ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
 
Storia del matrimonio e del divorzio tra l'Astrologia e l'Astronomia (2 ª Parte)
a cura di Gordon Fisher
Inserito il su Eridano School - Astrologia e dintorni
 
Dalla fede negli astri
a Keplero, Fludd e Newton

Appendice al 2° capitolo:
le leggi di Newton

1. Nel testo cinese su Chuang Tzu scritto da Kuo Hsiang (IV sec. d.C.) leggiamo:
I principi delle cose sono a partire dal primo inizio: nessuno può sfuggirli. Perciò nessun essere umano è mai nato per errore, e quel che lo accompagna dalla nascita non è mai un errore. Anche se i cieli e la terra sono immensi e contengono miriadi di cose, il fatto che mi accada di essere qui non è un qualcosa che le spirituali creature del cielo e della terra, i saggi ed i venerabili della zona e coloro che sono dotati di grande potere e di perfetta conoscenza possano violare. [...]
Dunque, se comprendiamo quel che la nostra natura ed il nostro destino è e che dovrebbe essere, non soffriremo di ansia e ci sentiremo a nostro agio con noi stessi sia di fronte alla vita che alla morte, nella fama e nell'oscurità o nell'infinito accumularsi di mutamenti e variazioni, e saremo in accordo con il principio. [nota 103].

2. In un piacevolissimo (anche se forse non del tutto autorevole) libro, Peter Lum scrive:
I Cinesi credevano che il mondo degli astri fosse esattamente simile a quello degli esseri umani: si immaginava che fosse un territorio più felice, senza inondazioni e carestie, ma soggetto alle stesse leggi a cui era sottoposta allora la Cina, ed i suoi immortali abitanti assomigliavano molto al popolo cinese.
Il mondo familiare all'Umanità - con tutte le sue ovvie imperfezioni - veniva invece immaginato come il riflesso in acque tempestose di quel mondo ideale che lo sovrastava; inoltre i Cinesi credevano che fino a quando la vita sulla terra avesse seguito il modello del mondo astrale in ogni suo dettaglio, sulla terra sarebbero regnate la pace e la felicità.
Fu soltanto - o per insufficienti conoscenze o per incapacità di adeguarsi a tali conoscenze - quando la Terra interruppe il rapporto di sintonia che la legava al Cielo che iniziarono le sofferenze e le guerre: se si verificava una carestia, o scoppiava una guerra o una rivolta, si pensava che la responsabilità ricadesse sugli Astronomi, e questa concezione portò senza dubbio ad un rapido sviluppo delle conoscenze astronomiche, soprattutto a partire dal momento in cui gli sventurati Astronomi di allora si resero conto che - se avessero fatto un errore o anche se si fossero sbagliati di un tantino nella predizione di un'eclisse - avrebbero perso non soltanto il lavoro, ma anche, letteralmente, la testa. [nota 104]

3. Evan Hadingham - basandosi sugli annali della prima dinastia Han (al potere dal 202 a.C. all'8 d.C.) - è di altra opinione: il ruolo dell'imperatore della Cina era sanzionato - scrive infatti - da un insieme di poteri terreni e divini, in quanto si riteneva che il sovrano avesse il Cielo come padre e la Terra come madre.
Il compito principale degli Astronomi, in qualità di funzionari statali, era quello di scoprire le disarmonie in tale relazione, servendosi dell'osservazione dei fenomeni celesti come le eclissi, le meteoriti, le comete ed altri eventi consimili: tale responsabilità li poneva in una condizione di immenso potere nella burocrazia Han. la lettura degli annali rivela che gli Scribi registravano le loro osservazioni, via via apportando aggiunte, cancellazioni e modifiche: il fatto che alcuni fenomeni - come ad esempio le eclissi - fossero registrate anche in date astronomicamente impossibili porta a comprendere che l'importanza di avere un segno di riferimento era realmente prioritaria nel modo in cui gli Astronomi della dinastia Han concepivano i fatti [nota 105].

4. Alcuni gruppi di Indiani d'America attribuivano gli errori previsionali dei loro Astronomi alla pura e semplice incompetenza.
Ray Williamson parla di coloro che si dedicavano all'osservazione del Sole - i sacerdoti del Sole - funzionari degli Indiani Pueblo, Hopi e Zuni - che compilavano una specie di calendario basato sulla posizione del Sole all'orizzonte, monitorando i suoi spostamenti di giorno in giorno e scandendoli con svariate cerimonie in occasione - ad esempio - dei solstizi.
Williamson riporta anche le annotazioni quotidiane relative al giorno 18 aprile 1921, stilate da Crow Wing (Ala di Corvo), un Indiano Hopi:
Abbiamo l'impressione che Il Sacerdote del Sole non sia affatto un uomo buono: ha trascurato di registrare alcuni luoghi, ha commesso degli errori nel corso dell'anno scorso. Tutta la nostra gente pensa che sia questa la causa del fatto che abbiamo avuto un inverno tanto freddo ma non la neve [nota 106].
5. Abbiamo dunque compreso come mai i Sacerdoti dediti all'osservazione del Sole - che sovente erano anche osservatori del tempo atmosferico - fossero tanto richiesti.
Oggi abbiamo una solerte attività di monitoraggio meteo a scopo predittivo, forse non ancora affidabile quanto vorremmo, ma senza dubbio migliore di quanto fosse un tempo: si possono trovare previsioni meteo su tutti i giornali, e parimenti le date dei solstizi e degli equinozi, delle eclissi delle comete, dei fenomeni meteoritici e di cose del genere; si osservano le Supernovae e si valutano con particolare attenzione perché i nostri Cosmologi/Astronomi si servono di tali osservazioni per le loro predizioni e retrovisioni del presente e del passato dell'intero Universo. Proprio come tutti i popoli hanno fatto per centinaia e centinaia di anni, insegnamo ai nostri bambini come leggere ed interpretare il calendario, che importanza abbiano i solstizi e gli equinozi anche solo in contesto stagionale, e come - attraverso simili nozioni - sia possibile predire il futuro in termini di cambiamenti dell'irradiazione solare ed in campo meteorologico. Ai nostri studenti insegnamo anche il modo in cui avvengono le eclissi ed il comportamento delle meteoriti e delle comete.
Sui nostri giornali troviamo anche le predizioni relative agli affari, grazie ad oroscopi redatti da Astrologi (o presunti tali), e sappiamo che molte persone importanti consultano gli Astrologi per conoscere i periodi più favorevoli alle loro attività, anche se è molto raro che tali consultazioni vengano ammesse apertamente.

6. Edward Schafer si è occupato del ruolo dell'Astrologia e dell'Astronomia nella Cina della dinastia T'ang (al potere dal 618 al 907 d.C.), epoca in cui tutto quel che aveva a che fare con l'Astronomia e con i calendari veniva direttamente gestito dalla corte imperiale, perché le attività astronomiche erano accompagnate da cerimoniali ritualistici religiosi che coinvolgevano la figura del sovrano, il Figlio del Cielo, in quanto collegamento diretto tra l'energia celeste che fluiva dall'alto verso la Terra e le responsabilità terrene, che fluivano dal basso verso i cieli.
Solamente il Figlio del Cielo poteva possedere la vera conoscenza delle stelle, ed è comprensibile che dovesse interessarsi di quel che le stelle comportavano. Perciò la comprensione del significato e del funzionamento della sfera armillare e della mappa del cielo stellato era considerato della massima segretezza, in quanto si pensava che fosse un vero e proprio affare di stato; quindi ai sudditi dell'impero T'ang era vietata qualsiasi intromissione nell'argomento, ed i funzionari governativi pensavano che il rispetto di questo tabù mettesse al sicuro dalle previsioni poco accurate e che impedisse ai ciarlatani si ingannare gli inesperti e trarre profitto dall'ignoranza delle masse.
C'erano pesanti sanzioni contro chi possedesse o usasse a sproposito i più importanti strumenti o i libri utili alla comprensione dei fenomeni astrologici, cioè quel che i codici delle leggi T'ang definivano le nostre occulte corrispondenze del Cielo [nota 107].

7. Gli Dei delle Stelle dell'antica Cina non erano affatto pure e semplici attribuzioni di un'anima ad un astro - scrive Schafer ad eccezione - forse - che nell'opinione dei ceti più bassi. Per il popolo colto, tali dei erano creature inconcepibili le cui maschere e le cui vesti erano sempre esposte nel Vestibolo - o Stanza Verde - del cielo, pronti ad essere indossati quando la Potenza senza forma che li governava decideva che era giunto il momento di mostrarsi agli studiosi giunti al più alto livello di Illuminazione con una nitidezza superiore rispetto a quella con sui risultavano visibili ai comuni mortali, la cui capacità di percezione era offuscata dalle ossessive nebbie delle attività quotidiane e dalle preoccupazioni terrene. [...]
Gli inizi dell'adorazione degli astri da parte dei Cinesi e le prime cerimonie rivolte al rendere propizie queste misteriose e sublimi intelligenze si perdono insieme alle radici della storia cinese: tuttavia, nell'epoca Han [dal 25 al 220 d.C.], quando cominciamo ad avere idee più chiare sulla ritualità ufficiale e sulle concezioni religiose, l'adorazione degli astri era già un solido dato di fatto, e ad essa si dedicava un'importanza di primo piano nelle cerimonie di carattere nazionale, strettamente dipendenti dalla venerazione dei cieli esportata dalla capitale alla più estrema periferia dell'impero. Un esempio - datato al 26 d.C. - potrebbe essere il grande sacrificio ai Cieli, con offerte di bovini alle divinità celesti, che i ritrovamenti archeologici ci hanno consentito di identificare nei sobborghi meridionali di Lo-yang: il rito veniva celebrato su un altare (o meglio una piattaforma cerimoniale) centrale rotonda e su cinque altari minori esterni posto ognuno ad una delle cinque principali direzioni. L'area del sacrificio era decorata con raffigurazioni del palazzo di porpora indicante il polo e con cartigli raffiguranti il Sole ad est, la Luna all'Ovest e la costellazione del Bei Dou (o Grande Carro) al Nord.
C'erano anche altari minori indicanti i pianeti, tutte le divinità celesti comunemente integrate nel culto di stato, dal momento che avevano un rapporto speciale con la casata imperiale, l'intermediario terreno del potere che si irradiava da loro. [nota 108]

8. Schafer spiega poi che le cerimonie di stato - celebrate dal Figlio del Sole in persona o da qualcuno dei suoi incaricati - erano eventi solenni e complessi, nel corso dei quali si evocavano numerosi Spiriti di estrema potenza. Al solstizio d'inverno, nella più elevata posizione della piattaforma rotonda - quella settentrionale, che consentiva di volgersi verso il Sud - la Corte imperiale si prostrava in adorazione alla presenza rituale del Supremo Teocrate del Cielo di Luce Primaria, appellativo riferito all'irradiarsi della luce bianca del soffio eterno che pervade il Cosmo.
Schafer sottolinea comunque che non dovremmo pensare all'adorazione taoista degli astri come ad un semplice culto rivolto alle stelle, perché così facendo fraintenderemmo la loro fede tanto quanto fraintenderemmo la venerazione nei confronti di san Michele e di san Gabriele se la identificassimo con l'adorazione degli uccelli, dal momento che queste creature di puro spirito vengono spesso raffigurate con le ali. Per i Taoisti, le stelle non erano divinità in sé e per sé, ma raffigurazioni e sembianze delle divinità cosmiche, che potevano assumere altre sembianze e rivelarsi sotto forma di altri simboli.
Gli dei del Taoismo erano divinità completamente prive di sede e tali da esistere contemporaneamente nell'immaginazione quanto nello spazio esterno alla mente umana, in modo da potersi mostrare sotto forme assolutamente diverse in qualsiasi situazione e luogo giudicassero opportuno, ed anche contemporaneamente in più luoghi ed in più forme diverse: i sacerdoti taoisti e gli iniziati indossavano speciali costumi simbolici del loro livello di progresso spirituale ed incarnavano mana rappresentati simbolicamente da disegni e da talismani.
Le loro divinità venivano spesso raffigurate in abbigliamento simile a quello dei loro ierofanti terreni, e quel che più spiccava in questi abiti era il copricapo stellato, spesso citato dai poeti T'ang.
Un occidentale potrebbe immaginarlo come il tipico cappello conico di un mago arabo o di un Merlino con tanto di barba candida, o di una fata madrina delle favole, o a di una strega cattiva ma - a quanto pare - non abbiamo alcuna rappresentazione grafica di un copricapo stellato taoista risalente all'epoca T'ang [nota 109].

9. Secondo il Libro di T'ang nell'età d'oro del più remoto passato della Cina non si avvertiva alcuna necessità di ricorrere all'Astrologia: :
L'affermazione nell'Immensa Tranquillità del passato, il Sole non si consumava e le Stelle non esplodevano contiene un riferimento alle macchie solari, alle comete ed alle meteoriti? Oppure alle supernovae?
In ogni caso, quanto il governo di una creatura sovraumana affine agli dei dei tempi più antichi giunse infine al termine - come scrive Schafer - i cieli che sovrastavano il Medio Regno scintillavano di omina inviati dalle Supreme Altezze e dunque si avvertiva il bisogno di fornire loro un'interpretazione.
La più antica forma di Astrologia cinese - come la più antica forma mesopotamica - si basava sugli omina relativi agli eventi celesti straordinari, e la sua funzione era quella di predire le sorti dei sovrani e delle nazioni. Veniva prestato interesse al fato degli individui comuni soltanto se si intrecciava in qualche modo al fato dell'Impero.
Gli Astrologi erano funzionari imperiali, dediti all'interpretazione delle insolite manifestazioni di luce o dei movimenti anomali nei Cieli, allo scopo di fornire previsioni dei disastri.

10. A quanto pare, non molto prima degli inizi della dinastia Han il corpus delle conoscenze associate a tali inconsueti fenomeni venne strutturato in forma teorica, sulla base del dualismo tra yin ed yang, insieme alla dottrina dei Cinque Elementi, che si possono considerare corrispondenti ai cinque pianeti visibili ad occhio nudo.
Oltre a queste, era considerata importante la teoria delle corrispondenze. Schafer scrive in proposito:
Gli eventi celesti erano le controparti - o i simulacri - degli eventi terreni. Le cose celesti avevano legami con quelle sottostanti, strettamente sintonizzate ad esse. [...]
In qualsiasi caso, le essenze in germe in ciascuna delle miriadi di creature sulla Terra avevano in Cielo corrispondenze che creavano ombre o contorni luminosi tra gli astri, e grazie alla relazione tra questi due estremi veniva definita la corrispondenza fra la dimensione cosmica e quella politica, tra il mondo degli uomini e la Natura, tra macrocosmo e microcosmo.
L'Imperatore - o Figlio del Cielo - rappresentava il punto di contatto tra i due estremi, ed il suo compito era quello di mantenere la perfetta corrispondenza grazie alla celebrazione di cerimonie rituali.
Di conseguenza, i più antichi filosofi cinesi riflettevano sulle relazioni tra elementi piuttosto che sulla sostanza degli elementi, argomento che occupava la mente dei filosofi eleatici. Tuttavia - come osserva Schafer - anche in Cina esistevano gli scettici [nota 110].

11. Fra i più antichi scettici cinesi si ricorda Wang Chhung [il cui nome viene translitterato in questo modo, con due h, vissuto tra il 27 ed l 97 d.C.]: Joseph Needham e Wang Ling dicono di lui che sia stato uno dei più grandi uomini di tutti i tempi della sua terra
I due studiosi dicono che Wang Chhung scagliò un attacco frontale contro la religione di stato cinese, opponendosi incondizionatamente ad ogni sorta di antropocentrismo, ripetendo più volte che l'uomo vive sulla superficie della terra come un pidocchio nelle pieghe di un indumento, e parimenti ammettendo che fra le 300 (o 360) creature pure e semplici, l'uomo è la più nobile e la più intelligente. Ma se le pulci - egli sostiene - desiderose di imparare le opinioni degli uomini, emettessero suoni anche in vicinanza delle sue orecchie, l'uomo non le sentirebbe nemmeno; ed è parimenti assurdo immaginare che i Cieli e la Terra possano udire le parole dell'uomo o corrispondere in qualche modo ai suoi desideri.
Una volta appurato ciò, tutto l'impeto dell'attacco contro la superstizione sferrato da Wang Chhung è ormai evidente: il Cielo, essendo incorporeo, e la Terra inerte non hanno alcun interesse per quel che l'essere umano fa o dice; non possono essere raggiunti da nessuna delle azioni umane, non ascoltano le invocazioni di chi li prega, non rispondono alle loro domande. [nota 111]

12. Eppure, paradossalmente, Wang Chhung era favorevole all'Astrologia personale oroscopica, ed alcuni Studiosi concordano sulla sua importanza anche in qualità di divulgatore di tale disciplina in Cina.
Wang Chhung sosteneva che gli influssi degli astri fanno parte delle più importanti fra tutte le influenze che agiscono sull'uomo durante il periodo in cui si forma la sua vita. [...]
Il paradosso sta nella probabilità che sia stato proprio il suo naturalismo scientifico che abbia spinto Wang Chhung verso questa concezione. intesa come un modo per sottrarsi alle arbitrarie pretese degli dei, degli spiriti e di altri enti soprannaturali, perché - per lo meno - le stelle erano regolari nei loro movimenti. [nota 112]

13. La componente astrale può rappresentare un ingrediente importante nel complesso di una religione: Charles Dupuis (1742-1809) giunse addirittura al punto di sostenere che tutte le religioni non sono altro che estensioni del culto degli astri.
Dupuis - uno studioso divenuto membro del governo rivoluzionario della Francia del 1792 e per un certo tempo ufficiale nell'esercito napoleonico - si ritirò abbastanza presto dall'attività politica, e dedicò quel che restava della sua vita a studi di questo genere. Nel 1795 pubblicò un'ampia opera dal titolo Origine de tous les cultes, ou la religion universelle, nella quale esponeva la sua opinione sull'origine astrale di tutte le religioni, sostenendo anche che il luogo da cui era partito l'impulso a fare delle pratiche di culto una religione organizzata era l'Egitto settentrionale.
Naturalmente le sue opinioni scatenarono una comprensibile diatriba intellettuale: c'è chi disse che lo scopo della pubblicazione era quello di far pressione sull'opinione pubblica affinché fosse accettata la spedizione militare napoleonica in Egitto, un'invasione che ebbe enormi conseguenze sia in campo politico che dal punto di vista culturale.

14. Oggi ben pochi credono che l'impulso organizzativo di tutte le religioni sia partito dall'Egitto settentrionale, o che tutte le religioni affondino le loro radici nell'adorazione degli astri, tuttavia è innegabile che l'astrolatria abbia esercitato un considerevole influsso sullo sviluppo di molte religioni, proprio come ha dimostrato l'estensiva opera di Dupuis, che copre un ampio arco temporale e le culture di molti luoghi e molti popoli diversi.
Dupuis inizia con il dichiarare che inizialmente tutte le religioni erano panteistiche, e della primordiale idea della divinità scrive:
Quando un essere umano inizia a riflettere sulle cause della propria esistenza e sul modo di preservarla, e si interessa necessariamente di quelli che sono nati e gli muoiono intorno tra i multipli effetti che la sostengono, in quale altro luogo se non nell'immensa e meravigliosa volta celeste potrebbe immaginare quel che governa una tale concomitanza di cause, quel che produce qualsiasi cosa e che qualsiasi cosa riaccoglie poi al proprio petto per poi produrre di nuovo una sequenza di nuove generazioni sotto diverse forme?
Questo potere si trova nel Cosmo, è il Cosmo stesso, che è stato considerato alla stregua di una divinità cioè della causa suprema ed universale di tutti gli effetti da essa prodotti, tra i quali effetti l'Uomo non è che una parte. Questo è quel che è la massima divinità - il primo, o meglio, l'unico Dio - che si è manifestato all'Umanità attraverso la religione, nascosto e velato dalla materia che Egli stesso crea ed anima e che forma l'immensità della sua potenza divina.

15. Dupuis continua, sostenendo che sebbene tale Dio sia tutto ed in ogni luogo, il che conferisce al Cosmo il suo carattere di grandezza ed eternità, l'Umanità preferisce ed ha sempre preferito cercarlo in quelle regioni eccelse ove gli astri - con la loro affascinante lucentezza - sembravano muoversi nello spazio, inondando l'universo con l'irradiare della propria luce ed elargendo insieme ad essa i più splendidi e benevoli tra i doni che la divinità porge alla Terra.
Sembrerebbe insomma che l'Eccelso abbia posto il proprio trono al di sopra di questa meravigliosa volta celeste, decorandola con queste luci affascinanti, e che dal più alto vertice dei Cieli eserciti il proprio potere sul Cosmo, dirigendo i movimenti all'interno della sua vastità e contemplando se stesso in forme tanto mutevoli quante ce ne è date di vedere, forme nelle quali Egli si cambia incessantemente.
Poi Dupuis cita Plinio il Vecchio (nella sua Storia Naturale II.1):
Il Cosmo - sostiene Plinio - o quanto meno quel che noi chiamiamo Cielo, che nella sua immensità comprende tutto il creato, non è altro che un'eterna, infinita divinità, che non è mai stata creata e non giungerà mai alla fine.
Tentare di cercare qualcosa di altro oltre tale divinità è fatica inutile per l'uomo, oltre che fuori della propria portata. Si deve dunque rivolgere lo sguardo a questa reale e divina entità, eterna ed immensa, che comprende ogni cosa in se stessa; è il Tutto in Tutto, o piuttosto è il Tutto medesimo, l'opera della Natura e la Natura stessa. [nota 113]

16. Successivamente Dupuis scrive:
Sarebbe un errore credere che gli Antichi concepissero il Cosmo semplicisticamente come un meccanismo senza vita e senza intelligenza, mosso da una forza cieca ed inevitabile. [...]
Dal momento che sembra che il Mondo sia animato dal principio della Vita, che circola in tutte le sue parti tenendolo eternamente in azione, si è creduto che l'Universo avesse una vita simile a quella dell'uomo o delle altre creature animate, o piuttosto che i viventi potessero esistere solamente perché l'Universo - essendo sostanzialmente animato - condividesse con loro una manciata di istanti ed un'infinitesima porzione della sua vita immortale, infondendola nella materia ottusa ed inerte dei corpi sublunari.
Tale dono tornerà poi a Lui? Uomini ed animali muoiono, e l'Universo soltanto - sempre vivente - continua a circolare intorno a quel che resta dei loro corpi con il suo movimento perpetuo ed organizzando nuove creature, Il Fuoco sempre attivo della sostanza sottile - che lo anima, incorporando se stesso nella sua immensa massa - è la sua anima universale.
Questa è la dottrina che si è incarnata nei principi religiosi cinesi, nei concetti di Yang e di Yin, il primo dei quali è la materia celeste, luminosa e sempre in movimento, e l'altra è la componente terrena, inerte e massiccia, con la quale vengono composti tutti i corpi terreni.

