“Affinché il tempo si generasse,
furono fatti il sole e la luna e cinque altri astri,
per la distinzione e la conservazione dei numeri nel tempo. (Platone, Timeo)
Introduzione
Il termine “numero”, oggi, viene utilizzato quasi sempre come sinonimo di “cifra”, ed anche questa è una dimostrazione di quanto la mentalità moderna si sia semplificata (oltre che specializzata) rispetto a quella antica. La “cifra” infatti è il simbolo – o meglio la convenzione grafica – di una quantità; e già una tale rappresentazione significò un’enorme conquista per la cultura. Il “numero”, invece, è il simbolo di una qualità.
Paradossalmente sembra che il concetto di numero sia precedente a quello di cifra. Nell’antichità, infatti, quando ancora gli uomini sentivano spontaneamente il collegamento tra macrocosmo e microcosmo, era più naturale identificare i numeri come enti astratti, tipologie energetiche o addirittura divinità, ed anzi la nascita e lo sviluppo dell’aritmetica, della geometria e di tutte le discipline basate sul calcolo ne fu diretta conseguenza: quasi la scoperta del modo in cui la sacralità del numero si esprimeva sul piano fisico, tanto che queste discipline erano considerate sacre a loro volta.
Il legame tra numero e astrologia è più forte e più antico di quanto una semplice ed ovvia questione tecnica può far pensare. Fin dall’alba della sua coscienza, l’uomo osservava con devozione e timore il cielo sopra di sé: probabilmente si accorse in fretta che ciò che appariva mutevole era in realtà ciclico, e dunque i primi conteggi nacquero dalle necessità pratiche di naviganti, nomadi o agricoltori di individuare riferimenti fissi collegati con i fenomeni naturali. Di conseguenza i numeri permisero di “comunicare” con l’ignoto celeste, che man mano diventava più conosciuto e familiare, pur mantenendo le caratteristiche di trascendenza e divinità che, per altro, ogni evento astronomico o atmosferico eccezionale tendeva a rinforzare, offrendo così agli astrologi – che traducevano in numeri la diretta osservazione del cielo – il potere di interpretarne i segnali.
Anche oggi, nell’era moderna, lo studio della numerologia o della geometria esoterica sembra essere un campo di ricerca evolutiva e più significativa rispetto all’utilizzo pratico di materie ormai considerate sterili o comunque funzionali. Come un tempo, però, la capacità di accedere al significato più profondo del numero, alla sua magica e potente energia, resta patrimonio di pochi: come se davvero il Numero parlasse una lingua “superiore”, per quanto impercettibilmente sottesa ad ogni aspetto della manifestazione di ieri, di oggi e di domani.
DA ORIENTE A ACCIDENTE
Di solito si fa cominciare la storia della matematica occidentale dalla Grecia, ma già nel terzo millennio a.C. o anche prima, in Egitto, Mesopotamia, India, Cina, si conoscevano i principi fondamentali dell’aritmetica, della geometria e persino dell’algebra. E prima ancora della matematica vera e propria, esisteva il concetto di numero, che ha contribuito alla definizione dei primi pensieri e culti cosmogonici.
Un punto di partenza sicuro è senz’altro la cultura mesopotamica, a partire dai Sumeri, a cui si attribuisce l’invenzione della scrittura, più di 5.000 anni fa, che, oltre ad essere uno strumento utilissimo nelle esigenze economiche e sociali, permise la nascita delle prime scuole e la trasmissione della conoscenza. I Sumeri avevano già un sistema di numerazione aritmetico decimale, ed utilizzavano anche un sistema a base 60, che meglio rispondeva ai calcoli astronomici, relativi ai cicli lunari e al calendario. Anche la schematizzazione della volta celeste come cerchio di 360° diviso in 12 porzioni fu possibile grazie a tale sistema di calcolo, intorno al VII secolo a.C..
