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- Astrologia e dintorni

SOGNO/REALTÀ
     a cura di J.Hillman
 
Sogno/Realtà
Partiamo dalle macerie. In piedi non è rimasto nulla. Il formidabile edificio costruito da Freud nel 1900- il più voluminoso dei suoi scritti – non ha resistito nemmeno un secolo. Gli etnologi hanno invalidato la sua pretesa di universalità; le femministe hanno denunciato le faglie misogine che attraversavano la sua roccia; i marxisti ne hanno demolito il taglio borghese, mentre gli storici sociali hanno collocato l’intera costruzione nell’ambito del colonialismo ottocentesco, cosicché gli ambientalisti contemporanei hanno potuto risotterrare frammenti di Freud e ripartire da una nuova prospettiva “naturale” che vede nel sogno il riflesso psichico del mondo.
Ma c’è di più: il sogno, un tempo via regia per accedere alla realtà dell’anima, risulta oggi solitamente ignorato dagli psicoterapeuti, al di là delle specifiche teorie al riguardo. Per tutti ormai il sogno fa riferimento, dipende o è riducibile a qualcosa di più concreto, qualcosa che ha a che fare con la linguistica, l’attività cerebrale, la biogenetica. In fondo, il sogno è una difesa dalla realtà, una fuga da essa.

Il nostro compito dunque non è a mio parere quello di rimettere in piedi l’edificio freudiano adattandone le rovine al decostruzionismo contemporaneo, quanto piuttosto di chiarire l’idea di realtà alla quale il sogno si oppone e alla quale può essere ridotto.
Ma prima di avventurarci oltre sulla strada del sogno, occorre innanzi tutto capire dove ci troviamo:
nella “realtà” del consenso, nel mondo di tutti i giorni. Il nostro viaggio verso la luna ha inizio qui, sulla terra. E questa terra è piatta. Lo è da molto prima che ruspe e calcestruzzo delineassero la nostra quotidiana “realtà” fatta di superstrade, circonvallazioni e solette in cemento. La terra era già stata spianata quanto basta dal supremo campione della filosofia occidentale, Cartesio (1596-1650), il quale definì il mondo delle cose materiali – rocce, alberi e il nostro pane quotidiano – una resistensa, materiale, pubblica, oggettiva. Al vasto mondo tanto splendido e vario, e tanto nuovo (così lo cantava Matthew Arnold), Cartesio attribuì una geometria monistica, poi ulteriormente compresa e misurata come spazio da Isaac Newton nel secolo successivo. Luoghi specifici si trasformarono in località astratte, coordinate su una mappa, dati per cartografi, mentre gli elfi, gli spiriti dei boschi e le ninfe dei fiumi, gli spettri e gli spiriti del passato, gli abitanti originali della terra insomma, venivano rinominati, accolti nella nostra tradizione occidentale, o banditi nel territorio dell’irreale, come semplici favole o miti, o nelle province delle streghe e della negromanzia, della superstizione e del paganesimo, presenti solo nelle fantasie dei bambini o nei deliri dei folli rinchiusi in
manicomio.

Entro la metà del XIX secolo la mentalità scientifica dominava a tal punto la nozione di realtà, che i dizionari potevano definirla “ciò che costituisce la cosa in sé, in contrapposizione al mero apparire…”. La realtà è ciò che “giace sotto e costituisce la verità dell’apparenza”. E cosa giace sotto l’apparenza delle cose? Leggi e formule matematiche di fisica e genetica. Che non appaiono, ma rispecchiano il concetto di realtà espresso dal dizionario. Sogni e fantasticherie al contrario possono apparire al singolo individuo, ma soltanto la loro realtà misurabile – vale dire il cervello? – ne costituisce la verità. Inoltre, ciò che voi ed io gustiamo e vediamo, i profumi e la gamma dei colori risultano per definizione non costitutivi della cosa, ma semplici qualità secondarie, come attesta l’empirismo. Il mondo stesso, con la reale realtà che gli soggiace consiste nel movimento di impercettibili nano-impulsi che si urtano a caso.
Poiché sogni e fantasie non sono oggetti solidi, pubblici, reali, tangibili, né risulta possibile ridurli a formule matematiche, essi devono essere irreali e fallaci. Ecco perché, scienziati come Crick e Monod possono considerarli alla stregua di mera spazzatura dei processi elettrici che il cervello elabora nel sonno.