17. Dupuis continua:
Questo è anche il dogma dei Pitagorici, sintetizzato in quegli splendidi versi del VI libro dell'Eneide, quando Anchise rivela a suo figlio Enea l'origine delle anime e la loro destinazione dopo la morte.
Figlio mio, devi sapere - spiega Anchise - che il Cielo e la Terra, il Mare ed il luminoso globo della Luna e di tutte le Stelle si muovono grazie ad un principio di vita eterna, che perpetua la loro esistenza, dal momento che esiste un grande Spirito intelligente che si estende in tutte le parti del grande corpo dell'Universo e che - mescolandosi con il Tutto - si muove in un movimento eterno. Questo principio è l'anima, la sorgente della vita dell'uomo, degli animali degli uccelli e dei mostri che vivono in seno all'Oceano.
La forza vitale che anima tutte queste creature emana dal Fuoco eterno che divampa scintillando nei Cieli e che rimane imprigionato dalla materia dei corpi solamente per consentire il loro sviluppo in ciascuno dei modi consentiti alla stirpe mortale, che soggiace al suo potere ed alla sua attività.
Alla morte di ciascuna creatura, questi germi di una vita particolare, porzioni di un soffio universale, tornano ai loro principi ed alla loro fonte di vita, che si muove nella volta stellata.

18. La vita degli uomini sintonizzata a quella delle stelle è una concezione quasi universale.
Harold Courlander riporta la concezione cosmologica del popolo nigeriano dei Yoruba nel seguente modo:
Nei tempi antichi, all'inizio del Tempo, non c'era alcuna terra solida sulla quale si potesse vivere: c'era solo lo spazio ed il cielo e - molto al di sotto - una sconfinata estensione di acqua e di paludi selvagge.
Al di sopra del dominio dei cieli c'era l' orisha, cioè un dio di nome Olorun, conosciuto anche con il nome di Olodumare ed indicato con svariati appellativi, durante le preghiere.
Insieme a lui vivevano numerosi altri orisha, ciascuno dotato di attributi specifici ma nessuno di potere e saggezza pari a quelli di Olorun; e fra questi c'era anche Orunmila, noto anche con il nome di Ifa, il figlio maggiore di Olorun. A lui l'orisha Olorun aveva assegnato le capacità di leggere il futuro, di comprendere i segreti dell'esistenza e di divinare la volontà del fato.
C'erano anche gli orisha Obatala, il re dalle bianca veste, che Olorun amava al pari di un figlio, e poi l'orisha Eshu, la cui indole non era né buona né cattiva, che aveva il compito di mescolare gli elementi e gli avvenimenti e la cui natura era imprevedibile. Eshu comprendeva qualsiasi parola in qualsiasi lingua, perciò era l'interprete di Olorun.

19. Così prosegue la cosmogonia yoruba: ancora più sotto, c'era la divinità femminile Olokun, che governava le immense distese di acque e le paludi selvagge, una grigia terra nella quale non era possibile alcuna forma di vita.
I due mondi erano separati, e gli orisha del celo non avevano alcuna cognizione di quel che accadeva al di sotto di loro: l'unico che si interessava al mondo sottostante era Obatala, il re dalla bianca veste, il quale - per migliorare la desolata monotonia di quel mondo inferiore - si recò da Orunmila, l'orisha dotato del dono della profezia, a chiedergli come poter scendere sulla Terra. Servendosi dei frutti della palma e dei suoi strumenti di previsione, Orunmila dichiarò che Obatala avrebbe dovuto intrecciare una catena aurea con la quale scendere sull'acqua e poi creare la sabbia, in modo da ottenere della terraferma.
Obatala fece esattamente quel che gli era stato consigliato, e piantò anche il primo albero di palma, il che portò al resto della vegetazione sulla Terra ma non agli esseri umani. In seguito,Obatala decise di plasmare gli esseri umani con l'argilla, e dopo averne plasmata una certa quantità si accorse di essere assetato, e iniziò a bere del vino di palma, ma bevve tanto da ubriacarsi, perciò non si accorse di aver plasmato anche creature deformi.
Successivamente venne fondata una città dal nome Ife, ed Olokun, l'orisha del Mare, infuriata perché una parte del suo regno acqueo era stato ricoperto di terra, scatenò un'inondazione, e molta gente venne travolta.
Dopo un certo tempo, spinto dalla compassione, Orunmila - il dio della divinazione, il cui nome significa il Cielo sa chi avrà fortuna - scese dal Cielo e riportò le acque entro i loro confini; dopo di che insegnò la propria arte profetica ad altri orisha, che avevano deciso di spostare la propria sede dal Cielo alla Terra, ed anche ad alcuni esseri umani, ai quali insegnò in particolare l'arte di tenere sotto controllo le forze invisibili ed altre discipline atte alla divinazione del futuro, il che equivale alla conoscenza del modo di comprendere ed adattarsi alla volontà degli dei celesti. [...]
Iniziava in questo modo l'ordine terreno - la comprensione delle relazioni tra gli esseri umani ed il mondo fisico, e dunque gli orisha avevano iniziato a prendere forma. [nota 114]

20. Peter Lum riferisce che, nei miti della Gran Bretagna, alla storia del re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda si intreccia la costellazione dell'Orsa Maggiore (Ursa Major, o Grande Carro), in quanto si riteneva che il nome del re derivasse dalle parole "Arth" e "Uthyr", che significavano rispettivamente "orso" e "meraviglioso".
Si diceva anche che alcuni dei cavalieri della Tavola Rotonda erano certi che il re Artù fosse l'incarnazione dello spirito dell'Orsa Maggiore: la Tavola Rotonda si sarebbe dunque riferita alla danza che la coda dell'Orsa Maggiore tracciava ogni notte, attraversando il cielo a settentrione.
Fiona Macleod ci racconta una vecchia storia - continua Lum - che parte dal momento in cui, una certa volta, molto prima di nutrire qualsiasi idea che sarebbe diventato re, Artù si addormentò sulla spiaggia e uno spirito scese a visitarlo in sogno, guidandolo verso il Nord, ove scintillavano le stelle dell'Orsa Maggiore. Là egli trovò o cavalieri del cielo assisi ad una grande tavola di forma circolare, splendente dello scintillio delle stelle: i cavalieri lo accolsero benevolmente e gli offrirono saggi consigli, dicendogli anche che avrebbe dovuto cambiare il proprio nome in Artù, che con questo nome sarebbe divenuto re e che il suo regno ed il suo comportamento avrebbeto dovuto essere modellati sul regno celeste e sul comportamento dei celesti. [nota 115]

21. Gene Weltfish descrive il modo in cui molti gruppi di Indiani d'America - in particolare quelli che vivevano lungo il fiume Missouri - immaginavano il legame tra i Cieli e gli esseri umani:
La stirpe dei Pawnees aveva molti compiti da espletare all'inizio della primavera, prima della stagione della semina: alcuni di tali compiti erano di natura pratica ed altri avevano invece carattere cerimoniale, ma nella concezione dei Pawnees - che credevano che sulla Terra nulla potesse muoversi se non per volere dei Cieli - non era concepibile alcun compito, per quanto pratico, senza che prima venisse celebrata un'appropriata cerimonia propiziatrice. [...]
Il susseguirsi delle cerimonie dedicate al rinnovarsi primaverile era preannunciato dalla comparsa dello scintillio di due piccole stelle, indicate con il nome di Anatre nuotanti all'orizzonte nordoccidentale, lungo la Via Lattea: la comparsa delle Anatre nuotanti indicava agli animali che era giunto il momento di svegliarsi dal letargo invernale, scioglieva il ghiaccio e riportava la vita sulla terra. [nota 116]
Oltre a ciò, Ray Williamson racconta che - nella mitologia Pawnee - gli esseri umani traevano la propria simbolica direzione dalle stelle: questa stirpe sosteneva infatti che al tempo in cui avevano deciso la costruzione dei propri villaggi, si erano ispirati al modello fornito dalle stelle, e ciascun villaggio possedeva un sacro scettro che gli era stato assegnato direttamente dalle stelle.
Quando più di un villaggio si univa insieme per la celebrazione di una cerimonia rituale, ciascun membro della tribù si disponeva in modo da rispecchiare le posizioni celesti indicate dalle stelle che avevano loro attribuito lo scettro.
In tutto esistevano 18 villaggi Skidi Pawnee, e ciascuno di essi era associato ad una diversa stella. [nota 117].

22. La tribù degli Oglala Dakota - facente parte degli Indiani Sioux - era fra quelle che sbaragliarono Custer nella battaglia di Little Bighorn nel 1876 (si veda il libro di Evan S. Connell, Son of the Morning Star, 1984).
La più importante divinità di questa tribù - il Grande Spirito, creatore e regolatore del Cosmo - era (è?) Wakan Tanka, che riunisce in una sola essenza ben sedici diversi principi, dal momento che ciascuna delle quattro categorie contiene quattro principi. In qualità di Grande Spirito, non era altro che il Cielo.
Paul Radin sostiene che questa religione concepiva il cielo come una divinità immateriale, la cui sostanza non è mai visibile. Gli appellativi con i quali veniva invocato dalla gente comune erano taku skan-skan e nagi tanka o Grande Spirito, e quello usato dai sacerdoti erano skan e to, cioè blu. Il concetto espresso dal termine taka-skan-skan indica che il Cielo dona il movimento a tutte le cose, cioè è il dispensatore della Vita, mentre quel che gli sciamani intendevano con la parola skan indica in modo vago una potenza ed un'energia immateriale, e quel che intendevano con la parola to è l'immateriale azzurrità del cielo, che rappresenta simbolicamente il Grande Spirito.
Il regno del Grande Spirito si trova ovunque al di sopra del mondo, a partire dal suolo: il Grande Spirito è un insieme di potenza e di movimento, è il protettore di tutte le direzioni, di tutte le piste e di tutti gli accampamenti. è colui che dono a ciascun uomo, al momento della nascita, uno spirito, un'ombra ed un sicun [cioè una invisibile divinità], ed alla morte di ogni essere umano ascolta la testimonianza dell'ombra e sulla base di quel che gli viene riferito giudica lo spirito. La sua parola non può essere cambiata da nessuno, ad eccezione che da lui medesimo: egli solo può cancellare quel che è stato fatto. Le stelle sono il suo popolo e lo spirito femminile è sua figlia. [nota 118]

23. Anche Platone parla in molte occasioni della funzione degli astri: per esempio nel X libro della Repubblica - opera dedicata alle riflessioni sulla giustizia - si racconta il mito di Er, il figlio di Armenio, guerriero ucciso in battaglia che torna però in vita proprio mentre sta per essere deposto sulla pira funebre, e descrive quel che ha visto nel mondo dell'Aldilà.
Il racconto di Er comprende la visione della struttura dell'Universo, che leggiamo nell'interpretazione di Francis Cornford:
Quel che le anime percepiscono nella loro visione non è affatto l'Universo in sé, ma il modello a cui l'Universo si ispira, una struttura originaria accuratamente descritta.
[N.d.T. - ecco la traduzione letterale del testo platonico:
[...] estesa dall'alto lungo tutto il cielo e la terra, una luce diritta come una colonna, molto simile all'arcobaleno, ma più splendente e più pura. [...]
Al centro della luce vedevano le estremità delle catene che pendevano dal cielo; questa luce infatti teneva unito il cielo e ne abbracciava l'intera orbita, come i canapi che fasciano la chiglia delle triremi.
A quelle estremità stava appeso il fuso di Ananke (dea della fatalità ineluttabile),che dava origine a tutti i moti rotatori; l'asta e l'uncino erano d'acciaio, il fusaiolo era una mescolanza di questo e altri metalli.
La natura del fusaiolo, che nella forma ricalcava quello usato quaggiù, era la seguente: stando alla descrizione che ne ha fatto Er, bisogna immaginare un grande fusaiolo cavo, completamente svuotato all'interno, nel quale era incastrato un altro più piccolo, come le scatole che si infilano una dentro l'altra, e così un terzo, un quarto e altri quattro ancora.
Complessivamente i fusaioli erano dunque otto, incastrati l'uno nell'altro: in alto si vedevano i bordi, simili a cerchi, che formavano il dorso continuo di un solo fusaiolo intorno all'asta; quest'ultima era conficcata da parte a parte dentro l'ottavo.
Il primo fusaiolo, il più esterno, aveva il bordo circolare più largo; venivano poi, in ordine decrescente di larghezza, il sesto, il quarto, l'ottavo, il settimo, il quinto, il terzo, il secondo.
Il bordo del fusaiolo più grande era variegato, quello del settimo era il più splendente, quello dell'ottavo riceveva il suo colore dal settimo, che lo illuminava, i bordi del secondo e del quinto, molto simili tra loro, erano più gialli dei precedenti, il terzo aveva un colore bianchissimo, il quarto rossastro, il sesto veniva per secondo in bianchezza.
Il fuso si volgeva tutto quanto su se stesso con moto uniforme, e nella rotazione complessiva i sette cerchi interni giravano lentamente in direzione opposta all'insieme: il più rapido era l'ottavo, seguito dal settimo, dal sesto e dal quinto, che procedevano assieme; in questo moto retrogrado il quarto cerchio sembrava terzo in velocità, il terzo sembrava quarto e il quinto secondo.
Il fuso ruotava sulle ginocchia di Ananke. Su ciascuno di suoi cerchi, in alto, si muoveva una Sirena, che emetteva una sola nota di un unico canto; ma da tutte otto risuonava una sola armonia.
Altre tre donne sedevano in cerchio a uguale distanza, ciascuna sul proprio trono: erano le Moire figlie di Ananke, Lachesi, Cloto e Atropo, vestite di bianco e col capo cinto di bende; sull'armonia delle Sirene Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro. Cloto con la mano destra toccava a intervalli il cerchio esterno del fuso e lo aiutava a girare, e lo stesso faceva Atropo toccando con la sinistra i cerchi interni; Lachesi accompagnava entrambi i movimenti ora con l'una ora con l'altra mano.]
Dunque il modello assomiglia grosso modo ad un colonna di luce arcobaleno, che rappresenta l'asse del Cosmo, sulla quale ruota una struttura emisferica a sua volta formata da otto emisferi più piccoli, concentrici - come se fossero otto ciotole l'una dentro l'altra - in grado di muoversi ciascuno per conto proprio.
Sembra insomma che Platone abbia in mente una figura solida composta da otto sfere una dentro l'altra, dalla quale però è stato tagliato via l'emisfero superiore, in modo che lo spettatore possa vedere come si muovono le componenti più interne.
I bordi di ciascuno di questi emisferi consistono di una superficie solida liscia, e rappresentano l'equatore della sfera delle Stelle Fisse e - all'interno di questo - le orbite dei cinque pianeti e dei due luminari.
Er e le altre anime insieme a lui possono vedere che il meccanismo poggia sulle ginocchia della dea della Necessità ed è tenuto in movimento dal fato, sotto forma di Cloto (colei che fila la vita), Lachesis (colei che assegna la vita) ed Atropo (colei che recide il fluire della vita).
Le Sirene che intonano le otto note - una per ciascuna, ad intervalli regolari - formano una scala sintonica (harmonia) che rappresenta la musica delle sfere della dottrina pitagorica. [nota 119].

24. Tutta questa raffigurazione - conclude Cornford - è ovviamente mitica e simbolica, e la dottrina sottesa indica che la vita umana dipende dalla necessità ineluttabile, ma contiene anche una componente di libero arbitrio che rende noi stessi - e non i Cieli - responsabili del bene e del male della nostra vita, perché nel mito, dopo che le anime hanno completato il loro percorso di espiazione o di purificazione, e giungono in vista del trono di Ananke - la dea della Necessità ineluttabile (forse rappresentata simbolicamente dalla Via Lattea) - una delle figlie di Ananke, Lachesi, che sovraintende all'assegnazione delle sorti umane, tiene un breve discorso alle anime, esprimendosi in questi termini: «O voi, che un tempo siete stati solo anima, ecco che per voi inizia un nuovo ciclo facente parte della Vita eterna: un ciclo che a sua volta ora ha il suo inizio e poi giungerà a termine per essere sostituito da un ulteriore ciclo. Nessuno spirito vi costringerà a scegliere una determinata sorte invece che un'altra: sarete voi stessi che - tra le miriadi di possibili alternative, sceglierete il vostro personale destino».
Immediatamente dopo, alle anime viene offerta un'immensa quantità di tessere, ciascuna delle quali rappresenta un modello di vita: il primo a scegliere è una persona dal carattere avventato, che sceglie un modello di vita in modo da reincarnarsi nei panni di un sovrano, senza rendersi conto - proprio a causa dell'impulsività che muove la sua scelta - della quantità di sciagure che, insieme al potere, tale modello di vita contiene, compresa la necessità di mettere a morte i propri figli.
Platone attribuisce questa scelta all'ingenuità e all'ignoranza: era uno di coloro che - avendo trascorso la vita precedente in una comunità ben ordinata che gli aveva consentito di essere buono per abitudine e non per saggezza, dopo la morte era comunque stato ricompensato per la sua virtù con la permanenza nei Cieli ed ora si trovava a scegliere una nuova incarnazione senza le capacità sufficienti a distinguere il bene dal male.
Platone sottolinea che non è improbabile che una buona parte di coloro che giungono alla reincarnazione dopo una vita virtuosa ed una permanenza nei Cieli facciano una scelta così sventurata, dal momento che non sono stati istruiti dalla sofferenza; al contrario, molti di coloro che avevano trascorso una precedente vita molto travagliata ed avevano scontato poi le loro colpe con l'espiazione dopo la morte, assistendo anche alla sofferenza dei compagni di sventura, non sarebbero stati così affrettati ed ingenui nello scegliere il proprio futuro modello di vita.
Cornford sottolinea l'impegno che Platone impiega affinché queste storie siano intese nel loro valore mitico, come se si trattasse di parabole: a questo scopo sintetizza molte concezioni di origine antica e le fornisce di un contesto narrativo alla maniera pitagorica, adeguandole ai principi razionali della filosofia a lui contemporanea.

25. Le concezioni platoniche esercitarono un'enorme influenza almeno fino al XVI secolo, cioè fino a quando iniziarono a diffondersi nuovi principi cosmologici con le opere di studiosi del calibro di Copernico, Keplero, Galileo e Cartesio, unificate poi da Newton nel suo sistema filosofico dell'Universo.
Nella Firenze del 1589, in occasione delle nozze del Granduca di Toscana, venne messa in scena alla corte dei Medici un'impegnativa e complessa opera teatrale nota con il titolo di Intermezzi: ecco la scena introduttiva nella ricostruzione di Roy Strong:
Il 2 maggio 1589 il sipario del Teatro Mediceo si aprì rivelando un tempio dorico sovrastato da una nuvola irradiante raggi di luce che si allungarono lentamente fino al suolo. Su uno di questo raggi scese l'Armonia dorica, narrando sotto forma di canzone il modo in cui era stata donata ai mortali. [...]
La comparsa dell'Armonia dorica diede il via allo svolgersi del primo intermezzo, che rappresentava la Musica delle Sfere secondo la descrizione platonica, con tutti i dettagli con cui è narrata nel X libro della Repubblica.
La prospettiva [cioè il fondale, che mostrava un'immagine prospettica della città di Pisa] si coprì improvvisamente di molte nuvole irradianti raggi di luce, su ciascuna delle quali era seduta una delle otto Sirene - secondo la descrizione platonica - più altre due, ad indicare la nona e la decima sfera orbitale - che intonarono un canto in cui si raccontava come avevano disertato il cielo per venire e tessere le lodi della sposa.
Su un trono, posto sulla nuvola centrale, era assisa Ananke, la dea della Necessità ineluttabile,con una colonna di diamante tra le ginocchia, circondata dalle tre Parche - le dee del fato - a loro volta affiancate dalle nuvole che sorreggevano ciascuna uno dei sette astri e la dea Astrea, il cui ritorno sulla Terra avrebbe indicato il nuovo inizio dell'Età dell'Oro. [...]
Al di sopra di questi, si trovavano dodici tra eroi ed eroine, ciascuno dei quali rappresentava una delle virtù attribuite alla coppia di sposi, il granduca di Toscana e la sua giovane moglie.
Sia le Sirene che i pianeti intrecciavano dialoghi che descrivevano la gioia del cosmo per un'alleanza tanto vantaggiosa, e mano a mano che le nuvole si avvicinavano alla parte inferiore del palcoscenico, da una parte della scena scintillava il Sole e dall'altra si condensava l'oscurità della Notte.
Un madrigale conclusivo esprimeva auspici per la futura nascita di nuovi eroi come frutto della coppia.
Non appena anche l'ultima nuvola lasciò il palcoscenico, la scena fu inondata dai raggi di Sole, che rivelarono nuovamente la prospettiva della città di Pisa. [nota 120]

26. Le feste nelle corti del Rinascimento, contrariamente alle loro corrispondenti medievali - come commenta,Roy Strong - erano ispirate da una filosofia secondo la quale la Verità si poteva comprendere attraverso le immagini. [...]
La nostra guida all'interpretazione del pensiero rinascimentale consiste in un'ampia scelta di testi letterari, libri di simboli, narrazioni di imprese e manuali mitologici: queste raccolte non sono altro che ampliamenti e rielaborazioni - sull'impatto culturale esercitato dal Neoplatonismo fiorentino - dell'ereditata tradizione dei significati inconoscibili. [...]
Benché questi testi fossero noti fin dalle età più antiche, nel Rinascimento vennero studiati con rinnovato fervore, in quanto gli Studiosi erano ansiosi di riscoprire in essi le tracce della perduta e misteriosa saggezza antica, antecedente alla rivelazione cristiana, cioè della saggezza che era stata tramandata ai sacerdoti egizi direttamente dal saggio greco che corrispondeva al nome di Hermes Trismegistos. [...]
Il favore che il Rinascimento dimostrava nei confronti di una religiosità pagana risalente a Zoroastro e da lui ad Hermes Trismegistos come tramite di Orfeo, Pitagora e Platone, consentì alle generazioni post-medievali di assimilare e fare propria l'eredità della mitologia e della storia dell'antichità classica. [nota 121]

27. Goethe (vissuto tra il 1749 ed il 1832) scrive:
Così come, il giorno che ti ha dato il mondo,
il Sole si offriva al saluto dei pianeti,
subito crescesti e continuasti a crescere
secondo la legge in base alla quale eri apparso.
Così devi essere, non puoi fuggire a te stesso,
così predissero le sibille ed i profeti,
e né tempo né potere alcuno possono frantumare
una forma impressa, che, vivendo, si sviluppa.
[nota 122]

28. Abbiamo detto - nella parte dedicata all'epoca ellenistica del precedente capitolo - che gli Stoici erano dediti all'Astrologia, ma tale disciplina aveva attirato a sé anche altri gruppi, tra i quali - ad esempio - gli Ermetici.
L'opera intitolata Hermetica, o Corpus Hermeticum, era una raccolta di scritti greci e latini di origine incerta - probabilmente composti nell'arco degli anni compresi tra il 200 ed il 500 d.C. - contenente insegnamenti religiosi e filosofici attribuiti ad Ermete Trismegisto, l'Hermes tre-volte-grande, probabilmente una divinità o una personificazione mitica.
C'è chi sostiene che questo Hermes non sia affatto la divinità greca di tale nome, ma la divinità egizia Thoth, probabilmente identificata con il greco Hermes dai Greci di età alessandrina, ma si tratta di una semplice ipotesi.
William Grese sostiene che la maggior parte degli Studiosi concorda sul fatto che gli Hermetica siano una revisione ellenistica di alcune idee filosofiche greche precedenti (in particolar modo platoniche e stoiche): il principale sostenitore di questa tesi è André-Jean Festugière. [nota 123]
Tuttavia, come osserva Grese, negli Hermetica - oltre alle componenti religiose e filosofiche - c'erano anche nozioni di magia e di Astrologia: tali scritti rappresentano ancora oggi una parte molto importante della cosiddetta tradizione occulta.

