…La scrittura
è un contenitore imperfetto
e l'anima liquida
gocciola giù...
Artemisia Gentileschi:
Il riscatto di una donna
nell’arte e nella vita
…La scrittura
è un contenitore imperfetto
e l'anima liquida
gocciola giù...
Si dice che dietro ad un grande uomo ci sia una grande donna.
… E per quanto riguarda Artemisia Lomi Gentileschi,
eccellente pittrice rinascimentale e donna dalla tempra d'acciaio,
è possibile affermare che ci fu un grande uomo?
No, non fu così.
Ma certo fu che, per tutta la sua difficile esistenza,
molti personaggi si susseguirono in un continuum di sfide che,
sempre accettate e vinte,
condussero questa donna e pittrice
a varcare i confini del tempo e dello spazio.
Artemisia Lomi Gentileschi nasce l'8 luglio del 1593 a Roma, in Via di Ripetta, nella casa dei genitori, all'altezza dell'ospedale di San Giacomo degli Incurabili. E' figlia di Orazio Gentileschi e di una non meglio identificata Prudenzia Montone, della quale si sa poco e nulla. E' la primogenita di quattro figli, gli altri tre sono tutti maschi. Sua madre muore quando lei è ancora bambina, lasciandola con il padre vedovo ed i tre fratelli, che sono ancora molto piccoli. Suo padre, come detto, è Orazio Gentileschi, un pittore di grande talento, specializzato nella raffigurazione di figure umane e considerato uno dei migliori pittori della cerchia attorno a Caravaggio, di cui è un buon amico. E' nato a Pisa ma si è trasferito ancora molto giovane a Roma attratto, come molti altri, dalle possibilità di lavoro e dal fascino della città pontificia. A Roma ha preso casa in un quartiere che è caro agli artisti del suo tempo, fra Porta del Popolo e Trinità dei Monti ma gli affari non vanno come vorrebbe, non guadagna abbastanza e non riesce a “sfondare”. Non può permettersi un servitore e neppure una vera bottega, ragion per cui dipinge in casa.
La piccola Artemisia cresce dunque in quel quartiere e in quelle strade popolate da botteghe artigiane e da studi di pittori, passa lunghe ore nello studio del padre fra l'olio di trementina, i pestelli pieni di pigmenti da polverizzare per fabbricare il bianco di piombo, l'ocra giallo, il vermiglione. Attraverso la mediazione paterna, dai suoi quadri, dai dipinti e dalle incisioni di altri pittori che lui colleziona, la bambina impara ed apprende ma soprattutto scopre la propria vera vocazione e diventa, in breve tempo, prima aiutante del padre e poi dà vita, giovanissima, a precoci prove di pittura. Artemisia, che per la pittura ha talento da vendere, impara in fretta e diventa bravissima: studia i corpi maschili dei modelli in posa per suo padre e quando invece vuole studiare il corpo femminile lo fa guardandosi senza veli allo specchio. In questo modo, non soltanto le sue opere parlano di lei ma lei ci entra proprio nelle sue opere.
In verità Orazio ha tentato di insegnare il proprio mestiere anche ai tre figli maschi, ma solo Artemisia riesce in questa strada poiché i fratelli non dimostrano nessuna capacità e ancor meno predisposizione... e pensare che questa strada è assolutamente inconsueta per una donna del suo tempo! Tant'è vero che Orazio che, paradossalmente, è un tantino contrariato da questo fatto, ma allo stesso tempo ne è fiero, scrive alla Granduchessa di Lorena: “Mi ritrovo una figlia femmina e, avendola indirizzata nella professione di pittura, in tre anni si è talmente appraticata che posso ardir di dire che oggi non ci sia pari a lei e che forse i principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”.
Insomma, Orazio da un lato è molto orgoglioso di questa figlia femmina, dall'altro invece è sinceramente preoccupato perché una donna pittrice nella storia della pittura cinquecentesca ancora non si è vista.
Orazio è la tipica figura di padre/padrone e dispone di sua figlia non soltanto come aiutante ma anche come modella. Teniamo a mente che il viso della bella Artemisia lo troveremo infatti in un famoso lavoro di Orazio detto “Casino delle Muse” nel Palazzo del Giardino di Montecavallo, perché questo fatto ci aiuterà a comprendere meglio questa storia che scopriremo essere molto intricata...
Michele Nicolaci, storico dell'arte: “Roma all'inizio del '600 è un po' una di quelle capitali culturali come poteva essere la Parigi de la belle époque o l'Atene del V secolo A.C., ossia un luogo in cui bisogna esserci per fare la storia, per fare la storia dell'arte. Orazio esordisce in questo contesto, benché in realtà sia arrivato a Roma ben prima, ma il suo esordio artistico è piuttosto mimetico ed è uno dei tanti “frescanti”: è una sua formazione toscana ma fatica ancora a trovare una sua cifra stilistica. L'incontro con Caravaggio sarà per lui la chiave di volta.
Orazio sarà un naturalista ma di solida formazione toscana. A sua volta allievo di artisti, proviene da una famiglia di artisti molto quotata a Pisa e in Toscana e Caravaggio è la soluzione per trovare quel “non so che” che gli manca.
Orazio non è un caravaggesco né, tanto meno, un imitatore del Caravaggio, ma è un naturalista straordinario, raffinato, dotato di una grande tecnica e di una capacità di miscelare anche le diverse componenti stilistiche, sicché le sue opere datate tra il 1600 ed il 1605 sono proprio opere di questo passaggio dal tardo manierismo comunemente definito, a questo primo naturalismo di grande fascino e di grande qualità. Artemisia esordisce in questo tipo di contesto quindi è interessante ed opportuno rilevare che in casa vede le opere da cavalletto di Orazio dipinte fra il 1605 ed il 1610, ovvero negli anni in cui Artemisia sta macinando i colori, imparando i rudimenti del disegno, la prospettiva. Quindi è lecito pensare che in queste opere raffinatissime e su quelle tele di Orazio possa esserci, non già la mano di Artemisia chiaramente, ma senz'altro gli occhi, a formarsi lo stile ed il gusto”.
Siamo all'inizio del 1611, Agostino Tassi, l'altro pittore di questa storia, ha solo 30 anni ed un soprannome che la dice lunga su di lui, lo chiamano infatti “Lo smargiasso”. Da poco è approdato a Roma e si dice che a Genova, dove prima abitava, sia addirittura finito in galera. E' comunque pittore affermato e molto bravo con le illusioni ottiche, specializzato nelle architetture e nei paesaggi, maestro di quadraturismo, l'arte di dipingere finte prospettive e sfondati architettonici. Orazio ed Agostino frequentano il medesimo milieu artistico e per questo si incontrano quasi subito e decidono di lavorare insieme. Grazie ad Agostino ed al loro sodalizio, Orazio finalmente inizia a guadagnare parecchio, arrivano numerose commesse. Le vertiginose prospettive architettoniche che dipinge il Tassi, Orazio le popola con i suoi personaggi. Ora c'è parecchio lavoro su cui concentrarsi e per questo Orazio non è quasi mai a casa.
Artemisia invece a casa c'è sempre, costretta dal padre a non uscire, come esige la mentalità del tempo, spessissimo rimproverata di non dedicarsi alle attività domestiche. Per fortuna c'è Tuzia, la vicina di casa che, su ordine di Orazio, la sorveglia innanzitutto ma le fa anche da dama di compagnia. Difatti grazie a lei, ogni tanto Artemisia riesce ad uscire accompagnata per andare in chiesa a vedere le pale d'altare e le opere di Caravaggio e Guido Reni, dalle quali rimane affascinata.
Intanto, nei primi mesi del 1611, presso i giardini di Palazzo Borghese a Montecavallo nella campagna romana (oggi di fronte al Palazzo del Quirinale), sono al lavoro Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi al soffitto de “Il Casino delle Muse”, un affresco commissionato da Scipione Borghese, il nipote del Papa, Paolo V, e danno vita a numerose figure femminili musicanti che ancora oggi sembrano vive, mentre si sporgono dalle loro balaustre.
Quasi ogni sera, al termine di queste giornate lavorative, Orazio e il Tassi si trovano proprio presso la casa di Orazio ed Artemisia, sempre aperta alla folta compagnia degli amici pittori ed è proprio in quella casa che Agostino Tassi dà lezioni di prospettiva alla giovanissima Artemisia, ormai splendida diciottenne, nonché brillante discepola del padre e già donna avviata alla carriera di pittrice…
Orazio già in passato si è servito di Artemisia come modella e così, anche nell'affresco per Scipione Borghese, la ritrae con lo sguardo altero e la bocca senza sorriso. Mentre la dipinge, magari inconsapevolmente, è come se la offrisse agli occhi ed ai desideri del suo amico e collega Agostino, che ha messo gli occhi sulla sensuale Artemisia già durante le lezioni di prospettiva.
Quando ormai l'affresco è terminato da quasi un anno, ossia nel marzo del 1612, ecco che scoppia uno scandalo: tutta Roma, da via Margutta fino alla Lungara, viene a sapere che nel maggio del 1611, per l'esattezza nel giorno di Santa Croce, lo smargiasso ha violentato Artemisia, la fiera figlia del pittore Gentileschi!
Il 2 marzo 1612 è lo stesso Orazio, suo amico e compagno di pittura, a denunciare Agostino Tassi per lo stupro della figlia ed il 14 maggio 1612, esattamente dodici mesi dopo la violenza, il tribunale si riunisce...
… Roma, via della Croce 23, è il primo pomeriggio del 6 maggio 1611 e sta piovendo...
La storia, così come è giunta a noi, racconta che la giovane Artemisia, come di consueto, è chiusa in casa e si sta esercitando alla pittura. Alcuni operai hanno appena eseguito dei lavori di muratura presso la sua casa, ragion per cui hanno lasciato la porta aperta. Agostino Tassi entra e la trova intenta a dipingere nella stessa stanza con Tuzia… Prova invano a sedurla ma poiché Artemisia da tempo lo rifiuta, Agostino le strappa di mano la tavolozza ed i pennelli e chiede a Tuzia di andarsene. Questa volta Tuzia se ne va davvero ed aggiunge che dei loro affari non vuole saperne. A questo punto Agostino, liberatosi facilmente di Tuzia, spinge Artemisia in camera da letto e chiude a chiave la porta...
Il processo vede sfilare una lunghissima serie di testimoni ma nessuno di quelli chiamati a parlare, artigiani, lavandai, pittori, sembra abbia voglia di dire la verità. Per tutta la durata del dibattimento soltanto Artemisia ed Agostino continuano a ribadire gli stessi argomenti: lei sostiene di essere stata violentata e lui replica che non è affatto vero e che tutti sanno che lei è una donna di malaffare.
Il tribunale, per essere certo che la giovane pittrice dica la verità, si comporta in un modo terribile per la morale e gli usi di oggi: le impone delle pubbliche visite ginecologiche, la obbliga a dei confronti con testimoni abbietti e prezzolati e addirittura l'iter probatorio culmina con la “tortura dei sibilli”: le vengono legate le braccia ed apposte delle cordicelle che terminano in un lungo filo e girano intorno alle dita delle mani. Più il filo viene tirato con forza e più le cordicelle si stringono attorno alle dita, fermando la circolazione del sangue e provocando forti dolori.
In quei tempi il reato di stupro veniva considerato e punito secondo i criteri dell’integrità socio-morale più che della dignità della persona e la giovane poteva ricevere giustizia solo se, attraverso procedure che oggi potremmo definire quantomeno discutibili, fosse stata in grado di dimostrare l’avvenuta deflorazione, segno tangibile della perdita dell’onore.
Possiamo dire dunque che, più che processo, sembra – per restare in tema - un'opera del Caravaggio, piena di chiaroscuri, di sentore di menzogne e di litigi.
Le testimonianze di quel processo sono moltissime, ci sono le testimonianze del padre, quelle naturalmente dell'accusato e della stessa Artemisia che però, nonostante parli più e più volte ai giudici, non riesce a chiarire fino in fondo alcune questioni basilari:
1- Perché Orazio ha ritardato di un anno la denuncia del violentatore della figlia?
2- Perché nella loggetta che i due pittori hanno dipinto a Montecavallo, si vede il viso di Artemisia come se in quella loggetta non ci fossero stati due pittori ma addirittura tre e che parte ha avuto Artemisia “la violata”, Artemisia “la tradita” in questa vicenda oscura ed intricata?
A più di 400 anni da quell'episodio che ha, oserei dire “arroventato” la Roma di allora, la Roma del Pontefice Paolo V, il Papa al quale Orazio inviò una supplica personale per pregarlo di far celebrare subito il processo, “l'affare Gentileschi” è - per certi versi - rimasto assolutamente oscuro.
Ciò che è invece molto chiaro, è il segno che quello scandalo e quel processo terribile lasciarono nella vita e nella pittura di Artemisia Gentileschi: dalla situazione di pubblica vergogna, di ignominia cui il processo la costrinse, Artemisia attinse una grandissima forza morale ed artistica che gradualmente non la fece più sentire né un'apprendista di suo padre e neppure un'allieva del Tassi e trovò in se stessa, nel suo essere donna, la conferma del proprio talento e delle proprie capacità.
Leggendo gli atti del processo, che sono stati pubblicati una ventina di anni fa, sappiamo - parola per parola - qual è il racconto che Artemisia fece ai giudici:
Tratto da “Lettere, precedute da Atti di un processo per stupro”, a cura di E. Menzio, Abscondita ed. 2004:
“Quando fummo alla porta della camera lui mi spinse e serrò la camera a chiave e doppo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise uno ginocchio fra le coscie ch'io non potesse serrarle et alzandomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca, acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntatomi il membro alla natura, cominciò a spingere e lo mise dentro che io sentivo che mi incedeva forte e mi faceva grandissimo male che per lo impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare, pure cercavo di strillare meglio che potevo, chiamando Tutia. E gli sgraffignai il viso e gli strappai i capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una matta stretta al membro che gli levai anco uno pezzo de carne, con tutto ciò lui non stimò niente e continuò a fare il fatto suo che mi stette uno pezzo addosso tenendomi il membro dentro la natura e doppo ch'ebbe fatto il fatto suo mi si levò da dosso et io vedendomi libera andai alla volta del tiratoio della tavola e presi un cortello et andai verso Agostino dicendo “Ti voglio ammazzare con questo cortello che tu m'hai vittuperata...”
In camera sua il 6 maggio del 1611 Artemisia piange davanti ad Agostino che ha appena schivato la sua coltellata e le ha tolto l'arma di mano. Mentre si abbottona la giacca, Agostino promette che la sposerà. Nonostante la gravità dell'accaduto, ad Artemisia sembra l'unico modo per riprendersi il suo futuro e cosi accetta, ma passano i mesi e le nozze non arrivano mai. Agostino sembra cercare ogni occasione per evitare il momento in cui deve impegnarsi davvero. La vera ragione è che Agostino ha già una moglie che si chiama Maria e che lui ha sposato solo dopo averla disonorata proprio come ha fatto con Artemisia.
Sappiamo che Artemisia, come risulta dagli atti del processo, dopo qualche giorno confessò al padre l'accaduto, ma non pare verosimile che Orazio abbia aspettato un anno per chiedere giustizia di ciò che a più riprese egli definì: “un assassinamento fattomi” (a lui – si badi bene – non ad Artemisia!).
Gli storici sono portati a credere che Orazio fosse a conoscenza di quella che ormai era diventata una relazione tra Agostino Tassi e la figlia, che fosse consenziente e che sapesse della storia d'amore fra loro e forse, addirittura, della loro sessualità.
Ma al di là di tutto, cosa intervenne in Orazio a fargli cambiare idea radicalmente? In diversi momenti del processo si parla di un quadro, una “Iuditta di capace grandezza” che sarebbe stato rubato nello studio del Gentileschi dal Tassi e da un certo Cosimo, morto poco prima del processo e sicuramente gran mascalzone.
Probabilmente Orazio a tutto pensò, prima di sporgere denuncia contro il socio: al furto di quadri, all'antagonismo con Agostino, alle proprie gelosie professionali e ai personali desideri di vendetta, a squallide storie di prestiti di denaro, e probabilmente entrò pesantemente in gioco anche un'incestuosa e morbosa gelosia per una figlia giovane e procace, troppo brava e troppo bella.
Tutto ciò spinse dunque Orazio a quel volgare passo, sollevando l'attenzione su un accadimento che ormai apparteneva al passato, fuorché all'interesse di sua figlia, perché non si rese minimamente conto che le sue accuse misero con grande scandalo la giovane pittrice sulla bocca di tutti e le procurarono una violenza grave quasi quanto quella subita un anno prima da Agostino.
Dunque Artemisia, che è già guardata dalla collettività con sospetto perché fa esercizio di pittura, si trova pure al centro di una vicenda che le verrà ricordata e rinfacciata per tutta la vita: “Artemisia la scandalosa”, “Artemisia la pittrice di nudi femminili”, insomma Artemisia accusata per tutta la vita di avere troppi amanti, di condurre una vita disonesta, lontana da un marito che ha sposato per convenienza poco dopo lo scandalo.
Durante il processo Agostino Tassi, che ha molte conoscenze importanti, nega tutto sempre! Gli atti infatti illustrano non solo la condotta dell’accusato, che coerentemente con i suoi tratti di personalità, mistifica le circostanze dell’accaduto ma corrompe anche alcuni testimoni per screditare Artemisia. Ritiene che, se riesce a dimostrare di non essere stato il primo, allora non è colpevole. Probabilmente stima che non sia difficile screditare una giovane donna come Artemisia: bella, giovane, nubile, sensuale ed intelligente, capace e provocante, che vive con il padre vedovo che riceve in casa molti artisti tutti uomini. Una ragazza che, oltretutto, pare anche abbia fatto da modella nei dipinti di suo padre, atteggiamento questo ritenuto certamente sconveniente. v
Artemisia però non si arrende ed anche se tanti, importanti fattori sembrano essere contro di lei e la sua credibilità, in quella stanza di tribunale, di fronte all'intera corte, mentre le corde si stringono sempre più intorno alle sue dita, continua ad ammettere che tutto quello che ha detto corrisponde alla più sincera verità: “Io la verità l'ho detta et sempre lo dirò perché è vero e son qui per confermarlo dove bisogna (…) E' vero è vero è vero è vero tutto quello che ho detto (…) E' stata la verità che mi ha indotta ad essaminarmi contro di voi e nessun altro … “.
Soltanto un testimone, un amico di Agostino e dello stesso Orazio, depone a favore di Artemisia. Il suo nome è Giovan Battista Stiattesi. Orazio riesce a dimostrare che Agostino Tassi ha corrotto i testimoni, cosicché quest'ultimo viene infine riconosciuto colpevole e condannato. Il processo si conclude con la condanna all'esilio del Tassi che per cinque anni non potrà più mettere piede nella città di Roma ma solo rimanere nei pressi della corte pontificia, ben protetto dentro la cinta delle ambasciate. Non sconterà mai la pena né si allontanerà da Roma però sta di fatto che la sua folgorante carriera nel firmamento romano viene praticamente troncata di netto. Agostino in verità subisce anche una piccola condanna in carcere ma non per quello che ha fatto, semplicemente perché un suo aiutante ha detto una bugia.
Orazio, cosa assai curiosa, subito dopo la scarcerazione del Tassi, ritornò all'antica amicizia per colui che aveva così spesso definito un “vil traditore”, dimostrando, ancora una volta, di preferire i suoi interessi di lavoro e relativi guadagni alla reputazione della figlia.
Molti studiosi ritengono, benché si creda nel drammatico resoconto dello sverginamento e della violenza, che sia necessario in questo caso effettuare un distinguo tra seduzione seguita da violenza ed una brutale violenza usata da uno sconosciuto. Impossibile sapere come andò veramente la faccenda anche perché, come ho già detto, i diversi testimoni che sfilarono durante le udienze pare facessero a gara per non dire il vero, così che il processo in verità risultò un intrigo di menzogne ed accuse reciproche.