La cultura italiana, a partire da Giambattista Vico, ha colto gli effetti rovinosi dei fenomeni umani che non ubbidiscono al metodo cartesiano, fattosi scientifico ed epistemologico. La Scienza Nuova di Vico sostiene che lo studio del sapere, la conoscenza della realtà e la certezza della verità non possono scaturire dalla logica, dalla matematica e dall’introspezione, bensì da ciò che le precede – storicamente, psicologicamente e filologicamente – vale a dire dallo studio del mito. La prima scienza consiste nella comprensione delle favole. In esse troviamo gli universali fantastici che rientrano, precedendola, nella formazione dei concetti a torto utilizzata dal pensiero cartesiano per conoscere la realtà e affermare la verità.
La Prima Orazione di Vico (pronunciata nel 1699, all’età di 31 anni) ci presenta già la phantasia come forza generatrice autonoma. La conoscenza della realtà richiede quella che egli definì “sapienza poetica”, allocata negli universali dell’immaginazione.

Se confrontiamo il nostro tema Sogno/Realtà con il pensiero vichiano e con ciò che ho in passato definito “base poetica del pensiero”, ci accorgiamo che i sogni, essendo per natura non chiari né distinti, risultano non comprensibili secondo il metodo cartesiano la cui epistemologia costringe a contrapporli alla “realtà vera”.

II
Perfino più assoluto di quello di Cartesio è il sospetto che la Bibbia Cristiana nutre nei riguardi del sogno. Il verbo “sognare” non compare nel Nuovo Testamento, mentre il sostantivo “sogno” ricorre solo tre volte in Matteo. Tale rifiuto del sogno è analogo alla preferenza che i testi sacri mostrano per la parola “pneuma” (che allude allo spirito elevato, aereo, ventoso) rispetto al termine “psyche”: 274 occorrenze della prima, contro le appena 57 della seconda! E Paolo usa la parola anima in tutto quattro volte.
Ma che importanza ha tutto ciò? Che importa ciò che Cartesio scrisse secoli fa; e la Riforma non ci ha forse insegnato a leggere il Nuovo Testamento a modo nostro? Se torno alle radici del concetto di realtà e immaginazione è per dire che non possiamo prescindere dalle nostre tradizioni. Ogni ragazzino alle prese con un videogioco, facendo il proprio ingresso nella realtà virtuale e trascurando magari i compiti di matematica per occuparsi del sogno, imbocca la strada scivolosa della perdizione. Fugge dalla realtà, sedotto dal sottomondo irrazionale dei poteri pagani che, ai tempi di Cartesio adescavano i buoni cristiani con l’alchimia e la magia e, prima ancora, con le tentazioni notturne che tormentavano gli asceti, uomini solitari disposti a vegliare notte dopo notte per non abbandonarsi al sonno e cadere vittime dei sogni.

Sfiducia. Sospetto. Facciamo un esempio: prendiamo un noto manuale di psicologia, Psychology and Life , utilizzato come testo in corsi propedeutici, da una media di almeno mille studenti l’anno presso l’Università dell’Ohio. Si tratta di un tomo di più di seicento pagine, che costa allo studente un centinaio di dollari e che è attualmente alla diciassettesima edizione, opera di un’autorità nazionale in materia, docente ai massimi vertici della carriera accademica.
Ebbene, questo libro nomina “l’immaginazione” un’unica volta, in riferimento alla memoria. Consultandone l’indice, in compenso, parole come “internet”, “intimità” e “infanzia” risultano ricorrere più volte.
E che cosa scopriamo in quel testo riguardo ll’immaginazione? Che interferisce con la memoria, colmandone i vuoti. L’immaginazione falsifica insomma la testimonianza fattuale. Non è affidabile.
Dunque, secondo il parere dell’insigne autorità, l’immaginazione complotta contro di noi, ci depista. Agli studenti di psicologia che affollano a centinaia di migliaia le aule universitarie statunitensi (e non solo), nella speranza di un risveglio a se stessi e alla grande anima della vita viene riproposto il vecchio messaggio cartesiano-cristiano travestito da ultima novità scientifica: guardatevi dall’immaginazione. Non varrebbe nemmeno la pena soffermarcisi. Ma vi chiedo di tenere a mente questo manuale americano come esempio di mancanza di immaginazione. Ci torneremo, per vedere come possa influenzare la realtà del mondo in cui tutti viviamo.