29. Una definizione del termine occulto appropriata a questo contesto è fornita da Edward A. Tiryakian:

Entro questo significato io comprendo pratiche, tecniche o procedure volontarie che
utilizzino forze ignote o nascoste della Natura o del Cosmo, tali da non poter essere misurate o identificate dagli attuali strumenti scientifici
abbia risultati empirici come conseguenze desiderate o progettate, sia fornendo la conoscenza del corso empirico degli eventi sia alterandoli rispetto al loro modo di essere e a quel che sarebbe regolarmente stato senza alcun intervento delle forze suddette
In questo senso si può ancora dire che il protagonista dell'attività occulta non è solamente un semplice attore, ma qualcuno che abbia ottenuto una conoscenza speciale e l'abilità adatta a simili pratiche - capacità ottenute e trasmesse all'interno di un gruppo organizzato, disciplinato e ritualizzato (anche se non pubblicamente divulgate): se così è, allora si possono comprendere le pratiche in questione come manifestazioni di scienze occulte o arti occulte. [nota 124]
A questo scopo si usa anche il termine esoterico e Tiryakian scrive che o sistemi esoterici sono sistemi concettuali filosofico-religiosi che sottintendono tecniche e pratiche occulte; in altre parole, il termine esoterico si riferisce ad una conoscenza più ampia e particolare della Natura e del Cosmo, alle riflessioni epistemologiche ed ontologiche di una Realtà Ultima, la ricognizione della quale comporta una serie di conoscenze che offrono il terreno di coltura a procedure occulte.[nota 125].

30. F. L. Peters sostiene che il pensiero ermetico rappresenta un fenomeno estremamente complesso: gli scritti teorici speculativi del Corpus Hermeticum erano affiancati da un'immensa quantità di annotazioni su pratiche ermetiche, cioè sostanzialmente sul modo di intervenire per modificare le sostanze naturali.
Il pensiero ermetico ha avuto una grande influenza sulla cultura mussulmana: con l'assistenza e la collaborazione - a quanto pare - di alcuni Astrologi iraniani, Ermete Trismegisto venne integrato nella cultura islamica una generazione prima che Platone ed Aristotele venissero conosciuti ed accettati.
Molti Mussulmani credevano nell'influenza delle stelle sui singoli individui, ed uno dei più grandi fra gli antichi scienziati di questa cultura fu al-Biruni (vissuto nell'XI secolo d.C.): tra le sue molte opere si trova anche un testo dal titolo Istruzioni sugli Elementi dell'Astrologia, diventato immediatamente un pilastro della conoscenza astrologica.
Peters scrive:
Ancora una volta, anche in al-Biruni si possono riconoscere i due volti della cultura islamica; la tradizione secolare delle funzioni trigonometriche, delle tavole astronomiche e degli schemi cronologici del mondo si unisce e si intreccia alla parallela tradizione dell'oroscopia, delle influenze astrali e d elaborate teorie che intendono tramandare l'ancestrale saggezza del lontano passato fino al cuore dell'Islam. [...]
Ciascuna disciplina è fornita di vere e proprie credenziali che la definiscono come scienza; e se anche l'Astrologia fa parte delle scienze meno esatte per quel che riguarda le sue previsioni - come Tolomeo ammetteva serenamente - non lo era più di quanto lo fosse - ad esempio - l'Etica rispetto alla Geometria. [nota 126]

31. Joannes Stobaeus - ermetico vissuto intorno al 500 d.C. - sostiene:
Le stelle sono gli strumenti del destino; in accordo a detto destino esse portano il variare di tutte le cose della Natura e degli esseri umani. [nota 127]
In un passo dell'opera ermetica in Latino nota con il nome di Asclepius si legge:
Asclepio - Ma dimmi, o Trismegisto, quale parte del governo dell'Universo è amministrata dagli astri?
Trismegisto - Quella che noi chiamiamo "Destino", Asclepio, cioè la forza dalla quale tutte le cose sono spinte in movimento; dalla quale tutti gli eventi sono legati insieme dai vincoli della Necessità in una catena mai interrotta.
Dunque il Destino è una divinità in sé e per sé, o si potrebbe anche dire che è la forza che viene per seconda dopo quella di Dio; è il potere che - insieme alla Necessità - ordina tutte le cose in Celo ed in Terra secondo la legge divina. Per questo motivo, il Destino e la Necessità sono inseparabilmente uniti insieme e cementati l'uno all'altro. Il Destino genera l'inizio delle cose; la Necessità fa sì che a tali inizi conseguano i risultati inevitabili; ed insieme al Destino ed alla Necessità per terzo vene l'Ordine, cioè il susseguirsi degli eventi ed il loro collocarsi in ordine cronologico.
Non c'è nulla che non possa essere disposto secondo l'Ordine; è grazie all'ordinamento che giunge dall'alto che l'intero Cosmo medesimo si muove secondo il proprio ordine; anzi, il Cosmo non è altro che l'Ordine.
Di questi tre, il primo in ordine di importanza è il Destino, che getta il seme così come deve essere, e dunque dà origine a tutto ciò che è implicito in tale seme e che accadrà da allora in poi; la seconda è la Necessità, dalla quale tutto viene inevitabilmente condotto ai risultati che devono conseguire; ed l terzo è l'Ordine, che mantiene l'interconnessione fra tutti gli eventi determinati dal Destino e dalla Necessità.
Ma Destino, Necessità ed Ordine - tutti e tre insieme - sono sottoposti alla volontà di Dio, che governa il Cosmo secondo la propria legge e secondo la sua santa volontà. Perciò la decisione di tutto quel che accadrà o non accadrà fa totalmente parte della volontà di Dio, ed è completamente aliena da loro tre.
Destino, Necessità ed Ordine non sono mai turbati dall'ira, Nè sono mai contaminati da favoritismi; obbediscono inevitabilmente all'eterno ordine di Dio, che è inflessibile, immutabile, indissolubile.
Comunque nel Cosmo esiste anche il Caso o la contingenza, mescolata alle cose materiali. [...] [nota 128]

32. Nella preghiera nota come Padre Nostro, compresa nel Nuovo Testamento cristiano, si dice:
Padre nostro, che sei nei Cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà, come in Cielo così in Terra. [nota 129]

33. L'influsso delle concezioni ermetiche sul Rinascimento europeo e sulle origini del pensiero scientifico moderno è argomento ininterrottamente dibattuto: non vi possono però essere dubbi che sia stato immenso, da molti punti di vista.
La traduzione e la pubblicazione dell'intero Corpus Hermeticum vennero completate nel 1471 ad opera di Marsilio Ficino, e tanto questa quanto le successive traduzioni ed i commenti via via pubblicati furono oggetto di una notevole richiesta.
Naturalmente si avvertiva anche la necessità di definire un adeguato pedigree per Ermete Trismegisto, e tale pedigree - secondo l'opinione di Ficino - risale a Platone (il quale, ad opinione di Ficino, non avrebbe potuto esprimere da solo tutta quella saggezza) a Filolao ed ancor prima a Pitagora (che, secondo la tradizione, aveva affinato la propria saggezza in Egitto), ed ancora più indietro, fino al dio greco Hermes.
E che dire poi delle origini di Hermes? Nel suo caso - sostiene Wayne Shumaker - si va oltre i confini terreni. Mercurio disperde le nebbie che offuscano la comprensione del senso delle cose, donando una nuova lucidità di approccio mentale; e le virtù del Pimander - cioè la mente divina - fluiscono intorno a lui, consentendogli di penetrare l'ordine di tutte le cose.
La genealogia del pimander [la divina intelligenza] ha la sua fonte il Dio stesso, la cui parola è indiscutibilmente ispirata alla massima sapienza. [nota 130]
Il risultato, continua Shumaker, è una priscae theologiae ubique sibi consona secta, cioè un sistema teologico ancestrale in ogni punto in armonia a se stesso.
Dunque, un certo gruppo di Studiosi rinascimentali ed i loro allievi trovarono negli scritti ermetici un modello concettuale che consentiva la riconciliazione di qualsiasi frutto della cultura pagana con i principi del Cristianesimo: in pratica, un vero e proprio Strutturalismo; e Shumaker ricorda che un'ombra di questo si trova in Middlemarch di George Eliot, quando Mr. Casaubon tenta di elaborare una chiave di accesso a tutte le mitologia.
L'intendo dei Sincretisti rinascimentali come Ficino (che era anche un Astrologo entusiasta di tale disciplina) non era quello di contestare la mitologia e neanche di esaminarla in modo critico, ma di unificarne tutte le varianti in una concordanza armoniosa.

34. Nel suo saggio Giordano Bruno and the Hermetic Tradition (pubblicato nel 1964) e nelle opere successive, Frances Yates ha cercato di dimostrare che la concezione ermetica è la corrente di pensiero che ha esercitato la maggiore influenza sullo sviluppo della scienza moderna: Il magus rinascimentale - ella scrive - altro non era che l'antenato degli scienziati del XVII secolo. [nota 131]
Il suo punto di vista è ripreso da Karin Johannisson, che sostiene che la tradizione ermetica rinascimentale - iniziata nel XV secolo con la traduzione degli scritti neoplatonici ad opera di Marsilio Ficino e dei suoi allievi fiorentini, comprendendo anche il Corpus Hermeticum - celebrava l'orgogliosa idea di una saggezza ancestrale, considerata un dono conferito direttamente da Dio ad Adamo allo scopo di esortare l'Uomo a completare l'opera della creazione grazie alla comprensione profonda ed alla decodifica della sua struttura soggiacente. La Natura ha un proprio modo di esprimersi, e per comprendere le sue parole è necessaria la padronanza del suo segreto alfabeto, derivato dalla Numerologia mistica greca e dalla Cabala, ed accessibile solo a pochi eletti.
a tradizione ermetica fu poi ripresa da Paracelso e dai suoi allievi, e da studiosi del calibro di Cornelio Agrippa (vissuto tra il 1486 ed il 1535), John Dee (vissuto tra il 1527 ed il 1608) e Robert Fludd (vissuto tra il 1574 ed il 1637): tale tradizione - secondo l'opinione della Johannisson - finì dunque per diventare un concreto programma nei due notissimi manifesti rosacrociani - Fama fraternitas (del 1614) e Confessio fraternitas (del 1615) - il cui positivo contributo deve considerarsi fondamentale allo sviluppo delle prime istanze della scienza moderna.

35. Questi Studiosi - sostiene la Johannisson - svilupparono l'idea che la conoscenza non si può limitare ai risultati offerti da alcuni metodi specifici, e che - a fronteggiare la razionalità, l'oggettività ed il dubbio critico, considerati virtù cardinali della Scienza - si deve sempre porre l'orgogliosa speranza che le frontiere della Scienza possano essere trascese, cioè il sogno di una Scienza che racchiuda ogni forma di conoscenza al servizio dell'Umanità.
La Johannisson porta la testimonianza storica della fine del XVIII secolo, quando - negli anni della Rivoluzione Francese - i concetti di magia e di scienza sembrano ancora una volta fondersi nell'intensa attività mistica dei diversi Ordini culturali, ed il lavoro degli Scienziati accademici esercita un ruolo simile a quello delle Società segrete allo scopo di fornire le basi della cultura scientifica e della sua divulgazione. [nota 132]

36. La Johannisson sostiene che il magus del XVI e del XVII secolo considerava se stesso un filosofo della Natura, cioè allo stesso modo in cui Keplero, Galileo e Newton consideravano se stessi: i termini scienziato o fisico non facevano infatti ancora parte del linguaggio comunemente in uso. Il magus, infatti, concepisce la Natura come un complesso intreccio attivo e dotato di anima di forze spirituali primordiali, e l'uomo di scienza si rivolge a tale complesso considerandolo un meccanismo, una manifestazione delle universali leggi di Natura: la Johannisson considera però le leggi di Natura antitetiche alla spiritualità, per quanto esercitino un ruolo complementare a quello della spiritualità, o forse manifestino ciò a cui anche gli Spiriti devono sottomettersi.
Il magus crede che - dal momento che la Natura è dotata di una propria anima, per quanto incompleta e non del tutto definita - sia possibile comprenderla, addentrarsi in essa e manipolarne alcune manifestazioni.

37. Ma il magus è a sua volta parte della Natura, e non ha la vera e propria scelta tra entrare a far parte di essa oppure gestirla dall'esterno; inoltre il sostenere che la Natura non sia completa non equivale a dire che si possa sottrarre dall'obbedienza alle leggi naturali, per quanto esse non si rivelino se non leggi di probabilità.
La Johannisson sostiene ancora:
D'altro canto, l'uomo di scienza potrebbe anche non essere interessato alla manipolazione della Natura; ed orientarsi invece verso la comprensione e la descrizione delle sue leggi, in modo da giungere il più vicino possibile al nucleo del suo inaccessibile meccanismo; per lui, infatti, tali leggi sono inesorabili ed immodificabili, veri e propri criteri assoluti che creano la differenza tra il naturale ed il soprannaturale.
Al contrario, per il magus, il soprannaturale coincide con l'inusuale, con il meraviglioso, con l'artificiale; le leggi di Natura - insomma - non sono affatto considerate assolute, ed anzi possono essere superate dall'arte. [...]
La Magia e la Scienza, nella concezione del magus, funzionano secondo metodi diversi: laddove la Scienza si basa sul principio che l'esperienza e la ragione siano gli unici strumenti validi della conoscenza, la Magia si basa sulla convinzione che non si possa determinare quali siano gli strumenti più validi a tale scopo, dal momento che l'essenziale è quello di tentare sempre di andare oltre alle frontiere di quel che è empiricamente e razionalmente verificabile.
Le teorie della Scienza sono dettate dalla Logica, mentre quelle della della Magia sono frutto dell'Analogia. In opposizione alla razionalità ed alla comprensione (episteme) - strumenti scientifici - si schierano la speranza irrazionale e l'uso (techne): dunque in linea di massima la Magia si può considerare la pratica di un'arte allo scopo di ottenere specifici risultati, non allo scopo di ottenere la conoscenza e la comprensione. [...]
La Magia si propone di trascendere le leggi di Natura, la Scienza intende invece decodificarle ma sostanzialmente accettando di subordinarsi ad esse. [nota 133].

38. Tuttavia non c'è mai stata - e non c'è ancora - una chiara demarcazione tra la Scienza intesa come conoscenza e comprensione e la Tecnologia intesa come utilizzo della Scienza e di altre arti pratiche. Gli Scienziati - nel loro insieme - devono usare o creare o basarsi indirettamente sulla Tecnologia per progredire nelle proprie conoscenze, mentre i Tecnici devono servirsi e creare conoscenze scientifiche per elaborare e portare a compimento i loro scopi.
Tuttavia esiste una chiara demarcazione tra la Tecnologia - intesa come uso controllato e limitato delle leggi di Natura - e la Magia, intesa come uso senza alcun limite prefissato delle medesime leggi.

39. In ultima analisi - scrive la Johannisson - tanto la Magia quanto la conoscenza scientifica fanno capo ad una ben definita concezione della conoscenza, per quanto ciascuna a modo proprio, che deriva in ogni caso dalla tradizione ermetica, perché era questa che univa in sé la necessità di continua sperimentazione e la razionalità in senso matematico ad un utopismo visionario che si concentrava sui risultati pratici.
Tuttavia la tradizione ermetica rivela scarse tracce di interesse e di apprezzamento nei confronti delle applicazioni della Matematica, come concepite da Archimede, Newton e dai Matematici contemporanei: al contrario, gli Ermetici erano particolarmente interessati alla Numerologia, al misticismo ed alla magia del numero, che non ha nulla a che fare con la Matematica applicata in senso moderno.

40. Il misticismo del numero e la Numerologia risalgono a tempi antichi: l'epoca ellenistica - in cui la cultura ermetica affonda le radici - gli Gnostici, gli Stoici, gli Epicurei, gli Accademici ed i primi adepti al Cristianesimo si interessarono a tale disciplina che coinvolse anche i Neoplatonici, per quanto non risalisse soltanto a Platone, ma anche e ben prima di lui ai Pitagorici, alcuni dei quali erano passati alla storia come eccellenti Matematici, i migliori dell'antica Grecia: infatti i tutti i Pitagorici (che non necessariamente erano Matematici) si dedicavano ad un certo tipo di Numerologia, e per anni ed anni in seguito si è dibattuta la complicata questione relativa a quanto della Matematica greca sia dovuta ai Pitagorici ed ai loro diretti discendenti, e quanto ad altre correnti presocratiche di pensiero o a Studiosi posteriori.

41. Sembra che lo stesso Pitagora fosse una specie di sciamano: era considerato il più saggio degli uomini, si tramandava che fosse capace di compiere miracoli e che avesse fondato una setta segreta per l'insegnamento e lo studio della metempsicosi (la reincarnazione, o migrazione delle anime da un corpo all'altro), la Musica delle Sfere (cioè l'armonia dell'Universo), l'immortalità dell'anima e la sua ascesa alle stelle e svariati riti e pratiche magiche.
Walter Burkert sostiene che la diffusa opinione che la Matematica (o meglio i Matematici come li intendevano Aristotele ed Euclide) abbia origine pitagorica risale ad un periodo più antico del Neoplatonismo e della tradizione scolastica neopitagorica della tarda antichità, che risalgono a diverse centinaia di anni dopo l'introduzione della Matematica nella Grecia del CI e V secolo a.C.

42. Secondo Burkert, rimane aperta la questione delle origini della Matematica, cioè se sia realmente nata dalle rivelazioni di un guru, all'interno di una società segreta creata appositamente per l'elaborazione del pensiero matematico, dal momento che si è sviluppata in stretta connessione con la graduale evoluzione delle concezioni naturalistiche greche in ambiente pitagorico o pseudo-pitagorico.
La Geometria era una componente essenziale dell'Astronomia greca classica, ed alcuni di coloro che praticavano questa disciplina non erano pitagorici: e furono proprio la Geometria e l'Astronomia che - prima di altre discipline - divennero dominio di Studiosi specialisti, dal momento che la loro crescente difficoltà richiedeva uno speciale talento, e l'esistenza di tale talento prescinde dall'appartenenza ad una determinata scuola di pensiero.
I Sofisti - che non rivelano alcuna propensione alla Matematica - si allontanarono dalle concezioni dei Filosofi della Natura, e la netta definizione di alcuni concetti della Filosofia della Natura cominciò ad essere sempre più in contrasto con l'incertezza su cui si basavano altri tipi di Filosofia.
All'epoca di Platone, la Matematica era già il modello del pensiero scientifico: qualcuno dei Pitagorici - singolarmente - ha un proprio ruolo fondamentale in questa evoluzione, ma i Matematici della Grecia classica non erano puri e semplici Pitagorici [nota 134].

43. Alcuni dei più antichi Pitagorici - forse compreso lo stesso Pitagora - si dedicavano alla Numerologia, che Burkert sostiene di origine preistorica. In ogni caso fu il numero quel che determinò la visione generale del mondo nella concezione pitagorica, per quando il culto del numero dal punto di vista del misticismo del numero e del simbolismo nascosto nel numero è abbastanza diverso dal culto della Matematica come scienza.
Burkert sottolinea questa sostanziale differenza per dimostrare che i Matematici greci del tipo di Euclide o Archimede non avevano origini culturali pitagoriche:
Si è a lungo sostenuto che il conscio e l'inconscio, gli impulsi razionali e quelli irrazionali, la Logica ed il Misticismo interagissero in modo complesso ed inestricabile.
Keplero scoprì la sua seconda legge planetaria grazie ad una variante della legge pitagorica sui poliedri regolari, perciò si potrebbe considerare ovvio che siano stati proprio gli impulsi prefilosofici del pensiero pitagorico gli elementi necessari allo sviluppo della disciplina matematica.
Tuttavia, anche se la dottrina pitagorica non poggia solo sul significato cosmico del numero [su cui invece poggia totalmente la Numerologia] né proviene solo dalla simbologia prelogica del numero, la filosofia pitagorica - almeno nel modo in cui Aristotele ce la presenta - sembra animata da uno spirito e da un metodo che si differenziano sempre di più da quelli matematici, al punto che quel che successivamente si è inteso con il termine Matematica non può derivare direttamente dalle concezioni pitagoriche: in altre parole, non esiste un'ininterrotta evoluzione che porta alla Scienza a partire dall'insegnamento etico-religioso come troviamo nella tradizione pitagorica, quanto piuttosto un incerto tentativo di mediazione tra due diversi livelli concettuali, di trasposizione di un'antica interpretazione nel contesto di una Filosofia di recente creazione.[nota 135]

44. Dunque sembra che la differenziazione della Matematica basata sull'esperienza dalla Numerologia basata sul misticismo risalga a prima della Grecia presocratica.
Agli inizi del XVII secolo, nelle opere di Studiosi del calibro di Johannes Kepler e Robert Fludd - eredi del revival neopitagorico nell'Europa rinascimentale e del rifiorire del Neopitagorismo ellenistico in nordAfrica - si trova una mescolanza dell'una e dell'altra, in cui la Matematica e le sue connessioni all'esperienza si evidenziano particolarmente per Keplero mentre la Numerologia e le concezioni magiche acquistano un peso decisivo in Fludd.[nota 136]

45. Burkert conclude sostenendo che la filosofia pitagorica rappresenta la sintesi di una Matematica scientificamente valida con una Numerologia scientificamente non valida: tale sintesi si vede estensivamente nell'opera di Filolao, che seguiva le ipotesi di Ippaso: collocare la nascita della Matematica nella tradizione che vede Pitagora filosofo e scienziato è - dal punto di vista storico - un errore; ma il fascino che ha circondato ed ancora circonda il nome di Pitagora non gli viene affatto sostanzialmente da specifiche connotazioni scientifiche o dall'adozione di un razionale metodo matematico, e certamente neanche da qualche trionfo della Fisica matematica. Deriva piuttosto dalla concezione che esista un tipo di conoscenza che penetra nel vero e proprio nucleo dell'Universo, che garantisce una Verità contemporaneamente beatificante e fonte di conforto e che presenta l'essere umano come una componente dell'armonia universale.
Nella mitica figura di Pitagora, un elemento prescientifico di unità cosmica si afferma in un periodo in cui i Greci iniziavano - con i loro metodi di pensiero razionale di recente acquisizione - a fare di se stessi i padroni del proprio mondo, a mettere in discussione la Tradizione e ad abbandonare delle concezioni a lungo venerate. Il prezzo della conoscenza e della libertà si pagò con la perdita della sicurezza intima, ed il modello del pensiero razionale cominciò a condurre sempre più lontano, in diverse direzioni, fino a condurre all'Infinito, proprio dove - tuttavia - rifulgeva l'immagine dell'antico Saggio, colui che sembrava ancora possedere il segreto dell'unità.
Così - in ultima analisi - questa immagine vive ancora nel riflesso di Pitagora, il grande mago di cui neppure un'epoca avanzata come la nostra - per quanto incapace di ammetterlo - può fare a meno. [nota 137].