Comunque, finalmente le dita di Artemisia, rese gonfie e violacee dalla morsa delle cordicelle, vengono liberate... e da questo momento, Artemisia si libera di tutti coloro che dovevano aiutarla e proteggerla, e non lo hanno fatto, e da coloro che l'hanno tradita: parliamo del Tassi, di Tuzia e soprattutto di suo padre, Orazio.
Da questa introduzione, come figura di padre, Orazio emerge per il legame molto forte ma poco chiaro con questa figlia, torbido, fatto di gelosia e di senso del possesso ma non altrettanto di affetto e protezione... A lei, Orazio antepone i propri interessi e la propria carriera, tradendone le attese, quasi – e credo inconsciamente – a volerne screditare già il nome come pittrice, seppur in erba, per paura del suo talento e della sua bravura, poiché teme che possano offuscare la sua crescente fama e la carriera.
Lei tornerà subito al termine del processo ad usare le sue dita per dipingere perché Artemisia, come detto, è una pittrice anzi, “pittora” come in uso nel linguaggio dell'epoca, probabilmente la più grande pittrice che abbiamo mai avuta in Italia. Artemisia ha vinto ma, a causa della mentalità del tempo, complice anche la sua diversità che la renderanno oggetto di invidie, gelosie, pettegolezzi e maldicenze, il suo nome non verrà mai completamente riabilitato e malignità e dicerie gireranno intorno al suo personaggio fino ed oltre la sua morte.
La sentenza però restituisce ufficialmente ad Artemisia l'onore, ad Artemisia ed alla famiglia. Orazio recupera la sua fierezza ed Artemisia la sua dignità; eppure, fra padre e figlia, è scesa una cortina plumbea, c'è un silenzio che gli anni dovranno colmare ma che per il momento costituisce un incolmabile divario tra i due. Il 29 novembre 1612, giusto il giorno successivo allo sconfortante epilogo del processo, Artemisia Gentileschi convolò a nozze con Pierantonio Stiattesi, pittore di modesta levatura che «[…] ha la fama d’uno che vive di espedienti più che del suo lavoro d’artista». Le nozze furono completamente predisposte da Orazio, il quale volle organizzare un matrimonio riparatore, in pieno ossequio con la morale dell'epoca, in modo da restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente onorabilità. Dopo aver firmato una procura al fratello notaio Giambattista, cui delegò la gestione dei propri affari economici romani, Artemisia seguì immediatamente lo sposo a Firenze. Abbandonare Roma sarà per lei una scelta dolorosa, ma necessaria: si allontana da un passato tormentato e maligno, da un padre ingombrante, di cui ben presto rinnegherà il cognome, preferendogli quello dello zio, Aurelio Lomi.
La Città dei Papi era ormai impraticabile per lei, come donna, di cui si sottolineavano continuamente le caratteristiche di licenziosità sessuale. Saranno anni bui, un tunnel da cui uscirà lasciando la famiglia – marito e figli – per tornare a Roma e ricominciare, da donna sola, l’attività di pittrice. Una decisione che non sarebbe facile da prendere neppure oggi e che rivela un’eccezionale spirito d’indipendenza ed un grande, grandissimo coraggio e forza d'animo.
Tratto dalla trasmissione televisiva: “Artemisia Gentileschi – Una donna e la sua arte” SkyArte HD, marzo 2017: “Il ruolo della donna nel '600 è un ruolo di assoluta insignificanza e, socialmente parlando, di subalternità: alle donne era proibito accedere al proprio patrimonio, alle professioni, non godevano di capacità giuridica ed infine erano sottomesse a quella che viene definita l'autorità maritale o parentale, ossia del padre o dei fratelli. Non sono molte le alternative di vita: o il matrimonio o la monacazione. Lo stupro all'epoca non era considerato un vero e proprio reato come oggi lo conosciamo ma era, sostanzialmente, un oltraggio alla morale. Ad onore del vero, a quell'epoca subire uno stupro era un fatto abbastanza normale, cui la vittima e la sua famiglia, rispondevano con il segreto e la vergogna. Per Artemisia il tribunale dovette essere un'esperienza terribile: ma anche i metodi utilizzati per l’accertamento della verità nei confronti della vittima. E vittima fu Artemisia, in ogni caso, perché mai si credette alla sua versione dei fatti, le si imposero visite ginecologiche alla presenza dei giudici, la si torturò, la si obbligò a confronti con personaggi abbietti pagati per mentire.”
Artemisia nasce a Roma l'8 luglio del 1593.
L'orario di nascita non è noto.
Mi baso inizialmente su questa semplice lettura astrologica che non ha orario.
Mi prefiggo allora di affrontare una sorta di “percorso al contrario” rispetto alla consueta applicazione astrologica, utilizzando il metodo induttivo, che muove dunque dallo studio delle esperienze sensibili di Artemisia per giungere ad una definizione generale ed universale di tipo astrologico, vale a dire ad un tema natale completo di ascendente e domificazione, consapevole però che non potrà mai essere dimostrato ma che auspico il più fedele possibile.
Dichiaro che la mia lettura del tema natale di Artemisia Gentileschi è in chiave astrologica tanto quanto lo è in chiave psicologica, in virtù del fatto che, a pari merito con l'astrologia, la psicologia e la psicoanalisi sono le mie grandissime passioni, grazie anche alla mia formazione ed esperienza acquisite in veste di “analizzanda”.
La vera “cura” è un incantesimo che si realizza quando la dedizione dell’artista all’immaginale, innesca una “risposta estetica’” necessaria al risveglio della realtà psichica.
Roland Barthes “Artemisia Gentileschi”
Ad una prima occhiata il tema presenta un nucleo di forte energia centrifuga, maschile e radiante, simbolicamente espressa dall'abbondante elemento FUOCO, al quale l'astrologia riferisce quel sentire intuitivo ed interiore che la ragione ha poche chance di contenere. Vi si trovano quattro pianeti, di cui tre sono trans-personali: Venere, Urano, Nettuno, Plutone.
A questo fuoco fa da contraltare la presenza di altrettanti pianeti nell'elemento ACQUA, ossia Sole, Luna, Marte e Saturno. Possiamo affermare tranquillamente che la dominante è Acqua, per la presenza, in essa, di maggioranza di pianeti personali, mentre la co-dominante è Fuoco.
Nell'aria abbiamo Mercurio e Chirone in Gemelli. In questo segno abbiamo anche il Nodo Nord. L'elemento terra è certamente quello in assoluta minoranza, unico esponente Giove in capricorno che oppone il Sole. Nello svolgersi del racconto biografico di Artemisia avremo modo di valutare come si è espressa nella sua vita questa carenza elementale.
Un Sole in cancro – nel suo archetipo di maschile ed Io cosciente – suggerisce che si deve necessariamente passare attraverso il lato ombra dell'”aggrappamento” per risolvere il problema di un bisogno di mantenere un contatto emotivo profondo con la/le figure di riferimento considerate vitali. Il cancro ha la capacità di entrare in contatto con i bisogni altrui e di riuscire a soddisfarli, creando un legame indissolubile basato sui bisogni dell'altro, nel quale egli si garantisce la sua dipendenza, che in fondo diventa il suo personale nutrimento. In aspetto di trigono con Marte, questo Sole cancerino che vuole “legare a sé” emotivamente, penso abbia dato non pochi problemi ad Artemisia, in lotta tra il voler vincere e farsi valere, raggiungere visibilità ed affermazione personale, individuazione e realizzazione, contestualmente ad un bisogno di simbiosi, di legame e di fusione emotiva con l'altro. Certamente rimane la necessità di esprimere la propria volontà attiva che deve dunque necessariamente essere incanalata e “scaricata” in un ambito creativo personale ma ritengo sia stato difficoltoso mettere insieme queste due parti totalmente diverse.
La Luna in Scorpione, per quanto riguarda il femminile ed i bisogni emotivi, indica una notevole complessità, data dalle dinamiche inconsce che possono fare incursione nella parte cosciente e che danno origine ad inquietudine e un senso di minaccia alla propria sopravvivenza psichica. Con gli aspetti a Marte in trigono abbiamo un femminile virilizzato con difficoltà a mantenere una stabilità emotiva. il lato morbido lunare qui non trova facile accesso per esprimersi anche a causa dell'aspetto Luna – Saturno per il quale si predispone maggiormente a negare il bisogno di calore e accoglienza tipici del materno mentre la quadratura Luna – Nettuno suggerisce l'incapacità a vivere l'intimità, perché non la si è mai realmente sperimentata e proprio per questo agognata e desiderata intensamente in termini di fusione e tenerezza.
Luna – Giove in aspetto armonico di sestile dà comunque indicazione di una fiducia nel proprio essere donna e nelle possibilità ed opportunità che l'essere donna può offrire. Anche sul lato Luna abbiamo dunque un fronte di grande energia da cui nasce la necessità di trovare un canale di espressione per la propria affermazione.
Abbiamo già evidenziato la forte presenza numerica di energia acqua, passiva e femminile e dell'altrettanta energia fuoco, attiva e maschile che trova ulteriore conferma nell'aspetto di trigono tra Sole e Luna. Queste energie yin e yang che si fronteggiano sembrano dominare il tema ed esserne il leit motiv.
Quando Sole/Luna entrano in contatto, non è semplice per la coscienza riconoscerli ed integrarli perché mettono in relazione due archetipi, rispettivamente il maschile e femminile, che sono certamente complementari e che fanno parte della nostra individualità, ma prima devono differenziarsi e svilupparsi in modo distinto affinché possano esprimersi al meglio, senza “toccarsi” ossia senza “inquinarsi”. L'aspetto che lega i due archetipi nel tema è di trigono che è, in linea di massima, un aspetto meno complesso da vivere perché indica tendenzialmente una maggior fluidità e possibilità di armonizzazione. Diciamo che assicura un buono scorrere di energie che però non è a garanzia di un corretto utilizzo di esse in termini di coscienza e consapevolezza.
Si può aggiungere in prima istanza che tra i genitori si è vista una certa armonia che dona pertanto, in termini di espressione interiore, l'introiezione di una buona flessibilità nel vivere i due archetipi ed i loro strumenti: parte attiva/ricettiva, parte maschile/femminile. Sicuramente, quanto meno nella prima parte della vita di Artemisia, uno dei due archetipi avrà preso il sopravvento sull'altro e potrei azzardare, pur non conoscendo la posizione nelle case, che in quanto donna ed in quanto Luna Scorpione rispetto ad un Sole Cancro, può avere vissuto la sua Luna e proiettato all'esterno il Sole. Sappiamo che, nel tema di una donna, la Luna rappresenta il rapporto con l'identità più profonda ed è quindi dominante.
Spesso aspetti Sole/Luna sono accompagnati da aspetti tra Marte/Venere, che riconferma un problema tra maschile e femminile. Nel tema fanno un aspetto minore di sesquiquadrato (135°) ma risulta chiaro che Artemisia dovette necessariamente accettare la sfida, certamente non da poco, di integrare armonicamente i due archetipi, in aspetto di trigono, entrambi sollecitati da Marte e numericamente rappresentati in egual misura (4 pianeti in Fuoco + 4 pianeti in Acqua). Sappiamo che, in ambito astrologico, energie di uguale intensità non portano ad un equilibrio psichico, anzi. Le energie si esprimono al meglio su un piano di prevalenza mentre si bloccano su un piano di equivalenza, come in un insidioso gioco alla fune che non ha mai un esito ed uno sviluppo in quanto le due parti contendenti applicano la medesima forza e si mantengono statiche. In termini psicologici dunque possiamo affermare che la staticità risulta bloccante e dunque non permette il movimento psichico, dunque in ultima analisi non permette crescita né evoluzione personale.
Come affermò Albert Einstein: “Nulla si crea e nulla si distrugge”. Questo sottende al fatto che le energie archetipiche - che la saggezza millenaria della nostra umanità ha sempre rappresentato con un Dio – per quanto le coscienze possano respingerle e disconoscerle, relegandole ai piani dell'inconscio, a causa della morale bigotta, degli interessi della massa, della paura, ecc. … ebbene queste energie, proprio come il Dio che nella mitologia le rappresenta, vogliono, pretendono di essere onorate e riconosciute, ossia di ritornare alla luce della coscienza.
La storia delle donne, fino a quasi tutto l'Ottocento, sembra svolgersi nei secoli in forma silenziosa perché per quasi tutte è una storia di sottomissione e di occupazioni domestiche, inclusa la procreazione. E' comprensibile allora che le energie di segno maschile, di cui anche le donne erano (e sono) legittime portatrici, proprio perché le coscienze del tempo non erano in grado di accoglierle, si presentassero sempre più potenti ed intense ad ogni successiva generazione. Le donne stesse erano colluse in questo circolo involutivo.
Gli archetipi devono “reincarnarsi” attraverso un corpo, devono esprimersi, più vengono ricacciati nelle ombre dell'inconscio da una coscienza che non può permettersi di riconoscerle, più essi grideranno vendetta e pretenderanno di diritto il proprio ambito di espressione nel mondo terreno.
Le nostre generazioni non devono utilizzare i propri parametri per valutare accadimenti di oltre 400 anni fa, ma la lettura della psicologia dell'inconscio ritengo sia universalmente valida, al di là dello spazio e del tempo. E la vicenda personale di Artemisia, che sul piano astrologico disponeva di molta energia maschile, e comunque in assoluto molto più di quanto la mentalità del tempo fosse preparata ad accogliere, suggerisce che inizialmente non l'abbia riconosciuta ed agita come propria, destinandola inconsciamente ad alimentare il meccanismo della proiezione. Questo l'avrebbe “destinata” ad incontrare l'archetipo maschile nel “fuori da sé”, nell'”Altro”, le cui caratteristiche psicologiche si agganciavano al suo Sole. Un Sole femminile per eccellenza, ma anche in aspetto a Marte, Giove (in opposizione), Plutone. Se non riconosciamo e non accettiamo coscientemente le nostre energie personali, esse si ripresentano a noi attraverso il meccanismo della proiezione, nel loro lato “ombra”. C.G. Jung a questo proposito si espresse affermando che: “Tutto ciò che non viene riconosciuto dalla coscienza, ci tornerà indietro come destino”.
Certo è che Artemisia, con una Luna Scorpione ed un Sole Cancro, in relazione con Marte in un potente triangolo energetico di acqua, è stata una donna abitata da energie sottili e sensibili, da percezioni ed incursioni dall'inconscio.
E' comunque chiaro che anche in termini di suddivisione degli elementi, si ripropone il problema già fortemente evidenziato nel trigono Sole/Luna e secondariamente nell'aspetto minore Marte/Venere. In essi c'è la conferma di un conflitto maschile/femminile, parte attiva/parte ricettiva, Animus/Anima, testa/cuore che, quantomeno inizialmente, si saranno dati battaglia. Quattro archetipi nell'elemento acqua, ambito femminile e passivo e quattro elementi nell'elemento fuoco, ambito maschile e attivo, fanno pensare alla personale difficoltà di Artemisia di trovare un punto di contatto sinergico e creativo tra l'inquietudine interna, energia sottile di tipo emotivo, percettivo, interiore e centripeta (ACQUA) e l'impulsività, la passionalità, lo slancio entusiastico ed istintivo che ha come canale d'espressione la manifestazione esteriore e centrifuga, il portar necessariamente fuori (FUOCO). Qui la sfida è cercare di integrare costruttivamente l'acqua, femminile ed introversa, con il fuoco, maschile ed estroverso, per dare vita ad una nuova forma espressiva del proprio IO, che moduli i picchi energetici ed istintivi fuoco (maschile) pescando anche da un bacino interno emozionale fatto di sensibilità e sentimento (femminile). In altre parole Artemisia mostra energie maschili e femminili potenti che potrebbero averla resa inquieta, quasi “dilaniata” oserei dire, come in un tiro alla fune destabilizzante, tra l'aggressività e la passività, tra il farsi valere ed il far valere “l'Altro”, tra il vittimizzarsi e l'incolpare l'altro. Immagino una personalità contrastata tra l'utilizzo della testa (solare) ed il cuore (lunare) tra la parte Logos/Animus e la parte emotiva/Anima, tra la conquista volitiva che spinge ad osare e uscire dal guscio ed il desiderio di sentirti gratificata nei bisogni e nella sfera intima.
Nel tema di Artemisia, analizzando la distribuzione numerica dei pianeti nei segni, osserviamo la presenza di cinque pianeti nei segni cardinali e tre pianeti a pari merito nei segni fissi e mobili.
Ciò parrebbe una indicazione positiva perché Artemisia, a fronte delle energie di cui è dotata, sembra disporre di vie di sbocco, di valvole di sfogo per questo forte carica in quanto, al pari dell'energia di fuoco, l'energia radiante dei segni cardinali effettua un percorso espressivo che si manifesta dal centro verso l'esterno ed è dunque collegata al principio d'azione, il dare “vita”, il “creare”, il “dare inizio”.
Quando, nel prosieguo della trattazione sullo svolgersi della vita di questa artista, avremo elementi sufficienti per azzardare la domificazione, andremo ad analizzare la divisione ternaria, che analizza i pianeti nelle case e potrà contribuire ad una eventuale conferma di quanto ipotizzato.
Tornando a bomba su Artemisia e sui suoi aspetti astrologici, sia per la presenza nel tema di un Marte legato ai luminari in un trigono d'acqua, sia per questa femminilità scorpionica intensa e profonda che mostra difficoltà a contenere stabilmente le emozioni e sia, infine, per la predominanza di elementi acqua/fuoco, possiamo affermare che abbiamo davanti una personalità impulsiva, eccitabile ed emotiva, spesso a discapito della propria stabilità interna, con fluttuazioni di umore di grande intensità, che potrebbero aver portato Artemisia a continua irrequietezza. La carenza di Aria, evidenziata dalla presenza di due soli pianeti in tale elemento, che porta anche la ferita chironiana, con il Mercurio quasi praticamente isolato, che forma un aspetto minore di semi-quadrato sia con Venere, sia con Nettuno, sono indici di una possibile incoerenza tra il pensiero logico e consequenziale e la sistematicità tra il pensiero e l'azione, come se il turbinio provocato dalle folgorazioni interne e dalle intuizioni (la parte Fuoco che C.G. Jung definisce irrazionale) insieme ad un procedere nella vita di tipo emotivo-percettivo le abbiano fatto spesso perdere l'oggettività nel giudizio e nella valutazione, una sorta di scollamento che porta a fare azioni che non si erano pensate in quei termini.
Anche il nodo nord è nel segno dei gemelli, congiunto a Chirone. Cosa significa? Credo che questa irrequietezza, senz'altro anche fisica, questa inquietudine dell'animo, questo naufragare e galleggiare continui in un mare di emozioni profonde e brucianti, di percezioni forti e di contaminazioni di provenienza esterna sui propri stati d'animo altalenanti, abbiano reso Artemisia una donna molto intensa ed intimamente sofferente, portatrice di ricca e profonda interiorità che, come sappiamo, ha messo sulla tela.
Ma la logica astrologica e la dialettica nel suo tema natale, attraverso la presenza del nodo e di Chirone in gemelli, suggeriscono che una sfida sia stata la conquista della capacità di discriminare, cercando di creare un distacco, una bolla ove potesse affiorare una modalità meno sanguigna ed emotiva di decodificare fatti e accadimenti e più disincantata, contattare una forma di pensiero logico-causale e razionale, finalizzato alla conoscenza il più possibile obiettiva della realtà circostante, portando dentro informazioni non distorte dal suo forte sentire intuitivo, dall'apprendere un metodo per modulare un reale scambio con gli altri fissando i propri confini mediante un'autentica sintonizzazione su se stessa e dall'acquisizione di un impianto intellettivo-logico-razionale, ossia di quelle qualità mercuriali che indichiamo come “esame di realtà”. La congiunzione Chirone/Mercurio in gemelli, segno comunicativo per eccellenza, potrebbe indicare della compulsione nella comunicazione, in linea con quanto già suggerisce il tema, perché probabilmente Artemisia aveva difficoltà a mettere in parole l'affastellarsi sovrabbondante e quasi infuocato del fluire dei suoi pensieri spinti alla superficie della coscienza da correnti energetiche intuitivo-emotive di provenienza dal profondo (Sole in cancro, Luna in scorpione), quindi tutt'altro che facili da trasmettere e da condividere con gli altri.