III
E veniamo ora al terzo elemento che informa la nostra prospettiva sul mondo e che divide la realtà dal sogno. Da una parte, Cartesio e i positivisti ci hanno fornito un’idea della realtà e del mondo quotidiano fatto di oggetti solidi, misurabili e analizzabili con gli strumenti della razionalità scientifica. Dall’altra, la Bibbia ci ha messi in guardia contro i pericoli del mondo notturno definito inaffidabile e pericoloso per l’anima. Il terzo fattore che domina il nostro rapporto con il sogno è quello mitico. Mi riferisco nello specifico alla figura di Apollo.
Apollo è la divinità greca che più di ogni altra ha a che fare con i nostri tentativi di collegare il mondo diurno della veglia e quello notturno dei sogni. In breve, come tutti sapete, egli era il dio dell’oracolo di Delfi, il dio delle profezie, della guarigione, dio della giovinezza, dotato di una bellezza radiosa, molto virile, violento, carente nei rapporti con le figure femminili, uccisore di serpenti e mostri, nonché, cosa in sommo grado rilevante per il nostro tema attuale, divinità favorita di Artemidoro di Daldi, autore, intorno all’anno 270 del nostro calendario, di uno studio completo sui sogni. La sua Oneirocritica presenta una teoria, un metodo interpretativo, e una raccolta di sogni tratti dal mondo antico, sia dalla letteratura, sia da testimonianze dirette. Fu Apollo stesso, ci dice Artemidoro, a commissionargli l’opera, ordinandogli di comporre il libro, in effetti dedicato al dio.
Lo studio dei sogni nella nostra cultura nasce dunque sotto l’egida di Apollo.
Descrivendo poteri e virtù delle maggiori divinità, Artemidoro considera Apollo il protettore di indovini e filosofi. Egli conferisce saggezza e dona il successo. Apollo rivela le cose celate alla vista in quanto si identifica con Helios, personificazione del sole, e ha nome Phoibos, luce splendente. In veste di Helios, Apollo ci risveglia dal sonno e ci invita al lavoro. Inoltre, perseguita ladri e malfattori, perché rende note e pubbliche le loro azioni.
L’idea che il sogno sia un mascheramento, ma che il suo significato possa essere svelato fa il proprio ingresso nella nostra tradizione attraverso Artemidoro, portavoce di Apollo. Nietzsche, a modo suo, riprende il concetto, chiamando Apollo dio dei sogni, giacché nel sogno afferriamo il concetto di forma immateriale, di forme che brillano di luce propria. Tanto i dozzinali manuali di
simboli onirici quanto i testi raffinati come quello di Freud accolgono il metodo di Artemidoro che consiste nel convertire l’oscurità in luce. Freud anzi diceva che un sogno non interpretato è come una lettera che nessuno ha aperto. Il metodo proposto da Artemidoro di tradurre l’enigma del sogno in conoscenza utile è prevalso dall’antichità ai giorni nostri. Noi non siamo in grado di percepire l’irresistibile potere di Apollo nella struttura del nostro pensiero, né le conseguenze accecanti di quella luce.
Non dovremmo sottovalutarle. Civiltà e cultura ne risentono tuttora. L’Illuminismo: scienza, idee chiare e distinte, indagini, processi intellettuali, gli ideali di una società colta e laica, libera dai terrori superstiziosi , una cultura di altissimo livello con i suoi luminosi rappresentanti da Luigi, Re Sole di Francia, a pittori, drammaturghi, poeti, studiosi, musicisti e altri devoti alle Muse di Apollo.
Ma tali virtù chiarificatrici sono pertinenti all’osservazione dell’altra metà della psiche, cioè del mondo notturno dell’immaginazione? Per esempio, durante la notte ci sentiamo parte del sogno, figure tra le altre, e nemmeno sempre protagonisti, racchiusi nello scenario onirico. Poi però, con il primo raggio di consapevolezza mattutina, riteniamo che il sogno abbia avuto luogo dentro di noi nelle nostre menti, nella nostra testa. E diciamo: “Ho fatto un sogno”, espressione che sancisce il
nostro ruolo di proprietari attivi del sogno stesso.
Eppure nel corso della notte eravamo noi in balia del sogno e non viceversa. Il fatto che una cosa ci accada non significa che la possediamo. Se vediamo un cavallo in un prato, o un aereo in cielo, non li pensiamo nostri solo perché li abbiamo visti. I greci infatti dicevano : “Ho visto un sogno”.
Questa nostra volontà di comprendere e di rivendicare il sogno come nostro ci aiuta a intendere la resistenza che i sogni oppongono al nostro bisogno di appropriarcene. Essi rivendicano la propria autonomia rifiutando di farsi ricordare. Occorre stemperare la volontà, abbandonarsi, per permettere al sogno di tornare a noi di giorno. Occorre un invito.
I metodi interpretativi, quali che siano, convertono le immagini in parole e le parole in concetti. Il cane giallo che in sogno digrigna i denti e ci tiene alla larga da casa nostra diventa l’impulso ringhiante che ci impedisce di sentirci a casa, vuoi nel senso spaziale di casa vera e propria, vuoi in quello del nostro mondo interiore. La serpe nell’erba che ci terrorizza in sogno diventa, attraverso l’interpretazione, una sventura, un nemico inatteso, un groviglio di ossessioni sessuali, il complesso materno, un odio velenoso, un’insidia nascosta… cose che abbiamo paura di vedere ma che ci strisciano ai piedi a ogni passo. Ecco di nuovo il nostro Apollo che viene a fare luce sul mistero.
L’originale si perde in traduzione. Una volta scoperto il significato, il sogno si può gettare via.
Non solo; il ruolo di Apollo in questo caso è anche quello di offrirci guarigione e di restituirci centralità. Il cane, la serpe, sono apparsi a noi e diventano nostri, assumono un significato personale, rafforzando il nostro senso di individualità. Apollo, scrive Nietzsche, è “il nume tutelare del principium individuationis”. A suo giudizio, ci garantisce un senso di individualità singolare grazie al “ritratto biografico”.
E infine, ecco l’ultimo potere benefico di Apollo: dopo una “buona interpretazione” ci sentiamo meno confusi e perplessi, più chiari, luminosi, più candidi, per non dire più puliti. Del resto Apollo, dalla radice “phoibos ”, sta per “colui che profetizza e purifica”. In fondo Apollo era il dio al centro dei rituali di purificazione.
C’è poi della follia in questo metodo. Quando il Coro domanda a Edipo: “Oh, esecutore di grandi gesta…Quale demone ti ha guidato?” – egli risponde: “E’ stato Apollo, Apollo, amici/ a produrre questi mali”. E anche Oreste, altro eroe purificatore, è guidato da Apollo a commettere assassinio.
Mentre il poeta/profeta Hölderlin, a chi gli faceva domande sulla sua follia, sembra rispondesse: - Apollon hat geschlagen”, ha vinto.
Secondo Platone, l’ossessione profetica è il primo dei quattro tipi di theia mania, o furore divino.
Egli la associa alle sacerdotesse oracolari del culto di Apollo che “grazie al potere delle loro ispirate profezie hanno spesso predetto il destino di molti e correttamente guidato le loro azioni”. Virgilio si inserisce nel solco della tradizione, scrivendo che l’Apollo di Delo “ha soffiato nella grande mente” della profetessa Sibilla. Il termine latino che utilizza è “inspiratio”.
Al giorno d’oggi l’ispirazione apollinea ha smesso di essere delirante, e gli attuali interpreti dei sogni, in pacate sedute psicoterapeutiche non fanno profezie in preda ad attacchi di theia mania.