Prima di allora, l’eclittica non era ancora stata identificata. La cosmogonia sumerica (ripresa poi dai Babilonesi) vedeva cielo e terra come due metà di un’entità primordiale, generata dall’oceano infinito e dalle sue doppie acque, dolci e salate. Le due cupole, sovrapposte a formare una sfera, erano entrambe immobili. Sotto la terra era situato il Regno dei Morti, e questa era orientata secondo i quattro punti cardinali, già conosciuti. Il cielo invece era diviso in tre parti principali, chiamate “sentieri”: il sentiero centrale di Anu (Dio del Cielo) era una fascia intorno all’equatore celeste, c’era poi il sentiero settentrionale di Enlil (o Enki, Dio della Terra) e quello meridionale di Ea (Dio dell’Acqua), sovrastati dal “cielo di Inanna”, regina celeste. Questi “sentieri” erano vie attraverso cui gli astri entravano nel mondo e gli Dei scendevano sulla terra o ne risalivano: 12 Dei per i 12 mesi lunari, a cui ogni costellazione dava rifugio.
Considerando la Via di Anu come un corrispondente della fascia zodiacale, nonché le altre Vie di Enlil (Nord, Terra) e di Ea (Sud, Acqua) intese appunto come passaggi, sembra ipotizzabile un’analogia con il simbolismo delle cosiddette “porte” solstiziali (degli uomini e degli Dei), Cancro e Capricorno. Ed è interessante notare come questa principale interpretazione di Cielo e Terra, ternaria e quaternaria, anticipò l’integrazione tra Segni, con le tre modalità energetiche (Cardinale, Fissa e Mobile) e le quattro categorie degli Elementi (Fuoco, Terra, Aria, Acqua) che ancora oggi forma la base del sistema zodiacale, e in cui i pianeti – dai Segni alle Case – si proiettano sul nostro piano per vivere insieme a noi, proprio come gli Dei mesopotamici…
La “terra tra i due fiumi” ospitò nei millenni numerose civiltà (Sumeri, Assiri, Babilonesi, Persiani) che si alternarono e succedettero al potere politico, tramandandosi le proprie conoscenze ed ampliandole; tant’è che oggi ricordiamo quei popoli con il generico nome di “caldei”, che per i greci fu sinonimo di astrologi. E fu proprio il caldeo Beroso che, trasferitosi in Grecia intorno al 280 a.C., vi esportò il patrimonio di cultura che diede enorme impulso all’astrologia locale.
Nel frattempo, però, la Grecia aveva già offerto il proprio prezioso contributo allo sviluppo del pensiero matematico e filosofico. Già nel VI secolo a.C., con Pitagora, venne raggiunto e definito un più raffinato concetto di numero. Fu lui, infatti, ad intuire che le entità numeriche sono astrazioni mentali, nettamente distinte dalla materia a cui pure possono riferirsi. E fu una intuizione musicale che gli permise di formulare quel legame tra matematica e natura che costituisce una delle scoperte più feconde della storia del pensiero umano.
Poiché nelle leggi dell’armonia intervenivano soltanto numeri razionali, e poiché i rapporti armonici erano perfettamente numerabili, Pitagora enunciò tale scoperta nella famosa massima: “tutto è (numero) razionale”; presupposto metafisico di quella avventura scientifica e conoscitiva di cui è stato appunto il fondatore. E’ tuttavia importante ricordare che, per gli antichi greci, “ragione” significava sostanzialmente “proporzione”, e quindi rapporto, relazione. L’armonia era appunto il risultato dei rapporti che, nei loro diversi modi e livelli di espressione, sottintendevano a tutto ciò che esiste (fu Pitagora a coniare la parola kósmos per indicare la bellezza e perfezione dell’universo).