46. Nicomaco, Giamblico ed altri Neopitagorici vissuti tra il II ed il IV secolo d.C. (e dunque ancora in epoca ellenistica, anche se in senso ampio) associavano i numeri ad entità sociali ed etiche, considerandosi in questo seguaci di una tradizione stabilita molto prima dei Pitagorici stessi. Tanto per fare un esempio, la Giustizia era associata con i numeri al quadrato, forse perché in un numero al quadrato c'è una specie di bilanciamento dei fattori (4 = 2·2, 9 = 3·3 etc.).
Uno degli scoliasti di Aristotele, Alessandro di Afrodisia, sostiene che alcuni credono che il numero 4 rappresenti la Giustizia, o addirittura che sia proprio la Giustizia, dal momento che è il primo quadrato ottenibile da un numero inero (non contando l'1). Altri pensano che il numero che meglio rappresenta la Giustizia sia il 9, dal momento che è il quadrato di 3, il numero perfetto per eccellenza in quanto è composto da una unità iniziale, una centrale ed una finale. Anche il numero 2 potrebbe essere considerato perfetto, ma alcuni Pitagorici pensavano che alcuni numeri fossero"limitati" ed altri invece "illimitati", e probabilmente il 3 - il primo dei numeri limitati - si considerava più appropriato per la Giustizia (o forse esistevano motivi completamente diversi da questo).
W.K.C. Guthrie annota - complicando così la questione, che alcuni commentatori posteriori prendevano sia il 3, sia il 5 sia l'8 come numeri-simbolo della Giustizia [nota 138].

47. Per fare un altro esempio, il matrimonio è simbolicamente associato al numero 5, o è il numero 5, poiché rappresenta l'unione del principio maschile - espresso del numero dispari (nella fattispecie il 3) - associato al principio femminile indicato dai numeri pari (ed in particolare il 2), e - ovviamente - 3 + 2 = 5.
Ed ancora, le buone occasioni, cioè i colpi di fortuna nei periodi propizi, si identificavano con il numero 7 perché in Natura gli anni di evoluzione rispetto alla nascita ed alla maturità vanno di 7 in 7 cioè - forse - un essere umano nasce dopo sette mesi cambia la prima dentatura dopo sette anni, raggiunge la pubertà a 14 anni (cioè dopo il secondo ciclo di sette anni), vede spuntare la barba dopo il terzo ciclo di sette anni, etc. Per quanto tale calcolo sembri tutt'altro che accurato, Guthrie sostiene che la suddivisione in successivi periodi di sette anni ciascuno era un vero e proprio luogo comune del pensiero greco.

48. Aristotele - nella sua Metafisica - contesta duramente i ragionamenti di questo tipo. Eppure proprio tra gli allievi di Pitagora si collocano alcuni dei padri fondatori del pensiero matematico classico greco, che giunse al culmine con Matematici ed Astronomi del calibro di Eudosso, Euclide, Eratostene, Apollonio ed Archimede.
Molte delle opere di questi Studiosi sono ancora oggi in sintonia sul piano teorico e di grande valore su quello pratico rispetto all'attuale pensiero scientifico: soprattutto la Matematica - tra le altre Scienze - ha infatti la peculiarità di tenere per utili (o addirittura essenziali) le concezioni più antiche, per quanto numerosi e fecondi siano i nuovi sviluppi. In altre parole, nel suo complesso, la buona Matematica può essere dimenticata, ignorata, re-inventata, ristrutturata o riformata, estesa, inserita in contesti più generali, dotata di nuovi fondamenti e così via - ma non si può dimostrare che sia sbagliata.

49. Edward Strong contesta a studiosi come E. A. Burtt [nota 139] che il trionfo della Filosofia matematica nell'opera di pensatori come Galileo, Cartesio e Newton non risale alla Filosofia neoplatonica o neopitagorica come erano state rielaborate da una certa quantità di filosofi italiani del XV e XVI secolo: il Platonismo fiorentino del XV secolo e l'interesse par la Matematica pitagorica-platonica del XVI secolo non possono avere l'onore - almeno sul piano storico - di essere considerate le maestre del passaggio dalla classificazione alla misura. [nota 140]

50. La classificazione a cui Strong si riferisce è una sorta di Numerologia, e la misura è una sorta di Matematica applicata.
Nella Filosofia platonica i numeri avevano una loro dimensione intermedia tra quel che può essere percepito dai sensi e le Idee eterne della quali erano emanazioni. Nel Neoplatonismo ciò condusse ad una specie di Matematica teologica, come la chiama Strong, che si trova nelle opere di alcuni Neoplatonici come Nicomaco e Teone: ma né l'uni né l'altro - come sostiene Strong - si orientarono verso il tentativo di dedurre delle verità matematiche o scientifiche dal mistero dei numeri; al contrario, vediamo che continuano a ripetere che i numeri sono dotati di proprietà speciali molto diverse da quelle che si usano nel calcolo aritmetico; entrambi concordano sul fatto che l'Aritmetica sia una disciplina autonoma rispetto a quel che studiano loro, ma la considerano anche una specie di base per l'iniziazione a realtà che si estendono oltre le limitate procedure del Matematici. [nota 141]

51. Nell'Aritmetica teologica, grazie ad una sequenza di analogie, con i numeri si identificano le caratteristiche dell'anima, della società, dell'etica, degli elementi e così via: i numeri offrono un simbolismo ed un metodo di classificazione - un simbolismo unitario e diversificato - allo scopo di fornire spiegazioni alla Creazione e di creare una classificazione gerarchica dei principi essenziali e delle relazioni fondamentali sulla base della triade e della triangolarità, e così via. Il numero - un po' come se fosse una specie di schema universale essenziale - ha i suoi significati fondamentali nella mente di Dio, non tanto dal punto di vista della regola e della legge quanto nel principio di efficacia o di potere. [...]
L'efficacia e la creatività piuttosto che la legge e le relazioni quantitative, cioè il senso del divino piuttosto che la necessità della dimostrazione, la sacralità dei numeri in quanto enti in grado di trascendere la realtà matematica e fisica senza che la percezione dell'ordine matematico salvi le apparenze: questo scontro frontale sottolinea la trasformazione che la Matematica ha dovuto affrontare per passare dalla condizione di Aritmetica divina a quella oggi intesa con il termine Matematica."[nota 142]

52. Gli antichi Ebrei, i Greci e gli Arabi usavano i numeri come lettere dell'alfabeto, anche se con piccoli contrassegni che ne consentivano il riconoscimento differenziato: sembra che questa consuetudine sia alla base della convinzione che esista un significato nascosto dei numeri e che si possa trovare una corrispondenza tra una parola ed i valori numerici di ciascuna singola lettera che la compone. Dai Cabalisti ebrei tale corrispondenza veniva chiamata Gematria, dai Greci Isopsephia, dai Mussulmani hisab al-jumal [nota 143].
Anche non pochi scrittori cristiani si servano di questa tecnica, praticata anche oggi in diverse varianti ed in contesti diversi. Idries Shah - in uno dei suoi saggi sul misticismo Sufi nel mondo mussulmano - riporta una serie di esempi, datati dall'avvento dell'Islam bel VII secolo del calendario cristiano ad oggi. Shah ritiene che i Sufi abbiano la funzione di consentire il contatto con la Saggezza soggiacente all'Umanità, e corrispondano alla realtà intima dell'Islam e di ogni altro aspetto equivalente in qualsiasi altra religione o tradizione genuina. [nota 144]

53. Purtroppo - a quanto pare - questa saggezza si tramanda solamente in forma criptica ed occulta, e non è molto logico pensare che - come sostiene Shah - sia una chiave della comprensione del Sufismo. In ogni caso, nel mondo arabo molte parole hanno radici composte da tre consonanti ed anzi molte parole hanno la stessa radice: inoltre esiste un metodo standardizzato per l'associazione delle lettere dell'alfabeto arabo ai numeri (come leggiamo a pagina 174 dell'opera The Sufis).
Si dice ad esempio che Hisab el-Jamal (una diversa traslitterazione dell'hisab al-jumal di Ifrah) sia un riadattamento standardizzato di lettere e numeri..[nota 145].
Con questi esempi in mente, Shah - in un commento sul significato del punto nella tradizione scritta sufita - scrive:
Nella cultura sufita, la radice nqt - che indica il punto, l'elemento-chiave della punteggiatura grammaticale, e talvolta anche inteso come abbreviazione - è di grande importanza nella diffusione degli insegnamenti del Sufismo, ed in un certo senso legata alla sua componente numerologica, per il seguente motivo: il termine arabo per Geometra o Architetto è muhandis, parola composta dalle lettere M, H, N, D, S, che corrispondono rispettivamente ai numeri


40, 5, 50, 4, 60

il cui totale è 159. Tale numero - prendendo separatamente in esame il valore delle unità delle decine e delle centinaia - indica altre tre consonanti:


100 = Q
50 = N
9 = T

A loro volta, queste tre consonanti - invertendo il loro ordine secondo lo schema 2,1,3 - riportano alla radice nqt, che - come si è detto - significa punto fermo, punto della punteggiatura, ma nel corso di alcune cerimonie rituali viene usata non nel significato di punto ma in quello associato alla parola che numerologicamente si riconduce ad essa, muhandis, nel significato occulto di Primo Architetto dell'Universo. [nota 146]

54. Gershom Scholem commenta l'insegnamento di una piccola opera della tradizione ebraica, il cui titolo è Sefer Yesirah o Libro della Creazione e che sembra risalire al II o III secolo d.C. Si tratta di un testo che ebbe grande diffusione nell'Europa medievale, ed oggi si trova anche al di fuori della cultura ufficiale, soprattutto nelle biblioteche degli Occultisti.
Scholem ritiene che sia concettualmente una derivazione da fonti neopitagoriche ed in particolare dalle opere di Nicomaco di Gerasa (vissuto intorno al 140 d.C.), a cui si unisce l'idea che siano le lettere dell'alfabeto a mostrare come è avvenuta la creazione del cielo e della terra, idea probabilmente tratta dalla concezione della Numerologia ebraica.
La tesi principale di quest'opera - secondo Scholem - è che l'intera realtà del Cosmo poggia su tre diversi livelli - il mondo, il tempo ed il corpo umano, che sono i tre regni fondamentali di tutte le creature - e giunge ad esistere grazie alla combinazione delle 22 consonanti [dell'alfabeto ebraico] specialmente grazie al codice 231, cioè la combinazione delle lettere in gruppi di due (a quanto pare l'Autore non tiene conto dl fatto che la radice linguistica ebraica poggiava non su tre ma su due consonanti).
Le 22 consonanti sono divise in tre gruppi, secondo uno specifico schema fonetico, ed ogni gruppo contiene 3, 7 e 12 lettere.
Il gruppo formato dall'unione di tre consonanti viene considerato una matrice (talvolta definita anche madre), corrispondente all'unione di Etere (o spirito), Acqua e Fuoco: da questi tre elementi - combinati in diversi modi - giungono ad esistere tutte le creature e si compie la corrispondenza con le tre stagioni dell'anno (tre e non quattro, come nell'antica divisione greca) e le tre parti del corpo: la testa, il tronco e lo stomaco.
Le lettere del gruppo in cui le parole sono composte da 7 lettere corrispondono specificamente ai sette pianeti, ai sette cieli, ai sette giorni della settimana ed ai sette orifizi del corpo; rappresentano anche i sette fondamentali opposti: vita e morte, pace e devastazione, saggezza e follia, ricchezza e povertà, bellezza e bruttezza, fertilità e sterilità, dominio e schiavitù; corrispondono inoltre alle sei direzioni del celo: il sopra (o altezza), il sotto (o profondità), l'est, l'ovest, il nord ed il sud, a cui si aggiunge probabilmente la settima dimensione, cioè la terra, e forse l'osservatore.
Le 12 consonanti rimanenti corrispondono alle dodici attività principali dell'uomo, ai segni dello zodiaco, ai mesi dell'anno, alle principali ghiandole del corpo umano.
Scholem osserva che lo schema del Sefer Yesirah rivela precisi contatti con l'Astrologia, anche se si basa più specificamente sul misticismo delle lettere. Sulla base di quest'idea, Scholem scrive: i modelli portano direttamente alla concezione magica del potere creativo delle lettere e delle parole. [nota 147]

55. Nel corso delle diverse epoche assistiamo a molti tipi diversi di misticismo legati alle lettere o ai numeri: troviamo gli esempi nella convinzione dello specifico valore di alcuni numeri, come ad esempio nell'idea che il numero 7 debba essere particolarmente significativo nella Genesi, dal momento che si ritiene che Dio abbia creato l'universo in sette giorni.
Non mancano i passi della Bibbia in cui appare il numero sette, e proprio sui riferimenti alla Bibbia poggia un insolitamente elaborato e cospicuo saggio in due volumi a firma dello scrittore cristiano Paul Lacuria sul significato religioso dei numeri [nota 148].
In quest'opera si fa particolare attenzione al numero sette, specificamente nei capitoli XV-XVIII, nei quali si portano ad esempio i sette divini attributi, cioè Vita, Libertà, Luce, Divinità, Saggezza-Giustizia (considerate una sola cosa) ed Eternità, che corrispondono nello stesso ordine ai colori dell'arcobaleno (rosso, arancio, giallo, verde, blu-indaco e violetto), alle note musicali (do, re, mi, fa, sol-la - unite insieme - si), ed i numeri interi da 1 a 7.
Ovviamente vengono ricordati anche i sette giorni della settimana ed i sette pianeti secondo la concezione antiva (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) etc.

56. Henry Corbin parla della scienza dell'equilibrio ('ilm al-Mîzân) in riferimento allo scrittore mussulmano Jâbir ibn Hayyân, così come ne parla lo scrittore mussulmano sciita Haydar Amli (XIV secolo d.C.), e - citandolo - sostiene che tale scienza dell'equilibrio abbia la sua origine nel pensiero di Pitagora.
Haydar Amôli spiega che 1 è l'origine dei numeri, 2 - in quanto successivo - è il numero dell'Intelligenza Primaria; 3 è il numero dell'Anima Universale; 4 è il numero della Natura; 5 è quello della prima materia; 6 è quello dello spazio (cioè dei volume corporeo); 7 è quello della Sfera Celeste; 8 quello degli Elementi; 9 è quello dei tre regni della Natura (minerale, che corrisponde alle decine; vegetale, che corrisponde alle centinaia; animale, che corrisponde alle migliaia). Ciascun numero contiene un segreto esoterico chiuso in se stesso ed introvabile in qualsiasi altro numero.

57. Esistono equilibri di 7 ed equilibri di 12 numeri, che creano riferimenti reciproci fra l'Astronomia del Cielo visibile - cioè quello esterno - e l'Astronomia di quello interno o spirituale, tra la gerarchia esoterica e le sue corrispondenze cosmiche.
In questo caso, i sette attributi divini attributi sono: Vita, Conoscenza, Potenza, Volontà, Parola, Udito e Vista; ad essi corrispondono sette appellativi definiti Imam dei nomi divini.
Nel mondo spirituale si contano sette profeti, ciascuno dei quali rappresenta una delle manifestazioni di uno dei sette estatici angeli dell'Amore: Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Davide, Gesù e Maometto. Ed ancora, esistono sette pianeti e sette temperature - una per ciascuno di essi - ed ancora sette continenti e sette popolazioni che ne abitano una ciascuna ed anche sette gironi dell'Inferno.
Poi vi sono i 12 angeli appartenenti alla prima parte della Creazione, i 12 Imam considerati anche 12 amici di Dio ed i 12 segni dello Zodiaco.

58. Esiste un equilibrio che ha a che fare anche con il numero 19, considerato particolarmente importante perché il sistema a cui obbedisce il mondo si riferisce al numero 19, e dunque è assolutamente sacro, dal momento che l'intero universo è fatto ad immagine di Dio.
7 pianeti + 12 segni dello zodiaco dà come risultato 19. La somma dell'Intelligenza e dell'Anima dell'Universo a cui si aggiungono 9 sfere celesti, 4 elementi, 3 regni naturali e l'unico Uomo ha come totale 19. I 7 grandi profeti sommati ai 12 che appartengono a loro ha ancora come totale 19. Le 28 lettere dell'alfabeto arabo si riconducono a 19 livelli di lettere tramite un complicato procedimento linguistico. E così via.
Esistono anche un equilibrio su base numerica 28 ed altri equilibri ancora.
Corbin conclude la propria esposizione di questo sistema numerologico con una descrizione dei Cavalieri dell'Invisibile tratta da Ibn 'Arabî: questi Cavalieri sono i Saggi che - secondo il Corano - comprendono il reale significato sotteso a determinate parabole, e quindi è grazie a loro che possiamo avere in questo mondo una scienza dell'equilibrio. [nota 149]

59. Un altro tipo abbastanza diffuso di Numerologia è la fede nei numeri magici disposti in forma di quadrato, quando i valori sono numeri interi che partono da 1 fino a n2 per un dato valore di n, e le somme rappresentano la stessa cifra su file, colonne e diagonali. Per esempio, se le 4 file

1 - 15 - 14 - 4
12 - 6 - 7 - 9
8 - 10 - 11 - 5
13 - 3 - 2 - 16

vengono disposte in quadrato in quest'ordine, le somme ammontano sempre a 34: questo specifico esempio si trova in un'opera intitolata Oedipus Aegyptiacus, composta nel1652 da Athanasius Kircher, il noto gesuita del XVII secolo, ermetico e pseudo-egittologo [ ].

60. Tali corrispondenze non hanno comunque nulla a che vedere con la Matematica applicata come la definiscono i Matematici di oggi, in quanto le strutture matematiche in gioco non corrispondono in modo naturale ad un particolare elemento o ad un qualcosa, ma sono considerate significative solo in virtù della loro applicazione.
La Gematria - l'associazione di qualità coma la Giustizia o di istituzioni come il Matrimonio ai numeri assomiglia maggiormente a quel che io chiamo Matematica applicata, ossia il tentativo di attribuire una struttura matematica ad un qualcosa che non ha alcuna struttura matematica, o per lo meno non ha alcuna necessità di manifestarsi sotto forma di struttura matematica. In pratica si tratta di un tentativo di quantificazione dell'inquantificabile.
Ne vediamo alcuni esempi nei tentativo di applicare delle equazioni differenziali parziali ai movimenti politici così come tali equazioni vengono applicate ai fenomeni fisici (anche se si potrebbero applicare metodi statistici di campionatura come si fa nei sondaggi), o ai movimenti delle sinfonie di Beethoven (che non è affatto un'idea balzana come potrebbe sembrare, dal momento che tutti i suoni disposti in un certo ordine potrebbero essere rappresentati grazie a specifiche equazioni).
I Filosofi della Natura ed i loro discendenti - gli Scienziati della Natura - devono sottomettere quel che scoprono del Cosmo alle leggi matematiche; i maghi e gli Astrologi tentano di spremere dai valori matematici qualcosa che non appartiene alla Matematica.