Molte cose si sono ridimensionate dai tempi del mondo affollato di dèi dell’antichità. L’attuale rivelazione ispirata per lo più condotta da analiste, si è fatta forse più quotidiana, ma non meno perentoria. La semplice scelta di risalire al sogno per capire che cosa la vita possa riservare al cliente, e per guidarlo correttamente, domina tuttora lo scenario dei seguaci di Apollo. E’ una di visione, scrive Tommaso d’Aquino “come luce del sole nell’atmosfera”.
L’essenza dell’interpretazione rimane la rivelazione di un contenuto nascosto. Apollo resta inevitabile, se vogliamo continuare a sapere.

IV
E dunque, che ce ne facciamo di un sogno nella vita di tutti i giorni? Mi permettete di offrire qualche suggerimento pratico? Prima di tutto, non cercate di sfuggirlo. Lasciate che vi stia attorno, che vi confonda, vi affligga, che infesti di immagini i vostri sentimenti. Viveteci, con quel cane giallo, con quella serpe. Non perdete mai d’occhio l’erba.
Secondo: resistete al bisogno di sapere. Dominate il vostro impulso alla conoscenza, l’urgenza apollinea di leggere il sogno per trarne un chiarimento, una profezia. “Sogni premonitori”, “sogni buoni o cattivi”. Non sapete che cosa li ha prodotti, perché sono venuti, che cosa significano.
Evitate le formulazioni concettuali. Date retta al grande maestro francese, Gaston Bachelard, il quale scrisse: “Immagini e concetti si formano ai poli opposti dell’attività mentale: immaginazione e ragione. Tra loro agisce una polarità di esclusione.. Non può esistere sintesi, tra il concetto e l’immagine”. “L’immagine può essere studiata solo attraverso l’immagine, attraverso immagini oniriche…in uno stato di rêverie”. Oppure a Vico: “La fantasia è tanto più robusta quanto più
debole è il raziocinio”.

