“Confinamento”, “isolamento”, “blocco”, “chiusura”, “detenzione”, “fermo”, ma anche “fissare”, “mettere in sicurezza”, “blindare”, sono alcuni dei significati racchiusi in un termine americano ormai assunto nel nostro vocabolario: lockdown . Una costellazione semantica che mi pare rappresenti in modo esemplarmente sintetico il transito all’ombra del quale il neologismo ha preso piede: la congiunzione di Plutone, Saturno e Giove in Capricorno.
A immaginare queste energie in movimento simultaneo nel decimo segno, può ben venire in mente un collettivo moto di chiusura, una reclusione di dimensioni universali a difesa ultima di quella vita che, di fronte a una grande minaccia di morte, trova nel claustro insieme riparo e prigione. Il Re dell’Ade e il Signore del Tartato uniti insiemeannuncianocertamente una catabasi, la macerazione di ciò che non è più servibile alla vita e anzi la danneggia (Plutone), un processo alchemico di nigredo che chiude nell’ampolla (lock) la materia (Saturno) da trasformare in un nuovo e più fertile distillato (Giove).
Un’epoca di contrazione, in cui un’umanitàche si introverte è richiamataa una lunga pausa riflessiva sulle conseguenze letali del proprio operato.Ultimo segno di Terra dello zodiaco, il Capricorno sembra spazio elettivo per questa fase di putrefatio di un vecchio mondo incapace di autoemendarsi, ma anche il luogo in cui si compiela saggezza antica del femminile, che richiama protettivamente le energie all’interno, invitando alla sosta, all’attesa, alla celebrazione rispettosa del grande mistero della morte e della creazione. Prima della rinascita, insomma, bisognerà scendere nelle viscere della Madre Terra, al grembo oscuro in cui, dalla morte, la vita si forma e si preserva in attesa di venire alla luce: lock down, appunto.
Molte autorevoli analisi astrologiche del sinodo del 2020, hanno insistito sulla qualità epocale del momento che stiamo vivendo, quasi uno spartiacque in grado di rivoluzionare modelli economici, sociali e culturali ormai superati, portando agli ultimi esiti ciò che il Novecento aveva prodotto e che i primi anni del XXI secolo già profondamente messo in crisi.
Certo, questo epilogo non più procrastinabile di strutture già superate ma resistenti al cambiamento, è indubbiamente opera dell’azione congiunta in Capricorno dei due grandi finitori, Plutone e Saturno, cui Giove sembra al momento avere apportato un surplus energetico in grado di estendere e moltiplicare – globalizzandola - la forza potenzialmente distruttiva del transito. C’è una specie di cupio dissolvi in questo aspetto, di momentanea rimonta di ciò che Freud ha definito istinto di morte;un confronto prolungato, vista la durata del transito, con quegli spettri che in ogni modo le nostre società hanno inteso rimuovere.
Non mi pare del resto aspetto di poco conto che la rivoluzione, se di questo si tratta, sia nei modelli macroeconomici che in quelli culturali stia avvenendo non per eroica iniziativa dell’uomo, neppure nella forma più deterorie della guerra mondiale paventata da alcune previsioni astrologiche. Ma piuttosto, a causa di una malattia pandemica al momento incurabile, a cui, come ai tempi antichi delle pestilenze, si può al massimo opporre l’isolamento nelle pareti domestiche e, casomai, proprio la drastica riduzione delle attività umane, degli scambi e dei commerci con l’esterno. Insomma, il cambiamento si sta compiendo nel segno di un ritiro dell’uomo di fronte a forze che lo sovrastano e implica una generale contrazione della sua sfera d’influenza. Il fatto che il grande transito avvenga in Capricorno, dà inoltre il senso di un ritorno primitivo alle strutture basilari della sopravvivenza, di cui tanto e da tanto tempo le nostre società complesse si erano allontanate. Questo segno così ben addestrato all’essenziale, educato alla necessità, meglio di ogni altro sensibile al limite umano e per conseguenza scarsamente predisposto alle enfiagioni dell’Io. Pochi pianeti come Plutone e Saturno sono del resto in grado di impartire lezioni indimenticabili sulla nostra condizione di piccoli esseri di fronte alle Grandi Potenze, insegnandoci l’umiltà, ridimensionando le nostre velleità e infrangendo brutalmente le illusioni di potenza con cui passiamo tanto tempo a trastullarci.
