E' mia intenzione con questo articolo portare avanti un confronto metodologico, per quanto necessariamente parziale, tra counselling astrologico, counselling propriamente detto e psicoterapia, e nel provare a utilizzare alcuni tra i molteplici significati che Nettuno può assumere astrologicamente come primo possibile ponte fra astrologia e counselling.
Mi rendo conto che questo (ovvero la necessità di un ponte fra astrologia e counselling) potrebbe non essere avvertito da molti come un reale problema, poiché già da qualche anno si utilizza in Italia l’espressione ‘counselling astrologico’ per indicare la relazione che si instaura fra cliente e astrologo. In realtà, com’è già stato osservato, sarebbe più corretto parlare di ‘consultazione astrologica’, e questo per evitare indebite sovrapposizioni di significato, sfocature di confini: ecco un primo elemento che richiama Nettuno, signore degli annebbiamenti, delle mancate messe a fuoco.
Lo stesso termine ‘counselling’ partecipa della natura di Nettuno: a tutt’oggi intraducibile, rinvia sempre a qualcosa di più delle parole usate per descriverlo (non è consiglio, non è consulenza, non è terapia, è relazione d’aiuto ma piuttosto particolare, ecc.), come se avesse un alone: la gente non sa cos’è, lo confonde con altre cose, ti guarda con occhio vitreo, e dopo che per l’ennesima volta hai cercato di spiegare di che si tratta, rimane la sensazione fastidiosa e frustrante che l’interlocutore non abbia afferrato completamente.
Come conto di illustrare adesso, consultazione astrologica, counselling e psicoterapia sono una triade interessante, perché il mestiere dell’astrologo, il cui ambito di intervento non può e non deve oltrepassare i confini del counselling, partecipa tuttavia, come vedremo, di un certo assetto mentale che è tipico della psicoterapia ma non del counselling.
Tale sfasatura pone l’astrologo contemporaneo di fronte alla necessità di un costante monitoraggio del proprio intervento, e dove i confini sono maldestramente definiti o parzialmente cancellati, con conseguente possibilità di sviste o invasioni di campo, là c’è Nettuno.
Per dare consistenza al discorso vorrei tornare ancora un momento sulla natura e sugli scopi del counselling professionale, e sulle sue differenze con la psicoterapia, soprattutto per coloro che sentono ora parlare del counselling per la prima volta.
1) A differenza della psicoterapia, riservata attualmente a psicologi e medici, il counselling come professione ha un accesso potenzialmente illimitato: non solo è ammessa la laurea in altre discipline, ma è in teoria sufficiente il diploma di scuola media superiore.
2) A differenza della psicoterapia, che prevede quattro anni di specializzazione post-laurea e circa 2000 ore di formazione minima personale fra terapia individuale e di gruppo, il diploma di counseling professionale si consegue con 450 ore di formazione teorico-pratica (distribuibili in due o tre anni) più 70 ore di formazione personale fra terapia individuale e/o di gruppo.
3) Il patrimonio teorico che ha dato origine alla psicoterapia è, come tutti sanno, quello psicoanalitico, con forti radici, per lo meno inizialmente, deterministico-biologiche e orientate alla rilettura del passato; le radici teoriche del counselling sono invece fenomenologico-esistenziali, ovvero hanno da subito posto al centro del proprio interesse il vissuto individuale e l’osservazione del fenomeno (inteso come ciò che accade qui e ora nella relazione con il cliente); questo non perché non sia possibile una lettura ipotetica delle motivazioni inconsce, ma perché tale lettura, oltre ad essere poco compatibile, come stiamo per vedere, con gli scopi del counselling, allontana dal contatto con il cliente e lo de-responsabilizza, ponendo il counselor nel ruolo dell’esperto-che-sa, laddove il suo compito è quello di agevolatore.
4) A differenza della psicoterapia, che si occupa di disagio psicologico acuto o cronico con interventi a breve, medio o lungo termine miranti a ristabilire l’equilibrio psichico o a riorganizzare l’assetto della personalità complessiva, il counselling interviene (sempre nel breve/medio termine) per cercare di impedire che la crisi temporanea si trasformi in disagio, per ampliare la prospettiva angusta del cliente intorno ad un problema, per sostenerlo a fronte di un evento imprevisto spiacevole o di una decisione delicata da prendere, o, ancora, per accompagnarlo allorché si ritrovi alle prese con eventi o situazioni che lo disorientano.