Terzo: non vi sforzate di collegare il sogno alla veglia e alle sue ansie. E’ vero, può capitare che un sogno offra la soluzione a un problema. Quante volte romanzieri, inventori e matematici, sfiniti dalla fatica, si sono coricati sconfitti e hanno trovato nella notte le risposte che cercavano, sotto forma di dono ricevuto in sogno. Ma si tratta di casi per i quali al mattino ringraziano gli dèi intervenuti in loro soccorso. Casi fortuiti e, a volte, sciagurati: ostinandoci a leggere il sogno direttamente nei termini del problema, possiamo perderci altri spunti impigliati nel groviglio di immagini.
Ricordate: strumentalizzare un sogno alla soluzione di un problema della quotidianità significa utilizzarlo a scopi personali, cadendo nell’errore fondamentale del pensiero di Artemidoro, vale a dire che il sogno ci appartenga di diritto, come un servo con il compito di compiacere la nostra individualità.
Se proprio non riuscite a evitare la sensazione che il sogno parli per voi, accoglietelo come un ospite. Apritegli la porta di casa, dategli il benvenuto. Insegnate ai vostri figli a essere felici di avere sognato; fatevi raccontare i loro sogni a colazione, lasciando che i fantasmi della notte dividano con voi la tazza di caffè, il buon succo d’arancia. Il sogno diventa così parte della vita familiare. In effetti sono spesso i più piccoli a partecipare più intensamente ai sogni raccontati a tavola. La phantasia puerile risulta più sensibile perché più attiva, come è attiva, secondo Vico, Herder e i Romantici, nelle favole e nei racconti fiabeschi, nei “primitivi” e nei visionari, nei deliri del posseduto, e nel bambino appunto.
Interrogatelo pure, il vostro sogno, ma evitate quelle osservazioni interpretative che potrebbero farne appassire le immagini. Siate sensibili e avveduti. Lasciate che il sogno parli la sua lingua. Per Freud si tratta del linguaggio delle “associazioni”: lasciate che le associazioni affiorino alla mente senza censurarle, diceva. Per Jung, il sogno parlava per immagini che richiedevano il sostegno di riferimenti culturali tratti da tradizioni, simbologie, rituali, folklore. Per Vico, suppongo, il sogno parla la sua “sapienza poetica” secondo la “logica poetica” degli universali. Tutte le sue figure si trasformano in archetipi e configurazioni eroiche che non si limitano a rappresentare le rispettive controparti diurne. Ho idea che Vico si sarebbe trovato d’accordo con Jung, che i sogni li nutriva, alimentandoli di ricchezze culturali, collocandone le immagini tra altre analoghe. Jung definisce il proprio, “metodo di amplificazione”, in quanto aumenta la portata del sogno, lo allontana dal privato e dal personale per restituirlo al collettivo e all’archetipico.

Quinto, considerate che il sogno è un intero e che ogni sua parte va ricondotta al resto. Il vecchio albero sradicato davanti alla casa di quando eravate bambini, la diva del cinema che vi dice qualcosa che al risveglio non riuscite a ricordare, la sensazione che vostra madre morta o una donna che le somiglia vi stesse accanto a bordo di una piccola imbarcazione…tutti questi frammenti stanno insieme perché il sogno li ha uniti in un mosaico, un collage e, alla presenza di uno, si accompagna quella di tutti gli altri. E’ da seguace di Apollo praticare rigide distinzioni, selezionare, scomporre, per conoscere meglio il frammento.

