenda consapevolezza dell’importanza dell’unico ruolo in cui sarà necessario identificarsi: quello di guida luminosa ed amorevole nel percorso di crescita non solo individuale, ma indispensabile a tutta l’umanità. Bibliografia: C. G. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino, 1968, pagg. 463-465 J. S. Bolen, Le dee dentro la donna, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1991 M. E. Harding, La strada della donna, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1973 L. Fassio, Lezioni di astropsicologia – Gli archetipi del femminile |
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