5) Pur condividendo e ritenendo fondamentali, tanto in via teorica che pratica, alcuni strumenti quali l’instaurazione e il mantenimento di una relazione autentica con il cliente (‘alleanza terapeutica’ in psicoterapia), basata sull’empatia (contatto, supporto, partecipazione) (1), sull’ascolto attivo (riformulazione, feedback) (2), sull’accettazione incondizionata (assenza di valutazione), sulla congruenza tra linguaggio verbale e non verbale (consapevolezza estesa), e pur condividendo il concetto di responsabilità del cliente/paziente nei confronti del proprio processo di cambiamento, esiste tuttavia uno strumento che è portante per la psicoterapia e pressoché vietato nel counselling, ed è l’interpretazione (sulla quale torniamo fra un attimo).
Ora, tutti questi distinguo anti-nettuniani (o correttori dell’evasività nettuniana) mi sembrano utili per prendere confidenza con quello che per me è il lato nettuniano (diffuso, sfuggente, sconfinante) del counselling, e al modo in cui Nettuno e l’astrologia possono contribuire ad ispirarlo e arricchirlo.
Parlando di ‘lato nettuniano del counselling’ mi riferisco innanzitutto alle sue origini. Padre riconosciuto di questa forma autonoma di intervento è Carl Rogers, che lo ha messo a punto negli Stati Uniti negli anni cinquanta, il quale però era uno psicoterapeuta, e Psicoterapia di consultazione è l’opera sua che maggiormente ha rivoluzionato l’approccio terapeutico dell’epoca, stabilendo alcuni principi cardine che a tutt’oggi nessuno psicoterapeuta può permettersi di ignorare.
Il counselling è quindi nato come un punto di vista particolare, focalizzato e limitato, all’interno della psicoterapia. E poi: sono psicologi e/o psicoterapeuti la stragrande maggioranza dei docenti dei corsi di counselling. Il counselling, di fatto, viene insegnato a chi potrebbe anche non avere alcuna cultura psicologica (poiché formalmente non richiesta; parlo di cultura, non di orientamento o mentalità), e, d’altro canto, insegnato da persone la cui cultura psicologica, invece, è nella maggior parte dei casi molto elevata. Questo stato di fatto pone intorno al counselling un alone involontario di ambiguità nel modo in cui esso viene prima appreso, e poi esercitato.
Tentare di tracciare dei confini, assenza di confini, violazione di confini, impossibilità di mettere confini, sconfinare, difficoltà a distinguere i confini: sono tutte variazioni nettuniane che nel caso del counselling ci pongono di fronte a una professione relativamente nuova i cui confini, molto chiari da un punto di vista teorico e didattico, risultano un po’ più sfumati nella pratica. Faccio al riguardo due soli esempi: i limiti stabiliti per l’intervento di counselling e il divieto di interpretare.
Il primo si riferisce al fermo che il counselor che non è psicologo né psicoterapeuta deve darsi allorché il cliente pone questioni che travalicano la crisi episodica ed entrano nell’area della sofferenza psicologica; il secondo è l’impegno del counselor, che non è psicologo né psicoterapeuta, a restituire il vissuto del cliente per mezzo del feedback fenomenologico, della riformulazione e della sperimentazione di possibili alternative nel qui e ora; in altre parole, a restituire al cliente lo stesso materiale, verbale, corporeo ed emotivo, presentato dal cliente senza alcun’altra aggiunta; il counselor deve quindi astenersi rigorosamente dall’interpretare, nel senso di leggere i contenuti portati dal cliente per mezzo di una qualsivoglia griglia esterna di significati.
Entrambi questi esempi hanno la loro ragion d’essere non soltanto teorica (oggi sono molti anche gli indirizzi di psicoterapia che ridimensionano il ruolo e il peso dell’interpretazione, e tendono a porgerla come ipotesi), ma anche e soprattutto didattica: 70 ore di formazione minima personale a fronte di 2000 ore per il training psicoterapeutico sono niente, e per un counselor, che non sia psicologo né psicoterapeuta, gestire un cliente in sofferenza o azzardare interpretazioni con così scarso bagaglio (anche a livello di teoria psicologica) significa avere alte probabilità di violarne i confini (sempre Nettuno) e danneggiarlo.