61. Edward Strong sottolinea che i manipolatori in senso cabalistico e numerologico fra i Neoplatonici fiorentini e gli Ermetici - come Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola - non hanno affatto gettato le basi della metafisica dei Filosofi matematici del XVI e XVII secolo. Questi Neoplatonici non avevano interessi né matematici né empirici, e si misuravano con queste questioni solo allo scopo di creare un confronto tra le concezioni platoniche e quelle aristoteliche in relazione alla conoscenza ed all'essenza, e per tentare di riconciliare il Neoplatonismo e le teorie ermetiche con l'ortodossia cristiana, senza mai dedicarsi alla realtà matematica, preferendole il simbolismo mistico dei numeri.
Grazie all'interesse ed alla conoscenza dei numeri superiori, questi Studiosi si addentravano in impenetrabili misteri. I numeri erano per loro il modo di raggiungere l'amore spirituale; ma se si intende giungere alla conoscenza del modo in cui è stato creato l'Universo, si dovrebbe considerare il significato simbolico dei numeri, non quello reale. Come sostiene Proclo, i numeri divini si definiscono sulla base della loro condizione e della loro funzione: la loro condizione è data dal rivelare dei significati in modo simbolico e dal fornire una classificazione delle essenze incorporee ed incorruttibili, mentre la loro funzione è quella di ricreare copie simboliche dei determinati significati.
Nel suo svolgersi, la dottrina non rappresenta l'Universo come una struttura caratterizzata da un qualsiasi ordine matematico o da uno specifico rapporto matematico; al contrario, è un sistema mistico religioso che fa di un numero un simbolo finalizzato alla comprensione della realtà incorporea, e lo spinge al di fuori dei confini dell'Aritmetica per introdurlo nell'Aritmologia.
In questi Neoplatonci, il divino si appropria dell'Aritmetica e l'Aritmetica si identifica con il divino, fino a creare una Aritmetica divina. [nota 151]

62. La differenza tra Matematica applicata ed applicazione della Matematica - anche se non in questi termini - è stata fatta da Keplero in occasione della diatriba con il medico Robert Fludd, che era anche Alchimista, Astrologo ed Ermetico [nota 152].
Sembra che la controversia tra Fludd e Keplero sia partita dalla teoria dell'armonia di quest'ultimo, che aveva abbozzato anche una teoria sulle corrispondenze musicali nella sua opera dal titolo Utriusque Cosmi ... historia (composto tra il 1617 ed il 1618): nell'Appendice aggiunta da Keplero al suo Harmonice mundi (composto nel 1619 - talvolta citato con il titolo Harmonices mundi), lo Scienziato confronta il proprio lavoro a quello del 3° lbro di Harmonica di Tolomeo, ed anche agli studi di Fludd, al quale obietta che - mentre lui (Keplero) sviluppa dettagliatamente una teoria musicale e poi dimostra che esiste una controparte celeste a tale teoria, Fludd presenta una sintesi concentrata di un manuale di musica per poi passare ad occuparsi delle questioni pratiche legate alla composizione musicale.
Keplero scrive:
Fludd è diverso da me quanto un praticante da un teorico, perché si occupa degli strumenti musicali di per sé, Io invece cerco le cause delle consonanze nella Natura, e mentre lui insegna come si possa comporre un'aria a più voci, io offro invece molte dimostrazioni matematiche delle risonanze che si trovano tanto nelle sinfonie create dalla Natura quanto nei pezzi corali. [nota 153]

63. Inoltre Keplero osserva che Fludd trae le sue armonie dalle pure e semplici proprietà dei numeri, mentre lui (Keplero) le trae dai suoi calcoli astronomici; il che è vero in quanto, senza dubbio, Fludd, nell'esposizione della propria teoria - non ha mai fatto alcun riferimento a rilevamenti astronomici.
Poi Keplero sottolinea chele analogie ermetiche di Fludd sono tirate per i capelli, e Field commenta:
La differenza sostanziale tra Keplero e Fludd è [...] che Keplero pretende che le sue teorie cosmologiche siano in buon accordo numerico con le proprietà misurate dell'Universo visibile, [nota 154] il che implica l'applicazione della Matematica, non la Matematica applicata.

64. Nell'opinione di Fludd, la scienza di Keplero si riferisce solamente all'aspetto esteriore delle cose, mentre lui (Fludd) si propone di penetrare nelle profondità insondabili e nella sacralità delle cose.
Fludd stabilisce la differenza tra la Matematica formale (quella praticata da lui stesso) e la Matematica volgare (il tipo praticato da Keplero): infatti la concezione di Fludd della Matematica era - di fatto - ampiamente colorata di Numerologia - cioè di una specie di pura e semplice manipolazione verbale dei numeri, che di volta in volta si basava su riferimenti ad elaborati costrutti mentali, tipici del sistema di Fludd. Ciò è stato evidenziato da Westman, che sostiene che dovremmo considerare i costrutti di Fludd non come illustrazioni ma piuttosto come modi per conoscere, dimostrare e ricordare. [nota 155]
Per altro le immagini che Fludd aggiunge alle proprie parole non hanno affatto la funzione che nell'opera di Keplero hanno i diagrammi geometrici: esaminando le immagini di Fludd - sostiene Westman - che apparentemente dovrebbero riguardare la Natura, ci si rende conto che di fatto sono immagini di stati psichici, visualizzazioni di intuizioni e sensazioni proiettate nel mondo, anche se prive di un vero e proprio criterio di corrispondenza con una realtà eterna. [nota 156]

65. Il pensiero matematico di Keplero (vissuto tra il 1571 ed il 1630) si sviluppa in lui a partire dalle riflessioni sul Cosmo, concepito sulla base delle proprie osservazioni e considerato non soltanto come un puro e semplice problema verbale: la voce divina -scrive in Astronomia nova (opera del 1609) -che impone agli uomini lo studio dell'Astronomia, si esprime nel mondo non tramite parole o sillabe ma attraverso le cose in sé e l'accordo dell'intelletto umano e delle umane sensazioni alla complessità degli astri e dei fenomeni celesti. [nota 157]
Le illustrazione aggiunte da Keplero - diagrammi geometrici - erano proiezioni di rapporti geometrici, frutto di immaginazione ma anche di riferimenti geometrici posti al di fuori della sua mente: la sua concezione del rapporto tra la mente umana e la Mente divina - espressa in Harmonice mundi - si basa su un'analogia tra il centro, la circonferenza ed i raggi di un cerchio, e si rivela particolarmente adatta - come osserva Pauli - all'interpretazione della conoscenza come associazione tra impressioni derivate dall'esterno ed immagini preesistenti nel proprio intimo. [nota 158]

66. Keplero scrive:
Perciò conoscere significa confrontare quel che si percepisce delle circostanze esterne con le proprie idee intime e valutare quel che scaturisce dai punti di accordo, un processo che Proclo esprime molto bene con il termine "risveglio", come se si trattasse di su riprendersi dopo il sonno.
Inoltre, come la percezione delle cose nel modo in cui le cogliamo nel mondo esterno ci fa ricordare quel che già conosciamo, così le esperienze sensoriali - quando siano realizzate in piena consapevolezza - richiamano nozioni intellettuali che erano già presenti dentro di noi; ed insomma quel che prima si celava nell'anima sotto il velo delle possibilità, affiora e scintilla in quel che comprendiamo.
Ma insomma, come trovano ingresso in noi le nozioni intellettuali? La mia risposta è la seguente: tutte le idee o i concetti formali delle armonie - come ho appena esposto - soggiacciono nelle creature che possiedono la facoltà della cognizione razionale, e non vengono affatto ricevute tramite ragionamenti discorsivi: al contrario, derivano da un istinto naturale e sono innate in quelle creature esattamente come il numero (un concetto intellettuale) dei petali in un fiore o il numero delle cellule seminali in un frutto sono innati nella forma delle piante. [nota 159]

67. Le armonie cosmiche di Keplero sono date da proporzioni: per esempio - in Harmonices mundi - si legge che la velocità angolare inferiore di un pianeta all'afelio (cioè quando il pianeta, nella sua orbita ellittica, si trova nel punto più lontano possibile dal Sole) sta alla più ampia velocità al perielio (cioè quando il pianeta si trova il più vicino possibile al Sole) come un piccolo numero intero sta ad un numero maggiore. Enunciato in altro modo, il rapporto tra le due velocità angolari equivale al rapporto tra due numeri interi: uno dei rapporti in questa proporzione (con il termine proporzione si intende un'equaglianza fra due rapporti) è fra due numeri interi, ma l'altro è fra due quantità (le velocità angolari dei pianeti) che si possono rappresentare con grandezze geometriche.
Inoltre Keplero calcola che i rapporti dei piccoli numeri interi sono rapporti corrispondenti ad intervalli musicali consonanti, come la quinta o la terza maggiore o minore, e dunque - ad esempio - uguali ai rapporti della lunghezza di una sequenza (o di più sequenze) che produrrebbe i suoni di questi intervalli. Per esempio, nel caso di Marte si può trovare una quinta, e nel caso della Terra un semitono minore [nota 160].

68. Quando due grandezze geometriche o due grandezze che si possano rappresentare con grandezze geometriche (come le velocità e le altezze) vengono associare in un rapporto, i termini del rapporto devono essere della stessa unità - cioè, ad esempio, le velocità devono essere entrambe in chilometri all'ora, o in piedi al secondo eccetera).
La terza legge sui movimenti planetari di Keplero dice che i quadrati dei periodi (cioè dei valori del tempo che ciascun astro impiega per compiere la sua rivoluzione intorno al Sole) di due pianeti stanno l'uno all'altro come i cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche lungo le quali si muovono (approssimativamente) - pur che tanto i due periodi tra di loro quanto i valori dei due semiassi tra di loro siano espressi nella stessa unità di misura. I periodi o la lunghezza dei semiassi maggiori potrebbero essere incommensurabili (in senso matematico, cioè riferito alla differenza tra numeri razionali ed irrazionali) con alcune unità di misura, ma i rapporti si manterrebbero uguali a quelli fra due piccoli numeri interi. Per esempio, in termini moderni, il rapporto tra 3 volte pi e 2 volte pi equivale al rapporto di 3 a 2.

69. Keplero riteneva che la Geometria fosse fondamentale nell'operato di Dio, e che i rapporti geometrici di Dio fossero le componenti basilari del Cosmo, la cui conoscenza può essere risvegliata in noi dai nostri contatti sensoriali con il mondo esterno a noi. Inoltre criticava gli Algebristi del suo tempo, per la loro mancanza di profondità e le loro attitudini utilitaristiche. Quando si ha a che fare con i fondamenti della Matematica - sostiene - è necessario tornare alla Geometria [nota 161].
Le armonie cosmiche che Keplero ha dedotto si possono considerare caratteristiche del Cosmo in virtù del fatto che scaturiscono da specifici rapporti di grandezze geometriche come si riscontrano tanto in Natura quanto in noi. Che le grandezze che appaiono in noi corrispondano realmente a quelle al di fuori di noi si può verificare grazie a misure al di fuori di noi, allo scopo di controllare se i rapporti proposti fra queste grandezze si ottengano realmente. Tuttavia - come si legge in Harmonice mundi - noi siamo nati con le nostre anime risonanti di armonie archetipiche che non sono semplici immagini di armonie, ma armonie vere e proprie, il che significa che queste armonie sono in realtà l'anima [nota 162].
Anche Fludd si era interessato molto alle armonie cosmiche, ma Keplero gli contestò il fatto che i rapporti di Fludd non sorgono da specifici rapporti fra grandezze geometriche oggettive, ma da numeri assegnati arbitrariamente e soggettivamente a svariate immagini che Fludd aveva in mente. I rapporti di Fludd sono rapporti di piccoli numeri semplici privi di connessione con le attuali grandezze cosmologiche, ad eccezione del caso degli intervalli musicali.

70. Pauli sottolinea l'avversione di Fludd al quantitativo, inteso nel senso che i medici attribuiscono a questo termine. Nel sistema di Fludd si riconoscono due principi fondamentali, cioè la forma come principio di luce - che le giunge dall'alto - e la materia, un principio oscuro che si esprime sulla Terra.
Pauli scrive:
La svalutazione di qualsiasi quantificazione, che caratterizza il pensiero di Fludd, perché a suo avviso il quantificare - come la divisione e la molteplicità - appartiene al principio oscuro (materia, negatività), ha come risultato un'ulteriore differenza fondamentale tra il punto di vista di Fludd e quello di Keplero in relazione alla posizione dell'anima nella Natura.
La sensibilità dell'anima alle proporzioni - tanto fondamentale per Keplero - nella concezione di Fludd è solamente il risultato del suo essere impigliata nel mondo corporeo (oscuro), mentre le sue facoltà immaginative scaturiscono dalla sua vera natura, che ha origine nel principio della luce (o forma).
Mentre Keplero espone il punto di vista che l'anima sia parte della Natura, Fludd contesta il concetto che l'anima umana sia una parte di qualcosa, dal momento che l'anima non è partecipe delle leggi del mondo fisico, cioè - dal momento che appartiene al mondo della luce - è inscindibile dalla totalità dell'Anima del Mondo, [nota 163]
Sembra dunque che Fludd si serva della parola forma nel significato con il quale usiamo oggi la parola simbolo.

71. Pauli scrive:
Tuttavia sembra che la concezione di Fludd sia più semplice da comprendere se viene considerata nella prospettiva di una più generale differenziazione fra due diversi tipi di mente, differenziazione che si può chiaramente rintracciare nel corso della storia: il primo tipo di mente si individua nella considerazione quantitativa di singole parti che compongono un'Unità essenziale, il secondo tipo di mente ha a che fare con l'aspetto visibile qualitativo dell'Intero.
Nell'Antichità abbiamo già trovato questa contrapposizione - per esempio - nelle corrispondenti definizioni della Bellezza: secondo un modo di intenderla la Bellezza è l'insieme armonioso delle singole parti che si accordano l'una con l'altra a formare un intero, secondo un altro modo di intenderla (che risale a Plotino) non c'è alcuna suddivisione in singole parti dal momento che la Bellezza è un ideale irradiarsi dell'Uno che scintilla in uno specifico fenomeno materiale.
Si può trovare un'analoga contrapposizione anche in epoca più recente, nella notissima diatriba tra Goethe e Newton in relazione alla teoria dei colori: Goethe aveva un'avversione alle parti simile a quella di Fludd, ed ha sempre deprecato la dannosa influenza degli strumenti tecnici per misurare i fenomeni naturali. [nota 164]

72. Le immagini matematiche di Keplero nel modo in cui lui le concepiva - cioè come rivelazioni della Natura esterna che di volta in volta gli si chiariva - non sono mai parte di un confronto ma, a suo modo di vedere, dovevano comunque servire a stabilire delle corrispondenze di qualcosa di insito in lui con qualcosa che si trovava al di fuori di lui.
Inoltre la sua Matematica si basa sulle opere di grandi Matematici dell'Antichità - come Euclide, Apollonio ed Archimede - ampliate dagli approfondimenti di molti altri Matematici "volgari" (per usare la dispregiativa valutazione di Fludd) successivi dello stesso tipo, compreso se stesso: molte delle sue intuizioni matematiche sono oggi ancora valide come lo erano al suo tempo, e molte sono ancora largamente applicabili, anche se spesso sono parte integrante di sistemi complessi di calcolo e di tradizioni elaborate fin dai tempi di Keplero.

73. Talvolta Keplero si rivela stravagante - almeno secondo gli attuali criteri di giudizio - nel fissare le proprie corrispondenze; per esempio, in Mysterium cosmographium [nota 165] leggiamo la sua proposta in relazione al fatto che il numero e la distanza dei pianeti seguano a priori le proprietà dei cinque solidi regolari.
Ma - a parte queste eccezioni - egli dedicò una incredibile quantità di impegno alla verifica della suddetta concezione, contro le osservazioni di Tycho Brahe.
Nella sua ultima opera maggiore, l'Harmonices mundi (del 1619), questa concezione si è evoluta nella terza legge sui movimenti planetari, che enuncia che i quadrati dei periodi dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle ellissi lungo le quali si muovono: questa legge è ancora valida, almeno a livello di prima approssimazione.
La teoria kepleriana sulla connessione tra l'armonia musicale ed i movimenti del sistema solare - una specie di espressione quantitativa della teoria pitagorica della Musica delle Sfere - elaborata in Harmonices Mundi, non ha riscosso lo stesso successo scientifico delle leggi sul movimento planetario, ma non può in alcun modo essere considerata alla stregua di una Filosofia occulta. Io odio ogni cabalismo, ebbe una volta a dire Keplero stesso.

74. Pauli ha espresso la propria opinione su persone come Keplero - che si occupano dei rapporti quantitativi fra le parti delle cose - e persone come Fludd - che si occupano dell'aspetto qualitativo visibile delle cose nel loro complesso, e sottolinea che, oltre a quelli sopra ricordati, esistono altri punti di attrito tra le concezioni di Fludd e quelle di Keplero, in quanto il primo (contrariamente al secondo) basa le proprie asserzioni specificamente sull'uso del linguaggio.
Nel V capitolo del suo De stella nova, (composto nel 1606), Keplero si dilunga a spiegare che i nomi dei segni dello zodiaco sono arbitrari e non hanno alcun significato occulto; e Gérard Simon osserva che queste pagine sono caratteristiche dell'atteggiamento intellettuale di Keplero e dimostrano che aveva riflettuto sul fatto che l'Astrologia tradizionale si basava sull'assenza di distinzione tra la cosa ed il simbolo, tra il simbolo ed il nome, tra il nome ed il significato: il problema - sostiene Simon - consiste nel sapere se le parole sono conformi alle cose. [nota 166]

75. Nell'Appendice ad Harmonices mundi, Keplero contesta sia a Tolomeo sia a Fludd la concezione delle armonie cosmiche come nient'altro che simbolismo puro e semplice, [...] cioè nient'altro che arte poetica e retorica.
É una vecchia storia: il dibattito tra quanta parte del resto della realtà sia equivalente al linguaggio, che risale almeno al Cratilo di Platone. L'esempio kepleriano dello zodiaco sopra citato non è affatto sufficiente ad indicare quanto il problema sia profondo, ma è abbastanza facile comprendere che i nomi dei segni zodiacali siano stati attribuiti a seguito dell'osservazione di forme abbastanza arbitrariamente riferite a certe costellazioni, e che la Bilancia - ad esempio - non ha alcuna specifica connessione (se non puramente legata al linguaggio) alla giustizia o al comportamento equilibrato, sebbene gli Astrologi credano diversamente.
Ma non c'è nient'altro se non linguaggio usato arbitrariamente, come in questo caso?

76. In De stella nova, Keplero mette in ridicolo l'uso cabalistico di considerare il linguaggio come diretta emanazione di Dio, tale da consentire la deduzione di stravaganti significati nascosti da parole e frasi grazie alla trasposizione delle lettere alfabetiche che le compongono.
Tuttavia è opportuno ricordare che - basandosi sul libro della Genesi - i Cabalisti, e non solo loro, credevano che sia stata la parola di Dio quel che ha consentito al mondo di esistere; e - come sottolinea Robert Westman - le maggiori opere di Fludd sono una specie di commento della Genesi.
Così, anche se Fludd rivela nei confronti della creazione del mondo ad opera della Natura un intenso interesse - forse molto maggiore di quella di tutti gli altri commentatori della Genesi che lo hanno preceduto - in definitiva la sua concezione coincide con quella della Genesi. [nota 167]

77. Brian Vickers, ponendo in esame la differenza tra analogia ed identità e fra linguaggio letterale e linguaggio metaforico - scrive:
Nella tradizione scientifica, a mio parere, si fa una chiara distinzione tra parole e cose e tra linguaggio metaforico e linguaggio letterale, ma la tradizione occulta non conosce tale distinzione: ci si comporta con le parole come se fossero le cose che indicano ed un vero e proprio alter-ego delle cose medesime; il che significa che si pensa che manipolandone una (la parola) si manipoli anche l'altra (la cosa corrispondente).
Le analogia - invece di essere, come sono nella tradizione scientifica, degli attributi esplicativi subordinati all'argomento a cui si riferiscono, o strumenti euristici atti alla costruzione di modelli che possano essere testati, corretti e (se necessario) abbandonati - sono modi per intendere le relazioni nell'Universo che materializzano, irrigidiscono e (in ultima analisi) giungono a dominare il pensiero.
In pratica non si usano le analogie: si viene usati da esse, ed esse diventano l'unico modo in cui si riesce a comprendere il manifestarsi del mondo. [nota 168]

78. Vickers esamina alcuni esempi di inclinazioni all'occulto attraverso il linguaggio in Boehme, Ficino, Agrippa, Paracelso, Comenio e John Webster, e le critiche (almeno nelle implicazioni) ai risultati di tali inclinazioni in altri Studiosi come Bacone, Galileo, Seth Ward, John Wilkins, Daniel Sennert, Johann Van Helmont, Robert Boyle e John Locke.
Ad esempio, in Il Saggiatore si trova una frase di Galileo rivolta a Lothario Sarsi - pseudonimo del gesuita Orazio Grassi:
Non sono affatto sicuro che per fare di una cometa un quasi-pianeta - in modo poi da corredarlo degli attributi degli altri pianeti - sia sufficiente, come fanno Sarsi o il suo Maestro, considerare che la cometa sia un quasi-pianeta e dargli un nome appropriato a tale considerazione. Se le opinioni e le voci di questi signori hanno il potere di creare quello a cui attribuiscono il nome, allora chiedo loro il favore di venire nel cortile di casa mia e chiamare oro tutti i ferrivecchi che vi sono accumulati. [nota 169]
In seguito, nella stessa opera, si trova scritto:
Io credo che per risvegliare in noi sapori, odori e suoni non sia necessario nient'altro che la forma, i numeri e movimenti lenti o veloci. E penso che se anche ci tagliassero le orecchie, la lingua ed il naso, le forme ed i numeri ed i movimenti rimarrebbero comunque, anche se sapori, odori e suoni svanirebbero, perché questi ultimi - a mia opinione - non sono altro che effetti del nome anche quando detto nome sia separato dall'oggetto a cui si riferisce, proprio come il solletichio ed il titillamento non sono altro che nomi in assenza di ciò a cui si applicano, cioè le ascelle o il naso. [nota 170].

79. Isaac Newton aveva una simile concezione: in una lettera a Richard Bentley, in data 25 febbraio 1692/1693, si lamenta di un'affermazione di Bentley che suona assurda come quella in cui si dice che ci dovrebbe essere un'infinita somma aritmetica di numeri, il che è una contraddizione di termini: ma tu non lo consideri assurdo, e non sottolinei neanche che quel che quella gente intende parlando di un'infinita somma di numeri sia una contraddizione in natura.
Con contraddizione di termini non si intende nulla più che un0improprietà di linguaggio: quelle che la gente talvolta intende come frasi improprie e contraddittorie - talvolta - possono essere reali in natura e non mostrare alcuna contraddizione di fatto, perché ad esempio un corno d'argento o un foglio di cartapecora o una pietra focaia di ferro sono espressioni assurde in natura, eppure le cose indicate esistono realmente, [nota 171]

80. Vickers aggiunge ancora qualcosa sulla diatriba tra Keplero e Fludd: l'atteggiamento di Keplero nei confronti dell'analogia viene chiarita da una citazione tratta da una lettera del 1605 di Keplero stesso a Maestlin:
Si deve considerare ogni corpo planetario come magnetico o quasi-magnetico; di fatto io suggerisco una similitudine, ma non affermo affatto un'identità [nota 172].
In breve, Keplero ha compreso i limiti dei modelli matematici.