Un contributo fondamentale dei pitagorici riguarda proprio lo studio dei rapporti tra astronomia, matematica e musica: in particolare quelli tra i periodi di rivoluzione dei pianeti, le loro distanze e gli accordi musicali, che portarono alla teoria sulla “musica degli astri”, in cui la componente matematica delle proporzioni armoniche risulta intimamente legata alla cosmogonia. Non a caso il grado superiore dell’insegnamento pitagorico cominciava proprio dalla scienza dei numeri, quali riflessi della sorgente universale; solo dopo, dalla cosmogonia fisica si passava a quella spirituale.
La struttura dell’universo pitagorico non è geocentrica e prevede dieci sfere separate da intervalli corrispondenti alle lunghezze armoniche delle note, a partire dalla sfera esterna delle stelle fisse e con un comune centro in cui è collocato il “cuore dell’universo”. Attorno a questo fuoco cosmico ruotano anche i cinque pianeti conosciuti, i due Luminari, una invisibile “antiterra” (causa delle eclissi) e la Terra, con una rivoluzione di 24 ore; in tal modo veniva spiegato il moto diurno del Sole, dei pianeti e della volta celeste.
Ricordiamo che per i pitagorici il 10 era un numero perfetto, in quanto somma dei primi quattro numeri che rappresentavano la struttura occulta del mondo. Ciò che cercavano era infatti una visione unitaria del Tutto, e questa era appunto riassunta nel simbolo numerico e geometrico della Tetraktis: 1 + 2 + 3 + 4 = 10 = 1.
Indubbiamente Pitagora ha avuto per l’occidente un’importanza pari a quella esercitata, nei corrispondenti contesti del mondo orientale, dai grandi riformatori religiosi suoi contemporanei (Buddha, Lao-Tse, Confucio, Zarathustra) e la sua influenza va ben oltre la suggestione esercitata su scienziati di ogni epoca dalla sua intuizione matematica del mondo. La scuola pitagorica rappresentò infatti una ricerca multidisciplinare, che indicò nella matematica la base conoscitiva comune ma dimostrò la propria efficacia nei diversi campi del sapere, dall’astronomia alla musica, dall’etica alla politica. Fu una scuola in cui, al di là degli specifici insegnamenti, venivano rivelate agli iniziati due principali “chiavi” per orientarsi nel divenire: da un lato, l’ordine aritmetico-geometrico per cui il microcosmo era riflesso del macrocosmo divino; dall’altro la dimensione della coscienza, come specchio in cui le armonie celesti si proiettano sulla terra, vengono percepite, comprese, elaborate e trasformate. Strutturato in contorni chiari, tracciabili con i numeri-punti, il mondo si mostrava a Pitagora attraverso infinite consonanze e risonanze, segnali di un’intelligenza operante nella natura, alla cui energia ordinatrice e orientatrice l’intelligenza umana poteva comunque attingere, anche grazie allo studio del cielo.
Platone estese il valore metafisico del numero ad una teoria ancor più generale. Secondo la tradizione, sembra che all’ingresso della sua Accademia ci fosse scritto: “Non entri chi non conosce la geometria”… Anche se fosse solo una leggenda, rappresenterebbe bene la filosofia platonica, per cui non solo i numeri esistono indipendentemente dagli oggetti materiali numerabili, ma tutto ciò che esiste si riconduce ad un modello corrispondente (Idea); anzi, le Idee sono la sola realtà universale, immutabili ed unitarie, mentre gli oggetti del mondo sensibile non sono che casi particolari rispetto all’Idea che li sovrasta e a cui partecipano, come ombre confuse rispetto alla luce della Verità.