L'inconscio di Artemisia Gentileschi nelle sue opere
Ecco le opere che ho eletto per questa analisi:
Susanna e i Vecchioni (1620)
Giuditta che decapita Oloferne (1612/13 e 1620)
Giaele e Sisara (1620)
Autoritratto come allegoria della pittura (1639)
Autoritratto come martire (1615)
Dopo la dolorosa vicenda personale Artemisia, retta da una dignità esemplare per una donna dell’epoca, incomincia a rielaborare in maniera originale lo stupro subito che, come potevamo aspettarci, fu solo in parte attribuito al Tassi, dal momento che i più si chiedevano se non fosse stata consenziente ai ripetuti atti sessuali. Probabilmente Artemisia era realmente innamorata di Agostino, e questo spiegherebbe le allusioni alla sua capigliatura corvina, presente in alcuni celebri quadri, di epoca precedente al misfatto.
La pittrice rielaborò personalmente il suo rapporto col maschile, come si evince dai suoi più celebri quadri. Il primo di questi è: “Susanna e i Vecchioni” del 1610
Il tema di questo suo celebre quadro è tratto dai vangeli apocrifi.
C'è un altro mistero qui: la data che si legge sembra essere il 1610; a quell'epoca Artemisia ha soltanto 17 anni ed è dunque ancora nella stagione della piena innocenza perché la violenza, se ci sarà, avverrà nell'anno seguente.
Eppure in questo quadro la violenza c'è tutta...
Susanna, la protagonista, è completamente nuda con un corpo chiaro, isolato, vulnerabile, bellissimo e i due vecchi lascivi vorrebbero concupirla e possederla. Guardando il quadro attentamente, si vede che uno dei due uomini non è anziano ed ha dei bellissimi riccioli neri, gli stessi che ha anche Agostino Tassi. Parrebbe dunque che Artemisia abbia trasferito sulla tela, in una sorta di immagine biografica, le insidie che da tempo sta subendo da Agostino.
Comunque, tutto quanto detto indurrebbe a pensare che il quadro sia stato dipinto dopo il processo e non prima. Un'altra cosa è assolutamente inspiegabile e induce a pensare a un'altra data: per quanto Artemisia fosse pittrice provetta e di talento, come può a soli 17 anni firmare un'opera così complessa e di tale qualità? Qualcuno dice che, nel realizzare questo quadro, Artemisia sia stata aiutata da Orazio, ma se davvero è stato così, in quale misura ha collaborato all'opera? Alcuni storici ritengono invece errata la lettura della data, non sarebbe il 1610 ma piuttosto il 1616 e questo vorrebbe dire che il quadro è stato realizzato durante il soggiorno fiorentino dopo il processo.
Dopo questo elucubrare, rimane il fatto che la storia di Susanna assomiglia a quella di Artemisia. Interessante anche la scelta del soggetto, che sembra dirci molto della condizione della donna all’epoca della Gentileschi. Susanna era infatti un personaggio biblico e rappresentava una donna virtuosa che veniva insidiata da due anziani, che minacciavano di denunciarla per adulterio nel caso in cui non si fosse loro concessa. Questo nudo rimanda a molti altri nudi femminili che Artemisia ha realizzato durante la sua vita di pittrice. Anche lei, come suo padre, era molto brava nel disegnare le forme delle donne e a giudicare dal numero delle sue opere che impiegano il nudo femminile sembra davvero che quello fosse uno dei suoi cavalli di battaglia. Lei stessa in una lettera a uno dei suoi committenti ne parla accennando alla difficoltà di trovare e di pagare delle buone modelle, delle donne belle, delle donne che accettassero di spogliarsi, in mancanza delle quali abbiamo detto che Artemisia si rifaceva al proprio corpo, guardandosi allo specchio senza veli.
Nell’iconografia rinascimentale questo soggetto veniva spesso rappresentato in pose ammiccanti, in scene erotiche in cui la donna sembrava più sedurre che respingere. Questa infatti la morale maschilista del tempo. Ma qui la Gentileschi, al contrario, presenta una scena drammatica, in cui Susanna, sorpresa mentre fa il bagno, cerca di sfuggire alle pesanti avances dei due uomini. Un tema così pressante anche per le sue vicende biografiche, che venne ripreso più volte lungo il percorso artistico della sua carriera.
“… Ogni lavoro creativo si fonda sul presupposto di un coinvolgimento intenso, un’esperienza “sensoriale” che lega il soggetto all’oggetto che andrà a rappresentare”.
(Tratto dal web: “Psicologia ed Arte” di Maria Luisa Vallino “Artemisia Gentileschi: l’opera pittorica di una donna violata”)
Giuditta che decapita Oloferne (versione 1613 e versione 1620)
Giuditta che decapita Oloferne
Giuditta che decapita Oloferne
La modifica del modello caravaggesco
Il secondo quadro che ho scelto comprende due versioni il cui titolo è: “Giuditta che decapita Oloferne” (1612-1613 e1620), (Fig. 4) e Fig. 5), dove nella raffigurazione ritroviamo i tratti autobiografici. Poco tempo dopo il matrimonio, quando arriva a Firenze nel 1613, Artemisia si stacca dalla pittura del padre e si mette all’opera su questo soggetto. In pochi anni realizza i due capolavori.
Tema già caro alla pittura dell’epoca e soprattutto a Caravaggio, la cui influenza sull’arte della Gentileschi è ben evidente ma, rispetto alla versione del maestro, realizzata nel 1599 e conservata a Palazzo Barberini, quella di Artemisia è ancora più cruda e violenta, come la vicenda vissuta in prima persona.
Di esso, dicevo, Artemisia realizza due versioni molto simili. La prima fu completata nel 1613 ed è oggi conservata al Museo Nazionale di Capodimonte, la seconda, un po’ più grande, è datata 1620 e si trova agli Uffizi.
Nella composizione, la pittrice guarda alla versione di Caravaggio ma, attraverso questa composizione pittorica, Artemisia risponde così ai giudici e risponde così agli uomini, riscrivendo a suo modo uno scandalo che era stato scatenato da suo padre e che lei ha dovuto subire.
Questa tela rappresenta una tappa fondamentale di Artemisia, c'è una novità iconografica: per la prima volta due donne si scagliano contro un uomo!
L'analisi del quadro, in chiave psicologica, ha portato alcuni critici contemporanei a vedervi il desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita.
Ma una lettura veramente suggestiva è quella di Roberto Longhi nel 1916:
“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d'un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato [...] Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” ed aggiungeva “[...] che qui non v'è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l'impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riuscita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Stiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l'elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l'unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del Seicento europeo, dopo Van Dyck”
Le considerazioni di Roland Barthes aggiungono elementi che ne chiariscono ulteriormente la originalità iconografica, anche a paragone della Giuditta di Caravaggio.
“Il vero colpo di genio di Artemisia, forse, consiste nell’aver attinto ad una forza interiore fino a quel momento rimasta inespressa, a causa della supina accettazione di regole e condizionamenti provenienti dall’ambito paterno, che avevano limitato gli orizzonti della sua espressività. Dalla vicenda dello stupro in poi emerse a viva forza l’esigenza di un’autonomia artistica quanto personale. La stessa autonomia che la indusse a distanziarsi affettivamente dal marito che non amava, per dedicarsi alla coltivazione di se stessa e della sua arte sublime.
Il secondo colpo di genio – prosegue Barthes - è quello di aver messo nel quadro due donne, e non solo una, mentre nella versione biblica, la serva aspetta fuori; due donne associate nello stesso lavoro, le braccia frapposte, che riuniscono i loro sforzi muscolari sullo stesso oggetto: vincere una massa enorme, il cui peso supera le forze di una sola donna. Non sembrano due lavoranti sul punto di sgozzare un porco? Tutto ciò assomiglia a un'operazione di chirurgia veterinaria. Nel frattempo, la differenza sociale delle due compagne è messa in risalto con acume: la padrona tiene a distanza la carne, ha un'aria disgustata anche se risoluta; la sua occupazione consueta non è quella di uccidere il bestiame; la serva, al contrario, mantiene un viso tranquillo, inespressivo; trattenere la bestia è per lei un lavoro come un altro: mille volte in una giornata essa accudisce a delle mansioni così triviali”.
Le modalità della morte di Oloferne inscenano l’idea di un vendicativo rito sacrificale compiuto da due donne, secondo una sanguinosa liturgia rappresentativa che emula uno stupro, stavolta di oggetto maschile, realizzando così, nel ritmo compulsivo dell’atto omicida, una risposta figurativa altrettanto violenta di quella precedentemente subita. Non appare dunque casuale l’allontanamento di Artemisia dal racconto della tradizione biblica, che non menziona la figura attiva della fantesca all’esecuzione del generale assiro, quasi a proporre una contingente necessità di alleanza femminile per condurre a termine un inevitabile “proposito di genere”, in una situazione che potrebbe essere definita come l’esigenza di annullare la violenza subita mediante un rovesciamento di prospettiva, dal significato catartico.
La complicità tra donne, tema ricorrente nell’opera della pittrice, serviva a compensare il dolore di un’amicizia tradita, quella per Tuzia, vicina di casa, amica e modella, che durante il processo per stupro a sorpresa depose contro Artemisia, testimoniando a favore dello stupratore.
(Tratto da Roland Barthes, Nota su “Giuditta e Oloferne”, in: Artemisia Gentileschi, “Lettere…”, op.cit. Pagg.150-151”)
Notiamo le differenze: nel quadro di Caravaggio, Giuditta si pone lontana da Oloferne, quasi disgustata dal sangue, mentre in quelli della Gentileschi (che pure lo omaggia) agisce da coraggiosa protagonista, con foga e vigore e, come detto, c’è una sorta di collaborazione femminile da parte della serva, collaborazione che Artemisia non ricevette nella sua esperienza di vita.
Giaele e Sisara (1620)
In questa tela, ancora una volta, Artemisia Gentileschi raffigura una delle terribili eroine dell'Antico Testamento: si tratta di Giaele, le cui gesta sono narrate nel Libro dei Giudici. Dopo aver attratto nella propria tenda Sisara, generale canaanita sconfitto dall'esercito israeliano, che fugge dai suoi inseguitori, lo uccide nel sonno conficcandogli un picchetto della tenda nel cranio, con una violenza tale da trapassarlo completamente.
Al contrario del quadro precedente, dove la scena riprodotta è estremamente truculenta, oggi diremmo “splatter”, qui la scena non riproduce i toni tragici del racconto biblico; al contrario, sembra pervasa da un'atmosfera calma, che potrebbe sembrare quasi idilliaca: il guerriero giace sdraiato in un sonno ristoratore e parrebbe appoggiare la testa sul grembo di una fanciulla, vestita con un elegante abito di seta gialla e con i capelli ramati raccolti in un'acconciatura elegante e ricercata. Solo guardando le braccia scoperte e le mani della fanciulla ci si accorge che - armata di picchetto e martello - sta per colpire l'inconsapevole generale, che si era abbandonato a lei. Il viso di Giaele è calmo, come di chi si accinge ad una normale azione quotidiana, né si coglie nella leggerezza dei gesti lo sforzo necessario ad assestare un colpo di eccezionale violenza.
Pur essendo rappresentata una donna che si accinge con un maglio a conficcare nel cranio di un generale il picchetto di una tenda dei soldati (!!), per cui – diciamocelo – non possiamo negare che Artemisia sia preda di una fortissima rabbia verso il maschile, la scena non assomiglia alla tragedia della “Giuditta che decapita Oloferne” degli Uffizi.
La lezione caravaggesca è evidenziata da chiaroscuri e dall'essenzialità della scena: nulla emerge dall'ombra dello sfondo se non le due figure e la elegante impugnatura della spada di Sisara (si noti la precisione con cui Artemisia ne dipinge i particolari). Solo si intravede un plinto sul quale appare scolpita la firma dell'autrice e la data del quadro: "ARTEMITIA.LOMI / FACIBAT/ MDCXX".
Autoritratto come allegoria della pittura (1639)
Alla corte di Carlo I d’Inghilterra
Nel 1638, dopo un importante periodo napoletano, Artemisia si stabilisce in Inghilterra. A volerla a Londra alla propria reggia è nientemeno che il re Carlo I Stuart, fanatico ed avido collezionista d’arte che l'anno prima aveva già fatto arrivare il padre Orazio Gentileschi, che qui divenne presto pittore di corte.
Questo incontro costringerà Artemisia a rivedere il suo passato quando ritroverà l'uomo che più ha segnato il suo carattere ed il suo temperamento. Scrive Artemisia durante il lungo viaggio: “... Il re in persona mi invita a ritrovar quel tale Gentileschi da cui fuggo...”. Orazio è ormai vecchio però questo riavvicinamento padre/figlia e la rinnovata collaborazione artistica danno vita ad una magnifica opera comune che si intitola: “Il trionfo della pace e delle arti”, un grande complesso di nove tele che in origine era previsto per il vestibolo della casa delle delizie della regina a Greenwich e che consiste nella decorazione del soffitto della Queen's House.
In questo complesso pittorico è impossibile distinguere la mano del padre da quella della figlia. Artemisia è diventata una donna in pittura davvero, una “pittora” a tutti gli effetti. Orazio morirà poco dopo, nel febbraio del 1639 e Artemisia tornerà a Napoli all'inizio del 1640. In Inghilterra si sta aprendo l'agitata stagione della guerra civile, capeggiata da Cromwell e nel 1649 Carlo i viene decapitato. Si disperde anche la sua collezione d'arte.
Di quel periodo, durato una manciata d’anni, ci è rimasta una sola opera di rilievo, che è però anche uno dei capolavori della pittrice: “L’Autoritratto come allegoria della pittura” del 1639. Artemisia fu capace di guadagnarsi grande fama anche come ritrattista, nonostante molti dei suoi quadri di questa tipologia siano purtroppo andati perduti. L’opera, conservata oggi alla Royal Collection di Kensington Palace, è interessante perché presenta l'ennesima figura femminile, ma non più impegnata nella lotta contro gli uomini.
La sua abilità emerge infatti anche da questo quadro allegorico, in cui la pittura è raffigurata con le fattezze proprio della stessa Artemisia che si racconta in una maniera straordinaria: non è davanti al quadro che sta dipingendo ma, in grembiale di lavoro, appare di profilo, china davanti all'opera, discinta e scarmigliata, con i capelli sciolti, il braccio sollevato davanti alla tela, il viso illuminato dalla luce di una candela, ossia con quegli aspetti che la caratterizzano come donna animosa ed appassionata, immersa nel suo lavoro. Il tema non era nuovo nell’iconografia del tempo, ma la Gentileschi lo interpretò in chiave molto moderna, lavorando sulla postura del soggetto. La pittura viene rappresentata come un’artista intenta a dipingere, rapita completamente dalla tela su cui sta lavorando, estatica.
In evidenza, quasi al centro del dipinto, questa collana d'oro che era un riconoscimento estremamente importante che veniva tributato dai committenti a quegli artisti di cui fossero stati particolarmente soddisfatti e di cui avessero riconosciuto il grandissimo talento.
E' chiara dunque la finalità di Artemisia di voler sottolineare la sua bravura e la sua capacità di fare arte, che il mondo della pittura, prettamente maschile, le aveva pienamente riconosciuto e di ciò, ovviamente, era molto fiera.
Artemisia in questo quadro racconta come, nel fare pittura, faccia riferimento soltanto a se stessa, alle sue capacità, alla sua forza. Da qui comprendiamo come lo scandalo l'abbia segnata ma certo non vinta e quale faticoso percorso di evoluzione personale avesse intrapreso.
Una curiosità: nel raffigurarsi, la Gentileschi si concesse qualche piccolo vezzo e se i capelli di colore scuro potrebbero essere una concessione alla tradizione pittorica, certo l’età è inferiore a quella che all’epoca aveva ed evidentemente preferì non riprodurre le proprie rughe sulla tela.
Comunque la sua permanenza inglese fu breve. Nel giro di pochi anni tornò infatti a Napoli, sfuggendo così anche alla guerra civile che avrebbe portato alla fine della monarchia momentaneamente.
In conclusione ...
I quadri che ho voluto analizzare, confermano - da un punto di vista delle immagini pittoriche e della loro narrativa - che Artemisia ha messo sulla tela quanto già si evinceva dalla lettura astrologica degli archetipi. Possiamo dunque tornare a ribadire, arricchiti nella conoscenza da questo breve excursus tra alcune sue opere chiave, che Artemisia dovette entrare a patti con le sue energie potentemente maschili ed altrettanto potentemente femminili, che dentro di lei avevano dato origine ad una battaglia tra i due sessi. Ma prima di ciò dovette sicuramente prendere consapevolezza di entrambe queste forze contrastanti, perché sappiamo che l'Io cosciente quando avverte la presenza di due forze archetipiche uguali per intensità ma complementari per simbologia, effettua un processo di identificazione con l'una delle due, mentre l'altra automaticamente non la riconosce come parte di sé ed attiva il meccanismo della proiezione, di modo che l'Io stesso, attraverso un lento processo di evoluzione, possa prima “vederla” nel TU come condizione essenziale per raggiungere il successivo passaggio di poterla “vedere in sé”.
Azzarderei dunque l'ipotesi personale che - a partire da un IO adolescente, rappresentato in “Susanna e i vecchioni” - Artemisia si riconoscesse in un femminile costantemente controllato e tenuto in scacco da un maschile dominante e fortemente sessuato.
Non dimentichiamo che una Luna in scorpione segnala, nella fase simbiotica, sensazioni di pericolo e minaccia per la propria sopravvivenza, insieme alla sensazione di madre potente ed intensa in ambito emozionale e si colgono gli aspetti distruttivi e depressivi di tale figura. Attraverso questa esperienza pre-egoica, l'imprinting si struttura sulla necessità di controllare che nasce dalla personale inquietudine.
Artemisia avverte un maschile minaccioso, che ha esercitato il potere a suo nocumento (Sole/Plutone) dal quale abdica e non completa la fase di integrazione, tornando al femminile dal quale si sente molto più rappresentata e che, attraverso la tela, si manifesta incarnato in una Susanna che: “è completamente nuda con un corpo chiaro, isolato, vulnerabile, bellissimo...” Nella prima parte della sua vita Artemisia si identifica in questo femminile: vulnerabile, che conduce al concetto di “delicato, delicatezza”, e “chiaro” che conduce al concetto di purezza ed innocenza.
Ma questo tema natale suggerisce un femminile di ben altro tipo, con una Luna in scorpione, Luna/Marte, Luna/Saturno, questi aspetti ci parlano di tutt'altra tipologia di energie circolanti. Sono certa che la mentalità, i dettami educativi e la tradizione imperanti in quell'epoca, non rendessero affatto semplice, soprattutto per una donna come Artemisia, riconoscersi, “vedersi addosso” ed integrare energie tanto maschili, anche se espresse attraverso l'archetipo lunare, perché questa è una Luna fortemente virilizzata.
Dalla notte dei tempi la difficoltà per ognuno di noi, che il sistema astrologico pone sull'asse I/VII in opposizione, indicandola come prima grande sfida al momento della nascita, è proprio questa: affrontare con coraggio un processo di riconoscimento di ciò che siamo autenticamente, a discapito delle aspettative della famiglia, dei dettami della tradizione, della comunità, della società e di un mondo che per te vuole scrivere una storia, che fa comodo a tutti ed accontenta tutti tranne te, che sei il portatore di sacre energie che devono trovare la strada che tu indicherai loro per esprimersi, non altri.