Sesto: lasciate che il sogno si sposti. Se non lo fa, trasformatelo in una fantasticheria. Come un
autore, permettete ai personaggi del vostro teatro notturno di esprimersi. Non imbeccateli.
Accertatevi che ciò che dicono arrivi da loro stessi e non da voi.
Che cosa vuole il sogno, ecco la chiave. Voltatevi: affrontate il cane dal quale state fuggendo.
Chiedetevi, che cosa vorrà? Perché è venuto a turbare il mio sonno? Domandatevi che cosa prova lui, anziché registrare unicamente il vostro spavento. E quello scenario arcano nel quale i sogni vi riportano insistentemente, così noto e al tempo stesso misterioso, quello scenario da cui cercate di evadere, in cui cercate una via, un percorso a ritroso per svegliarvi con l’ansia di non essere riusciti a uscirne? Che paese è questo in cui trascorrete tante notti? Quale richiamo esercita su di voi? E di nuovo, che cosa vuole?
Forse quello del sogno è un io diverso dal vostro, forse sta muovendo i primi passi nel territorio della immaginazione e tra le sue creature.
Il che ci conduce al mio settimo suggerimento, il più importante di tutti. Lasciatevi travolgere dal sogno. Ecco la parola chiave: partecipazione, anziché interpretazione. Immersione, come un tuffo nella musica, un senso di coinvolgimento. “Travolti in questa musica dei sensi/ Non curano la gloria d’altri tempi” , scriveva W.B.Yeats contrastando così, con l’immagine dionisiaca, gli sforzi apollinei di ottenere una forma statica e identificabile.
Abbiamo divagato parecchio per tornare infine a Nietzsche e al suo tentativo di risalire alle origini della tragedia e da quelle alla nascita dell’arte scaturita dall’immaginazione dionisiaca – a dispetto di Apollo e della sua lira, della sua nobile ispirazione, della sua squisita bellezza, del suo manifestarsi attraverso le discipline formali delle Muse.

Siamo tornati nella Delfi della phantasia primordiale, che precede le divinazioni di Apollo, ai tempi in cui l’ispirazione oracolare emergeva dal serpente Pitone e il luogo era dionisiaco. E sono tornato a Nietzsche che invoca Dioniso e le sue danzatrici, la Dionisos-zoè, come veniva chiamato, il ritmo di vitalità animale, precedente la comprensione e la comparsa della luce. Oppure, a una luce oscura, un barlume di opaca consapevolezza che non si sporge profeticamente sul futuro, né rimugina sul passato: la coscienza coincide con il movimento, come un canto che prorompe dalla gola, parole scaturite dalla lingua. Dioniso libera la fantasia (era infatti chiamato Lieo, il “liberatore”), l’immaginazione che sostiene l’autonomia dell’arte e vivifica ogni momento della storia.
Non era olimpico, e nemmeno nobile come Apollo, ma era forse il favorito dalla gente; la sua presenza, come quella degli dèi in tutte le cose costituiva la realtà del mondo antico e può tornare a essere nostra se, insieme a Nietzsche, siamo pronti a riconoscere che “il tremendo bisogno storico della nostra insoddisfatta cultura moderna…lo struggente desiderio di conoscenza… che cosa indica tutto questo, se non la perdita del mito, la perdita della patria mitica? Tale patria è il mondo reale intorno a noi come ce lo consegna l’immaginazione, un mondo carico di potenzialità enigmatiche alle quali l’arte dà risonanza e risposte. Esse risiedono negli oggetti solidi e tangibili che chiamiamo realtà, i residui del giorno (Tagesreste) di Freud, e si trovano ovunque, anche al supermercato; sono oggetti non particolarmente luminosi, ma depositari di fantasie balenanti, immagini fertili che la fantasia può trasformare in canto.

La perdita della patria mitica ci riporta a Vico e alle profonde conseguenze della sua ossessione nei confronti di Cartesio. “Cartesio non fece mistero della ben scarsa stima in cui teneva lingue e retorica, letteratura e storia, e in genere, tutte le discipline umanistiche”, scrive Elio Gianturco. Tali studi costituiscono precisamente il sentiero (methodos) verso la conoscenza imboccato da Vico, un metodo più adatto a comprendere i fenomeni dell’immaginazione che non l’osservazione diretta di logica, ottica e geometria da cui dipende l’idea cartesiana di comprensione della realtà.
Inoltre, l’idea stessa di “comprensione” deve essere riformulata. Per cominciare, il sogno si presenta come “in-comprensibile”. “Il sogno non deve essere compreso”, diceva Freud. L’oscurità è la sua essenza. Abita il territorio mitico del mondo sotterraneo, nella casa di Ade che non risulta visibile alla luce del giorno. Come leggiamo nella Teogonia di Esiodo, i sogni (oneiroi), così come somnos e hypnos e thanatos sono “figli della notte” insieme a vecchiaia, invidia, conflittualità, rovina,
lamento e inganno. Tutti fenomeni non chiari e distinti. Il metodo cartesiano, non potendo percepirli, non li può comprendere. Essi invece, come afferma Vico, necessitano di una “logica poetica”. Per comprenderli occorre accettarne l’oscurità. “L’uomo diviene ogni cosa che non
comprende…(homo non intelligendo fit omnia)…giacché quando non comprende, egli crea le cose a partire da sé e in esse si trasforma…”