Platone riprese da Pitagora anche il concetto di “armonia delle sfere”, che ritroviamo descritto nel mito di Er. Un essere di pura bontà, il Demiurgo, ha creato il mondo dal caos primordiale in cui già esistevano i quattro Elementi, ma “senza proporzione e senza misura”. Per fare ordine, dapprima crea l’anima immortale del cosmo, unendo l’identico, il diverso e il “misto” secondo proporzioni di tipo matematico. Poi crea l’Universo, gli dà forma sferica e lo fa ruotare su sé stesso: si forma il cielo, si formano gli astri, e la terra viene fissata al centro di tutto. La struttura dell’universo è dunque geocentrica e costituita da otto sfere che ruotano intorno al fuso della “Necessità”, spinto dalle tre Parche che cantano rispettivamente ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà; su ogni cerchio una Sirena fa risuonare una nota, e il canto di tutte le Sirene crea una perfetta armonia.
La filosofia di Platone è ovunque permeata dall’idea di unità nella molteplicità. Molteplicità nel tempo (movimento) e nello spazio (manifestazione), che ha la propria generazione primaria nella Dualità: pari e dispari, simile e diverso, limitato ed illimitato; e che ritroviamo nella differenziazione maschile-femminile delle successive classificazioni zodiacali. Con la sua teoria delle Idee, inoltre, Platone anticipò splendidamente ciò che oggi definiamo “archetipi”, per cui si potrebbe dire che il suo contributo all’astrologia fu, per quanto indirettamente, già di tipo psicologico e interpretativo.
In seguito Aristotele, suo allievo, criticò la teoria delle Idee come artificiosa e inadatta allo sviluppo della conoscenza. Per Aristotele il mondo materiale è dotato di realtà propria e non apparente; anzi, poiché forma e materia sono inscindibili, lo studio della natura è l’unico modo per capire il Divenire e quindi l’Essere. Essere che si manifesta in dieci categorie, di cui la più importante è la sostanza, mentre ogni altra cosa, numeri compresi, è da considerarsi “accidentale”. Il Divenire, sia “in atto” che “in potenza”, dipende invece da quattro principali cause, ed anche i mutamenti nella vita possono essere di quattro tipi: questo perché gli Elementi caratterizzano il mondo terrestre, mentre quello celeste è dominio di un quinto Elemento perfetto ed eterno, l’Etere, in cui si muovono di moto circolare ed uniforme le sfere concentriche dei pianeti e delle stelle fisse.
Secondo Aristotele, dunque, per conoscere è necessario percepire; tale conoscenza si attua mediante i cinque sensi, ed è l’inizio del processo di conoscenza razionale. Eppure, nella sua classificazione delle scienze, quelle “teoretiche” (che cercano la Verità) sono la matematica, la fisica e la metafisica, comprendendo nella fisica anche la musica e l’astronomia: troviamo insomma ancora i numeri, l’armonia e il cielo, accostati alla sacralità ed uniti in una realtà superiore.
Ovviamente non è stato possibile dare il giusto risalto ad altri importanti contributi. Certo è che, oltre al tentativo di affrancarsi dai condizionamenti mitologici e religiosi, l’astronomia greca si distinse per il desiderio di superare la semplice catalogazione dei movimenti planetari a fini predittivi e giungere ad una teoria fisica, trasferendone le competenze dai sacerdoti ai filosofi; mentre sul piano matematico, i greci svilupparono il cosiddetto metodo deduttivo, basato sul ragionamento “dal generale al particolare”, e che a differenza di quello induttivo e sperimentale non porta a risultati probabili ma al riconoscimento della Verità nelle sue diverse manifestazioni.
Le conquiste di Alessandro Magno favorirono l’incontro tra il pensiero orientale e quello greco: Alessandria fu costruita appunto dopo la conquista di Babilonia e la sostituì come centro della cultura. Nel fecondo ambiente culturale creatosi attorno alla Biblioteca di Alessandria si formò anche Claudio Tolomeo, l’ultimo grande astronomo di scuola greca, nel II secolo d.C., che raccolse tutte le conoscenze astronomiche del suo tempo in una corposa opera giunta nell’Europa medievale con il nome arabo di Almagesto, e in cui esamina ogni rapporto della Terra con il cielo.