Nella pratica, tuttavia, questo rigore teorico può essere messo a dura prova, complice la cultura psicologica di massa, perché per un potenziale cliente rivolgersi al counselor invece che allo psicoterapeuta può voler dire cercare di passargli sottobanco problemi anche seri con l’illusione di salvare la faccia. Come a dire: se mi rivolgo al counselor, in fondo tanto male non sto, ma questo atteggiamento inconscio, se trova collusione nell’operatore, può indurre a lunghi percorsi pseudoterapeutici che non sono counselling né tanto meno psicoterapia, ma solo un disonesto (se pure in buona fede) girare intorno a un nodo di sofferenza che non è possibile affrontare efficacemente per mancanza di strumenti adeguati da parte del counselor. Possedere una mappa precisa dei propri confini culturali e professionali diviene allora indispensabile per imparare a soccorrere fin dove è possibile, e per il resto inviare.
Nella sua ottima (quand’anche discutibile su alcuni aspetti) monografia su Nettuno, Liz Greene affronta il tema nettuniano del glamour (3). Al pari del termine ‘counselling’, glamour è parola che è preferibile non tradurre, perché non è ancora stata trovata un’espressione sintetica che ne renda completamente il senso: ha a che vedere con il fascino, ma ancor di più con la fascinazione, che può tramutarsi in mistificazione; in altre parole, ha a che fare con il vendere a caro prezzo qualcosa che vale molto meno. In questo particolare tipo di illusione noi tutti riconosciamo Nettuno, e ogni volta che il counselling viene richiesto, o peggio ancora offerto, come una sorta di scorciatoia psicoterapeutica per furbi, siamo alle prese con il particolare glamour di questa nuova professione, con la sua particolare attrattiva, che può promettere più di quanto non sia poi in grado di mantenere.
Analogo problema può avere l’astrologo, con una difficoltà in più che deriva proprio dalla storia di questa disciplina. Nel caso in cui egli sia già psicologo e/o psicoterapeuta, (4) la consultazione astrologica può scivolare senza controindicazioni nell’intervento di sostegno o terapeutico, giacché l’operatore è competente su più fronti. Nel caso invece in cui egli non disponga di questo tipo di competenze, valgono e devono valere le delimitazioni indicate per il counselling professionale, ossia la concentrazione dell’intervento nelle aree della crisi, della motivazione, della sollecitazione di risorse, della presa di decisione (campi del resto tutt’altro che facili, e da non sottovalutare).
Su questo e altri aspetti della consultazione astrologica molto è stato detto, e proprio in questi giorni è stato pubblicato, sul numero 138 di Linguaggio Astrale, un lungo e utile articolo (scritto in collaborazione da alcuni partecipanti alla mailing-list “Convivio astrologico”) che affronta finalmente l’argomento in modo sistematico e completo.
Quello che qui mi preme rilevare è il nodo che l’astrologia pone diversamente dal counselling, e mi riferisco al nodo dell’interpretazione. L’astrologia è nata come lettura di segni sulla base di una chiave, e tutto ciò che decodifica segni è interpretazione. Il cliente arriva portando un vissuto, una domanda, una carta di nascita, e l’astrologo legge: che la chiave sia la personalità, il futuro o una vita precedente, non fa differenza. Possiamo discutere su come, quando, quanto, cosa, l’astrologia possa o debba interpretare, ma non possiamo negare che interpreti, a pena di snaturarla. L’astrologo puro non riformula: vede, com’è possibile vedere un testo crittografato poggiandovi sopra la griglia di lettura. L’astrologo ha bisogno della collaborazione del cliente per meglio adattare la chiave a quel particolare individuo, ma se vuole esercitare questa professione deve avere il coraggio di vedere.
Il fatto che oggi il porgere al cliente quello che si vede, ossia l’interpretazione del tema o dei transiti ecc., sia diventato un compito così complesso per l’astrologo, è dovuto all’alto livello di libertà, di autodeterminazione e responsabilità che grava culturalmente sull’individuo, e impone all’astrologo di fornire responsi che siano anche ‘educativi’ in questo senso (5); ed è dovuto anche alla mentalità psicologica in espansione, che collabora con il movimento di autoriflessione ed autodeterminazione dell’individuo combattendo l’idea antica (e storicamente originaria) di un destino predeterminato.