Il sogno non contiene un nocciolo di verità nascosta che debba essere portato alla luce grazie a uno scatto di intuito improvviso. La soddisfazione che si prova quando si sente di averne “colto” il significato è parte della verità del sogno: della sua innata illusorietà! Ci siamo limitati a fare luce un po’ più in là e a prendere possesso delle immagini del sogno. (Ricordate: non è difficile ingannare Apollo, se ci riuscì perfino Hermes, suo fratello minore). Invece, senza sapere, cominciate a muovevi nel buio della non comprensione. La vostra manipolazione delle immagini, le ulteriori fantasie e la perdita di certezze cominceranno a rendere la vostra coscienza più sofisticata, non nella luce e nemmeno nel buio. Ciò che fate con il sogno vi porta piano piano al suo interno, di modo che l’accesso alla sua verità smetta di essere epistemologico, e diventi psicologico, e gli effetti di trasformazione avvengano nell’anima.

V
Dall’aspra terra piatta che rappresenta la nostra nozione consueta di realtà – e se invece fosse una fantasia? – ci siamo così spostati verso il territorio dell’immaginazione animata. Abbiamo fatto il passo che ci ha condotti dalla fantasia della realtà alla realtà della fantasia, nell’intento di attivare il sogno, la fantasticheria, il mito e, finalmente, l’immaginazione delle arti e una rinascita del mondo.

Mi piace pensare che ci stiamo anche occupando di politica dell’immaginazione. I due peggiori crimini del nostro tempo sono di ordine politico. Mi riferisco alla guerra preventiva e al disinteresse per l’ambiente. Entrambi tradiscono un impoverimento dell’immaginazione nel pensiero politico, nelle teste dei potenti che governano gli stati. Soprattutto gli Stati Uniti.

Robert McNamara, Segretario della Difesa durante gran parte della guerra in Vietnam, ripensando a quegli anni, scrive: “Possiamo ora intendere quelle catastrofi per ciò che sono state: essenzialmente il frutto di una mancanza di immaginazione”. Un altro Segretario della Difesa, Donald Rumsfeld afferma che sorpresa, panico e terrore sono dovuti a “scarse aspettative e…mancanza d’immaginazione”. Michael Hayden, Direttore della National Security Agency, paragonando il disastro di Pearl Harbor a quello delle Twin Towers ha dichiarato che “forse si è trattato di una mancanza di immaginazione, più quest’ultima volta che la scorsa”. E John Lehman, ex Segretario della Marina e membro della Commissione 11/9 ha definito l’evento “la più grande mancanza di immaginazione della nostra storia ”.
Proviamo a essere più precisi: qual è esattamente la natura di questa mancanza? In fondo, organizzare un’invasione militare dall’altra parte del pianeta richiede un’immaginazione formidabile, come pure le dichiarazioni deliranti sul possibile rinnovamento di tutto il Medio Oriente. Il fatto è che Wolfowitz, Rumsfeld, Cheney e Rice sono stati accecati dalla realtà apollinea: la loro ammirazione per lo strapotere americano si è confrontata con la nozione di straordinario fanatismo del pensiero musulmano che, a loro dire, non ha conosciuto né la Riforma né l’Illuminismo. Per loro il Medio Oriente non ha mai scoperto Apollo: è la luna, non il sole a sventolare sulle loro bandiere. L’attenzione alla logistica, al comando gerarchico e alle forze aeronautiche, l’importanza attribuita alla visione notturna, al controllo satellitare e ai missili a lunga gittata sono altrettanti rimandi ad Apollo che spesso gli antichi chiamavano l’arciere “che da lungi saetta” o “il dio che uccide a distanza”.
Wolfowitz, Rumsfeld, Cheney e Rice non sono entrati in contrasto con la realtà immaginabile. Non hanno saputo immaginare il reale: gli spettri ancestrali, le forze ctonie della xenofobia, l’amore per la propria casa, il territorio, il paese; il degrado della povertà; la poesia ispiratrice della lingua araba (in contrasto con il “pentagonese” militare computerizzato); l’importanza di storia e cultura. Il comando americano non ha pensato di proteggere il museo di antichità iracheno. Come sorprendersi che le pesanti macchine da guerra possano avere spianato fragili siti di civiltà mesopotamica? Le
profezie di Wolfowitz, Rumsfeld, Cheney e Rice si sono rivelate troppo razionali e troppo poco fantasiose per riuscire a prevedere gli orrori della guerra e le sue conseguenze incontrollabili. In poche parole, la visione di un futuro radioso per una società purificata dal male non ha nulla a che fare con le fantasie irrazionali che affiorano dai sogni. Non è escluso che la repressione della fantasia nella psicologia dei giovani (ricordate il manuale dell’Università dell’Ohio?) possa essere filtrata nell’intera popolazione americana causando una mancanza di immaginazione anche ad alti livelli.
Quanto al secondo crimine, quello del disinteresse per l’ambiente, una sola cosa va detta. Poiché il pianeta è semplice materia misurabile e un luogo dal quale i cristiani si devono affrancare perché il regno di Cristo non è di questo mondo, sarà suo compito assoggettarsi al nostro volere. Ma il tentativo di Apollo di soggiogare Dafne dimostra, tra le altre cose, il rifiuto della natura a cedere e lasciarsi possedere dalla volontà di Apollo. Dafne fuggì e quando il dio era sul punto di mettere le mani sul suo corpo, si trasformò in albero. Per quanto la nostra intensa brama di sapere possa penetrare la natura, qualcosa sfuggirà al nostro pensiero e rimarrà inviolato.