Nella vita Artemisia incontra inizialmente un maschile prevaricante, controllante e minaccioso ma nella realtà lo ha “dentro di sé” e poiché la sua coscienza lo percepisce come destabilizzante per sé, tanto quanto è inaccettabile per il suo tempo, lo sublima sulla tela. Queste sono energie che lei ha colto nel padre Orazio in primis, e che si sono espresse nella realtà attraverso il suo violentatore Agostino Tassi in secundis ma che, in ultima istanza, quella autentica, sono dentro di lei e richiedono prepotentemente di venire alla luce della coscienza. Nel prosieguo dell'analisi, valuteremo le energie maschili attraverso un'analisi dettagliata del Sole.
Cito una curiosità da “Istituto Italiano edizioni Atlas “Le donne nel rinascimento”: “La donna truccata e vestita in modo troppo curato era considerata privilegiare l'esteriorità del suo corpo rispetto alla sua anima e quindi era mal giudicata. Non poteva mangiare cibi troppo caldi o bere vino, i gesti che faceva dovevano essere strettamente controllati per non attirare l'attenzione, non doveva ridere mai, solo sorridere ma senza mostrare i denti, non doveva spalancare gli occhi ma tenerli socchiusi e rivolti verso il basso, doveva piangere senza far rumore, non agitare le mani e camminare lentamente senza muovere i fianchi ...“
Questo “quadretto triste” che descrive un femminile penalizzato, giudicato, controllato ed obbligato a seguire delle regole imposte da un maschile prevaricante che con il femminile (prima proprio e dunque anche esterno) non riesce a creare una sana alleanza, rende facilmente comprensibile quanto Artemisia fosse lontana negli atteggiamenti e nei modi dalla mentalità e dagli usi e costumi del suo tempo, così diversa nell'espressione di sé, con tutto quello che ne consegue in termini di difficoltà nel vedersi diversa e nell'accettarsi diversa, anche da parte del collettivo e forse, proprio per questo, possiamo comprendere quanto questa donna sia stata anche molto sola.
Il quadro successivo, ossia “Giuditta che decapita Oloferne” potrebbe rappresentare quella fase che Artemisia, al pari dell'Eroe nella mitologia, ha intrapreso del suo viaggio evolutivo e del suo percorso di auto-consapevolezza in cui ella vede il proprio femminile (nella tela rappresentato da Giuditta aiutata dalla fantesca) e lo avverte, perché tale ce lo dipinge, come un femminile virile, mascolino e attivo, che ha perso le caratteristiche di passività e così, attraverso questa nuova luce, lo introietta, ossia lo utilizza finalmente ma ancora in modo disfunzionale perché uccide il maschile (alias Oloferne, alias Agostino Tassi, alias il proprio maschile). Artemisia mostra nel tema un Sole in aspetti dissonanti con Plutone (una quadratura praticamente al grado), con Urano e con Giove e questo sappiamo che in un tema femminile è indice di una ferita sulla relazione con il maschile, ma che qui – a questo livello - è ancora sulla “coppia interna”, maschile/femminile, uomo/donna.
Molto probabilmente le difficoltà che Artemisia ha incontrato durante il processo di identificazione con il padre/Sole, i cui aspetti segnalano una problematica col maschile, l'hanno obbligatoriamente portata a non riuscire a contattare il proprio Sole di cui sono qualità integranti l'indipendenza, l'auto-determinazione, la ragione/Logos, la realizzazione, la libertà di essere sé stessa...
La terza tela evidenziata: “Giaele e Sisara” pressoché contemporanea alla precedente, se da una parte ci obbliga a ridimensionare il giudizio sulla pittrice ansiosa di sublimare sulle tele l'oltraggio della violenza carnale subita, dall'altro canto ci induce a ritenere che per forza di cose qualcosa dentro di lei è cambiato e se il quadro precedente evidenzia una violenza pari al terrore provato, qui abbiamo un rallentamento delle emozioni, un focus che congela l'istante precedente all'atto di uccidere, quasi a significare che - anche se l'arco temporale intercorso tra le due composizioni è brevissimo - ha avuto inizio un processo di auto-consapevolezza. Ed inoltre, con quella energia plutonica e scorpionica che l'abitava, potrei aggiungere che per Artemisia, la vendetta era un piatto che andava servito freddo...!
Con il quadro “Autoritratto come Allegoria della pittura” Artemisia, che nel frattempo ha un'età di circa 45 / 46 anni, direi che mostra una piena integrazione tra il suo maschile ed il suo femminile. Niente più uomini minacciosi e fortemente sessuati, niente pallide donne nude o seminude, ma nemmeno donne che brandiscono coltelli e sgozzano odiati maschili... Solo una grande donna, centrata nel quadro e rispetto ad essa è centrato anche il medaglione che porta al collo, simbolo della sua arte e del riconoscimento da parte del collettivo della sua capacità di fare arte.
Queste centrature, che Artemisia ha espresso nello spazio della tela, rappresentano a livello psicologico la centratura che lei ha conquistato per se stessa, non più agita e lacerata da un maschile verso una direzione e, a tratti, da un femminile, nella direzione opposta, in balia di alternanze inconciliabili ma, bensì, artefice di una completa integrazione tra le due energie archetipiche, di un dialogo proficuo e costruttivo che l'hanno condotta a poter esprimere il suo dono inestimabile: fare arte. Il gioco alla fune della prima parte della sua vita si è trasformato nel carro del Dio Apollo, ossia da un Io consapevole dei propri talenti e strumenti da applicare onde percorrere la direzione autentica e sentita della propria vita.
Il quadro trasmette sentimenti di entusiasmo e passione che sono il risultato ultimo di un processo di auto-conoscenza del ventaglio di energie che ci abitano, opportunamente incanalate ed espresse, secondo i propri talenti, al servizio del Sole e del suo sacro progetto di vita.
Cito da: Artemisia Gentileschi, LETTERE, precedute da Atti di un processo per Stupro, a cura di Eva Menzio: “In questo quadro, dell'ultimo periodo napoletano, Artemisia sta dipingendo un ritratto virile così che la testa dell'uomo è alla stessa altezza della sua. Tale autoritratto appare emblematico. Non si può infatti fare a meno di pensare che i due personaggi di Artemisia corrispondano a due diversi aspetti della personalità, la sua indiscussa femminilità, unita ad un carattere forte e virile.”
La rabbia della giovinezza si è trasformata in forza e volontà applicata per la propria riuscita, la propria espressione.
Artemisia ha le guance pienotte, la mascella un po' pronunciata, i capelli ramati raccolti in forma un po' scomposta, come quelli dell'Allegoria dell'Inclinazione.
Benché fosse una forma di gioco abbastanza diffusa nel Seicento rappresentarsi "in veste di martire" a me pare che ci sia comunque un risvolto psicologico da tenere nella dovuta considerazione in questa sua scelta di auto-rappresentazione. Artemisia quando dipinse questo quadro aveva all'incirca 22 anni, quindi ancora molto giovane, non anagraficamente per l'epoca, ma certamente psicologicamente nell'ottica di una evoluzione personale. Saturno non ha ancora completato la sua orbita intorno al Sole per la prima grande verifica e mancano ancora 18 / 20 anni alla chiamata del test uraniano. Una coscienza, quella di Artemisia, che si vede come “martire”, che porta in vista la palma del martirio simbolo della propria sofferenza, in una sorta di “agnello sacrificale”. Ancora Artemisia vive la sua forte dualità, è ancora scissa, lontana dalla presa di coscienza delle sue potenti energie maschili e femminili nella loro versione “virile” che, pertanto, rimangono proiettate sul “fuori di sé”. Si avverte la sua Venere leonina, che la porta a dipingersi con un civettuolo turbante color lapislazzuli e una sorta di peplo di seta rosa fermato sulla spalla.
Partendo dalle esperienze vissute da Artemisia, analizzando quali canali d'espressione hanno preso le energie, in considerazione delle scelte fatte in vita e come ha elaborato a livello psicologico le proprie vicissitudini, ritengo sia possibile fare delle supposizioni, di cui purtroppo non sarà mai possibile ricevere conferma, sulla struttura completa del tema, applicando la domificazione che renderà possibile attribuirle l'ascendente.
Credo appassionatamente alla logica ferrea dell'astrologica che comprende anche quell'ineffabile ingrediente che rende la dialettica tra pianeti, e pianeti nelle case, delicata e commovente nel fornire gli strumenti per operare sempre nella direzione del bene e dell'armonia, in linea con il volere universale.
A mio personale parere Artemisia potrebbe mostrare nel proprio tema le seguenti caratteristiche:
Un asse I/VII interessato.
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Una donna ritenuta “scomoda” perché senz'altro ha turbato la collettività dell'epoca, attraverso la propria vita e la propria arte, portando nel suo tempo contenuti ancora “indigesti” che la società non era pronta a fare propri e ad integrare. Fondamentalmente Artemisia ha conquistato la propria autentica individualità con le unghie e coi denti, a discapito di una mentalità estremamente gretta e penalizzante verso la donna. Il portare alla luce, dopo un contatto profondo col Sé, il proprio IO autentico e vero, ha inferto alla collettività una sorta di ferita. Artemisia ha agito come un'incursione nella coscienza di ognuno, facendo da specchio, ferendo coloro che non erano pronti e coloro che non potevano permettersi di vedere oltre (la quasi totalità).
Una V casa abitata, data dalla creatività e vitalità dirompenti di Artemisia, la difficoltà di riconoscersi nella normalità e di rifuggire, difatti, dalla consuetudine ritenuta consona alla donna del tempo.
Un Sole in VIII e/o una VIII casa importante, per quei ripetuti tradimenti subiti: dall'uomo che ha probabilmente amato, ossia Agostino Tassi, dalla governante ed amica Tuzia, che l'ha abbandonata e venduta al processo, dal padre Orazio che, oltre ad averla tradita come padre, esponendola ad un processo umiliante e violento, ha avuto con la propria figlia un rapporto di seduzione reciproca, quasi incestuosa, come si rileva dagli atti del processo.
A parte un trigono tra Plutone e Nettuno, di poco conto in sé e per sé, in quanto generazionale (più opportuno verificare quali case mette in rapporto questo aspetto), sappiamo intanto che Plutone è quadrato sia al Sole, sia a Giove ed è trigono a Venere e che la Luna è in scorpione.
Una IX casa occupata, nella sua qualità di casa delle predisposizioni e della vocazione. Sappiamo che Artemisia ha viaggiato, traslocato e cambiato moltissime città della penisola, fino ad arrivare a Londra nel 1638, dove ha vissuto per qualche anno. Si tratta di veri e propri viaggi internazionali, pericolosi e fisicamente debilitanti e, se si pensa che a farli è una donna, è davvero straordinario, poiché all'epoca erano quasi nulle le donne che potevano esercitare questo tipo di indipendenza e di potere.
Il suo viaggio però non è stato solo ed esclusivamente geografico, ma soprattutto interiore, alla ricerca di un senso da attribuire al suo doloroso vissuto che, grazie al suo talento, ha trasformato in arte. Artemisia è stata una pioniera sia in senso artistico, in costante ricerca di nuove tecniche pittoriche, distillando dai pittori del tempo tratti che ha personalizzato, sia in senso personale attraverso un percorso evolutivo, che ha lasciato dei semi alle generazioni successive e che l'ha resa un'icona moderna.
Giove, signore della IX, è in opposizione al Sole e fa aspetti con Luna e Marte.
Una XI casa occupata, per quel desiderio di libertà e quella capacità di lungimiranza, per quel suo essere diversa, dunque particolare e preziosa. Cito al proposito il seguente articolo, tratto dall'intervista ad Annamaria Tagliavini – Direttore della “Biblioteca Italiana delle Donne”: “Artemisia è una donna molto particolare perché è una pittrice ed è una donna che incarna un'idea di libertà molto nuova per i tempi. Vasari diceva che le donne artiste sanno fare solo i ritratti, in quanto hanno una lunga consuetudine con lo specchio. Artemisia si distingue dalle altre artiste contemporanee, quali Lavinia Fontana o anche Sofonisba Anguissola perché, appunto, non è soltanto una ritrattista ma riesce a lavorare su personaggi particolari: i personaggi della scena biblica oppure Cleopatra e fa di queste figure femminili delle figure forti, delle donne forti, coraggiose ed è una delle prime volte che questo accade. Soprattutto nella pittura di Artemisia c'è un profondo intreccio con la sua esperienza biografica, con la sua vita. E' una donna molto fuori dal comune rispetto ai suoi tempi, questa donna libera, forte, indipendente che non teme la vergogna ed affronta il suo stupratore in un pubblico processo e che in seguito, e per tutta la sua vita, continua a dipingere, fa di lei un'icona di una delle pioniere di un lungo percorso verso la libertà femminile che dovrà occupare molti secoli prima di venire realizzata”
Nel tema, Urano è in aspetto di trigono con Venere e Saturno, in sestile con Chirone.
Detto ciò, parto dall'ipotesi - che a mio parere è percentualmente la più probabile - di un Sole in VIII casa, in modo da fare una prima verifica su come si sviluppa la struttura del tema, così vediamo come si colloca il resto dei pianeti nelle case, valutando appropriatamente il risultato ottenuto per verificare le eventuali rispondenze con il bagaglio delle esperienze sensibili di Artemisia di cui siamo ora a conoscenza.
Sappiamo che la mancanza oggettiva di un colloquio con Artemisia, ipotetica consultante, non potrà fornire una lettura completa e precisa della realtà soggettiva, che rimane dunque nel campo delle mie personali deduzioni.
Beh... nel complesso direi che i pianeti si inseriscono proprio come mi aspettavo: in V si inseriscono Urano e Plutone, sull'asse I/VII otteniamo una Luna all'ascendente e comunque in I casa ed un Chirone in VII in congiunzione al nodo, in VIII si inserisce anche Mercurio oltre al Sole che, volutamente, abbiamo collocato qui. C'è anche uno stellium in IX, la casa della vocazione, con Venere, Saturno e Nettuno.
L'ascendente verrebbe a cadere nel segno dello Scorpione e lo trovo calzante per questa donna intensa, carismatica e trasgressiva, dalla quale parecchi uomini si sono sentiti stregati per loro stessa ammissione (anche in virtù certo di una Luna nel magnetico e seducente scorpione). L'XI rimane vuota, ma non dimentichiamo che Urano, in V casa, è trigono a Venere, Saturno e sestile a Chirone.
A completamento, riprendiamo la questione legata alla divisione ternaria e quaternaria, ossia relativa ai pianeti nelle case ed ai pianeti negli segni:
pianeti nelle case: angolari 4 – succedenti 5 – cadenti 3
pianeti nei segni: cardinali 5 – fissi 3 – mobili 3
Dalla tabella si evince che c'è coerenza tra loro e la distribuzione è ottimale, anche in riferimento alla personalità che il tema mostra, tanto che possiamo affermare che in potenza coesistono in Artemisia sia l'attitudine di dare vita a progetti, di iniziare nuove cose, di dare spazio ed espressione alla molta energia centrifuga di cui dispone, sia di darle successivamente una forma ed una struttura adatte. Tra l'altro questo aspetto è suffragato dalla presenta di un trigono tra Saturno ed Urano, pianeti questi che, quando cooperano tra loro costruttivamente, attivano un ciclo di continuo rinnovamento psichico, che è vitale per l'IO, attraverso il quale la psiche struttura, ossia da forma al nuovo che entra e destruttura, ossia modifica e abbandona, il vecchio che non contiene più valori di crescita ed evoluzione e che dunque vanno lasciati andare per fare spazio a nuove opportunità, nuove energie. Con questi presupposti un Sole in VIII, indipendentemente dal segno in cui si trova, è facilitato in questo compito di non trattenere ciò che non è più di alcuna utilità all'evoluzione personale.
E' compresente, con un totale di sei pianeti, anche una buona capacità di ricavare un insegnamento da ogni esperienza che viene vissuta, utilizzando i contenuti metabolizzati per la costruzione della propria evoluzione psichica e psicologica, sulla quale potranno inserirsi nuovi inizi e nuove strutture, in un circolo virtuoso di crescita interiore, che miri ad un dialogo sempre più proficuo tra coscienza ed inconscio.
Siccome stiamo trattando un'artista dotata di grande talento, volevo analizzare innanzitutto Nettuno, che rappresenta l'arte ed il talento artistico per eccellenza. E' di tutto rispetto: nella casa IX, che simboleggia le nostre predisposizioni e la vocazione, strettamente congiunto a Venere/Afrodite, dea della bellezza, che rafforza Nettuno nell'ottica di una espressione artistica, poiché porta un contributo notevole a questo aspetto in termini di senso estetico, gusto e raffinatezza.
Nettuno è in aspetto di trigono con Urano e Plutone ma essendo pianeti trans-personali coinvolti in aspetti generazionali, sono poco parlanti in termini di coscienza personale. Semmai è più significativo rilevare che nel tema di Artemisia la casa IX della vocazione forma trigoni alla V, la casa della creatività. La stessa Venere IX riceve trigoni dalla V e non dimentichiamo Sole, Luna, Marte, Saturno in segni di acqua e tutto ad indicare, come condizione necessaria, una forte sensibilità artistica. Ogni qualvolta un tema natale mostra un Nettuno importante, come avviene per Artemisia, è opportuno valutare Saturno, indispensabile a strutturare un IO che sia in grado di fare fronte ai continui richiami nettuniani che potrebbero destabilizzare la coscienza fino a distruggerla. E' pertanto necessario disporre nel tema di un Saturno che risponda in termini di organizzazione psichica ed auto-disciplina alle incursioni ed alle suggestioni inconsce che provengono dagli oceani infiniti rappresentati da Nettuno, che possono far perdere se' stessi. Saturno dunque deve opporre un'energia uguale e contraria al richiamo del Dio così che il suo tocco divino sia salvifico e non distruttivo.
Artemisia ha Saturno beneficato nella IX casa, congiunto a Venere, in aspetto di trigono a Luna e Urano. I fatti biografici salienti indicano che Artemisia utilizzò bene il suo Saturno. La IX casa ci parla dell'esistenza di innumerevoli culture, filosofie di vita, linguaggi, modi di vivere e terre inesplorate con le quali poter entrare in contatto. Lo zodiaco rappresenta il viaggio dell'Eroe mitologico e la IX casa è il contatto dell'Eroe con lo straniero che all'inizio del viaggio è dentro di sé. Saturno qui chiede di abbandonare il giudizio verso le nostre parti “straniere” e di accogliere la potenziale totalità del nostro IO. Penso che questo Saturno abbia operato in modo del tutto funzionale come opportuno vaglio critico in una donna dominata da energie di acqua/fuoco, plutonica e marziana, impulsiva e inquieta, intuitiva e irrazionale, Qui Saturno chiede di verificare che le visioni della mente analogica e simbolica che in lei abbondavano, fossero valide e perseguibili.
In prima casa si accomoda la Luna, che potrebbe verosimilmente essere congiunta all'ascendente; in ogni caso Artemisia è stata portatrice di caratteristiche lunari, femminili, quali sensibilità, ricettività, emotività ed un bisogno un po' infantile di attenzione (che tra l'altro sarebbe in linea con la predominanza di pianeti sulla destra del grafico) ed il bisogno di sentirsi speciale, dato anche da una V casa importante. Nello specifico, abbiamo visto che Artemisia ha lottato per contattare al suo interno le abbondanti energie femminili e ciò l'ha spinta in età adulta a combattere la stessa battaglia all'esterno, per essere riconosciuta ed accettata in quanto donna e in quanto pittore donna.
Nel 1635 scriveva al collezionista Don Antonio Ruffo: “Farò vedere a Vostra illustre Signoria cosa sa fare una donna” e, appena giunta alla Corte di Re Carlo I d'Inghilterra, nel 1638, annotò in un manoscritto personale: “Il nome di una donna fa stare in dubbio sinché non si è vista l'opera. Ora al re d'Inghilterra i miei quadri sono graditi, mi invita a corte, curioso...”.
Artemisia, nel prosieguo della sua vita, quanto più ha preso coscienza delle sue potenti energie femminili, tanto più le ha fatte proprie e le ha messe in campo con vigore, coraggio, convinzione, nella precisa volontà di affermare la propria femminilità, il proprio essere donna, donna “pittora”. In continua lotta con la mentalità dell'epoca per essere accettata come donna pittrice in un mondo maschile e maschilista, nel quale nessuno credeva al potere femminile, Artemisia non a caso 400 anni dopo è diventata icona del femminismo.