E quale migliore, perfino ironico insegnamento, che renderci aggredibili e indifesi di fronte a un organismo invisibile, di dimensioni molto inferiori al micron, capace di attraversare i continenti per colonizzarci sfruttando quegli stessi sofisticati mezzi di trasporto da noi inventati per espanderci?
A guardare bene, questo fatto è in grado di spazzare via in un colpo solo molte mitologie della nostra epoca: il protagonismo dell’homo faber, performativo, perennemente creativo e in progress; il mito del corpo-macchina, salubre e prestante grazie a raffinati programmi dietetici e sportivi, della cura sempre possibile e del prolungamento crescente dell’aspettativa di vita, che sono andati di pari passo allo sfruttamento ad libitum delle risorse naturali a tutto vantaggio del qui e ora, senza pensiero per le generazioni successive; il dogma, verrebbe da dire, della globalizzazione, intesa in termini cinicamente economicistici, come una altrettanto progressiva e agguerrita conquista di nuovi mercati e di manodopera a basso prezzo; e le similmente dogmatiche ideologie, che al fenomeno della globalizzazione intendevano rispondere rivendicando il primato dei popoli, delle culture, delle religioni, non senza sconfinare in espliciti sbocchi razzisti che non a caso proprio ora, di fronte a questa grande onda che gonfia e ci travolge tutti assieme, scricchiolano anacronisticamente e suscitano movimenti di rivolta, imponenti come il Black Lives Matter.
Dentro tutti questi miti che il virus ha travolto, la morte era già protagonista, ma rimossa o trasformata nel suo opposto vitalistico. I tre grandi maestri congiunti in Capricorno hanno sollevato il velo sulla malattia mortale delle nostre mitologie. Quasi un severo e definitivo monito alla maturazione per una civiltà che rifiutava la perdita, la diminutio, inseguendo un giovanilistico e cieco culto del progresso. Mi colpisce in questo senso molto dolorosamente che il virus si accanisca con i vecchi e i più deboli, quasi a puntare il faro su ciò che non volevamo vedere...Si pensi solo all’orrore di quanto è accaduto nelle case di riposo, dove uomini-scarto, non più utili alla società ‘produttiva’ sono stati oggetto, quantomeno, di una trascuratezza che ha travolto le loro fragili vite. Certo, possiamo dare la colpa di questo ai governatori, agli assessori, ai dirigenti di quegli istituti...ma quel volgere la testa dall’altra parte mentre eravamo in altre faccende affaccendati ci chiama tutti in causa. Saturno in Capricorno, a volerlo ascoltare, ci ricorda impietosamente che la responsabilità è anche nostra.
Se poi tutto questo servirà davvero a farci cambiare rotta, non saprei. Però vivo con apprensione la corsa all’Andrà tutto bene, al ripartiamo, alla cosiddetta ricostruzione, come fosse una guerra in cui, vinto il nemico esterno, i superstiti prontamente si rialzano per ricominciare da capo. Mi sembra di percepire in questo non l’energia sana di chi risponde alla morte con la vita, piuttosto una nuova pericolosa tendenza alla rimozione che annulla la preziosità della sosta a cui siamo stati costretti, mistifica frettolosamente il bagno di verità in cui siamo stati improvvisamente e forse necessariamente calati...perché, come il grande transito sembra suggerire, forse la questione non è ripartire ma fermarsi, dandosi l’agio di far affiorare qualche domanda: come abbiamo potuto essere così ciechi? Come abbiamo potuto credere di poter andare avanti così?