Tutto questo fa sì che ciò che oggi l’astrologo vede e restituisce al cliente non abbia più confini così netti e nitidi, ma sia fondato sulla possibilità, sulle potenzialità, sulla multiformità del simbolo, su una indeterminatezza relativa, su un parziale vuoto di informazioni che, mentre delude le aspettative di certezza del cliente, si fa però garante della sua libertà di scelta, e gli restituisce la responsabilità del proprio percorso. Quindi, ancora Nettuno nel bene e nel male: la lettura astrologica perde in definizione e guadagna in ricchezza di prospettive. Ma richiede anche un consultante molto più maturo che in passato.
Riassumendo, l’astrologia può affiancarsi spontaneamente ed efficacemente al counselling professionale dal punto di vista dell’area di intervento (nei termini in cui l’abbiamo descritta poc’anzi), in altre parole della sua destinazione… più problematico è il suo accostamento al counselling per quanto attiene ai mezzi privilegiati per giungere a tale destinazione, perché la lettura di una carta di nascita non può offrire, di per sé, quella esperienza emozionale correttiva che deve invece essere tipica, ad un certo momento, dell’intervento psicoterapeutico, e in forma circoscritta anche dell’intervento di counselling.
Tanto la lettura astrologica che il colloquio di aiuto, tuttavia, favoriscono con mezzi diversi le condizioni perché si verifichi un insight, il cosiddetto flash illuminante, e questo evento, di natura uraniana per la sua imprevedibilità, fulmineità e sconnessione apparente con il contesto che lo ha preparato, ha tanta più probabilità di verificarsi quanto più siamo in grado di trattenerci, per tutto il tempo necessario, in un’atmosfera nettuniana fatta di penombra in cui le cose si avvertono ma non ancora si vedono, in cui grande è l’ansia di certezze ma anche l’opportunità di cogliere il maggior numero di sfaccettature di una situazione; perché quando illuminiamo in maniera troppo decisa alcuni aspetti, il resto non scivola nella penombra, bensì nel buio completo.
Imparare a familiarizzare con la visione sfocata e penombrale tipica di Nettuno, e in particolare dei suoi transiti, può rivelarsi un utile strumento di autosostegno per il cliente, se abbinato ad alcuni mezzi correttivi quali, per esempio, la maggiore focalizzazione sul presente e sulle sensazioni corporee. La prima combatte le tendenze alla fuga, all’evasione in un mondo migliore, ideale, perfetto che, chissà come, non si trova mai dove noi siamo in questo momento; la seconda ci permette di sentire un centro, un confine relativamente certo proprio entro la nostra pelle, e quindi di mantenere un aggancio fisico al nostro senso di identità anche nel caso in cui una relazione o una situazione della nostra vita si stiano lentamente dissolvendo sotto l’impatto del transito.
Tener presente Nettuno nelle consultazioni può inoltre aiutare l’astrologo e/o counselor sia nella prevenzione di alcuni rischi che nel porgli almeno un paio di sfide:
a) Nettuno è presente ogni volta che rischiamo di scivolare dall’empatia, che è la capacità di rappresentarsi a tutti i livelli (mentale, emotivo, fisico) la prospettiva di un particolare cliente, senza che ciò perda mai la qualità della rappresentazione, all’identificazione, che, come osserva Sanders in Counselling consapevole, dà l’illusione di sapere esattamente come l’altro si sente, quando in realtà è il nostro vissuto che stiamo guardando, sovrapponendolo al vissuto del cliente;
b) Nettuno è presente ogni volta che non abbiamo chiari i confini del nostro intervento, della relazione, della professione, o quando malauguratamente li violiamo; quando proiettiamo inconsapevolmente; quando manchiamo un vero contatto (che secondo la Gestalt può avvenire solo al confine, delimitato ma permeabile, tra due identità ben formate) scivolando nella confluenza (che è con-fusione); quando ci facciamo agganciare dal cliente schierandoci inconsapevolmente dalla sua parte, restituendogli solo ed esclusivamente ciò che vuole sentirsi dire. (6)
Infine, Nettuno può essere utilmente evocato per smorzare volontariamente le luci su ogni carta di nascita che vediamo per la prima volta, o su ogni nuova questione che ci viene posta. Ne L’interpretazione dei significati, di E. Giusti e G. Minonne, si legge: “L’impressione che grazie alla teoria possiamo immediatamente comprendere il paziente ci dà un senso di potere cui è difficile rinunciare”. Ora, se la dimensione del potere è qualcosa che nella consultazione chiama in causa soprattutto Plutone, tutti noi conosciamo la sensazione di poter cogliere al volo il significato di un aspetto, di una configurazione, con una sola occhiata. Questa sensazione, giustificata soprattutto dalla lunga esperienza di molti astrologi, può essere con il tempo fortemente limitante, perché sclerotizza la visione.