81. Vickers cita un'interpretazione di S. J. Tambiah ad opera di Malinowski e datata al 1968, dal titolo The Magical Power of Words, in relazione all'effetto delle parole sacre che si pensa posseggano uno speciale tipo di potere che normalmente non è associato al linguaggio e che deriva da antiche e diffusissime convinzioni del magico potere delle parole: si trovano esempi di ciò negli Inni Vedici indù, in alcune dottrine buddiste, nella religione iraniana Parsi, nei riti sacri degli antichi Sumeri, degli Egizi e dei Semiti che credevano che il mondo ed i suoi oggetti fossero creazioni della parola di Dio, e fra i Greci la cui dottrina sul logos postulava che l'essenza delle cose si trova nel loro nome.
Nella Bibbia - ad esempio - leggiamo: Così sarà la mia parola che esce dalla mia bocca: essa non tornerà a me senza frutto, senza aver fatto ciò che io desidero e riuscirà nella missione per la quale l'ho inviata. [nota 173]

82. Di fatto, il 3° verso del primo libro della Genesi, nella versione standard rivista, suona in questo modo:
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
Poco più sotto, in Genesi 2.19-20, del primo uomo Adamo si dice:
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. - 20 - Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Nel cristiano Vangelo di Giovanni, leggiamo esplicitamente: all'inizio c0era la Parola e la Parola era Dio e poi anche; e la Parola si fece carne. In questo contesto il termine parola è una traduzione del termine logos, il cui significato è abbastanza elastico, ma la traduzione parola è quel che sembra adattarsi meglio al concetto espresso dal testo in relazione alla parola di Dio come si intende nel Vecchio Testamento. Forse anche l'evangelista Giovanni riteneva che la parola di Dio contenesse di per sé una connotazione di ordine e di ragione in qualità di valori creativi opposti al caos; ma in ogni caso un gran numero di commentatori Ebrei, Mussulmano e Cristiani sottolineano il fatto che Dio abbia creato il mondo attraverso la parola.
Talvolta qualche commentatore sostiene che Dio abbia creato il mondo grazie ad ordini espressi oralmente, e dunque la creazione sarebbe in analogia ad atti del linguaggio, e non puri e semplici effetti del linguaggio in senso reale, non simbolico. Ma la maggioranza ritiene che gli atti di Dio per la creazione - così come sono descritti nella Genesi - siano puri e semplici atti del linguaggio da intendersi in senso reale e non analogico, perciò considerano che il linguaggio sia lo strumento più sacro e potente che Dio abbia assegnato ad Adamo quando - come si è detto nella precedente citazione della Genesi - gli concesse il dono di assegnare il nome ad ogni creatura, il che equivale a dire che gli ha assegnato il dominio - il potere - al di sopra di loro [N.d.T - si intende evidentemente lo specifico potere di far sì che, tramite il nome, Adamo conferisse ad ogni creatura delle caratteristiche specificamente collegate e dipendenti da tale nome].

83. A parte la questione dei doni divini, il linguaggio è - ovviamente - uno strumento umano di immenso potere: chi potrebbe negare il potere di un ordine, di una promessa, di un accordo, di una descrizione, di una menzogna, della letteratura e di tutti gli altri effettivi atti del linguaggio?
Nel Cratilo di Platone, Socrate dà a Pan gli appellativi di parlatore e colui che muove tutte le cose, e dice che è la Parola, o il fratello della Parola: chi potrebbe immaginare la società umana, la civiltà, la cultura come fenomeni completamente scissi dal linguaggio? Ma è lecito concedergli il riconoscimento implicito nell'essere colui che muove tutte le cose inteso nel senso di colui che crea tutte le cose? Cioè colui che crea il Sole e tutti i pianeti e li mette in movimento, ed insieme a loro crea e mette in movimento tutte le loro particelle componenti e tutte le onde in loro ed intorno a loro?

84. Le possibilità ed i limiti del linguaggio sono ininterrottamente argomento di studio e di osservazione, e - allo scopo di chiarire l'argomento - qui è sufficiente citare due opposti punti di vista contemporanei.
Imparare a parlare - sostiene Han-Georg Gadamer - non significa semplicemente imparare a fare uso di un preesistente insieme di strumenti che consentono di designare il mondo che in qualche modo ci è già familiare: in realtà significa acquistare la capacità, la familiarità e la conoscenza del mondo stesso ed il modo in cui confrontarci con il mondo. [...] Il linguaggio non si arresta al limitato mondo dell'esprimibile a parole, ma lo sovrasta espandendosi in altre ed inesprimibili direzioni.
In realtà, il linguaggio comprende tutto: non c'è nulla che sia fondamentalmente escluso dalla possibilità di essere detto e dalle implicazioni che il nostro atto del dire comporta. [nota 174]

85. Alfred North Whitehead è di parere opposto:
Il linguaggio si è sviluppato come risposta e su impulso di determinate azioni pratiche ed è subordinato all'affiorare dei fatti. [...] Tuttavia quel che dei fatti affiora è la parte più superficiale. [...] Vi sono altri elementi che fanno parte della nostra esperienza, ai confini della consapevolezza ma già intensamente monitorati dalla conoscenza. [...] Il linguaggio è incompleto e frammentario, e non è se non una pura e semplice registrazione, un palcoscenico sul quale viene rappresentato a parole quel che va oltre la condizione animale dell'Umanità.
Tutti gli uomini sperimentano lampi di intuito che vanno ben oltre i significati già codificati dall'etimologia e dalla grammatica: basti pensare al ruolo della Filosofia, della Letteratura e delle Scienze speciali che si prefiggono - secondo diverse modalità - di coniare espressioni che riescano a descrivere sempre meglio il significato di quel che esiste ma non si sa ancora esprimere. [nota 175]

86. Keplero [N.d.T - si ricordi che è stato anche studioso di Astrologia ed Astrologo] sostiene che attribuire ad un segno dello Zodiaco il nome di Scorpione in virtù di una lieve somiglianza tra l'arbitraria forma arbitrariamente assegnata ad una costellazione, non fa automaticamente sì che il segno - o i pianeti contenuti nel segno - abbia la qualità di instillare in qualche atteggiamento umano le caratteristiche degli scorpioni appartenenti al regno animale: a sua opinione, questa è una falsa deduzione perché si basa su un'analogia mal costruita e dunque non valida.
Ma Keplero non esclude affatto l'utilità dell'analogia in generale: Alexandre Koyré osserva che in Astronomia nova, a proposito della natura della forza che fa sì che i pianeti si muovano intorno al Sole, Keplero sostiene che possiamo solamente procedere per analogia ad altre emanazioni meglio conosciute, ed in particolare la luce ed il magnetismo, ma specifica che - se procediamo in questo modo - la nostra conoscenza della forza di movimento degli astri rimarrà vaga ed incompleta, per quanto l'analogia ci fornisca una certa idea del tipo di realtà con cui abbiamo a che fare [nota 176].

87. L'atteggiamento di Keplero nei confronti dell'analogia ricorda in un certo senso (cioè è analogo!) all'atteggiamento di Galileo nei confronti dell'idealizzazione, a proposito del quale Koyré - nella sua opera dal titolo Études galiléennes - ha spiegato tanto chiaramente che Galileo si occupa di corpi che si muovono nel vuoto, su superfici prive di attrito, con movimenti perennemente privi di perturbazioni e di velocità costante e sempre uguale alla loro velocità iniziale (e senza dubbio in orbite perfettamente circolari), pur essendo le orbite dei proiettili da cannone delle perfette parabole (dal momento che gli Antichi concepivano i movimenti degli astri secondo orbite perfettamente circolari, mentre le palle si cannone si muovevano lungo parabole essendo oggetti appartenenti alla sfera sublunare), cioè come semplici pendoli perfettamente isocroni (appena fuori tempo, ma praticamente esatti nel caso di piccole oscillazioni).
Come diremmo oggi, Galileo ha prodotto dei modelli matematici per i diversi stati fisici dei processi, e tali modelli contengono solamente alcuni aspetti quantitativi dei fenomeni in questione. Anche Keplero era molto interessato alla creazione di modelli geometrici, e si dilettava particolarmente del suo anticonvenzionale modello del sistema solare costruito sulla base di poliedri regolari dal comportamento pari a quello degli astri.

88. Nè il modello di Keplero né quello di Galileo sono perfettamente o totalmente in accordo alla realtà, dal momento che i modelli matematici lo sono raramente: loro modelli sono idealizzazioni, astrazioni, e - nel caso di quantità intese come continue - inevitabilmente sottoposti ad un certo livello di approssimazione.
I trattati di Galileo - laddove pone i fondamenti della scienza della resistenza dei materiali - contengono grafici di raggi lignei tutt'altro che idealizzati, con i nodi del legno perfettamente visibili,e con pianticelle che spuntano dalle crepe della pietra a cui i raggi sono ancorati [nota 177]: è comunque evidente che le idealizzazioni e le astrazioni geometriche galileiane non comprendono affatto tutte le componenti della realtà, ma solo alcune proprietà essenziali ( o meglio, essenziali secondo i criteri di Galileo).

89. Come Galileo, anche Keplero si rendeva conto che - a lungo andare - il suo splendido modello con iscrizioni e circoscrizioni di solidi regolari nelle sfere planetarie non era la copia esatta della realtà, e che neppure l'introduzione di poliedri semiregolari dai comportamenti planetari avrebbe offerto un modello esatto; ma il modello si rivelò comunque utile a guidarlo alla scoperta delle sue tre leggi relative al movimento planetario, che ancora si considerano valide.
Anche tali leggi, però, sono solamente applicazione di modelli idealizzati, come quelli relativi al movimento di un pianeta intorno al Sole considerando il Sole fermo ed ignorando l'effetto ed i movimenti di tutti gli altri pianeti. Oltre a ciò, spesso si considerano il Sole ed i pianeti come puri e semplici punti, e non come corpi che hanno una certa dimensione. Così le leggi non possono essere se non buone approssimazioni a determinati comportamenti dei pianeti, anche se non è poi così facile definire che cosa significhi buono nel caso di buone approssimazioni, per quanto sia evidente a molti che il confronto delle approssimazioni fornite da queste leggi con le attuali misure - che sono anch'esse frutto di leggi approssimate, non è una semplice sequenza di numeri assegnati ai fenomeni: le leggi sono comunque utili per valutare quel che accade al di fuori di coloro che delle dette leggi si servono.

90. Abbiamo fino ad ora esaminato alcune delle frizioni tra il misticismo del numero e la Matematica applicata: in ogni caso, l'affermazione della Johannisson che la tradizione ermetica si sia servita della razionalità in senso matematico non dovrebbe essere presa a garanzia del fatto che i Filosofi della Natura siano stati spinti dagli Ermetici alla comprensione del ruolo e dell'importanza della Matematica in discipline quali l'Astronomia e la Fisica, e neanche del fatto che la gente comune - facendo uso della Matematica per comprendere l'insieme del Creato - si sia trovata a fare i conti con la segretezza ermetica.
Questa valutazione non è affatto nuova: Robert Westman - per esempio - in un suo studio sull'ipotetico contributo dell'Ermetismo alla rivoluzione scientifica, sostiene:
Keplero e Galileo hanno creato specifici criteri allo scopo di consentirci di soppesare il valore di una teoria rispetto ad un'altra dal punto di vista della comprensibilità matematica e dell'adeguatezza empirico: è proprio quello che gli Ermetici non hanno fatto, dal momento che separavano la Matematica dalla Filosofia della Natura o non riuscirono a comprendere quando i principi matematici fossero connaturati - se non proprio totalmente subordinati - a quelli fisici. [...]
In realtà sono moltissime le componenti matematiche e fisiche che Bruno ed altri Ermetici di valore conseguirono grazie alle loro personali intuizioni creative, spesso sviluppate grazie all'influsso di dottrine formulate per la prima volta dalla Filosofia medievale della Natura, ed apertamente in contrasto rispetto alle concezioni della loro dottrina ermetica di appartenenza."[nota 178]

91. La Johannisson esamina anche il ruolo delle concezioni massoniche e rosacrociane nella nostra Scienza moderna. Il pensiero rosacrociano - ella sostiene - - che esista ancora o meno nella nostra società - contiene tra le proprie concezioni un modo decisamente ampio di vedere il mondo ed il rifiuto di sottomissione alle dottrine cristiane insieme ad un'appassionata fiducia nelle possibilità offerte dalla Scienza al progresso umano.
La scienza rosacrociana si basava su concezioni ermetiche e sul pensiero di Paracelso, perciò era profondamente intrisa di magia, Cabalismo ed Alchimia, ma a queste discipline la Johannisson aggiunge anche la Matematica, la Fisica, la Cosmologia e la Medicina, decisamente orientate a scopi umanitari.
Tuttavia la Matematica e la Fisica venivano concepite in modo assai più simile a quello di Fludd che a quello di Keplero, anche se conservavano tracce - sia pur lievi - di Euclide, Apollonio, Archimede o dei Filosofi medievali interessati alla quantificazione della Natura, soprattutto di quelli che si erano occupati dello studio dei movimenti degli oggetti fisici.

92. Sembra che la Johannisson sia particolarmente fedele ai concetti espressi in alcune circostanze da Frances Yates, e specificamente a quelli relativi al pensiero tosacruciano nel modo in cui è stato inteso dalla maggior parte degli adepti, anche se, nel 1979, Brian Vickers giunse al punto di sostenere decisamente che nel suo libro The Rosicrucian Enlightenment, la reinterpretazione della Storia del Rinascimento della Yates non poggia affatto le proprie radici sulla sabbia, perché è completamente campata in aria. [nota 179]
Eppure, Merkel e Debus - nel 1988 - scrivono che sono ben pochi coloro che potrebbero contestare il fatto che - almeno in termini generali - il pensiero rosacrociano fosse tenuto in grande considerazione dagli Scienziati e dai Medici del XVII secolo, a qualsiasi scuola di pensiero appartenessero.

93. Newton scrisse solo poche note relative alle concezioni ermetiche, e tali note sono state commentate da,Betty JoTeeter Dobbs [nota 180].
Ciò non ostante, lo stesso Newton condusse studi molto approfonditi di Alchimia [nota 181]: l'Alchimia è una dottrina paragonabile all'Astrologia sia in termini di antichità sia in termini di concezioni, ed i legami tra le due discipline risalgono ad epoca antichissima. Per esempio, i metalli principali vengono associati ai pianeti (come sempre, Sole e Luna compresi), e tanto i significati astrologici quanto quelli alchemici di pianeti e metalli sono strettamente intrecciati.

94. Lo psicologo e psicoanalista Carl Gustav Jung ha ampiamente dimostrato che molto del simbolismo di tali studi - specialmente in contesto alchemico - scaturisce da proiezioni della personalità dei ricercatori in quei materiali: la più antica Alchimia - secondo Jung - non ha mai avuto lo scopo di fare ricerca sulla natura della materia e sulle sue combinazioni.
Tale interesse - inteso nel senso che noi oggi daremmo al termine Chimica - era, sempre nell'opinione di Jung, secondario rispetto all'osservazione delle trasformazioni psicologiche che si potevano ottenere grazie alle trasmigrazioni alchemiche: da questo punto di vista, solo nel corso del XVII secolo si sarebbe manifestata una sorta di Alchimia materialistica razionalistica, generata dall'antica Alchimia classica grazie all'apporto delle teorie corpuscolari meccanicistiche della materia, secondo le quali la materia era composta di particelle in grado di muoversi secondo determinati modelli.

95. Si dovrebbe ricordare che - quando esaminiamo le concezioni dei diversi Pensatori sui cieli, sulla religione astrale e sull'Astrologia, e successivamente sulla Cosmologia matematica e gli inizi della Meccanica celeste - dovremmo rigorosamente evitare di distorcere e fraintendere le posizioni di coloro che hanno trattato tali argomenti: benché - come è naturale - vi siano specifiche differenze tra l'una e l'altra delle concezioni, tutti questi Studiosi si interessavano molto alle trasformazioni della materia sulla Terra.
Quale che sia il valore delle teorie di Jung sul significato psicologico dell'Alchimia, molti Filosofi della Natura nitrivano profondo interesse nei confronti di quel che potremmo definire reazioni chimiche, per quanto sia vero che solo nel corso del XVII secolo si cominci a presentarle come variazioni di alcune delle teorie dei quattro - o cinque - elementi (fuoco, aria, terra, acqua e la "quinta essenza" - o quintessenza - cioè l'etere) ereditate dall'Antichità.

96. Nel corso degli ultimi decenni del XVI secolo e dei primi del XVII secolo in Europa si verificò un vero e proprio rifiorire dell'Alchimia, che procedette di pari passo al rifiorire dell'Astrologia. Dobbs scrive:
Nel rifiuto della tradizione pagana sui fenomeni naturali elaborata da Aristotele e da Galeno, gli Ermetici rinascimentali erano giunti ad attribuire un'enorme considerazione al primo libro della Genesi; e proprio nella Genesi si trova la spiegazione del comportamento di Dio durante la creazione del mondo, in modalità impossibili da discutere o da contestare e che non potevano se non essere interpretate come una separazione chimica degli elementi ad opera divina.
Ma se lo stesso atto della creazione poteva essere rivisto in senso chimico, allora tutta la Natura avrebbe potuto essere decifrata nello stesso modo, ossia attraverso formule chimiche, il che significa che la Chimica si doveva considerare la vera e propria chiave alla comprensione della Natura, la chiave che apriva tutti i misteri della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo che avevano ossessionato Robert Fludd e tanti altri.
Lo studio della Chimica era dunque equivalente allo studio di Dio e del modo in cui Egli stesso so era comportato nello scrivere la storia sul Libro della Natura: e quindi tale studio avrebbe avuto il risultato implicito di portare sempre più vicino a Dio, il che significa che doveva essere considerato di alto valore morale, soprattutto nella sua capacità di fornire migliori agganci alla comprensione del funzionamento della Natura ed in quella - tutt'altro che secondaria - di fornire migliori preparati medici per la cura delle malattie. [nota 182].

97. Nel XVII secolo si coagulò a poco a poco una comune concezione dei "Corpusculari" - dei quali Robert Boyle (vissuto tra il 1627 ed il 1691) è forse il più famoso - secondo i quali qualsiasi elemento in Natura è composto di corpuscoli o particelle elementari, tutte composte dallo stesso tipo di materia.
Dobbs scrive:
Le particelle primordiali probabilmente differivano come forma e dimensione, così come differivano le lettere dell'alfabeto; dalla combinazione - secondo diversi ordini, raggruppamenti e suddivisioni - di svariate particelle primordiali, poi. si sarebbero formati corpi più complessi, esattamente come dall'alfabeto si possono formare le parole.
L'analogia dell'alfabeto era universalmente usata per spiegare i cambiamenti chimici, ma per quanto le particelle potessero differire per qualità, dimensione, aspetto e comportamento, si pensava che fossero comunque fatte tutte della stessa medesima sostanza. [nota 183]
Il che rappresenta una quasi incontrollabile tentazione ad affrontare un esame dei collegamenti tra il Cabalismo ebraico e la connotazione alfabetica della nostra attuale Chimica.

98. Newton dedicò una notevole quantità del proprio tempo ed un assiduo impegno allo studio dell'Alchimia, ma è veramente difficile comprendere fino a che punto l'Alchimia e l'Ermetismo da essa sottinteso abbiano influenzato la creazione delle sue teorie sulla Meccanica.
J. E. McGuire ha ipotizzato che l'orientamento intellettuale di Newton incarna una struttura concettuale che si differenzia notevolmente dalle concezioni neoplatoniche care ai suoi contemporanei di Cambridge e che la tradizione magica ed alchemica esercitarono un ruolo niente affatto decisivo nella concezione newtoniana della Natura.
L'Ermetismo esercitò comunque una certa influenza sulla Filosofia della Natura studiata a Cambridge - continua McGuire - poiché i Platonici di Cambridge procedettero ad una revisione del Neoplatonismo, che tentarono di legittimizzare riferendolo alle loro interpretazioni dell'Ermetismo cristiano.
Per un breve lasso di tempo nel decennio tra il 1690 e gli inizi del nuovo secolo - scrive McGuire - anche Newton condivise apertamente queste concezioni, ma in seguito - come la maggior parte dei suoi contemporanei a Cambridge - rifiutò altrettanto apertamente qualsiasi formulazione della dottrina ermetica. [nota 184]

99. D'altro canto, Richard Westfall sostiene:
Se si cerca la fonte della concezione newtoniana della forza di attrazione e repulsione fra le particelle di materia, idea che ha modificato radicalmente la precedente Filosofia della Natura ed ha dato l'avvio alla concezione intellettuale della Scienza moderna, suggerisco che l'Alchimia, o meglio il particolare interesse rivelato da Newton nei confronti del vasto corpus di conoscenze alchemiche sia stato quel che gli ha offerto lo stimolo ad affrontare concetti che andavano oltre la semplice ontologia della Filosofia meccanicistica del suo tempo.
A me sembra che il concetto newtoniano di forza incarni la specifica e duratura influenza dell'Alchimia sulle sue concezioni scientifiche. [nota 185]
Westfall sostiene che non necessariamente questo modo di vedere si scontra con quello espresso da McGuire: afferma che McGuire ha il pregio di aver dimostrato il peso del Platonismo nella formazione culturale degli insegnanti di Newton a Cambridge - un insegnamento in cui si riconosce chiaramente il concetto di principi attivi - che non può non aver influenzato il modo di concepire le forze naturali di Newton.
Westfall si dichiara d'accordo con quanto appena detto, ed aggiunge che l'Alchimia esercitò una grande influenza sul concetto newtoniano di forza, dal momento che per ogni pagina degli scritti di Newton in cui si faccia diretto riferimento ai Platonici di Cambridge ed in particolare a More ed a Cudworth ve ne sono ben più di cento sull'Alchimia, che non si possono certo trascurare. [nota 186]

100. 100. Dobbs, Westfall ed altri hanno sostenuto che il concetto di forza di Newton - uno tra i principali ed i più misteriosi dei concetti della meccanica newtoniana (compreso nella sua teoria del comportamento delle parti di materia) - sia derivato almeno parzialmente dalla sua conoscenza dell'Alchimia; tuttavia si è dibattuto moltissimo sulla condizione ontologica delle forze newtoniane, anche perché lo stesso Newton - all'inizio dei suoi Principia - ha specificato che esistevano tre tipi di forze: la forza di resistenza, o inerzia; la forza impressa che tende a cambiare lo stato di un corpo con un movimento uniforme (velocità costante), della quale forza nomina tre tipi, per percussione o forza impulsiva, forza di pressione e forza centripeta; e la forza di attrazione, come la gravità (in questo caso non viene nominata la forza repulsiva, anche se presumibilmente una forza centripeta potrebbe essere intesa come forza di repulsione: tuttavia Newton parla di forze repulsive altrove nei suoi Principia) [nota 187].
Le tre leggi newtoniane sul movimento forniscono anche la procedura per misurare quantitativamente tali forze [nota 188], e specialmente nella seconda legge - per dirla in termini moderni - si afferma che una forza che si esercita su un corpo può essere misurata come la variazione del momento che produce nel corpo, dove il momento del corpo si può calcolare misurando la massa e la velocità del corpo e moltiplicando questi due valori tra di loro [nota 189].
Perciò, nel caso di una massa costante nel tempo, una forza che agisce su un corpo è proporzionale all'accelerazione del corpo stesso, variando al variare dei suoi cambi di velocità.