Nel sistema tolemaico il mondo è una sfera che ruota attorno ad un asse. I sette pianeti si muovono su sfere concentriche alla Terra ed oltre Saturno c’è la sfera delle stelle fisse. La Terra è immobile al centro delle orbite di Sole e Luna; gli altri pianeti si muovono invece lungo cerchi relativi (epicicli) il cui centro ruota con moto uniforme sul cerchio principale (deferente). Questa teoria, che oggi potrebbe apparire ingenua e complicata, permise tuttavia un’interpretazione corretta del moto dei pianeti e calcoli previsionali estremamente precisi.
In un altro importante trattato, il Tetrabiblos, Tolomeo esamina il senso filosofico e funzionale dell’astrologia in modo sistematico, spazzando via ogni retaggio divinatorio e distinguendola per la prima volta dall’astronomia. Pur non usando esplicitamente questi due termini, rileva infatti l’esistenza di due modi di osservare il cielo, entrambi necessari: il primo riguarda la conoscenza dei moti planetari, reciproci o relativi alla terra; il secondo l’analisi delle loro caratteristiche ed influenze sulla vita terrestre.
Accennando ad un “seme” che si modella all’ambiente che lo riceve, conferma inoltre l’importanza del tempo nella qualificazione (non solo quantificazione) di ciò che accade: è la qualità del tempo che spiega l’interdipendenza tra fatti oggettivi e condizioni soggettive, perché tutto ciò che avviene in un determinato momento ne rispecchia il particolare significato.
Secondo Tolomeo gli astrologi, come i medici esperti, dovrebbero saper riconoscere quando e se è possibile intervenire sugli eventi, ricordando la possibilità di partecipare al disegno di Dio, non quella di sostituirvisi. Dunque, l’analisi di un tema natale e la sua proiezione nel tempo non possono mai prescindere dalla valutazione delle caratteristiche particolari e generali in cui sono inserite: l’individuo, la sua educazione, l’ambiente familiare e sociale in cui vive e le dinamiche di contorno. Perché tutto, nel sistema tolemaico, ruota intorno alla Terra… ma soprattutto all’uomo.
CONCLUSIONI
Con Tolomeo si giunse a una definizione completa delle conoscenze astronomiche e matematiche, sulla base di alcuni punti fermi già accettati da Platone e Aristotele: il sistema geocentrico e una cosmogonia che vedeva sovrapposti e contrapposti il Cosmo (immutabile, puro e circolare) e il mondo “sublunare” (dominio degli Elementi, corruttibile e variabile). Ciò “funzionò” per secoli, almeno fino a Keplero e Copernico, in parte anche dopo e persino oggi, dove il geocentrismo mantiene validità astrologica nel passaggio da posizione oggettiva a visione soggettiva, mentre la sottile trama di rapporti numerici continua a sostenere la potenza simbolica e energetica di ogni calcolo o grafico.
La grande modernità di Tolomeo è riscontrabile non solo nella disinvolta trattazione di ogni aspetto dell’astrologia, ma soprattutto nell’apertura mentale con cui ne considera limiti e possibilità: nonostante l’umile atteggiamento di chi sa di sottostare a leggi più grandi di sé, l’uomo è custode di una dignità intrinseca, che si manifesta anche nell’offerta dell’opera astrologica come un’occasione di consapevolezza ed evoluzione. Tolomeo ammette la fallibilità dell’astrologia ma ne esalta il valore intellettuale e morale, condannandone ogni utilizzo sia superficiale che corrotto: un monito che giunge fino a noi, purtroppo immutato in validità, e che ci sprona ad un impegno ancor più costante verso il recupero di quel rigore e di quella purezza che forse davvero solo i “numeri” possiedono, ma che i nostri predecessori – e maestri – ci hanno lasciato in eredità.
“Non richiediamo a questa scienza tutto, in maniera emotiva e perentoria, ma amiamola in tutta la sua bellezza”.