Se entriamo in una stanza in penombra per la prima volta, ci sembrerà di riconoscere determinati oggetti, ma ci prenderemo il tempo per esserne sicuri. Ricordare di prendersi il tempo necessario è fondamentale in tutti i micro- e macro-processi di cambiamento, è fondamentale per trovare, mantenere o ripristinare la giusta sintonia con quanto sta accadendo. (7) Ed è fondamentale in tutti i transiti di Urano, Nettuno e Plutone: nel caso di Urano per essere certi di quello che andremo a fare; nel caso di Plutone per venire a patti con i nostri desideri più profondi, soprattutto se ci rivelano cose di noi stessi che non avremmo mai creduto; nel caso di Nettuno, infine, per essere sicuri di quello che vediamo: e questo non solo per evitare di prendere lucciole per lanterne, ma perché potremmo ritrovarci davanti al nuovo e non vederlo, paradossalmente abbagliati dalla luce del passato.
NOTE
(1) Secondo la definizione classica di Rogers, l’empatia consiste nel partecipare emotivamente alle esperienze del cliente come se fossero le proprie, senza tuttavia mai perdere la qualità del ‘come se’.
(2) La riformulazione è lo strumento principale del counselling umanistico, e consiste nel restituire al cliente quanto egli ha appena detto, con parole identiche, simili o diversamente organizzate, purché non venga aggiunto ad esse alcunché di sostanziale (che in tal caso apparterrebbe al counselor e non al cliente). Il feedback fenomenologico consiste nel comunicare al cliente quanto di lui si osserva soprattutto dal punto di vista non verbale, anche qui senza aggiungere interpretazioni o valutazioni.
(3) L’attribuzione del glamour a Nettuno era già stata stabilita dalla scuola esoterica di Alan Leo, e in particolare da Douglas Baker, astrologo tuttora vivente molto noto in Gran Bretagna.
(4) Nei paesi anglosassoni la grande maggioranza degli astrologi ad orientamento psicologico sono psicologi e/o psicoterapeuti, mentre qui da noi è ancora molto forte, accanto a un’astrologia psicologica emergente, un’astrologia legata in vario modo alla tradizione, o che si è rinnovata seguendo altre strade (si pensi soprattutto a Lisa Morpurgo).
(5) Per esempio, che non ingenerino nel cliente una dipendenza (Nettuno!) dalle previsioni.
(6) Questo è un punto delicato della consultazione, che molti autori hanno già affrontato: non si tratta tanto di abbattersi come un sasso sui punti rispetto ai quali il cliente non è ancora pronto, quanto di resistere al suo glamour, alla fascinazione che possa esistere un solo punto di vista, quello del suo io cosciente, resistendo al contempo alla fascinazione di imporgli il nostro, di punto di vista…
(7) Mi viene in mente il nome inglese di Nettuno, Neptune, che evoca il verbo inglese to tune, ‘sintonizzarsi’.
BIBLIOGRAFIA MINIMA UTILIZZATA
• “Il counselling astrologico” (sintesi a cura della List ‘Convivio astrologico’, Linguaggio Astrale n. 138)
• E. Giusti, G. Minonne, L’interpretazione dei significati, Sovera Multimedia, 2004
• Liz Greene, The Astrological Neptune & the Quest for Redemption, Samuel Weiser, 1996
• Mauro Sanavia, “Sintonia planetaria”, Linguaggio Astrale n. 134
• Pete Sanders, First steps in counselling: a students’ companion for basic introductory courses, 3a ediz., 2002 (Counselling consapevole: manuale introduttivo, La Meridiana, 2003)
• J. Sharman Burke, “La consulenza astrologica”, Linguaggio Astrale n. 114