Proseguendo nella lettura dei simboli, ecco che la VII ospita il nodo nord e Chirone congiunti. Questo equivale ad una ferita di tipo relazionale, probabilmente riconducibile ad un materno con il quale non è stato possibile sviluppare un attaccamento sicuro, per via di Luna scorpione, che alimenta nel neonato la sensazione di una madre minacciosa e potente ma non a proprio beneficio, bensì potenzialmente per la nostra distruzione. Aspetti Luna/Marte, Luna/Saturno si accordano male con il luminare femminile, per quel suo bisogno di simbiosi e fusione di cui non c'è traccia nella simbologia di Marte, che chiede individuazione, e di calore ed accoglienza che non trova spazio in un Saturno freddo, rigido e normativo. La presenza del nodo nord, congiunto a Chirone, la ferita da recuperare, si potrebbe tradurre dal linguaggio simbolico affermando che “dove c'è il problema, c'è la risoluzione”, ossia: “posso attivare un processo di guarigione proprio lì, dove sono stato ferito” perché una ferita psicologica, se opportunamente riconosciuta e metabolizzata, attraverso l'elaborazione di un lutto, abbandona la sua connotazione di “perdita”, come, in senso biologico: “fessura da cui fuoriesce qualcosa di mio” per acquisire una connotazione luminosa ed evoluta di “apertura” come “accesso, portale a qualcosa di non mio” che, seppur con qualche rischio, è in grado di condurmi ad una conoscenza superiore, ad una fortificazione dell'architettura psicologica.
La dialettica I/VII afferma sostanzialmente che non ci può essere un “TU” se prima non costruiamo un “IO” e che non ci può essere relazione senza una personale individuazione. In Artemisia il nodo gordiano da sciogliere nella prima parte del suo cammino evolutivo è stato essenzialmente “le altre parti di Sé” inaccettabili per la sua morale e per quella del suo tempo, pertanto non riconoscibili. Sul piano di realtà, la dinamica si sposta su “gli Altri”, nell'affrontare attraverso essi la relazione, lo scambio ed il confronto di tipo mercuriale (VII in gemelli). I continui tradimenti che ha subito nella prima parte della vita (Sole in VIII. Luna ed Asc. Scorpione) altro non erano che il riflesso di un primo vero tradimento avvenuto verso se stessa, non avendo riconosciuto parti di se che le appartenevano.
Ritengo che Artemisia sia stata una donna che ha sofferto molto nella sua interiorità, che ha necessariamente dovuto affrontare una catarsi potente inizialmente destabilizzante, per la personale guarigione. Non c’è traccia nei documenti personali ed in quelli della storiografia ufficiale di crisi o di depressioni, ma è certo che a fronte di quanto ha conquistato durante il suo percorso evolutivo possiamo dedurre un altrettanto sforzo in termini psicologici ed emotivi verso il profondo e doloroso di sé: “È vero senza errore e menzogna, è certo e verissimo: Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della Cosa-Una”. Così si espresse Ermete Trismegisto nella “Tabula Smaragdina”.
Ciò le ha fornito la possibilità e la forza di rinascere dalle proprie ceneri, una sorta di “Araba Fenice”. Sole e Mercurio in VIII, Sole/Plutone, ascendente e Luna in Scorpione: queste energie l'hanno obbligata ad entrare in contatto profondo con le proprie scorie, fatte di rabbia, livore, risentimento, odio viscerale e desiderio di rivendicazione. Questi aspetti hanno preteso una presa di coscienza ed un contatto certo sofferto e pauroso con la propria “anima nera”, ma esimersi sarebbe costato una mancata realizzazione ed una tendenza all'autodistruzione che l'avrebbero condotta ad una vita di infelicità come per molte donne del suo tempo, perché qui le energie sono talmente potenti che se si riesce ad incanalarle fanno miracoli, come nel caso della pittrice, altrimenti l'auto-sabotaggio è dietro l'angolo, fino alle estreme conseguenze (ossia sul soma).
Plutone in V casa deve dare vita a qualcosa. Nel caso di Artemisia, questo Plutone in V è in quadratura con il Sole in VIII ed a loro volta i due pianeti coinvolti si trovano al quadrato dei loro domicili. Certo la creatività della V e della VIII sono assai diverse, colorano la personalità di luci ed ombre, di angeli e demoni, ma il comune denominatore di queste case è individuabile nel senso della propria forza personale, del proprio potere, del bisogno prepotente di essere in qualche modo creativo. “Se uccidi tutti i tuoi demoni, anche gli angeli potrebbero morire”.
Plutone è qui nella casa dell'Io-Sole, della luce della propria coscienza, dove il concetto di eterno e permanente trova la propria certezza ed una dimora sicura, mentre il Sole è nella casa del sé plutonico, dell'inconscio collettivo, dell'impermanenza. La quadratura, qui anche nei gradi, dà indicazione di una figura paterna non chiara e non diretta e dunque, per estensione, di un blocco esistente nel rapporto tra l'Io ed il Sé che obbligherà l'Io, ammesso e non concesso che l'Io voglia accettare la sfida, a rimuovere sicurezze e difese fasulle, addotte dalla parte cosciente come atto di sopravvivenza. Ecco la necessità di imporsi un cambiamento, una catarsi per attingere attraverso il proprio Se' alle sicurezze autentiche.
L'Io deve rimuovere il blocco per sentirsi definitivamente creativo e motivato nel profondo, portando i sentimenti di distruzione ed auto-distruzione che covano negli aspetti dinamici, ad un piano nobile di creazione e fecondazione, di “dare vita” a qualcosa, doppiamente importante dunque per un Sole cancro il quale, così come la sua funzione al primo livello evolutivo è dare vita fisica e nutrirla, parallelamente a livello psicologico il progetto cancerino è dare vita emotiva, trasmettere un'architettura emotiva, sostenendo e preparando all'indipendenza ed all'autonomia.
Urano in V, se pensiamo alla V come creatività e ad Urano come il diverso, l'anticonvenzionale, colui che va fuori tempo o, meglio dire, a tempo “proprio” e controcorrente, potremmo affermare che si è manifestata una creatività anti-tradizionalista, che in lei si è espressa attraverso canoni anti-conformisti, assolutamente rivoluzionari per i suoi tempi.
Urano qui si trova all'opposto della sua sede naturale, dunque ben capiamo che – se non opportunamente integrato – può dare origine a miscele esplosive. Gli ingredienti energetici di cui Urano colora la V, casa dell'egocentrismo e del bisogno di individualismo e riconoscimento esterno, sono la ricerca della propria individualità e l'abbattimento delle frontiere dell'Io, per prepararsi ad accogliere il diverso da sé. Nelle pagine precedenti abbiamo detto che Urano è in aspetto di trigono con Venere e Saturno in casa IX, dunque un Urano beneficato che potrebbe sostenere l'ipotesi di un'Artemisia bambina (tra i 4 ed i 6 anni) riconosciuta ed accolta nella sua diversità durante la fase edipica di onnipotenza. Tale sua diversità, grazie a ciò, è diventata in età adulta un segno di distinzione che lei ha coltivato ed esaltato, da portare con vanto ed orgoglio nell'ambito creativo dell'arte.
E sempre a proposito della V come fase edipica, Plutone registra una difficoltà nel vivere questa fase - che passa attraverso la conquista del genitore di sesso opposto, suggerendo il fatto di non essersi riconosciuta in questo maschile, anche per un problema di fiducia ed accettazione della figura paterna, ipotesi sostenuta da un Sole/Plutone in quadratura e da un Sole in VIII, che sottolineano la difficoltà a percepire con chiarezza le energie paterne.
Certo è che Artemisia ebbe problemi tutta la vita con suo padre, dal quale ha cercato di affrancarsi a molti livelli: fisicamente e psicologicamente abbandonando la casa paterna ed allontanandosi dal suo giogo, artisticamente ricercando metodi e tecniche innovative per dare vita ad uno stile molto personale. Questo l'ha condotta a dover affrontare una pulizia ed una personale rielaborazione del maschile introiettato. Le figure maschili incontrate ed i suoi quadri ne sono una valida prova.
Sullo stupro di Artemisia sono state scritte molte pagine e la sua straordinaria carriera, spesso pittrice di donne forti, è stata letta dalla critica di genere come un riscatto da quella violenza subita. In realtà le cose sono più sfumate, come ha illustrato, in occasione della Mostra di Palazzo Reale a Milano avvenuta nel 2012, dedicata all'artista, la storica femminista italiana Lea Melandri che, insieme alla critica Marina Moiana, aveva riletto le carte del processo e così le aveva commentate in una intervista-video apparsa sul web:
“Intanto dalle testariate del processo viene fuori l'ambiguità della relazione che si stabilisce fin da quando Artemisia è bambina, col padre pittore ed anche con gli amici del padre, pittori anch'essi. C'è sicuramente alcunché di oscuro intrecciato ad una seduzione reciproca, un po' incestuosa. Con lo stupratore, viene fuori che c'era stato, sì, un atto violento ma in seguito è continuato perché lui le aveva promesso di sposarla. Nel momento in cui, durante il processo, è sottoposta alla tortura delle dita, lei dice rivolgendosi ad Agostino: “questo è l'anello che mi hai promesso”. Ciò lascia pensare alla torbida complessità di queste relazioni morbose e con riferimento alla relazione con il Tassi, la giovane pittrice di appena 18 anni viene soggiogata da quest'uomo molto spregiudicato e potente ammaliatore che le aveva oltretutto promesso di sposarla mentre lei non sapeva che lui aveva già una moglie a Livorno.
A quest'inganno del matrimonio Artemisia accenna sotto tortura ed è dunque immaginabile quanto sia stato complesso e poco chiaro il rapporto tra lei ed Agostino e quanto in questo rapporto Orazio abbia avuto un ruolo di giudice che osservava la vicenda da lontano, un giudice che però aspetta un anno a denunciare, ma soprattutto quanto lei sia stata manipolata e tradita per scopi personali...”
Nei passi precedenti ho accennato alla IX come la casa dei viaggi e degli spostamenti il cui motto è: “Io divento”. A livello psicologico profondo, è la casa in cui si delinea la propria vocazione, qui si entra in contatto con la propria aspirazione, ciò per cui siamo naturalmente dotati. Viene alla luce (della coscienza) cosa si vuole diventare. Nettuno in IX nel tema è beneficato da trigoni dalla V casa di Urano e Plutone (generazionale) ed è congiunto a Venere.
Cito al proposito Lidia Fassio, dal testo: “Le Case astrologiche” - § I trigoni V/IX, pag. 293: “Con questo trigono, il bisogno di avere un'identità forte e visibile può essere facilmente incanalato in qualcosa di creativo, in grado anche di toccare l'anima di molti: ne sono esempio scrittori, uomini di spettacolo, sportivi, nonché molti dei personaggi che hanno sublimato le loro energie nella religione. Equivale sostanzialmente ad un trigono tra Sole e Giove, che è altamente dilatante e conduce l'Io verso la sua naturale espansione.
Trovando un canale che possa adeguatamente accoglierne il pensiero e le aspirazioni, senza dubbio è un trigono che regala all'individuo che lo possiede una grande fiducia nelle proprie potenzialità unitamente ad una buona capacità di farsi valere, e questo perché aumenta sì le ambizioni ma nel contempo offre anche la disponibilità a mettersi in gioco.”
Le energie della IX rendono il soggetto interessato alla studio ed allo apprendimento, alla cultura in generale, anche nella veste di insegnante.
Intervista televisiva a Michele Nicolaci – storico dell'arte, nella trasmissione dedicata ad Artemisia Gentileschi (SkyArte, nov. 2016): “A Napoli Artemisia approda nel 1630 e, tranne la breve parentesi londinese, presso questa città in realtà instaura la sua bottega assai importante, capace di attirare committenze prestigiosissime e capace anche di attirare artisti che vedono in questa donna, che ha conosciuto tutto, che è figlia di un grande artista, che ha visto le opere di Caravaggio dal vivo, che è stata a Venezia ed anche a Firenze, di trovare in lei la possibile maestra, la possibile chiave per dare una svolta al proprio futuro ed alla propria formazione artistica: Maestra Artemisia”.
Effettivamente Artemisia a Napoli, dove rientra nel 1630, fonda una sua bottega, una bottega importante che diventa una scuola ed un punto di riferimento del caravaggismo napoletano. Grazie all'appoggio del letterato Michelangelo Buonarroti il giovane, pronipote del più grande Michelangelo, Artemisia si inserisce in pieno nel sofisticato entourage di Cosimo II. Difatti, a luglio del 1616, poco più che ventenne, è la prima donna (dopo di lei ce ne saranno davvero poche!) ad essere ammessa all'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, fatto fondamentale in quanto tale Accademia ha mecenati di altissimo livello. Lavora per il Granduca di Toscana, per la famiglia De Medici. Frequenta grandi intellettuali. Prende parte agli eventi mondani e le cerchie giuste. Da adulta impara a leggere ed a scrivere, fatto rarissimo per le donne dell'epoca; le sue lettere la mostrano capace di dialogare tanto con uomini illustri come Galileo Galilei, di cui è grande amica, quanto con il nobiluomo Francesco Maria Maringhi, vero amore di tutta la sua vita e di cui sarà amante appassionata.
Ricco rampollo di un’antica famiglia dell’aristocrazia fiorentina, Artemisia con lui visse un amore travolgente e travagliato, un amore accettato persino dal marito. Fu pervasa da sensazioni che soddisfacevano il suo bisogno di passioni, di incontri segreti e nascosti, di intense emozioni, senza mai avvicinarsi alla consuetudine ed al concetto di “quotidiano”. Esiste una fitta corrispondenza tra lei ed il suo amante ritrovata nell’Archivio dei Marchesi Frescobaldi a Firenze, lettere uniche interamente autografe della pittrice in una prosa un po' sgrammaticata ma colta, che cita Petrarca, Ariosto, Ovidio, le Rime di Michelangelo e il Tasso.
“Core!
Io ho ricevuto da voi di quelle lettere che sono il mio refrigerio e mi fanno tornare da morte a vita. Voglio bene alla vostra anima quanto voglio il vostro corpo. So che il mio destino mi fa che a mio dispetto vi ami ma voi, quando sono distante, fate carezze ad una dama nuova...Vorrei pregarvi con tutto il core che con questo mio ritratto voi non vi dimenticaste di me!
I miei occhi vi fisseranno mentre voi starete peccando sui miei seni in ogni nota soave di questo liuto. Vorrei cantare l'idillio sentimentale e tutto far vibrar al solo mio pensiero”.
Questo il dipinto di cui parla Artemisia nella lettera:
Mai vivranno insieme e la loro relazione, proprio in virtù di questa impossibilità, durerà tutta la vita. La sua Luna in Scorpione, Venere in Leone nella IX ed anche un Sole/Marte segnalano una donna focosa, sessualmente intraprendente, spigliata ma anche insofferente ai legami, libera ed avventurosa. Venere è congiunta strettamente a Nettuno e largamente, ma sempre entro i 10 gradi, a Saturno ed in trigono ad Urano. E' una Venere sollecitata, per la sua presenza in IX e per la congiunzione a Nettuno, ad avventurarsi fiduciosa nei regni di Amore, fantasticando il rapporto affettivo perfetto e sognando l'amore ideale senza separazioni ma, per la presenza di Saturno, le aspettative di assoluta perfezione si ridimensionano fortemente, riportando il soggetto a certa rassegnazione ed alla convinzione che ci si deve accontentare. Immagino che per Artemisia sia stato un ampio altalenare di queste spinte a tratti su l'uno e poi sull'altro fronte. La precarietà ed il gusto per l'imprevisto, l'erotizzazione del piacere di sentirsi libera, suggeriti dall'aspetto con Urano, formano un blending che lascia uno spazio pressoché nullo a relazioni sicure, prevedibili e che si mantengono nel tempo. Il marito se ne andrà improvvisamente da casa, sicché Artemisia non lo rivedrà più e non ne saprà mai nulla. Non si risposerà ed avrà parecchie liaison (rendiamoci conto che è una donna del 1600!!)
Infatti, la reputazione di “donna dai facili costumi” perseguiterà Artemisia fino alla tomba. Cito al proposito, alcuni versi a guisa di epitaffio pubblicati nel 1653, poco dopo la sua morte, da un amico veneziano, il letterato Gian Francesco Loredano, che le assicureranno una gloria postuma di grande seduttrice e donna lasciva. Ma indubbiamente lei era anche mossa dalla ricerca di una simbiosi ed una fusione di coppia (sole cancro, Venere/Nettuno).
La quartina in questione, epitaffio XXXIX, figura a pagina 60 della II edizione del “Cimiterio – Epitaffi giocosi”:
“Co'l dipinger la faccia a questo, e a quello
Nel mundo m'acquistai merto infinito
Nell'intagliar le corna al mio marito
Lasciai penello e presi lo scalpello.”
Orazio non considerò che con la richiesta del processo, che metterà scandalosamente la giovane figlia sulla bocca di tutti, le impose un’ulteriore violenza al pari di quella subita un anno prima. Artemisia infatti, già guardata stranamente perché faceva “essercitio di pittura”, così inconsueto ad una donna, si ritrovò al centro di una vicenda la cui eco percorse l'intera penisola. Da allora fu sempre accusata di avere troppi amanti e di condurre una vita disonesta, come del resto riportano ancora alcuni biografi del secolo successivo. Infatti vari documenti e testi storiografici dell'epoca attribuiscono ad Artemisia amanti, tra i quali il Duca di Alcalà, ambasciatore di Spagna, l'agente inglese Nicholas Lanier, il pittore francese Simon Vouet e l'ambasciatore di Venezia Pietro Contarini, per citarne alcuni.
Esploriamo ora altri aspetti caratteriali di Artemisia che si aggancino al tema natale. Cito dunque a tal proposito: “Artemisia Gentileschi – LETTERE – precedute da Atti di un processo per stupro”, a cura di Eva Menzio, Ed. AbsCondita”: “Ad Artemisia piace il lusso ed ama ricoprirsi di broccati, ermellini e perle, è una grande impresaria, una donna che sa valorizzarsi al massimo e vuole rappresentarsi come donna ricca – che non è in realtà – proprio perché spende e dilapida tantissimo e fa' vita da gran dama. Ha sempre problemi di soldi e chiede prestiti in continuazione. Conduce una vita al di sopra delle sue possibilità (…). Assediata dai debiti e con i creditori alla porta, Artemisia scappa da Firenze e torna a Roma, dove vive in via del Corso con la famiglia ed alcuni servitori. I problemi però continuano. Due anni dopo il marito se ne va e di lui Artemisia non avrà mai più notizie. Vive dunque da sola in via del Corso con la figlia Prudenzia ed una domestica che però non paga, sicché quest'ultima stanca di non essere saldata, decide quindi di citarla in giudizio per avere i soldi che le spettano. Ancora debiti, ancora traslochi. Sempre in cerca di commesse, Artemisia va a Genova, poi a Venezia e poi ritorna a Roma ed infine si stabilisce a Napoli ma ha sempre bisogno di soldi...”
Le conferme per quanto riguarda le caratteristiche legate allo sperpero di denaro e di risorse economiche, il fatto di voler vivere al di sopra delle proprie possibilità, che va a braccetto con il voler apparire “più di quello che si è” economicamente e socialmente, trovano una possibile motivazione rintracciabile nella concomitanza degli aspetti astrologici che evidenzierei di seguito:
Massiccia presenza di fuoco, che rende desiderosi di apparire ed essere visibili, di essere notati per la propria unicità;
Stellium in IX che intercetta il Leone e che, con la casa V cuspide in Ariete, crea numerosi trigoni di Fuoco che imprimono un'energia dilatante all'IO e che danno grande fiducia nelle proprie possibilità, indipendentemente dalle reali risorse di cui si dispone. Non dimentichiamo comunque che il segno del cancro, in cui Artemisia ha il Sole, è un segno fortemente ego-patico, dunque ancora incentrato sull'IO;
Sollecitazioni di Marte in trigono ai luminari che imprimono energia ed impulsività, a discapito della ponderatezza e della corretta valutazione logica delle situazioni e delle proprie risorse;
Venere in IX casa in Leone, insaziabile amante del lusso, dell'oro, dei gioielli, concentrata sulla valorizzazione personale da un punto di vista estetico, quindi anche sull'abbigliamento, l'apparire, il distinguersi per aspetto vistoso e personale che dona unicità;
Un “sostegno” al negativo di un Mercurio che è sì in gemelli ma isolato e dunque vaglia e discrimina ad intermittenza.