Del resto, a non remarle contro (ammesso e non concesso che sia possibile farlo, senza ulteriori e più dure lezioni) questa lunga sosta di Plutone e Saturno in Capricorno sarebbe in grado di rieducare a un diverso rapporto col tempo le nostre società così recalcitranti di fronte all’attesa, al fermarsi ‘improduttivo’ per stare in ascolto di ciò che è, senza affannarsi in rumorose distrazioni. Mi colpisce che il virus abbia ripreso forza proprio in questi giorni dalla cosiddetta movida, dall’affollamento spensierato e distratto, appunto, dei luoghi di vacanza e di divertimento. Saturno e Plutone sembrano insistentemente suggerire che non è il tempo per la fuga e per la diversione, e neppure quello dell’autoinganno, piuttosto è il tempo del silenzio, di un isolamento che favorisca un rinnovato incontro con noi stessi e con gli altri a partire da una maggiore profondità. Questo mi sembra sia anche l’apporto di Giove a questo transito, ovvero il richiamo a una ricerca di verità che non può realizzarsi nel distogliere lo sguardo o nel correre in avanti, ma nello scendere, nell’approfondire per ritrovare il senso dell’essere uomini. È come se Giove stesse gettando il seme per una nuova comprensione e una nuova lingua da cui, forse, potranno scaturire mitologie fondanti di un’epoca a venire.
Mi sembra sintomatico di ciò il fatto che molte persone abbiano riferito di non essere state in grado, durante il lockdown, di dedicarsi ad attività creative come la scrittura o la progettazione di nuovi lavori, ma di essere rimaste come inebetite, inerti. Ho letto interviste ad artisti e ascoltato intellettuali che lamentavano la stessa difficoltà. Paradossalmente, proprio nei mesi del confinamento, quel tempo di cui appena poco prima lamentavamo la mancanza si è dilatato al punto di provocare una vertigine di vuoto. E ben lontani da poter mettere a frutto questa inattesa abbondanza, ci è toccato fare i conti con una vera e propria paralisi del pensiero, quasi un’afasia che per un bel pezzo ci ha impedito di dedicarci ad altro che alle minute faccende domestiche o a qualche sporadico travaso di fiori nel giardino. Chissà quanti di noi hanno lasciato che questo accadesse senza opporre resistenza, con sollievo quasi, come una naturale cura che soccorreva l’anima di fronte al trauma del sovvertimento, educandola come una bambina alla lingua dell’essenziale. La fase della lallazione, appunto...
Per quanto mi ha riguardato, era come se di colpo le parole fossero diventate esauste fino all’insopportabile, qualsiasi tentativo di interpretazione stucchevole e inappropriato, inservibili i vecchi armamentari di decodifica del mondo. Per non parlare di quanto stonati mi apparissero, gli annunci di una palingenesi alle porte, come se si potesse rinascere davvero a qualcosa scansando la sofferenza e la morte che ci accerchiavano. No. La morte era fuori dalla porta, la vita chiusa nelle non più tanto rassicuranti pareti domestiche. Bisognava stare con questo, intanto. Non fosse altro che per consentirci di cogliere quei barlumi di comprensione, quegli affioramenti di coscienza con cui, di tanto in tanto, Giove in transito ci graziava.
Ricordo, in questo senso, che mi aveva colpita una frase di commento a una costellazione della scuola di Hellinger, circolata in rete qualche tempo prima che lo sviluppo del virus prendesse le dimensioni della pandemia mondiale; la frase era pronunciata da Sophie Hellinger, con un linguaggio sufficientemente incerto da rendermela accettabile: “non è individuale, è collettivo...non si tratta dell’individuo ma dell’umanità intera”.
Una banalità di per sé, eppure... se qualcosa sbalugina dall’indistinto in cui siamo ancora immersi è proprio il disarcionamento dell’individuo dalla sella infantile su cui è rimasto a lungo issato, il venir meno, se dio vuole, della sua centralità narcisistica e la fatica di riattingere, reimparandone la lingua, a una diversa centralità di uomini che, uniti da invisibili fili, concorrono al destino della comunità e ancor prima della specie. Capi di stato dalle improbabili chiome costretti sulla propria pelle a rimangiarsi tronfie sparate sulla malattia e la morte (non più solo degli altri), divi e politici strapazzati dalla febbre, signore, un tempo impeccabili, con la ricrescita, palestre e centri estetici chiusi...tutti a imparare a fare il pane.
Un impastare di acqua e di farina a cui siamo corsi d’istinto, impreparati e dimentichi delle intolleranze al glutine, simbolo del nostro maldestro ricominciare dall’alfabeto della vita.
Non è ancora il tempo delle grandi azioni, ma forse rappresenta azione veramente grande concedersi collettivamente all’ascolto del balbettio primordiale di una vita che vuole nascere nuova, dentro e fuori di noi. Preservarla e proteggerla come si fa con le cose preziose. Lockdown.