La conoscenza apollinea espressa nelle scienze ha lo scopo di ingabbiare gli spiriti della terra a beneficio dell’uomo. Qualunque cosa accresca la conoscenza risulta giustificato. L’immaginazione però è di un altro avviso. Per immaginazione, sogno e fantasticheria, il mondo ci consegna indizi di un’anima all’interno della cose. “Natura viva”, la definiva Alfred N. Whitehead. Agli occhi dell’immaginazione, l’ecologia è lo studio dello spirito all’interno delle cose, ogni genere di cose, alla ricerca del loro essere vive, più che della nostra convenienza. Gli animali abitano un mondo animato. Da quella realtà non occorre via di fuga. Per gli animali, come per gli antichi, ogni cosa è piena di dèi. Se la natura è viva, vi sono piccoli oracoli dovunque. Prestiamo attenzione a cose, fatti e informazioni come prove della realtà. Il mondo esterno si conforma all’idea che ce ne siamo data. Può parlare all’anima, all’immaginazione e all’arte, oppure solo al pensiero apollineo. Gli avvenimenti di attualità, le merci in vendita, le statistiche mediche e finanziarie, la scienza e il sentimentalismo sulla natura… sono tutti artifici, distrazioni, additivi soporiferi che ci rapiscono, ci incantano. Considerare questa “realtà” ci trattiene nel cimitero cartesiano, piatto e senz’anima, e consegna il mondo al demonio cristiano costringendoci a pregare per esserne salvati. Il sogno non è una fuga, ma un ritorno a tematiche universali, senza tempo, ricorrenti, primordiali: agli universali fantastici.
La realtà del sogno non cede neppure ad Apollo le cui risposte a Delfi erano sempre ambigue, enigmatiche, maestre di esitazione e di ripensamenti da opporre all’avventatezza. L’intelligenza del sogno trascende la nostra e la può trasformare, a meno che diventiamo più muti e più ciechi del necessario (e cecità e mutismo sono la via regia alla tragedia, come ci hanno insegnato i greci).
Nonostante Nietzsche e Freud e Artemidoro, il sogno si ravvolge in un viluppo di mistero. E’ questa l’essenza della sua realtà. Perciò i sogni sono difficili da decifrare, forti per impatto emotivo, tetragoni alla volontà dell’uomo, durevoli nella memoria. E queste qualità, non sono forse le stesse che associamo al reale?
Ciò che ho inteso suggerire, anzi, supplichevolmente proporre, è di avere sfiducia nelle nostre convinzioni, di fantasticare per scoprire la realtà, e di sognare per essere svegli. Sono giunto al termine della mia arringa, o dovrei forse chiamarla confessione, o sermone? Vi lascio con un brano di uno dei maestri meno saggi della Bibbia ebraica, il Libro di Gioele: “I vostri vecchi sogneranno sogni, i vostri giovani vedranno visioni”. Visioni, grandi scenari del futuro, illuminismi apollinei, e guerra per gli uomini soggiogati dal giovane dio. I vecchi intanto sogneranno sogni.


(traduzione di Susanna Basso)
 

 
 
 
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