101. Ci si è spesso chiesti se le definizioni e gli assiomi di Newton costituiscano una definizione della forza: cioè se forza non è altro che la parola che usiamo per indicare le variazioni del momento o se si trovi qualcosa che oltre a ciò costituisca la forza, cioè un potere o una causa o un'attività [nota 190].
Un certo numero di Fisici e di Filosofi sono dell'idea che le asserzioni newtoniane dovrebbero essere interpretate come definizioni del termine forza, e sostengono che postulare l'aggiunta di qualche proprietà soggiacente equivarrebbe ad introdurre dei principi inesistenti o inutili o ingiustificatamente metafisici. Secondo questo punto di vista, l'unico modo possibile per conoscere il manifestarsi di una forza è il fare misurazioni fisiche, e poi interpretarle secondo le leggi newtoniane.
Per una massa fissa, se le misure rivelano un'accelerazione, allora c'è una forza che agisce; in caso contrario la forza non c'è.

102. Nei primi anni in cui si è sviluppata questa diatriba, già ai tempi in cui Newton era ancora vivo, la parola occulto veniva spesso usata anche al posto di metafisico: molti Filosofi della Natura - e specialmente Cartesio ed i suoi allievi - desideravano però eliminare le proprietà occulte dalla Scienza fisica, e di fatto questo fu uno degli aspetti più rivoluzionari della filosofia cartesiana, ed uno fra i motivi esplicativi del suo enorme successo tra gli interessati alla Scienza fisica, anche laddove le dettagliate teorie fisiche cartesiane si rivelarono false; ma è anche uno dei motivi che possono spiegare la forte opposizione che tali teorie provocarono tra i Teologi, malgrado Cartesio si impegnasse ad evitare ogni controversia con le autorità ecclesiastiche.
Cartesio enunciò una profonda separazione tra materia e spirito, e ridusse quasi interamente il problema della materia ad una mera questione di estensione, talvolta assoggettabile alla descrizione matematica.
Negli ambienti astrologici, alchemiche teologici del suo tempo, alcuni devono aver visto queste teorie come una ventata di ossigeno puro, ed altri ancora come una nuvola di gas venefico, ma in entrambi i casi non si trattava di affermazioni che i Filosofi avrebbero potuto prendere alla leggera.

103. Le opinioni di Cartesio non sono del tutto in armonia con quelle di Newton e di alcuni dei suoi maestri ed allievi, che lo hanno contestato sulla base di una serie di motivi sia fisici sia teologici; così sulla differenza tra le concezioni dell'uno e dell'altro si è creato un considerevole dibattito.
Uno dei motivi che spinsero Newton a scrivere i Principia è stato l'intento di offrire il proprio contributo all'abbattimento di certi aspetti della Filosofia cartesiana, così come il motivo che ha spinto Euclide alla stesura degli Elementi può essere stata la necessità di rendere familiare alla gente comune la teoria dei poliedri regolari - per quanto entrambe le opere, quella di Newton e quella di Euclide, si siano rivelate utili ad una enorme quantità di altri scopi.
Una parte del dibattito - che continua ancora oggi - verte sul definire se vi siano o meno delle componenti spirituali nelle forze della Natura, e domande del genere vengono ripetutamente poste ed ottengono risposte sempre diverse: i pianeti vengono mantenuti nel loro movimento da una ininterrotta azione divina, oppure sono stati messi in movimento da un solo iniziale intervento divino che poi li ha lasciati a se stessi, o sono invece stati messi in movimento da pure e semplici forze fisiche, o semplicemente fa parte della loro natura il muoversi senza alcuna forza specifica che li abbia messi in movimento a partire da una condizione in cui non si muovevano?

104. Le concezioni dei Filosofi successivi, ed in particolare di un gruppo di Positivisti tra i quali Comte ed altri a noi contemporanei, (concezioni che si incentrano sulla discussione del seguente problema: le forze newtoniane possono - o meno - essere riconosciute solamente grazie a misurazioni fisiche, che comunque devono essere sottoposte a controllo per comprendere se - una volta ottenute - soddisfino o meno le leggi di Newton medesime?) lasciano irrisolto il problema relativo al modo in cui Newton è giunto a formulare il concetto di forza.
Alcuni Positivisti hanno espresso la loro opinione in proposito, sostenendo di essere interessati soltanto alla ricostruzione di una concezione scientifica poggiata su solide basi logiche, e non al modo in cui si è giunti a porsi il problema. Alcuni anni or sono si pensava che il contesto in cui è avvenuta la scoperta non avesse molto a che fare con il cosiddetto contesto di verifica della scoperta: è certamente vero che i Fisici - a partire dal XVII secolo - hanno prestato poca attenzione al sottofondo astrologico ed alchemico della Meccanica classica, il che - probabilmente - è stata la scelta giusta per la Meccanica classica stessa. Inoltre dovremmo chiederci se la conoscenza del terreno culturale su cui un principio poggia condurrebbe o meno alla reintroduzione - in una versione più raffinata, rivista e corretta - di alcune delle antiche nozioni in seguito escluse dalle concezioni positivistiche.
Di fatto potremmo procedere ulteriormente e chiederci se la maggioranza dei Fisici oggi si preoccupa ancora di riflettere su forze e forme di energia che vanno oltre la possibilità di essere misurate ed interpretate con equazioni matematiche, oppure no.
Almeno in un campo, con l'affermarsi della Meccanica quantistica, gli osservatori sono stati catapultati all'indietro ed è stata resa loro l'importanza che precedentemente avevano: se infatti Carl Gustav Jung ed i suoi allievi hanno ragione, una delle grandi differenze tra l'Alchimia e la Chimica consiste nell'importanza che l'Alchimia assegna alla soggettività della mente dell'osservatore, importanza che è completamente assente dai criteri di valutazione della Chimica - almeno ufficialmente.

105. Il Fisico Paul Davies scrive:
Nella vita di tutti i giorni assistiamo ad una grande attività di moltissime forze tutte attorno a noi: la forza di gravità guida i pianeti nei loro movimenti e crea le maree oceaniche; nei fulmini si manifestano le forze elettriche; molte forze meccaniche muovono i nostri macchinari, le nostre automobili e perfino i nostri corpi.
Ovunque volgiamo lo sguardo, la materia è soggetta a forze di un qualche tipo, che sorgono grazie ad una quantità di diversi fattori. [...]
Il mondo è pieno di oggetti - persone, pianeti, nuvole, atomi, fiori - e pieno di movimento. Le cose avvengono quando gli oggetti in movimento agiscono collettivamente; ed in questo caso ci chiediamo: come è possibile che gli oggetti sappiano cosa fare l'uno dell'altro? Come è possibile che ciascun oggetto sia in grado di reagire e corrispondere appropriatamente alle attività di un altro oggetto? [...]
Anche se il movimento uniforme è naturale e non ha necessità di essere spiegato, i cambiamenti nel movimento richiedono comunque l'intervento di alcuni agenti esterni: dal momento che la condizione di moto uniforme è considerata naturale, diciamo che quando tale condizione di un corpo viene turbata su di esso agisce una forza, e chiamiamo forze gli agenti che producono movimenti forzati. È l'azione delle forze quel che arricchisce l'attività del nostro Universo, e che fa in modo che le svariate parti del mondo acquistino reciproca consapevolezza dell'esistenza di altre parti del mondo. Senza le forse, nulla potrebbe agire o influenzare qualcosa, e tutta la materia dell'Universo si disintegrerebbe nelle sue costituenti elementari, perché ciascuna particella subatomica si muoverebbe per proprio conto, indipendentemente da tutte le altre. [nota 191]

106. È proprio così: agenti, azioni, influenze.
Davies continua:
L'effetto di una forza su un corpo materiale è quella di conferirgli un'accelerazione, il che è spiegato dalla seconda legge di Newton. [...] Per determinare il modo in cui un corpo risponda ad una data forza F, che potrebbe variare di momento in momento, di luogo in luogo sia per intensità che per direzione, è necessario risolvere [ F = ma ] per la posizione del corpo. [nota 192]
La forza esiste prima che si manifesti l'accelerazione, e dunque prima dell'equazione, il che offre ad ogni Filosofo coraggioso grandi occasioni per esprimere il proprio parere.

107. Il Fisico James Trefil sottolinea che il premio Nobel Richard Feynman una volta disse, con la sua solita arguzia, che nelle teorie prenewtoniane sul movimento planetario dovremmo avere molti angeli che volano vicino ai pianeti, agitando le ali per muoverli, mentre secondo la spiegazione newtoniana gli angeli agitano le loro ali per spingere ogni pianeta verso il Sole, più che lungo la propria orbita. [nota 193]
Non so se si tratti di una pura e semplice battuta, o se Feynman abbia in questo caso dimostrato di conoscere il modo in cui si potrebbero evolvere gli studi dei movimenti planetari: sappiamo per altro che la teoria degli angeli che controllano i pianeti era molto popolare nell'Europa medievale: san Tommaso d'Aquino - per esempio - ce ne offre una bellissima versione.

108. In un determinato momento delle proprie riflessioni, press'a poco nel corso del decennio tra il 1670 ed il 1680, Newton ipotizzò una sorta di materia sottile universale o etere, che sarebbe utile nella spiegazione del modo in cui agiscono la forza di attrazione gravitazionale ed altre forze [nota 194].
Si tratterebbe - tanto per dire - di una specie di teoria di campo unificato, cioè una GTE (Grande Teoria Universale), che Newton non riuscì mai a portare a termine, pur senza abbandonare mai l'idea dell'esistenza di un etere universale. In quelle che sembrano le sue ultime riflessioni sul meccanismo dell'Universo, nelle domande che si pone alla fine del suo Opticks [nota 195], formula ipotesi su una sostanza sottilissima, straordinariamente elastica ed attiva, definita etere e sicuramente non fluida, che fa da conduttore alla luce ed al calore e pervade tutti i corpi, ed è per la propria elasticità tale da espandersi in tutti i Cieli, e di qualità tali da poter essere utile anche nella spiegazione del meccanismo della visione [nota 196].

109. Newton si spinse ancora più lontano quando giunse a chiedersi: non potrebbe essere possibile che i corpi solidi e la Luce si mutassero l'uno nell'altra, e non sarebbe altrettanto possibile che i corpi solidi derivassero la propria attività dalle particelle di Luce che entrano a far parte della loro composizione? [nota 197]
Ponendosi tali domande sulla natura delle interazioni chimiche, Newton si basava sulla teoria corpuscolare della materia e - nell'ultima frase di Opticks - sembra quasi enunciare una specie di religione astrale: senza dubbio, se l'adorazione dei falsi dei non avesse accecato i Pagani, la loro Filosofia morale sarebbe andata oltre le quattro Virtù Cardinali; ed invece di insegnare la trasmigrazione delle anime e l'adorazione del Sole e della Luna o di Eroi defunti ci avrebbero insegnato ad adorare il vero Autore e Benefattore della nostra esistenza, come facevano i loro antenati sotto il governo di Noè e dei suoi figli, prima che cadessero vittime della corruzione. (ibid., p. 406.)

110. Anche se Newton non è riuscito a formulare compiutamente la sua teoria sull'etere, non si può dire che non sia riuscito a formulare compiutamente la sua teoria sul modo in cui le forze si applicano ai campi che gli interessava esaminare. Secondo le parole di Dobb, l'Universo veniva a nuova vita mano a mano che si divulgavano per ogni dove le riflessioni sulle forze e sui principi attivi che Newton ha messo nei suoi Principia.
Non si tratta soltanto dell'azione della forza di gravità che collega i pianeti in un vibrante insieme, ma anche di quel che accade a livello substrutturale della materia: la mente di Newton era ancora tormentata dalle particelle inerti della materia cartesiana, che rimanevano quiescenti anche dopo il reciproco impatto, ed al loro posto immaginò corpuscoli strutturati in modo estremamente complesso, tenuti occasionalmente insieme da forze di attrazione insite in loro stessi, ma in grado anche - in altre occasioni - di respingersi reciprocamente. L'ordine del giorno del microcosmo era il cambiamento, ed anche la materia maturava, decadeva ed era ininterrottamente sostituita da principi attivi. [nota 198]
L'Universo di Newton non funziona come un orologio. Un'innumerevole quantità di scrittori ha immaginato il sistema newtoniano dell'Universo come una specie di meccanismo da orologio, e dunque hanno creduto che parlasse di un Universo meccanicistico, ma almeno nel caso di Newton - e lasciando da parte alcuni dei suoi successori - si tratta di un'interpretazione errata, che suonerebbe meglio nei confronti di Cartesio e perfino di Leibniz, nei confronti dei quali Newton era frequentemente in disaccordo

111. Nella sua introduzione ai Principia, Newton definisce la Meccanica razionale (per distinguerla dalla Meccanica applicata) come la scienza dei movimenti risultanti dall'applicazione di alcune forze su qualsiasi cosa, ed anche delle forze richieste per produrre un qualsiasi movimento, accuratamente misurate e dimostrate. Inoltre presenta il proprio lavoro come i principi matematici della Filosofia, e sostiene che tale Filosofia consiste esattamente in questo: dai fenomeni del movimento all'esame delle forze della Natura, e poi da queste forze alla dimostrazione di altri fenomeni; ed infine si passa alle proposizioni generali, nel primo e nel secondo libro.
Newton continua:
Net terzo libro fornisco l'esempio di quanto detto prima con la spiegazione del Sistema del Mondo; cioè, sulla base delle proposizioni matematiche dimostrate nei precedenti libri, nel terzo parlo della forza di gravità manifestata dai fenomeni celesti, cioè le forze di gravità cioè le forze di gravità in virtù delle quali gli astri tendono verso il Sole e verso gli altri pianeti.
Poi, da queste forze, grazie ad altre proposizioni parimenti matematiche, parlo dei movimenti dei pianeti, delle comete, della Luna e del mare, e mi auguro che riusciremo a trarre la spiegazione di tutti gli altri fenomeni della Natura dallo stesso tipo di ragionamento basato su principi meccanici, visto che - per molti motivi - sono incline a sospettare che possano tutti dipendere da forze simili dalle quali le particelle dei corpi - per motivi ancora sconosciuti - sono attratte l'una dall'altra e si uniscono in figure regolari, oppure si respingono e si allontanano l'una dall'altra.
Poiché 1ueste forze sono ancora sconosciute, i Filosofi si sono invano affannati a fornire spiegazioni della Natura; ma io spero che i principi qui esposti consentiranno il venire alla luce di un più valido metodo filosofico. [nota 199]
Da ciò sembra che Newton abbia avuto in mente uno scopo ancora più alto di quelli esposti nei suoi Principia, e che le sue domande nell'Opticks trovino giù una risposta implicita nella formulazione. Pensate forse che Newton abbia creduto di aver fallito in quel che si proponeva di fare?

112. Paul Davies ha pubblicato una seconda versione del suo libro dal titolo The Forces of Nature perché intendeva - come spiega - rendere conto delle nuove teorie concernenti una singola superforza nella quale tutte le altre forze hanno origine (Davies, ibid., p. vii.). In realtà molti Fisici hanno nutrito fervide speranze sulla possibilità che una GUT (una Grande Teoria Universale) di questo tipo potesse incontrare il favore della Scienza nel prossimo futuro, ma il fatto che ciò non è ancora accaduto nulla toglie al successo che Newton ha ottenuto con le sue forze, che - adeguatamente riviste - rispondono anche alle esigenze della teoria della relatività e dei quanti.

113. James Trefil - nel suo libro dal titolo Reading the Mind of God - scrive:
Questo libro tratta di un'idea, una delle più stupefacenti e meno apprezzate dalla Scienza moderna: io la chiamo il principio di universalità.
Secondo questa idea, le leggi di Natura che abbiamo fino ad oggi scoperto all'aperto o nei laboratori sono vere in qualsiasi punto dell'Universo ed esistono da sempre. [nota 200]
Trefil procede spiegando che, nel corso delle proprie conferenze, si è imbattuto in moltissime persone che gli hanno chiesto come mai gli Scienziati sembravano non degnare di attenzione questo tipo di universalità, e la sua risposta è invariabilmente stata: il principio di universalità è talmente importante da non essere mai stato esplicitamente toccato. Noi Scienziati lo apprendiamo praticamente quasi per osmosi, dal momento che pervade il nostro lavoro, soprattutto in campi come l'Astronomia, per quanto solo raramente si accenni ad esso. [nota 201]
Se Trefil dice il vero, dobbiamo ammettere che ancora oggi molti imparino senza alcun insegnamento cose completamente diverse, cioè ad esempio che i pianeti abbiano atteggiamenti diversi rispetto a quelli delle cose materiali sulla Terra.

114. Tuttavia quanto detto non esclude di per se stesso la validità delle teorie in cui si ipotizza l'esistenza di angeli che controllano i pianeti, a meno che non si sostenga che il controllo angelico si effettua in virtù di una specie di materia celestiale, di tipo diverso dalla materia terrena. È necessario solamente estendere l'idea del controllo angelico a qualsiasi cosa che si muova.
Inoltre l'idea newtoniana di universalità ha dei precedenti: alcuni degli Stoici - per esempio - credevano che l'Universo, la Mente Divina e qualsiasi tipo di materia terrena, ovunque si trovasse, fossero fatti dallo stesso tipo di materiale, simile al pneuma di Crisippo, e sostenevano che il Fato governasse il Cosmo per mezzo dell'ordine impartito ai Cieli, il che è particolarmente affine all'idea che esistano delle leggi di Natura che agiscono ovunque.
Alcuni fra i Filosofi presocratici avevano idee dello stesso genere, sia a proposito delle leggi che governavano gli atomi sia a proposito dell'ordinamento del Cosmo, o logos; ed un certo numero di essi avevano concepito sistemi in cui erano presenti svariati tipi di materia, per quanto l'opinione più diffusa fosse invece che la materia era di un solo tipo.
Esistevano anche teorie molto longeve e popolari tra Astrologi e Poeti, relative all'Uomo, un microcosmo in correlazione all'Universo, il Macrocosmo, ed erano tutte teorie basate su una specie di universalità fisica.

115. In che cosa differiva dalle precedenti l'idea di universalità newtoniaia? Newton non ignorava il concetto del momento come caratteristico delle forze e tale da poter essere facilmente calcolato moltiplicando la massa inerte alla velocità nel tempo, e concepiva una forza una variazione che si verifica nel momento in cui tale velocità cambia; oltre a ciò, aveva un metodo matematico, il calcolo, che in molti casi importanti poteva essere usato allo scopo di trovare espressioni matematiche per determinare il movimento del detto corpo, quando le espressioni matematiche relative alle forze agenti sul detto corpo sono conosciute. La sua legge di gravità rappresenta un'espressione di tale forza, mentre l'inverso del quadrato delle loro distanze è l'espressione della gravità.
Comunque c'è qualcosa di ragionevole nel pensare che il modo in cui si muove la materia non era argomento nuovo al tempo di Newton, come non lo era la possibilità di esprimere tali movimenti in modo quantitativo, e neppure infine che la materia fosse ovunque formata dallo stesso tipo di componente; ma chi aveva mai pensato prima di Newton che le espressioni matematiche relative al movimento degli oggetti si sarebbero potute condensare in tre semplici leggi riassumibili in tre brevi frasi? Un programma tanto semplice!
Ahimé, trovare espressioni significative di tutte le forze che agiscono su un oggetto è talvolta facile, ma altre volte si rivela veramente impossibile, ed anche nei casi in qui tali espressioni si possano trovare, può rivelarsi estremamente difficile - e talvolta veramente impossibile - ricavarne dei vantaggi in senso deterministico (o quanto meno utile alla determinazione - o meglio, come alcuni dicono, in modo computabile) al di fuori della loro pura e semplice formulazione matematica. Ma quando il metodo newtoniano funziona, oh, allora funziona bene come la Magia!






Appendice al 2° Capitolo - le Leggi di Newton
A1. Nell'ultima parte del XVII secolo, Isaac Newton - basandosi sull'opera di molti predecessori - formulò una piccola quantità di leggi grazie alle quali si potevano effettuare previsioni relative al movimento degli astri nei cieli, e si comprese presto che - con le stesse leggi newtoniane - si potevano prevedere anche alcuni movimenti degli oggetti terreni.
Mentre oggi si sa che gli astri cambiano, e che in un certo senso nascono, vivono e muoiono, le leggi newtoniane - per quanto consapevoli dei loro cambiamenti - li considerano permanenti, anche se la loro sfera di influenza può essere ampliata: tali leggi e la miriade di conseguenze che ne scaturì cambiarono la Meccanica classica, talvolta definita anche Meccanica razionale o analitica, mentre la parte della Meccanica classica che si applica ai movimenti degli astri nei cieli viene comunemente definita Meccanica celeste.

A2. Nel suo manuale di Meccanica classica (pubblicato nel 1985), Laurence Taff osserva che la Meccanica classica finisce con le tre leggi newtoniane sul movimento, e ne riporta il testo come si trova nei Principia - pubblicato nel 1687 (in traduzione dal Latino):
Prima Legge di Newton:
Ogni corpo si mantiene nel suo stato di quiete o di moto uniforme su una linea dritta, a meno che non sia costretto a modificare quello stato da forze che agiscono su di esso.
Il moto uniforme di un corpo è il movimento a velocità costante, in direzione immutata.
Una linea dritta è quella che noi oggi chiamiamo linea retta.


Seconda Legge di Newton:
Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza muovente in azione ed avviene nella direzione della linea dritta in cui tale forza si applica.
Il movimento di un corpo viene definito da Newton come il prodotto di una grandezza che si chiama massa del corpo e misura la resistenza del corpo stesso ai cambiamenti di stato, con la velocità del corpo, che misura quanto cambia la sua distanza da un qualche punto di riferimento, e specifica anche la direzione in cui il cambiamento ha luogo che oggi si definisce momento.
La velocità e/o la direzione possono cambiare in qualsiasi istante di tempo: il cambiamento nel movimento è attualmente la variazione del momento.
Se si escludono pochissimi casi estremamente semplici, una definizione quantitativa del fatto che questa variazione del momento è proporzionale alle forze applicate richiede le specifiche tecniche della disciplina matematica note con il nome di calcolo.
Dire che la variazione di momento è proporzionale alle forze applicate equivale a dire che si hanno alcuni numeri fissi moltiplicati per la quantità che misura la forza in ciascun punto dello spazio e per ogni istante del tempo; ed il numero fisso particolare o costante che viene usato è diverso per diverse unità di misura, per tempo, distanze e forze (secondi o anni, metri o piedi o miglia, chili o libbre etc.).
Spesso le forze applicate sono diverse in ciascun punto dello spazio, ma ad ogni dato punto esaminato sono le stesse in ciascun istante di tempo.
La seconda legge di Newton è la più importante fra le tre relative al movimento, perché consente di impostare equazioni differenziali, che sono asserzioni fatte usando concetti di calcolo. In molti casi le equazioni differenziali si possono risolvere usando metodi di calcolo, in qualsiasi senso si intenda il termine risolvere (soluzioni approssimate comprese), in modo da dare descrizioni quantitative del comportamento di un gran numero di sistemi chimici, biologici, geologici, statistici e di altri tipi ancora.
Si può dimostrare che la prima legge può essere considerata un caso particolare della seconda legge in cui il valore delle forze applicate equivale a zero.
Quando il termine movimento - nella seconda legge - viene interpretato come momento, e questo significato viene usato nella prima legge, l'asserzione della prima legge che un corpo tenda a mantenersi in uno stato di moto uniforme lungo una linea retta si può interpretare nel senso che il momento di un corpo in tale stato si manterrà lo stesso mano a mano che si muove, così la prima legge newtoniana implicherebbe una legge relativa alla conservazione del momento lineare.