Analizziamo per un attimo questo Giove in capricorno che occupa una II casa cuspide sagittario. Si trova nel primo dei suoi tre domicili zodiacali ma nel segno del capricorno. Certamente Giove in questo segno è spaesato e le simbologie del pianeta con quelle del segno equivalgono a dover necessariamente mettere in relazione, onde creare una dialettica costruttiva, Giove e Saturno, ossia il principio di espansione con il principio di restringimento, grandeur e ricchezza con morigeratezza e misura, fantasia con logica, simbolismo con razionalità, fantastico con reale. E' opposto al Sole e quadrato al grado preciso a Plutone (17°), sestile alla Luna ed a Marte. Il padre viene percepito come un uomo di grandi risorse in cui lui per primo non crede, di grande talento e capacità in cui non ha fiducia.
Anche se qui l'aspetto Giove/Plutone è disarmonico, è comunque un chiaro indicatore della presenza di un elevato potenziale creativo. Non sarà stato semplice contattare da subito queste energie dense e grezze ed immagino che Artemisia anche qui abbia dovuto lavorare parecchio e per lungo tempo sulla necessità di raffinare, da questi moti inconsci e destabilizzanti e dai contatti sporadici con la propria parte inconscia, la vera intenzione del sé, quell'energia positiva che lei poi ha incanalato nella sua pittura, aiutata anche dall'aspetto di sestile tra lo stesso Giove e Marte, in cui l'azione marziana e l'ambizione gioviana lavorano in sinergia, a stretto contatto verso una meta comune, che è sempre il raggiungimento di un'auto-realizzazione solare.
Ritengo comunque che questa lesione da parte del Sole proprio su uno degli assi di Giove, ossia l'asse II/VIII che è l'asse delle sicurezze, sia materiali (II casa), sia emotive (VIII casa) in un segno che a mio parere lo lede ulteriormente, lo rendano avido per quanto riguarda il possesso materiale (è in casa II) e che per questo motivo si attiva in modo compensatorio, a risarcimento di gratificazioni e sicurezze che non ha mai avuto (fase natale di casa II: dai 60gg ai 6 mesi circa).
Artemisia ha un Nodo gemelli. I Gemelli sono portatori di una scissione interna e la loro chiamata è quella di contattare parti di sé che non sono entrate nella coscienza e che, per questo motivo, sono estranee all'IO.
Il Signore dei Gemelli, Mercurio, alla stregua di uno psicopompo che accompagnava le anime dei defunti nel regno dell'oltretomba, deve mettere in comunicazione il conscio con l'inconscio, infatti nel mito di Ermes era l'unico Dio che poteva accedere all'Olimpo, così come agli Inferi. In altre parole, poiché il segno dei gemelli è collegato con il mondo dell'inconscio, deve perciò conquistare la sua parte “luce”, acquisendo la capacità di mettere in relazione, di far comunicare dentro di sé, creando un ponte, la parte razionale con la parte emotiva.
Attraverso l'intelligente simbologia astrologica, il tema di Artemisia evidenzia ulteriormente questa necessità per lei, per il raggiungimento del suo progetto, di mettere in relazione in maniera sinergica la propria parte razionale, il Logos, l'energia maschile con la propria parte emotiva, l'Anima, l'energia femminile, onde non essere agita né dall'uno né dall'altro archetipo, ma agirli consciamente e con consapevolezza nel legame solido di una coppia interiore che estragga dai punti di forza e dalle caratteristiche luminose di entrambi, una struttura psico-emotiva solida che la conduca ad abbracciare il suo progetto.
E la creazione della coppia interiore, che altro è se non una tematica di relazione? Su base egoica certo, ma sempre di casa VII! In fondo la casa XII, l'ultima casa zodiacale, ci informa sulla necessità di effettuare un percorso - prima dell'IO nel viaggio in se stesso e poi dell'eroe nel mondo su piani evolutivi superiori – verso l'UNITA', che poggia le basi sull'integrazione personale di tutte le proprie parti e che successivamente diventa integrità.
Infatti il Nodo in Gemelli è nella VII casa, che ospita anche Chirone, sempre in Gemelli. Indica l'ambito della vita che porta la vera ferita di Artemisia, la sua sofferenza e la sua difficoltà, verso cui quindi dovrà tendere ai fini della risoluzione del conflitto interiore e sta nuovamente a rimarcare la necessità di formare la sua coppia maschile/femminile dentro di sé, alla stregua di un uomo ed una donna che devono imparare a relazionarsi per strutturare un “NOI” forte, deve imparare ad entrare in relazione, prima dentro, poi fuori.
Artemisia ha come compito karmico di scambiare e comunicare con il TU, prima interiore, con “l'Altro” da sé” interiore che, per buona parte della sua vita, si è materializzato nella realtà esterna a voler portare alla sua parte cosciente un conflitto inconscio, nel suo profondo, della sua coppia archetipica interiore, tra il suo maschile ed il suo femminile che certamente ha sublimato nell'arte della sua pittura.
Non a caso, attraverso i suoi quadri, abbiamo proprio potuto toccare con mano un percorso evolutivo che l'ha condotta ad una integrazione del suo maschile con il suo femminile.
Il maschile ha smussato i tratti irruenti e violenti, la carica istintuale ed impulsiva marziano/arietina di Giuditta che taglia la testa ad Oloferne”, dove l'artista chiede la presenza femminile (il proprio femminile, alias la Serdar, alias Tuzia) che aiuti a dominare gli istinti destabilizzanti di un fuoco intuitivo, maschile e arrabbiato, potente, che la sua coscienza non poteva accettare e che quindi andava “vinto” (vincere è la sublimazione di un'uccisione): Oloferne, il suo maschile interiore, alias il padre Orazio, alias Agostino Tassi.
Artemisia ha in seguito mostrato al mondo una femminilità vincente, non solo attraverso i suoi quadri, ma attraverso i fatti reali di una vita condotta all'insegna della scelta libera e consapevole, dimostrando un'autonomia, una forza ed una determinazione che a quei tempi nessuna donna avrebbe nemmeno concepito. Questa femminilità lei l'ha creata per sé, come un abito su misura, distillata da un maschile introiettato con il Sole/padre che ha una quadratura al grado a Plutone contestualmente ad una opposizione quasi al grado di Giove sull'asse II/VIII. Giove e Plutone, entrambi in aspetto dinamico al Sole, ci danno indicazioni di un maschile che possiede grandi doti di intuito ed immaginazione in cui però non crede per sfiducia nelle proprie capacità (Giove) e della presenza contestuale di un potenziale creativo enorme (Plutone) che però, essendo bloccato (per l'aspetto di quadratura), non viene espresso e dunque, rimanendo inutilizzato, diventa auto-distruttivo (ossia entra nell'ombra perché non viene riconosciuto ed onorato) e dà origine ad una rabbia appunto lesiva. Un padre depresso dunque? Sfiduciato? Un padre arrabbiato, dai modi bruschi? La conferma potrebbe venire anche da un Marte in IV casa, che effettivamente richiama, in mezzo alle molte simbologie, un padre irruento, sino ad arrivare all'aggressività ed alla violenza.
Il Sole in ottava casa ci parla di una persona che conosce bene la perdita, in Artemisia vissuta attraverso il tradimento e che per questo ha difficoltà a fidarsi e lasciarsi andare all’intimità profonda. C’è una paura di dipendere dagli altri, perché in passato, tutte le volte che si è provato ad appoggiarsi a qualcosa, non si è trovato niente o quello che c’era è stato portato via. Pertanto è difficile fidarsi ed entrare in intimità reale con le persone (ma anche con gli oggetti, che acquisiscono un significato transizionale).
Il lavoro che ha dovuto fare Artemisia è stato dunque quello che riguarda il ricontattare il valore personale (Venere/Saturno, Venere/Nettuno), la fiducia in sé, nella vita e nelle proprie suggestioni (Sole/Giove in opposizione) e, attraverso questi due elementi basilari, imparare a vivere pienamente quello che c’è nel momento presente: relazioni, situazioni, schemi mentali, identità, lasciando che finiscano o si trasformino quando hanno esaurito la loro funzione (progetto del Sole in VIII casa).
Sono mancate le condizioni per un attaccamento sicuro (Luna/Saturno, Luna/Marte) che può aver lasciato un profondo anelito ad un rapporto fusionale e simbiotico (Venere congiunta a Nettuno) che può creare frustrazione, dovuta a due spinte contrastanti, quella legata a Venere/Saturno, anch'essa in aspetto di congiunzione, che non vuole assolutamente dipendere dall’altro e pertanto frena ogni tipo di slancio e si propone in maniera tendenzialmente fredda e distaccata (razionalizzando i sentimenti che finiscono col rispondere all’intelletto), e quella più fusionale che risponde a un bisogno di profonda intimità (che però viene di fatto, se non consapevolmente almeno inconsciamente, evitata) e di un rapporto simbiotico in cui ci si possa appoggiare a qualcuno (Sole cancro). E’ molto presente anche un bisogno di sicurezze (Opposizione Sole/Giove sull'asse II/VIII) che però Artemisia dovette cercare all’interno piuttosto che all’esterno.
Intervista a Michele Nicolaci, storico dell'arte, nella trasmissione su SkyArte HD del novembre 2016 “Artemisia Gentileschi, donna ed artista al maschile”:
“Artemisia è una grande artista, a volte la si definisce un'artista al maschile, per non definirla un caso anomalo, ma è una protagonista a tutti gli effetti di quella che è la scena europea della storia dell'arte.
Artemisia ovunque vada si mimetizza e per questo motivo verrà definita un'artista camaleontica, in quanto capace di prendere vari stimoli a seconda dei contesti culturali e artistici in cui si trova. Quindi a Roma, la Roma prima del padre, poi negli anni '20, la Firenze del secondo decennio del '600 ma soprattutto la Napoli, questa città piena di tutto, una città di incredibile fermento culturale ed artistico, in cui lei passa in realtà metà della sua vita”.
E ancora Francesca Cappelletti studiosa di storia dell'arte, esperta caravaggesca: “A Firenze dipinge quadri che firma con il nome dello zio, si firma infatti Artemisia Lomi, come se volesse proprio mettere una pietra sopra il processo, lo scaldalo e perfino sul nome Gentileschi (…) Artemisia è una donna prensile, camaleontica, una spugna che dà e che riceve un dono, una star isolata del suo tempo ma una pittrice che dà e che prende dai pittori con i quali si trova a lavorare”.
Entrambe le considerazioni riportate dai due storici dell'arte su Artemisia Gentileschi, riferiscono di una pittrice camaleontica e mimetica, prensile, che assorbe come una spugna i molti stimoli dei vari milieu artistici e culturali con i quali entrerà in contatto nella sua vita. Ritengo sia un'inclinazione psicologica data dalla compenetrazione di due tipi di acqua: quella scorpionica della sua Luna e quella cancerina del suo Sole, quindi ancora una volta un'ottima dialettica raggiunta da Artemisia ed ulteriormente espressa sul piano artistico e creativo dal suo maschile con il femminile.
Due anni dopo la sua partenza per Londra, avvenuta tra il 1640 ed il 1641, Artemisia la ritroviamo a Napoli, ossia in quella realtà in cui si sente a proprio agio e riprende il suo giro di committenze che, benché anziana, continua a ricevere numerose ed importanti, Entra nel giro “giusto” e incominciano ad arrivare richieste persino dall'imperatrice Maria d'Austria, mentre altre ne giungono da tutta Europa; insomma qui a Napoli le cose vanno bene e, per questo motivo, è costretta a chiamare anche pittori meno raffinati ed eleganti per aiutarla al completamento delle opere. A questo proposito in quegli ultimi anni, si rivolge al pittore Onofrio Palumbo, con il quale dipinge “Il trionfo di Galatea” e, soprattutto, uno degli ultimi quadri di Artemisia, la “Susanna e i vecchioni”, nella versione che troviamo alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dove come sempre, la donna è dipinta dalla pittrice ma i vecchioni sono dipinti da Onofrio Palumbo. Direi che questo ultimo passaggio nella sua vita di donna e pittrice è proprio l'ufficializzazione materiale e pratica della sua vittoria piena nella lotta tra il maschile ed il femminile che per tanti anni l'ha agita.
Esistono poche e frammentarie notizie sul rientro della “pittora” in Italia e sulla fase finale della sua vita a Napoli, dove morirà prima del 1653. Fu ivi seppellita presso la Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini, sotto una lapide che recitava due semplici parole: «Heic Artemisia».
Attualmente questa lapide, così come il sepolcro dell'artista, risulta perduta in seguito alla ricollocazione dell'edificio. Sinceramente pianta dalle due figlie superstiti e da pochi intimi amici, i detrattori non persero invece occasione per colpirla con volgari ed oltraggiosi scherni postumi.
Cito un sonetto, epitaffio XL, pagina 60 della II edizione del “Cimiterio – Epitaffi giocosi”, composto poco dopo la sua morte, avvenuta appunto tra il 1652 ed il 1653, da due contemporanei, Giovan Francesco Loredano e Pietro Michele i quali, facendosi portavoce del “sentiment” della collettività verso la “pittora”, non le perdonarono mai di essere stata ammirata protagonista in un mondo da sempre considerato solo maschile:
“Gentil'esca de cori a chi vedermi poteva,
sempre fui nel cieco mondo.
Hor, che tra questi marmi mi nascondo,
sono fatta Gentil'esca de' vermi.”
Ma è anche vero che, tra i numerosi detrattori, spiccano anche ammiratori del suo tempo che in Artemisia riconobbero la genialità, come Jerome David, famoso e stimato incisore francese dell’epoca (Francia 1605 – Roma 1670) che nel 1625 fece un ritratto di Artemisia, chiamato: “Prodigio della pittura, più facile da invidiare che da imitare".
Nel seicento, secolo di violenze e chiaroscuri caravaggeschi, una donna si impone in un mondo dominato dagli uomini. E' Artemisia Gentileschi, l'artista che nelle sue tele ha riportato la stessa passione e lo stesso sentimento con cui ha vissuto, orgogliosa e consapevole del suo talento, proprio come le sue eroine.
La scrittrice Anna Banfi, che nel 1947 ha dedicato ad Artemisia un ritratto romanzesco, la definiva cosi: “Una delle prime donne che sostennero, con le parole e con le opere, il diritto al lavoro congeniale ed una parità di spirito tra i due sessi”. E noi sappiamo che non potrebbe esistere affermazione più vera, in virtù del fatto che, attraverso lo strumento dell'astrologia psicologica che abbiamo applicato, abbiamo potuto constatare con mano che Artemisia dovette proprio affrontare questo percorso al suo interno e risulta dunque chiaro che effettivamente questa pittrice sia l'esponente più titolata per simboleggiare la parità tra i due sessi.
La fama di Artemisia è caratterizzata da un'alterna fortuna. Riconosciuta in vita come artista eccellente e gran dama, nonostante non ne avesse il rango, viene subito dimenticata. È un lungo oblio. Solo all'inizio del novecento, nel 1916, la sua pittura e quella del padre Orazio vengono riscoperte da un giovane Roberto Longhi, destinato a diventare il maestro della storia dell'arte italiana. Tra l'altro a lui si deve la rivalutazione di Caravaggio, modello di tanti pittori del primo seicento, tra cui proprio i Gentileschi.
Un nuovo recupero arriva anche da oltre oceano: nell'America degli anni '70 le femministe radicali, che – guarda caso - fanno di lei un simbolo della lotta per la parità e l'affermazione della donna, guardano alla sua biografia, alla ricerca di indipendenza, alla violenza subita, al coraggio delle scelte.
Artemisia è stata tante cose, la grande mostra allestita a Roma presso Palazzo Braschi, da gennaio a maggio di quest’anno e che ho avuto la fortuna di visitare, le restituisce il ruolo di protagonista del suo tempo. Grazie al suo “fare arte” e grazie alla sua capacità di imporsi come personalità, non in quanto donna ma in quanto artista, in quanto pittrice, riesce ad avere una posizione centrale nel milieu artistico del suo tempo. In fondo la sua importanza come pittrice, che non è importante quanto il padre Orazio, che resta pittore superiore, è soprattutto la sua capacità, malgrado fosse donna, al di là dell'episodio della violenza subita che è stato molto strumentalizzato da una parte della storiografia, ad imporsi in un ambiente dominato dal pittore maschio, o dal maschio pittore.
La sua imprenditorialità di donna e di artista sta proprio nell'essere uscita dagli stereotipi tradizionali del maschile e del femminile, per cui le donne sono appunto vittime, sono lamentose, sono idealizzanti. Nella sua pittura non c'è nulla di idealizzante: lei rappresenta il corpo femminile nella sua materialità. Con un anticipo che ha dell'incredibile sulle altre pittrici ed artiste che hanno davvero faticato ad affermarsi nel mondo dell'arte, Artemisia è una vera rarità perché quel mondo era precluso al genere femminile. Ha dimostrato volontà e forza d'animo encomiabili, per cui è riuscita a “tradire” con coraggio il modello di femminile del tempo, il quale contemplava per la donna esclusivamente una vita semplice di moglie e madre, dedita alla procreazione ed alla crescita dei figli, a preparare i pasti, a rammendare e fare ricami e pizzi oppure, alternativa altrettanto riservata ad una donna dell'epoca, di vivere rinchiusa in convento in solitudine e preghiera.
A distanza di circa 3 secoli e mezzo dalla sua morte, che è un arco temporale lunghissimo, dove la realtà femminile si è veramente modificata, si può affermare che Artemisia sia stata un'artista ed una donna nel senso per me più alto: pura, fedele a se stessa ed al suo desiderio, una vita vissuta della sua prorompente passione, impastando con ardore i colori per le sue tele, sublimando tra le tavolozze le sofferenze vissute sulla sua pelle, fatte di tradimenti subiti, distillando grande arte dalla rabbia e dal veleno del suo dolore. Una vita libera e indomita, di riscatto da quello che avrebbe dovuto essere un destino già pronto, in quanto segnato dal peggiore dei disonori per una donna del tempo. Artemisia invece, attraverso la sua stessa arte, si è nobilitata al cospetto del suo tempo fino ad oggi. I suoi personaggi pittorici sono senza tempo e sempre validi secondo me, perché nascono da una ferita dell'anima che lei ha saputo trasformare con una forza morale ed una grinta che l'hanno resa donna e pittrice straordinarie.
E’ indubbio che attorno ad Artemisia Gentileschi sia stata costruita nel tempo un’impalcatura abbastanza “letteraria”. Quel che nessuno può contestare è che ci troviamo di fronte ad una figura fuori dal comune. Riuscì a trasformare lo stupro che avrebbe potuto avere gravi ripercussioni, in una opportunità per attingere ad una propria forza interiore, al proprio coraggio e ad una tempra d'acciaio che hanno dell'incredibile.
Pur subendone gli influssi, fu in grado di non farsi soggiogare artisticamente dal Caravaggio, pittore di grandissimo peso nel campo della pittura, già allora di qualità eccelsa, e di realizzare uno stile assai personale perché espressione della propria vicenda biografica. Riuscì a tenere testa a suo padre, sia come uomo, sia come artista. Nonostante gli accadimenti traumatici e dolorosi non rimosse l'arte dalla sua vita, anzi, utilizzò proprio l'arte come vera ed unica opportunità per lenire le ferite della sua anima, noncurante e superiore alla mentalità che la circondava, una mentalità radicata ed avversa alle sue scelte ed al suo modo di vivere. Ha creduto in se stessa, nonostante i giudizi, ha scelto di creare la sua vita, proprio come un pittore crea la sua opera sulla tela, conformemente alle sue scelte, riconoscendo ed applicando le sue risorse, rispettando i suoi valori personali ed onorando il progetto di un Sole cancro nell'ottava casa: abbandonare rabbia, livore e risentimento, tutte passioni negative che senz'altro affondavano le radici in un'eredità famigliare, un DNA psichico che l'ha sfidata a lungo, per dare vita, al pari di figli, come vuole un Sole cancro, ai suoi quadri, decine e decine di capolavori a noi rimasti, ma si ritiene che altrettanti siano andati perduti.
Marina Maino
2016 ÷ 2017
Tesi II anno
Lettura ed interpretazione
astro-psicologica del tema natale di Artemisia Gentileschi – Pittrice
(α Roma, 08/07/1593 – Ω Napoli, 1652)
…La scrittura
è un contenitore imperfetto
e l'anima liquida
gocciola giù...
Artemisia Gentileschi:
Il riscatto di una donna
nell’arte e nella vita
…La scrittura
è un contenitore imperfetto
e l'anima liquida
gocciola giù...
Si dice che dietro ad un grande uomo ci sia una grande donna.
… E per quanto riguarda Artemisia Lomi Gentileschi,
eccellente pittrice rinascimentale e donna dalla tempra d'acciaio,
è possibile affermare che ci fu un grande uomo?
No, non fu così.
Ma certo fu che, per tutta la sua difficile esistenza,
molti personaggi si susseguirono in un continuum di sfide che,
sempre accettate e vinte,
condussero questa donna e pittrice
a varcare i confini del tempo e dello spazio.
Artemisia Lomi Gentileschi nasce l'8 luglio del 1593 a Roma, in Via di Ripetta, nella casa dei genitori, all'altezza dell'ospedale di San Giacomo degli Incurabili. E' figlia di Orazio Gentileschi e di una non meglio identificata Prudenzia Montone, della quale si sa poco e nulla. E' la primogenita di quattro figli, gli altri tre sono tutti maschi. Sua madre muore quando lei è ancora bambina, lasciandola con il padre vedovo ed i tre fratelli, che sono ancora molto piccoli. Suo padre, come detto, è Orazio Gentileschi, un pittore di grande talento, specializzato nella raffigurazione di figure umane e considerato uno dei migliori pittori della cerchia attorno a Caravaggio, di cui è un buon amico. E' nato a Pisa ma si è trasferito ancora molto giovane a Roma attratto, come molti altri, dalle possibilità di lavoro e dal fascino della città pontificia. A Roma ha preso casa in un quartiere che è caro agli artisti del suo tempo, fra Porta del Popolo e Trinità dei Monti ma gli affari non vanno come vorrebbe, non guadagna abbastanza e non riesce a “sfondare”. Non può permettersi un servitore e neppure una vera bottega, ragion per cui dipinge in casa.
La piccola Artemisia cresce dunque in quel quartiere e in quelle strade popolate da botteghe artigiane e da studi di pittori, passa lunghe ore nello studio del padre fra l'olio di trementina, i pestelli pieni di pigmenti da polverizzare per fabbricare il bianco di piombo, l'ocra giallo, il vermiglione. Attraverso la mediazione paterna, dai suoi quadri, dai dipinti e dalle incisioni di altri pittori che lui colleziona, la bambina impara ed apprende ma soprattutto scopre la propria vera vocazione e diventa, in breve tempo, prima aiutante del padre e poi dà vita, giovanissima, a precoci prove di pittura. Artemisia, che per la pittura ha talento da vendere, impara in fretta e diventa bravissima: studia i corpi maschili dei modelli in posa per suo padre e quando invece vuole studiare il corpo femminile lo fa guardandosi senza veli allo specchio. In questo modo, non soltanto le sue opere parlano di lei ma lei ci entra proprio nelle sue opere.
In verità Orazio ha tentato di insegnare il proprio mestiere anche ai tre figli maschi, ma solo Artemisia riesce in questa strada poiché i fratelli non dimostrano nessuna capacità e ancor meno predisposizione... e pensare che questa strada è assolutamente inconsueta per una donna del suo tempo! Tant'è vero che Orazio che, paradossalmente, è un tantino contrariato da questo fatto, ma allo stesso tempo ne è fiero, scrive alla Granduchessa di Lorena: “Mi ritrovo una figlia femmina e, avendola indirizzata nella professione di pittura, in tre anni si è talmente appraticata che posso ardir di dire che oggi non ci sia pari a lei e che forse i principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”.
Insomma, Orazio da un lato è molto orgoglioso di questa figlia femmina, dall'altro invece è sinceramente preoccupato perché una donna pittrice nella storia della pittura cinquecentesca ancora non si è vista.
Orazio è la tipica figura di padre/padrone e dispone di sua figlia non soltanto come aiutante ma anche come modella. Teniamo a mente che il viso della bella Artemisia lo troveremo infatti in un famoso lavoro di Orazio detto “Casino delle Muse” nel Palazzo del Giardino di Montecavallo, perché questo fatto ci aiuterà a comprendere meglio questa storia che scopriremo essere molto intricata...
Michele Nicolaci, storico dell'arte: “Roma all'inizio del '600 è un po' una di quelle capitali culturali come poteva essere la Parigi de la belle époque o l'Atene del V secolo A.C., ossia un luogo in cui bisogna esserci per fare la storia, per fare la storia dell'arte. Orazio esordisce in questo contesto, benché in realtà sia arrivato a Roma ben prima, ma il suo esordio artistico è piuttosto mimetico ed è uno dei tanti “frescanti”: è una sua formazione toscana ma fatica ancora a trovare una sua cifra stilistica. L'incontro con Caravaggio sarà per lui la chiave di volta.
Orazio sarà un naturalista ma di solida formazione toscana. A sua volta allievo di artisti, proviene da una famiglia di artisti molto quotata a Pisa e in Toscana e Caravaggio è la soluzione per trovare quel “non so che” che gli manca.
Orazio non è un caravaggesco né, tanto meno, un imitatore del Caravaggio, ma è un naturalista straordinario, raffinato, dotato di una grande tecnica e di una capacità di miscelare anche le diverse componenti stilistiche, sicché le sue opere datate tra il 1600 ed il 1605 sono proprio opere di questo passaggio dal tardo manierismo comunemente definito, a questo primo naturalismo di grande fascino e di grande qualità. Artemisia esordisce in questo tipo di contesto quindi è interessante ed opportuno rilevare che in casa vede le opere da cavalletto di Orazio dipinte fra il 1605 ed il 1610, ovvero negli anni in cui Artemisia sta macinando i colori, imparando i rudimenti del disegno, la prospettiva. Quindi è lecito pensare che in queste opere raffinatissime e su quelle tele di Orazio possa esserci, non già la mano di Artemisia chiaramente, ma senz'altro gli occhi, a formarsi lo stile ed il gusto”.
Siamo all'inizio del 1611, Agostino Tassi, l'altro pittore di questa storia, ha solo 30 anni ed un soprannome che la dice lunga su di lui, lo chiamano infatti “Lo smargiasso”. Da poco è approdato a Roma e si dice che a Genova, dove prima abitava, sia addirittura finito in galera. E' comunque pittore affermato e molto bravo con le illusioni ottiche, specializzato nelle architetture e nei paesaggi, maestro di quadraturismo, l'arte di dipingere finte prospettive e sfondati architettonici. Orazio ed Agostino frequentano il medesimo milieu artistico e per questo si incontrano quasi subito e decidono di lavorare insieme. Grazie ad Agostino ed al loro sodalizio, Orazio finalmente inizia a guadagnare parecchio, arrivano numerose commesse. Le vertiginose prospettive architettoniche che dipinge il Tassi, Orazio le popola con i suoi personaggi. Ora c'è parecchio lavoro su cui concentrarsi e per questo Orazio non è quasi mai a casa.
Artemisia invece a casa c'è sempre, costretta dal padre a non uscire, come esige la mentalità del tempo, spessissimo rimproverata di non dedicarsi alle attività domestiche. Per fortuna c'è Tuzia, la vicina di casa che, su ordine di Orazio, la sorveglia innanzitutto ma le fa anche da dama di compagnia. Difatti grazie a lei, ogni tanto Artemisia riesce ad uscire accompagnata per andare in chiesa a vedere le pale d'altare e le opere di Caravaggio e Guido Reni, dalle quali rimane affascinata.
Intanto, nei primi mesi del 1611, presso i giardini di Palazzo Borghese a Montecavallo nella campagna romana (oggi di fronte al Palazzo del Quirinale), sono al lavoro Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi al soffitto de “Il Casino delle Muse”, un affresco commissionato da Scipione Borghese, il nipote del Papa, Paolo V, e danno vita a numerose figure femminili musicanti che ancora oggi sembrano vive, mentre si sporgono dalle loro balaustre.
Quasi ogni sera, al termine di queste giornate lavorative, Orazio e il Tassi si trovano proprio presso la casa di Orazio ed Artemisia, sempre aperta alla folta compagnia degli amici pittori ed è proprio in quella casa che Agostino Tassi dà lezioni di prospettiva alla giovanissima Artemisia, ormai splendida diciottenne, nonché brillante discepola del padre e già donna avviata alla carriera di pittrice…
Orazio già in passato si è servito di Artemisia come modella e così, anche nell'affresco per Scipione Borghese, la ritrae con lo sguardo altero e la bocca senza sorriso. Mentre la dipinge, magari inconsapevolmente, è come se la offrisse agli occhi ed ai desideri del suo amico e collega Agostino, che ha messo gli occhi sulla sensuale Artemisia già durante le lezioni di prospettiva.
Quando ormai l'affresco è terminato da quasi un anno, ossia nel marzo del 1612, ecco che scoppia uno scandalo: tutta Roma, da via Margutta fino alla Lungara, viene a sapere che nel maggio del 1611, per l'esattezza nel giorno di Santa Croce, lo smargiasso ha violentato Artemisia, la fiera figlia del pittore Gentileschi!
Il 2 marzo 1612 è lo stesso Orazio, suo amico e compagno di pittura, a denunciare Agostino Tassi per lo stupro della figlia ed il 14 maggio 1612, esattamente dodici mesi dopo la violenza, il tribunale si riunisce...
… Roma, via della Croce 23, è il primo pomeriggio del 6 maggio 1611 e sta piovendo...
La storia, così come è giunta a noi, racconta che la giovane Artemisia, come di consueto, è chiusa in casa e si sta esercitando alla pittura. Alcuni operai hanno appena eseguito dei lavori di muratura presso la sua casa, ragion per cui hanno lasciato la porta aperta. Agostino Tassi entra e la trova intenta a dipingere nella stessa stanza con Tuzia… Prova invano a sedurla ma poiché Artemisia da tempo lo rifiuta, Agostino le strappa di mano la tavolozza ed i pennelli e chiede a Tuzia di andarsene. Questa volta Tuzia se ne va davvero ed aggiunge che dei loro affari non vuole saperne. A questo punto Agostino, liberatosi facilmente di Tuzia, spinge Artemisia in camera da letto e chiude a chiave la porta...
Il processo vede sfilare una lunghissima serie di testimoni ma nessuno di quelli chiamati a parlare, artigiani, lavandai, pittori, sembra abbia voglia di dire la verità. Per tutta la durata del dibattimento soltanto Artemisia ed Agostino continuano a ribadire gli stessi argomenti: lei sostiene di essere stata violentata e lui replica che non è affatto vero e che tutti sanno che lei è una donna di malaffare.
Il tribunale, per essere certo che la giovane pittrice dica la verità, si comporta in un modo terribile per la morale e gli usi di oggi: le impone delle pubbliche visite ginecologiche, la obbliga a dei confronti con testimoni abbietti e prezzolati e addirittura l'iter probatorio culmina con la “tortura dei sibilli”: le vengono legate le braccia ed apposte delle cordicelle che terminano in un lungo filo e girano intorno alle dita delle mani. Più il filo viene tirato con forza e più le cordicelle si stringono attorno alle dita, fermando la circolazione del sangue e provocando forti dolori.
In quei tempi il reato di stupro veniva considerato e punito secondo i criteri dell’integrità socio-morale più che della dignità della persona e la giovane poteva ricevere giustizia solo se, attraverso procedure che oggi potremmo definire quantomeno discutibili, fosse stata in grado di dimostrare l’avvenuta deflorazione, segno tangibile della perdita dell’onore.
Possiamo dire dunque che, più che processo, sembra – per restare in tema - un'opera del Caravaggio, piena di chiaroscuri, di sentore di menzogne e di litigi.
Le testimonianze di quel processo sono moltissime, ci sono le testimonianze del padre, quelle naturalmente dell'accusato e della stessa Artemisia che però, nonostante parli più e più volte ai giudici, non riesce a chiarire fino in fondo alcune questioni basilari:
1- Perché Orazio ha ritardato di un anno la denuncia del violentatore della figlia?
2- Perché nella loggetta che i due pittori hanno dipinto a Montecavallo, si vede il viso di Artemisia come se in quella loggetta non ci fossero stati due pittori ma addirittura tre e che parte ha avuto Artemisia “la violata”, Artemisia “la tradita” in questa vicenda oscura ed intricata?
A più di 400 anni da quell'episodio che ha, oserei dire “arroventato” la Roma di allora, la Roma del Pontefice Paolo V, il Papa al quale Orazio inviò una supplica personale per pregarlo di far celebrare subito il processo, “l'affare Gentileschi” è - per certi versi - rimasto assolutamente oscuro.
Ciò che è invece molto chiaro, è il segno che quello scandalo e quel processo terribile lasciarono nella vita e nella pittura di Artemisia Gentileschi: dalla situazione di pubblica vergogna, di ignominia cui il processo la costrinse, Artemisia attinse una grandissima forza morale ed artistica che gradualmente non la fece più sentire né un'apprendista di suo padre e neppure un'allieva del Tassi e trovò in se stessa, nel suo essere donna, la conferma del proprio talento e delle proprie capacità.
Leggendo gli atti del processo, che sono stati pubblicati una ventina di anni fa, sappiamo - parola per parola - qual è il racconto che Artemisia fece ai giudici:
Tratto da “Lettere, precedute da Atti di un processo per stupro”, a cura di E. Menzio, Abscondita ed. 2004:
“Quando fummo alla porta della camera lui mi spinse e serrò la camera a chiave e doppo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise uno ginocchio fra le coscie ch'io non potesse serrarle et alzandomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca, acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntatomi il membro alla natura, cominciò a spingere e lo mise dentro che io sentivo che mi incedeva forte e mi faceva grandissimo male che per lo impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare, pure cercavo di strillare meglio che potevo, chiamando Tutia. E gli sgraffignai il viso e gli strappai i capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una matta stretta al membro che gli levai anco uno pezzo de carne, con tutto ciò lui non stimò niente e continuò a fare il fatto suo che mi stette uno pezzo addosso tenendomi il membro dentro la natura e doppo ch'ebbe fatto il fatto suo mi si levò da dosso et io vedendomi libera andai alla volta del tiratoio della tavola e presi un cortello et andai verso Agostino dicendo “Ti voglio ammazzare con questo cortello che tu m'hai vittuperata...”
In camera sua il 6 maggio del 1611 Artemisia piange davanti ad Agostino che ha appena schivato la sua coltellata e le ha tolto l'arma di mano. Mentre si abbottona la giacca, Agostino promette che la sposerà. Nonostante la gravità dell'accaduto, ad Artemisia sembra l'unico modo per riprendersi il suo futuro e cosi accetta, ma passano i mesi e le nozze non arrivano mai. Agostino sembra cercare ogni occasione per evitare il momento in cui deve impegnarsi davvero. La vera ragione è che Agostino ha già una moglie che si chiama Maria e che lui ha sposato solo dopo averla disonorata proprio come ha fatto con Artemisia.
Sappiamo che Artemisia, come risulta dagli atti del processo, dopo qualche giorno confessò al padre l'accaduto, ma non pare verosimile che Orazio abbia aspettato un anno per chiedere giustizia di ciò che a più riprese egli definì: “un assassinamento fattomi” (a lui – si badi bene – non ad Artemisia!).
Gli storici sono portati a credere che Orazio fosse a conoscenza di quella che ormai era diventata una relazione tra Agostino Tassi e la figlia, che fosse consenziente e che sapesse della storia d'amore fra loro e forse, addirittura, della loro sessualità.
Ma al di là di tutto, cosa intervenne in Orazio a fargli cambiare idea radicalmente? In diversi momenti del processo si parla di un quadro, una “Iuditta di capace grandezza” che sarebbe stato rubato nello studio del Gentileschi dal Tassi e da un certo Cosimo, morto poco prima del processo e sicuramente gran mascalzone.
Probabilmente Orazio a tutto pensò, prima di sporgere denuncia contro il socio: al furto di quadri, all'antagonismo con Agostino, alle proprie gelosie professionali e ai personali desideri di vendetta, a squallide storie di prestiti di denaro, e probabilmente entrò pesantemente in gioco anche un'incestuosa e morbosa gelosia per una figlia giovane e procace, troppo brava e troppo bella.
Tutto ciò spinse dunque Orazio a quel volgare passo, sollevando l'attenzione su un accadimento che ormai apparteneva al passato, fuorché all'interesse di sua figlia, perché non si rese minimamente conto che le sue accuse misero con grande scandalo la giovane pittrice sulla bocca di tutti e le procurarono una violenza grave quasi quanto quella subita un anno prima da Agostino.
Dunque Artemisia, che è già guardata dalla collettività con sospetto perché fa esercizio di pittura, si trova pure al centro di una vicenda che le verrà ricordata e rinfacciata per tutta la vita: “Artemisia la scandalosa”, “Artemisia la pittrice di nudi femminili”, insomma Artemisia accusata per tutta la vita di avere troppi amanti, di condurre una vita disonesta, lontana da un marito che ha sposato per convenienza poco dopo lo scandalo.
Durante il processo Agostino Tassi, che ha molte conoscenze importanti, nega tutto sempre! Gli atti infatti illustrano non solo la condotta dell’accusato, che coerentemente con i suoi tratti di personalità, mistifica le circostanze dell’accaduto ma corrompe anche alcuni testimoni per screditare Artemisia. Ritiene che, se riesce a dimostrare di non essere stato il primo, allora non è colpevole. Probabilmente stima che non sia difficile screditare una giovane donna come Artemisia: bella, giovane, nubile, sensuale ed intelligente, capace e provocante, che vive con il padre vedovo che riceve in casa molti artisti tutti uomini. Una ragazza che, oltretutto, pare anche abbia fatto da modella nei dipinti di suo padre, atteggiamento questo ritenuto certamente sconveniente. v
Artemisia però non si arrende ed anche se tanti, importanti fattori sembrano essere contro di lei e la sua credibilità, in quella stanza di tribunale, di fronte all'intera corte, mentre le corde si stringono sempre più intorno alle sue dita, continua ad ammettere che tutto quello che ha detto corrisponde alla più sincera verità: “Io la verità l'ho detta et sempre lo dirò perché è vero e son qui per confermarlo dove bisogna (…) E' vero è vero è vero è vero tutto quello che ho detto (…) E' stata la verità che mi ha indotta ad essaminarmi contro di voi e nessun altro … “.
Soltanto un testimone, un amico di Agostino e dello stesso Orazio, depone a favore di Artemisia. Il suo nome è Giovan Battista Stiattesi. Orazio riesce a dimostrare che Agostino Tassi ha corrotto i testimoni, cosicché quest'ultimo viene infine riconosciuto colpevole e condannato. Il processo si conclude con la condanna all'esilio del Tassi che per cinque anni non potrà più mettere piede nella città di Roma ma solo rimanere nei pressi della corte pontificia, ben protetto dentro la cinta delle ambasciate. Non sconterà mai la pena né si allontanerà da Roma però sta di fatto che la sua folgorante carriera nel firmamento romano viene praticamente troncata di netto. Agostino in verità subisce anche una piccola condanna in carcere ma non per quello che ha fatto, semplicemente perché un suo aiutante ha detto una bugia.