Terza Legge di Newton:
Per ogni azione c'è sempre una reazione uguale e contraria; o le mutue azioni di due corpi l'uno verso l'altro sono sempre uguali e dirette verso direzioni contrarie,
Non si dovrebbe intendere quanto detto nel senso che gli oggetti non si muovono: se ti do una spinta, allora io esercito una forza e tu ti muovi all'indietro, ed una spiegazione in armonia alla terza legge newtoniana è che all'istante del contatto, la tua reazione alla spinta è uguale in intensità alla mia spinta, anche se in direzione opposta (lungo una linea retta). Ciò ha diminuito la intensità della mia spinta per un valore uguale alla intensità della reazione alla spinta che tu hai esercitato.
Tuttavia, anche se la mia spinta fosse molto debole, ma ci fosse una piccola parte di questa che prevale - così per parlare - tu saresti soggetto ad un'accelerazione nella direzione della mia spinta, e dunque ti muoveresti.

Per passare alla Meccanica celeste - come osserva Taff - questi postulati si arricchiscono con la legge newtoniana sulla gravitazione:


Legge di Newton sulla Gravitazione Universale;
Ogni particella nell'Universo attrae ogni altra particella nell'Universo con una forza che varia direttamente come il prodotto delle loro masse ed inversamente come il quadrato delle distanze fra di loro; inoltre tale forza agisce lungo la linea che unisce le due particelle.
Dunque la forza di gravità esercitata da una particella su un'altra particella si misura moltiplicando tra loro le masse delle particelle stesse; poi si misura la distanza fra le particelle e si eleva al quadrato. Il prodotto delle masse viene quindi diviso per la distanza al quadrato ed infine moltiplicato per un numero fisso determinato dall'unità di misura usata (Laurence G. Taff, Celestial Mechanics, A Computational Guide for the Practitioner, 1985, p. 1-2. La citazione dei Principia newtoniani riportata da Taff si basa sulla traduzione in inglese di Florian Cajori, 1934, p. 13-14, e le definizioni newtoniane di movimento, massa (o quantità di materia e vis insita), iforza applicata etc., si trovano a p. 1-6.).
Le forze gravitazionali che i corpi esercitano sugli altri corpi sono determinate dalla concezione dei corpi come composti da particelle e dall'uso di tecniche di calcolo; non è affatto un argomento facile, nel suo complesso, ed il suo studio è noto con il nome di teoria potenziale (per ragioni che non è il caso di esporre qui).
A3. Dopo aver esposto queste leggi della Meccanica classica e dopo averle arricchite con la legge sulla gravitazione universale, allo scopo di comprendere la Meccanica celeste, Taff osserva che - in ultima analisi - nei Principia non si trova nient'altro di Fisica, ma solo concetti matematici. In effetti,
Taff sostiene che la Meccanica classica consista nelle conseguenze delle tre leggi newtoniane sul movimento e nella loro applicazione grazie all'uso di metodi matematici, e che la Meccanica celeste consista nelle conseguenze delle tre suddette leggi a cui si unisce la legge della gravitazione. Da questo punto di vista, le forze applicate si cui si parla nella seconda legge newtoniana si limitano a forze gravitazionali, il che consente di definire pura la Meccanica celeste.

A4. Il termine meccanicistico è campo aperto ad interpretazioni in conflitto tra di loro. Alcuni ritengono che debba essere considerato il contrario di dotato di anima, così un Universo meccanicistico è un Universo in cui i pianeti ed i corpi simili ad essi non sono dotati di principi interiori di cambiamento, come avevano secondo Aristotele ed innumerevoli altri.
In particolare, secondo alcuni, in un Universo meccanicistico sarebbe esclusa la guida divina, e a questo proposito si potrebbe citare un aneddoto su Laplace: si dice infatti che Napoleone Bonaparte abbia chiesto personalmente a Laplace come mai nei suoi scritti sulla Meccanica celeste non facesse mai riferimento al Creatore, e si dice che Laplace abbia risposto: "Sire, j'ai pu me passer de cette hypothèse", cioè "Sire, sono riuscito ad andare oltre quell'ipotesi".

A5. Altri hanno presupposto che un Universo meccanicistico sia in realtà un Universo i cui cambiamenti avvengono ad opera di ingranaggi, pulegge, leve e cose del genere, come un macchinario, che grazie a cose del genere si muove ed è sempre stato in movimento per proprio conto.
Tuttavia lo stesso Autore delle leggi sul movimento, Newton, credeva che nel muoversi del cosmo fosse implicata l'opera di un Creatore, ed anche a parte la guida divina, nel passo dei Principia dal titolo Definizione III si parla di corpi dotati di inerzia o vis insita (cioè forza innata), una capacità interna di opporre resistenza ai cambiamenti di movimento, che tende a rendere continuo tale movimento in qualsiasi condizione si trovi il corpo.
Ciò attribuisce ai meccanismi qualcosa che va oltre la loro mera estensione nello spazio e nel tempo.
Per questa ipotesi, ed a causa del fatto che Newton non fu in grado di trovare un soddisfacente modello meccanico per la sua teoria sulla gravitazione (per quanto si sia limitato a fare poche congetture), Newton fu accusato dai seguaci di Cartesio di aver introdotto nella Filosofia della Natura il principio dei cosiddetti poteri occulti secondo un modello molto popolare tra i Filosofi scolastici medievali, cioè proprio del tipo che Cartesio si era impegnato tanto a bandire dalla cultura scientifica.
Lo stesso Cartesio aveva cercato di basare la propria teoria sulla gravitazione sul movimento di vortici, considerati come una specie di piccoli gorghi, per così dire; ed una parte importante dell'impegno di Newton nello scrivere i Principia si concentrò nel dimostrare che la teoria cartesiana non era in grado di spiegare la forza di gravitazione.

A6. Dunque i collegamenti tra Meccanica classica ed il funzionamento di un macchinario non sono poi così ottusi come si potrebbe immaginare, in quanto la Meccanica classica è costituita anche da elementi matematici.
E. J. Diksterhuis ha condotto uno studio sul passaggio alla Scienza classica nel corso del XVII secolo, ed è giunto alla seguente conclusione:
La meccanizzazione della concezione del mondo nell'epoca di passaggio dalla cultura antica alla Scienza classica ha avuto come effetto l'introduzione e la diffusione di un modello della Natura funzionante grazie all'apporto di principi matematici di Meccanica classica; e questo segna l'inizio della matematicizzazione della Scienza, che continua ininterrottamente ancora oggi, nel nostro XX secolo. (E. J. Dijksterhuis, The Mechanization of the World Picture, 1961, p. 501, traduzione in Inglese di C. Dikshoorn dell'opera De Mechanisering van het Werelbeeld, 1950.)
Ciò significa - secondo l'opinione di Dijksterhuis - che la transizione ad un Universo meccanicizzato non è stata caratterizzata semplicemente dall'uso di modelli meccanici per spiegarlo, ma dall'introduzione di teorie e di metodi matematici per fornirne una valutazione quantitativa.
Tuttavia le descrizioni matematiche - a loro volta - sono qualcosa di più di semplici descrizioni di meccanismi, o almeno io così credo: alcune di esse si sviluppano anche su principi diversi.







La fede negli astri:
alcune fonti
del pensiero astrologico

Dalla fede negli astri
a Keplero, Fludd
e Newton

Alcune tecniche
astrologiche

Da Babilonia
a Copernico



Gli Stoici, Keplero
ed alcune valutazioni

Gli inizi del Cristianesimo
e l'Astrologia

Da Tolomeo
a Newton

Addenda










Note

[ 103 ] - A Source Book in Chinese Philosophy, 1963, tradotto in Inglese e riveduto da Wing-Tsit Chan, p. 332.

[ 104 ] -Peter Lum,The Stars in our Heaven, Myths and Fables, 1948, p. 16-17.

[ 105 ] -Evan Hadingham, Early Man and the Cosmos (1984), p. 247;
Hadingham cita W. Eberhard, "The Political Function of Astronomy and Astronomers in Han China" in Chinese Thought and Institutions, 1957, p. 38

[ 106 ] -Ray Williamson, Living the Sky, The Cosmos of the American Indian, 1984, capitolo sugli osservatori del Sole e p. 111.

[ 107 ] - Edward Schafer, Pacing the Void, T'ang Approaches to the Stars, 1977, p. 11-12

[ 108 ] - Schafer, ibid., p. 222-225.

[ 109 ] - Schafer, ibid.

[ 110 ] - Schafer, ibid., p. 55-57.

[ 111 ] - Joseph Needham e Wang Ling, Science and Civilisation in China, v. 2, "History of Scientific Thought, 1969, p. 368, 374-375

[ 112 ] - Needham e Ling, ibid, p. 384.

[ 113 ] - Charles Dupuis, The Origin of all Religious Worship, 1871, p. 15-16, traduzione anonima di materiale tratto dall'opera di Dupuis: è difficile definire l'esatta provenienza di tale materiale, tuttavia l'opera di Dupuis del 1795 venne rivista da P. R. Auguis e pubblicata nel 1822, 10° edizione, 1835-1836.
Nel 1804 venne pubblicata una revisione ad opera di M. de Tracy.
Il contenuto dell'anonima traduzione inglese può essere consultato nell'edizione del 1835-1836, anche se molti bani semanticamente riferibili sono molto diversi nella traduzione.

[ 114 ] - A Treasury of African Folklore, edito da Harold Courlander, 1975, p. 189-193; e la storia è tratta dal suo Yoruba Gods and Heroes, 1973.

[ 115 ] - Lum, ibid., p. 38-39.

[ 116 ] - Gene Weltfish, The Lost Universe: Pawnee Life and Culture, 1965, p. 79.

[ 117 ] - Ray Williamson, Living the Sky, 1984, p. 229.

[ 118 ] - Paul Radin, Primitive Man as Philosopher, traduzione inglese del 1927, p. 329-332, che cita James Walker, "The Sun Dance of the Oglala Divison of the Dakota - Anthropological Papers of the American Museum of Natural History, XVI, parte II, p. 72-92.

[ 119 ] - La Repubblica, tradotta in Inglese da Francis Cornford, 1941, p. 350.

[ 120 ] - Roy Strong, Arts and Festivals, Renaissance Festivals 1450-1650, 1973 (1984); p. 137 e 23-24.

[ 121 ] - Strong, ibid.

[ 122 ] - Da "Urworte, Orphisch", tratto da German Poetry from 1750-1900, 1984, edito da Robert Browning, p. 66, 68.

[ 123 ] - (William Grese, Magic in Hellenistic Hermeticism, in Hermeticism and the Renaissance, Intellectual History and the Occult in Early Modern Europe, edito da Ingred Merkel e Allen Debus, 1988, p. 45.)

[ 124 ] - Edward A.Tiryakian, "Toward the Sociology of Esoteric Culture", American Journal of Sociology 78, 1972, p. 491-512; citato da Mircea Eliade, Occultism, Witchcraft and Cultural Fashions, 1976, p. 48.

[ 125 ] - Citato da Eliade, l.c.

[ 126 ] - F. L. Peters, Allah's Commonwealth, A History of Islam in the Near East 600-1100 A.D., 1973, p. 270, 274, 351.

[ 127 ] - Citato in Hermetica, edito da Walter Scott, 1924, v. 1, p. 434.

[ 128 ] - Tradotto da Walter Scott in Hermetica, 1924, v. 1, p. 362-364.

[ 129 ] - Marco, 6.7-12, Versione standard riveduta, 1952, Revisione della versione standard americana, 1881-1885, 1901, integrata da una revisione della King James Version, 1611.

[ 130 ] - Wayne Shumaker, Occult Sciences in the Renaissance, A Study in Intellectual Patterns, 1972, p. 204.

[ 131 ] - Frances Yates, "The Hermetic Tradition in Renaissance Science", in Art, Science and History in the Renaissance, 1968, edito da C. S. Singleton, p. 258.

[ 132 ] - Karin Johannisson, "Magic, Science, and Institutionalization in the Seventeenth and Eighteenth Centuries", in Hermeticism and the Renaissance, Intellectual History and the Occult in Early Modern Europe, 1988, basato su un incntro del 1982, edito da Ingrid Merkel e Allen G. Debus, p. 251-261.

[ 133 ] - Johannisson, ibid

[ 134 ] - Walter Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, traduzione con revisioni autorizzate di Edwin L. Minar, Jr., 1972, di Weisheit and Wissenschaft: Studien zu Pythagoras, Philolaus und Platon, 1962, p. 406, 426-427.

[ 135 ] - Burkert, ibid., p. 466, 479-480.

[ 136 ] - Aggiungerò in seguito altri dettagli sullo scontro tra Keplero e Fludd.

[ 137 ] - Burkert, ibid., p. 480, 482.

[ 138 ] - W.K.C. Guthrie, History of Greek Philosophy, 1967, v. 1, p. 303-304.

[ 139 ] - Edwin A. Burtt, The Metaphysical Foundations of Modern Science, 1925, edizione riveduta, 1954.

[ 140 ] - Edward W. Strong, Procedures and Metaphysics, A Study in the Philosophy of Mathematical-Physical Science in the Sixteenth and Seventeenth Century, 1936, p. 10.

[ 141 ] - Strong, ibid., p. 28.

[ 142 ] - Strong, ibid., p. 33.

[ 143 ] - Cf. George Ifrah, From One to Zero, A Universal History of Numbers. 1985, traduzione in Inglese a cura di Lowell Bair di Histoire Universelle de Chiffres, 1981, Part IV, Ch. 16-21.

[ 144 ] - Idries Shah, The Sufis, 1964, p. 28.

[ 145 ] - Shah, ibid., p.110.

[ 146 ] - Shah, ibid., p. 372.

[ 147 ] - Gershom Scholem, p. 24-35 di Origins of the Kabbalah, 1987, traduzione di Ursprung und Anfänge der Kabbala, 1962; esiste una traduzione in Inglese di Sefer Yesirah ad opera di Knut Stenring, pubblicata con il titolo The Book of Formation or Sepher Yetzirah, 1923, ed un'altra in The Qabala Trilogy, senza autore, pubblicata con il titolo "The Sepher Yetsira", che si basa su una traduzione in Francese a cura di Carlo Suarès, 1968.

[ 148 ] - Paul Lacuria, Les Harmonies de l'Ätre, exprimÃe par les nombres, 1899.

[ 149 ] - Henry Corbin, Temple et Contemplation, Essais sur l'Islam Iranien, 1980, La science de la balance et les correspondences entre les mondes en gnose islamique, p. 67-141.

[ 150 ] - Schema pubblicato in questo modo da Frances Yates, The Rosicrucian Enlightenment, 1972, p. 230; il quadrato è pubblicato da Hans Biedermann, Handlexikon der magischen Künste, 2° edizione, 1973, p. 316.

[ 151 ] - Strong, ibid., p. 196-197.

[ 152 ] - Questo svambio è descritto - fra gli altri - da Max Caspar in Kepler, 1946, tradotto in Inglese dal Tedesco da C. Doris Hellman, 1959, p. 290-293; Wolfgang Pauli, Nobel per la Fisica "The Influence of Archetypal Ideas on the Scientific Theories of Kepler", in Naturerklärung und Psyche by Carl Jung and Wolfgang Pauli, 1952, traduzione in Inglese di Priscilla Silz in The Interpretation of Nature and the Psyche, 1955; Frances Yates in Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, 1964, p. 440-444; Robert Westman, "Nature, art, and psyche", in Occult and Scientific Mentalities in the Renaissance, 1984, p. 177-229; Judith V. Fieldm Kepler's Geometrical Cosmology, 1988, p. 179-187.

[ 153 ] - Johannes Kepler, Harmonice mundi, 1619, vol. 6 di Gesammelte Werke, p. 374; cf. la traduzione a cura di Max Caspar, Weltharmonik, 1939, ristampata nel 1971, in cui compaiono frasi simili a quelle dell'edizione in Inglese (p. 362):
Mentre Fludd prende in considerazione gli strumenti, io mi occupo delle cause della Natura, o consonanze, e mentre egli insegna come si possa comporre un brano musicale a più voci, io offro moltissime dimostrazioni matematiche ad un gran numero di leggi valide tanto per i brani corali quanto per chi canta a più voci nella Natura.

[ 154 ] - Field, ibid., p. 187.

[ 155 ] - Westman, ibid., p. 181.

[ 156 ] - Westman, ibid., p. 211.

[ 157 ] - Citato da Alexandre KoyrÃ, Astronomical Revolutions, 1973, p. 163, traduzione in Inglese a cura di R. E. W. Maddison di La rÃvolution astronomique, 1961.

[ 158 ] - Pauli, ibid., p. 162.

[ 159 ] - Citato da Pauli, ibid., p. 162-163.

[ 160 ] - Alexandre KoyrÃ, The Astronomical Revolution, 1973, p. 335; traduzione a cura di R. E. W. Maddison di La rÃvolution astronomique, 1961.

[ 161 ] - Cf. Gerard Simon, Kepler astronome astrologue, 1979, p. 149-153.

[ 162 ] - Simon, ibid., p. 141.

[ 163 ] - Pauli, ibid., p. 198-199.

[ 164 ] - Pauli, ibid., p. 205-206

[ 165 ] - 1° edizione, 1597; 2° edizione con molte note aggiunte, 1621.

[ 166 ] - Gerard Simon, ibid., p. 102.

[ 167 ] - Robert Westman, "Nature, Art and Psyche" in Occult and Scientific Mentalities in the Renaissance, 1984, p. 125-229, specialmente a p. 191-200; Westman cita Arnold Williams, The Common Expositor: An Account of the Commentaries on Genesis, 1527-1633, 1948.

[ 168 ] - Brian Vickers, "Analogy versus identity: the rejection of occult symbolism, 1580-1680", in Occult and scientific mentalities in the Renaissance, 1984, p. 95.

[ 169 ] - Galileo, Il Saggiatore, 1623, in Discoveries and Opinions of Galileo, 1957, traduzione in Inglese e note a cura di Stillman Drake.

[ 170 ] - Galileo, ibid., p. 277.

[ 171 ] - The Correspondence of Isaac Newton, edita da H. W. Turnbull, v. 3, 1961, p. 254.

[ 172 ] - Koyra, loc. cit., p. 252.

[ 173 ] - Isaiah 55:11.

[ 174 ] - Hans-Georg Gadamer, "Man and Language" (1966), in Philosophical Hermeneutics, 1976, p. 63, 67, tradotto in Inglese da David Linge da Gadamer's Kleine Schriften.

[ 175 ] - Alfred North Whitehead, Adventures in Ideas, 1933, p. 166-167, p. 227-228.

[ 176 ] - Koyra, ibid, p. 199.

[ 177 ] - Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno … due nuove scienze, 1638; i grafici sono a pagina.116 e 119 della traduzione in Inglese a cura di Henry Crew ed Alfonso de Salvio, Dialogues concerning Two New Sciences, 1914.

[ 178 ] - Robert Westman, "Magical Reform and Astronomical Reform: The Yates Thesis Reconsidered", in Hermeticism and the Scientific Revolution, 1977, p. 71, his italics.

[ 179 ] - Brian Vicker, "Frances Yates and the Writing of History", Journal of Modern History, v. 51, no. 2, 1979, p. 287-316.

[ 180 ] - "Newton's Commentary on the Emerald Tablet of Hermes Trismegistus: Its Scientific and Theological Significance", 1988, in Hermeticism and the Renaissance, Intellectual History and the Occult in Early Modern Europe, 1988, basato su yn incontro del 1982, edito da Ingrid Merkel e Allen G. Debus, p. 182-191.
Le note al paragrafo precedente vengono dall'introduzione, a cura di Merkel and Debus.

[ 181 ] - Betty Jo TeeterDobbs, The Foundations of Newton's Alchemy, o "The Hunting of the Greene Lyon", 1975.

[ 182 ] - Dobbs, ibid., 1975, p. 61.

[ 183 ] - Dobbs, ibid., p. 46.

[ 184 ] - J. E. McGuire, "Neoplatonism and Active Principles: Newton and the Corpus Hermeticum", in Hermeticism and the Scientific Revolution, 1977, p. 131-133.

[ 185 ] - Richard Westfall, "Newton and alchemy", p. 330 in Occult and scientific mentalities in the Renaissance, 1984, p. 315-335.

[ 186 ] - Westfall, ibid., p. 331.

[ 187 ] - Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, 1687, traduzione in Inflese di Motte, rivista da Cajori, 1934, p. 2.

[ 188 ] - ibid., p. 13; si veda l'appendice a questo capitolo.

[ 189 ] - Definizione di Newton, ibid., p. 1.

[ 190 ] - Si veda, per esempio, Ernst Nagel, The Structure of Science, 1961, Capitolo 7, esp. p. 186-192.

[ 191 ] - Paul Davies, The Forces of Nature, 2° edizione, 1986, p. 1-2.

[ 192 ] - Davies, ibid., p. 3.

[ 193 ] - James Trefil, Reading the Mind of God, 1989, p. 8.

[ 194 ] - Tracce dell'etere platonico!

[ 195 ] - 4° edizione, 1730.

[ 196 ] - Isaac Newton, Opticks, 1730, Dover edition, 1952, p. 339-406.

[ 197 ] - Newton, ibid., p. 374.

[ 198 ] - Betty Jo Teeter Dobbs, The Foundations of Newton's Alchemy, o "The Hunting of the Greene Lyon", 1975., p.212.

[ 199 ] - Newton, ibid., p. xvii-xviii.

[ 200 ] - James Trefil, Reading the Mind of God, 1989, p. 1.

[ 201 ] - Trefil, ibid., p. 2.
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