Orazio, cosa assai curiosa, subito dopo la scarcerazione del Tassi, ritornò all'antica amicizia per colui che aveva così spesso definito un “vil traditore”, dimostrando, ancora una volta, di preferire i suoi interessi di lavoro e relativi guadagni alla reputazione della figlia.
Molti studiosi ritengono, benché si creda nel drammatico resoconto dello sverginamento e della violenza, che sia necessario in questo caso effettuare un distinguo tra seduzione seguita da violenza ed una brutale violenza usata da uno sconosciuto. Impossibile sapere come andò veramente la faccenda anche perché, come ho già detto, i diversi testimoni che sfilarono durante le udienze pare facessero a gara per non dire il vero, così che il processo in verità risultò un intrigo di menzogne ed accuse reciproche.
Comunque, finalmente le dita di Artemisia, rese gonfie e violacee dalla morsa delle cordicelle, vengono liberate... e da questo momento, Artemisia si libera di tutti coloro che dovevano aiutarla e proteggerla, e non lo hanno fatto, e da coloro che l'hanno tradita: parliamo del Tassi, di Tuzia e soprattutto di suo padre, Orazio.
Da questa introduzione, come figura di padre, Orazio emerge per il legame molto forte ma poco chiaro con questa figlia, torbido, fatto di gelosia e di senso del possesso ma non altrettanto di affetto e protezione... A lei, Orazio antepone i propri interessi e la propria carriera, tradendone le attese, quasi – e credo inconsciamente – a volerne screditare già il nome come pittrice, seppur in erba, per paura del suo talento e della sua bravura, poiché teme che possano offuscare la sua crescente fama e la carriera.
Lei tornerà subito al termine del processo ad usare le sue dita per dipingere perché Artemisia, come detto, è una pittrice anzi, “pittora” come in uso nel linguaggio dell'epoca, probabilmente la più grande pittrice che abbiamo mai avuta in Italia. Artemisia ha vinto ma, a causa della mentalità del tempo, complice anche la sua diversità che la renderanno oggetto di invidie, gelosie, pettegolezzi e maldicenze, il suo nome non verrà mai completamente riabilitato e malignità e dicerie gireranno intorno al suo personaggio fino ed oltre la sua morte.
La sentenza però restituisce ufficialmente ad Artemisia l'onore, ad Artemisia ed alla famiglia. Orazio recupera la sua fierezza ed Artemisia la sua dignità; eppure, fra padre e figlia, è scesa una cortina plumbea, c'è un silenzio che gli anni dovranno colmare ma che per il momento costituisce un incolmabile divario tra i due. Il 29 novembre 1612, giusto il giorno successivo allo sconfortante epilogo del processo, Artemisia Gentileschi convolò a nozze con Pierantonio Stiattesi, pittore di modesta levatura che «[…] ha la fama d’uno che vive di espedienti più che del suo lavoro d’artista». Le nozze furono completamente predisposte da Orazio, il quale volle organizzare un matrimonio riparatore, in pieno ossequio con la morale dell'epoca, in modo da restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente onorabilità. Dopo aver firmato una procura al fratello notaio Giambattista, cui delegò la gestione dei propri affari economici romani, Artemisia seguì immediatamente lo sposo a Firenze. Abbandonare Roma sarà per lei una scelta dolorosa, ma necessaria: si allontana da un passato tormentato e maligno, da un padre ingombrante, di cui ben presto rinnegherà il cognome, preferendogli quello dello zio, Aurelio Lomi.
La Città dei Papi era ormai impraticabile per lei, come donna, di cui si sottolineavano continuamente le caratteristiche di licenziosità sessuale. Saranno anni bui, un tunnel da cui uscirà lasciando la famiglia – marito e figli – per tornare a Roma e ricominciare, da donna sola, l’attività di pittrice. Una decisione che non sarebbe facile da prendere neppure oggi e che rivela un’eccezionale spirito d’indipendenza ed un grande, grandissimo coraggio e forza d'animo.
Tratto dalla trasmissione televisiva: “Artemisia Gentileschi – Una donna e la sua arte” SkyArte HD, marzo 2017: “Il ruolo della donna nel '600 è un ruolo di assoluta insignificanza e, socialmente parlando, di subalternità: alle donne era proibito accedere al proprio patrimonio, alle professioni, non godevano di capacità giuridica ed infine erano sottomesse a quella che viene definita l'autorità maritale o parentale, ossia del padre o dei fratelli. Non sono molte le alternative di vita: o il matrimonio o la monacazione. Lo stupro all'epoca non era considerato un vero e proprio reato come oggi lo conosciamo ma era, sostanzialmente, un oltraggio alla morale. Ad onore del vero, a quell'epoca subire uno stupro era un fatto abbastanza normale, cui la vittima e la sua famiglia, rispondevano con il segreto e la vergogna. Per Artemisia il tribunale dovette essere un'esperienza terribile: ma anche i metodi utilizzati per l’accertamento della verità nei confronti della vittima. E vittima fu Artemisia, in ogni caso, perché mai si credette alla sua versione dei fatti, le si imposero visite ginecologiche alla presenza dei giudici, la si torturò, la si obbligò a confronti con personaggi abbietti pagati per mentire.”
Artemisia nasce a Roma l'8 luglio del 1593.
L'orario di nascita non è noto.
Mi baso inizialmente su questa semplice lettura astrologica che non ha orario.
Mi prefiggo allora di affrontare una sorta di “percorso al contrario” rispetto alla consueta applicazione astrologica, utilizzando il metodo induttivo, che muove dunque dallo studio delle esperienze sensibili di Artemisia per giungere ad una definizione generale ed universale di tipo astrologico, vale a dire ad un tema natale completo di ascendente e domificazione, consapevole però che non potrà mai essere dimostrato ma che auspico il più fedele possibile.
Dichiaro che la mia lettura del tema natale di Artemisia Gentileschi è in chiave astrologica tanto quanto lo è in chiave psicologica, in virtù del fatto che, a pari merito con l'astrologia, la psicologia e la psicoanalisi sono le mie grandissime passioni, grazie anche alla mia formazione ed esperienza acquisite in veste di “analizzanda”.
La vera “cura” è un incantesimo che si realizza quando la dedizione dell’artista all’immaginale, innesca una “risposta estetica’” necessaria al risveglio della realtà psichica.
Roland Barthes “Artemisia Gentileschi”
Ad una prima occhiata il tema presenta un nucleo di forte energia centrifuga, maschile e radiante, simbolicamente espressa dall'abbondante elemento FUOCO, al quale l'astrologia riferisce quel sentire intuitivo ed interiore che la ragione ha poche chance di contenere. Vi si trovano quattro pianeti, di cui tre sono trans-personali: Venere, Urano, Nettuno, Plutone.
A questo fuoco fa da contraltare la presenza di altrettanti pianeti nell'elemento ACQUA, ossia Sole, Luna, Marte e Saturno. Possiamo affermare tranquillamente che la dominante è Acqua, per la presenza, in essa, di maggioranza di pianeti personali, mentre la co-dominante è Fuoco.
Nell'aria abbiamo Mercurio e Chirone in Gemelli. In questo segno abbiamo anche il Nodo Nord. L'elemento terra è certamente quello in assoluta minoranza, unico esponente Giove in capricorno che oppone il Sole. Nello svolgersi del racconto biografico di Artemisia avremo modo di valutare come si è espressa nella sua vita questa carenza elementale.
Un Sole in cancro – nel suo archetipo di maschile ed Io cosciente – suggerisce che si deve necessariamente passare attraverso il lato ombra dell'”aggrappamento” per risolvere il problema di un bisogno di mantenere un contatto emotivo profondo con la/le figure di riferimento considerate vitali. Il cancro ha la capacità di entrare in contatto con i bisogni altrui e di riuscire a soddisfarli, creando un legame indissolubile basato sui bisogni dell'altro, nel quale egli si garantisce la sua dipendenza, che in fondo diventa il suo personale nutrimento. In aspetto di trigono con Marte, questo Sole cancerino che vuole “legare a sé” emotivamente, penso abbia dato non pochi problemi ad Artemisia, in lotta tra il voler vincere e farsi valere, raggiungere visibilità ed affermazione personale, individuazione e realizzazione, contestualmente ad un bisogno di simbiosi, di legame e di fusione emotiva con l'altro. Certamente rimane la necessità di esprimere la propria volontà attiva che deve dunque necessariamente essere incanalata e “scaricata” in un ambito creativo personale ma ritengo sia stato difficoltoso mettere insieme queste due parti totalmente diverse.
La Luna in Scorpione, per quanto riguarda il femminile ed i bisogni emotivi, indica una notevole complessità, data dalle dinamiche inconsce che possono fare incursione nella parte cosciente e che danno origine ad inquietudine e un senso di minaccia alla propria sopravvivenza psichica. Con gli aspetti a Marte in trigono abbiamo un femminile virilizzato con difficoltà a mantenere una stabilità emotiva. il lato morbido lunare qui non trova facile accesso per esprimersi anche a causa dell'aspetto Luna – Saturno per il quale si predispone maggiormente a negare il bisogno di calore e accoglienza tipici del materno mentre la quadratura Luna – Nettuno suggerisce l'incapacità a vivere l'intimità, perché non la si è mai realmente sperimentata e proprio per questo agognata e desiderata intensamente in termini di fusione e tenerezza.
Luna – Giove in aspetto armonico di sestile dà comunque indicazione di una fiducia nel proprio essere donna e nelle possibilità ed opportunità che l'essere donna può offrire. Anche sul lato Luna abbiamo dunque un fronte di grande energia da cui nasce la necessità di trovare un canale di espressione per la propria affermazione.
Abbiamo già evidenziato la forte presenza numerica di energia acqua, passiva e femminile e dell'altrettanta energia fuoco, attiva e maschile che trova ulteriore conferma nell'aspetto di trigono tra Sole e Luna. Queste energie yin e yang che si fronteggiano sembrano dominare il tema ed esserne il leit motiv.
Quando Sole/Luna entrano in contatto, non è semplice per la coscienza riconoscerli ed integrarli perché mettono in relazione due archetipi, rispettivamente il maschile e femminile, che sono certamente complementari e che fanno parte della nostra individualità, ma prima devono differenziarsi e svilupparsi in modo distinto affinché possano esprimersi al meglio, senza “toccarsi” ossia senza “inquinarsi”. L'aspetto che lega i due archetipi nel tema è di trigono che è, in linea di massima, un aspetto meno complesso da vivere perché indica tendenzialmente una maggior fluidità e possibilità di armonizzazione. Diciamo che assicura un buono scorrere di energie che però non è a garanzia di un corretto utilizzo di esse in termini di coscienza e consapevolezza.
Si può aggiungere in prima istanza che tra i genitori si è vista una certa armonia che dona pertanto, in termini di espressione interiore, l'introiezione di una buona flessibilità nel vivere i due archetipi ed i loro strumenti: parte attiva/ricettiva, parte maschile/femminile. Sicuramente, quanto meno nella prima parte della vita di Artemisia, uno dei due archetipi avrà preso il sopravvento sull'altro e potrei azzardare, pur non conoscendo la posizione nelle case, che in quanto donna ed in quanto Luna Scorpione rispetto ad un Sole Cancro, può avere vissuto la sua Luna e proiettato all'esterno il Sole. Sappiamo che, nel tema di una donna, la Luna rappresenta il rapporto con l'identità più profonda ed è quindi dominante.
Spesso aspetti Sole/Luna sono accompagnati da aspetti tra Marte/Venere, che riconferma un problema tra maschile e femminile. Nel tema fanno un aspetto minore di sesquiquadrato (135°) ma risulta chiaro che Artemisia dovette necessariamente accettare la sfida, certamente non da poco, di integrare armonicamente i due archetipi, in aspetto di trigono, entrambi sollecitati da Marte e numericamente rappresentati in egual misura (4 pianeti in Fuoco + 4 pianeti in Acqua). Sappiamo che, in ambito astrologico, energie di uguale intensità non portano ad un equilibrio psichico, anzi. Le energie si esprimono al meglio su un piano di prevalenza mentre si bloccano su un piano di equivalenza, come in un insidioso gioco alla fune che non ha mai un esito ed uno sviluppo in quanto le due parti contendenti applicano la medesima forza e si mantengono statiche. In termini psicologici dunque possiamo affermare che la staticità risulta bloccante e dunque non permette il movimento psichico, dunque in ultima analisi non permette crescita né evoluzione personale.
Come affermò Albert Einstein: “Nulla si crea e nulla si distrugge”. Questo sottende al fatto che le energie archetipiche - che la saggezza millenaria della nostra umanità ha sempre rappresentato con un Dio – per quanto le coscienze possano respingerle e disconoscerle, relegandole ai piani dell'inconscio, a causa della morale bigotta, degli interessi della massa, della paura, ecc. … ebbene queste energie, proprio come il Dio che nella mitologia le rappresenta, vogliono, pretendono di essere onorate e riconosciute, ossia di ritornare alla luce della coscienza.
La storia delle donne, fino a quasi tutto l'Ottocento, sembra svolgersi nei secoli in forma silenziosa perché per quasi tutte è una storia di sottomissione e di occupazioni domestiche, inclusa la procreazione. E' comprensibile allora che le energie di segno maschile, di cui anche le donne erano (e sono) legittime portatrici, proprio perché le coscienze del tempo non erano in grado di accoglierle, si presentassero sempre più potenti ed intense ad ogni successiva generazione. Le donne stesse erano colluse in questo circolo involutivo.
Gli archetipi devono “reincarnarsi” attraverso un corpo, devono esprimersi, più vengono ricacciati nelle ombre dell'inconscio da una coscienza che non può permettersi di riconoscerle, più essi grideranno vendetta e pretenderanno di diritto il proprio ambito di espressione nel mondo terreno.
Le nostre generazioni non devono utilizzare i propri parametri per valutare accadimenti di oltre 400 anni fa, ma la lettura della psicologia dell'inconscio ritengo sia universalmente valida, al di là dello spazio e del tempo. E la vicenda personale di Artemisia, che sul piano astrologico disponeva di molta energia maschile, e comunque in assoluto molto più di quanto la mentalità del tempo fosse preparata ad accogliere, suggerisce che inizialmente non l'abbia riconosciuta ed agita come propria, destinandola inconsciamente ad alimentare il meccanismo della proiezione. Questo l'avrebbe “destinata” ad incontrare l'archetipo maschile nel “fuori da sé”, nell'”Altro”, le cui caratteristiche psicologiche si agganciavano al suo Sole. Un Sole femminile per eccellenza, ma anche in aspetto a Marte, Giove (in opposizione), Plutone. Se non riconosciamo e non accettiamo coscientemente le nostre energie personali, esse si ripresentano a noi attraverso il meccanismo della proiezione, nel loro lato “ombra”. C.G. Jung a questo proposito si espresse affermando che: “Tutto ciò che non viene riconosciuto dalla coscienza, ci tornerà indietro come destino”.
Certo è che Artemisia, con una Luna Scorpione ed un Sole Cancro, in relazione con Marte in un potente triangolo energetico di acqua, è stata una donna abitata da energie sottili e sensibili, da percezioni ed incursioni dall'inconscio.
E' comunque chiaro che anche in termini di suddivisione degli elementi, si ripropone il problema già fortemente evidenziato nel trigono Sole/Luna e secondariamente nell'aspetto minore Marte/Venere. In essi c'è la conferma di un conflitto maschile/femminile, parte attiva/parte ricettiva, Animus/Anima, testa/cuore che, quantomeno inizialmente, si saranno dati battaglia. Quattro archetipi nell'elemento acqua, ambito femminile e passivo e quattro elementi nell'elemento fuoco, ambito maschile e attivo, fanno pensare alla personale difficoltà di Artemisia di trovare un punto di contatto sinergico e creativo tra l'inquietudine interna, energia sottile di tipo emotivo, percettivo, interiore e centripeta (ACQUA) e l'impulsività, la passionalità, lo slancio entusiastico ed istintivo che ha come canale d'espressione la manifestazione esteriore e centrifuga, il portar necessariamente fuori (FUOCO). Qui la sfida è cercare di integrare costruttivamente l'acqua, femminile ed introversa, con il fuoco, maschile ed estroverso, per dare vita ad una nuova forma espressiva del proprio IO, che moduli i picchi energetici ed istintivi fuoco (maschile) pescando anche da un bacino interno emozionale fatto di sensibilità e sentimento (femminile). In altre parole Artemisia mostra energie maschili e femminili potenti che potrebbero averla resa inquieta, quasi “dilaniata” oserei dire, come in un tiro alla fune destabilizzante, tra l'aggressività e la passività, tra il farsi valere ed il far valere “l'Altro”, tra il vittimizzarsi e l'incolpare l'altro. Immagino una personalità contrastata tra l'utilizzo della testa (solare) ed il cuore (lunare) tra la parte Logos/Animus e la parte emotiva/Anima, tra la conquista volitiva che spinge ad osare e uscire dal guscio ed il desiderio di sentirti gratificata nei bisogni e nella sfera intima.
Nel tema di Artemisia, analizzando la distribuzione numerica dei pianeti nei segni, osserviamo la presenza di cinque pianeti nei segni cardinali e tre pianeti a pari merito nei segni fissi e mobili.
Ciò parrebbe una indicazione positiva perché Artemisia, a fronte delle energie di cui è dotata, sembra disporre di vie di sbocco, di valvole di sfogo per questo forte carica in quanto, al pari dell'energia di fuoco, l'energia radiante dei segni cardinali effettua un percorso espressivo che si manifesta dal centro verso l'esterno ed è dunque collegata al principio d'azione, il dare “vita”, il “creare”, il “dare inizio”.
Quando, nel prosieguo della trattazione sullo svolgersi della vita di questa artista, avremo elementi sufficienti per azzardare la domificazione, andremo ad analizzare la divisione ternaria, che analizza i pianeti nelle case e potrà contribuire ad una eventuale conferma di quanto ipotizzato.
Tornando a bomba su Artemisia e sui suoi aspetti astrologici, sia per la presenza nel tema di un Marte legato ai luminari in un trigono d'acqua, sia per questa femminilità scorpionica intensa e profonda che mostra difficoltà a contenere stabilmente le emozioni e sia, infine, per la predominanza di elementi acqua/fuoco, possiamo affermare che abbiamo davanti una personalità impulsiva, eccitabile ed emotiva, spesso a discapito della propria stabilità interna, con fluttuazioni di umore di grande intensità, che potrebbero aver portato Artemisia a continua irrequietezza. La carenza di Aria, evidenziata dalla presenza di due soli pianeti in tale elemento, che porta anche la ferita chironiana, con il Mercurio quasi praticamente isolato, che forma un aspetto minore di semi-quadrato sia con Venere, sia con Nettuno, sono indici di una possibile incoerenza tra il pensiero logico e consequenziale e la sistematicità tra il pensiero e l'azione, come se il turbinio provocato dalle folgorazioni interne e dalle intuizioni (la parte Fuoco che C.G. Jung definisce irrazionale) insieme ad un procedere nella vita di tipo emotivo-percettivo le abbiano fatto spesso perdere l'oggettività nel giudizio e nella valutazione, una sorta di scollamento che porta a fare azioni che non si erano pensate in quei termini.
Anche il nodo nord è nel segno dei gemelli, congiunto a Chirone. Cosa significa? Credo che questa irrequietezza, senz'altro anche fisica, questa inquietudine dell'animo, questo naufragare e galleggiare continui in un mare di emozioni profonde e brucianti, di percezioni forti e di contaminazioni di provenienza esterna sui propri stati d'animo altalenanti, abbiano reso Artemisia una donna molto intensa ed intimamente sofferente, portatrice di ricca e profonda interiorità che, come sappiamo, ha messo sulla tela.
Ma la logica astrologica e la dialettica nel suo tema natale, attraverso la presenza del nodo e di Chirone in gemelli, suggeriscono che una sfida sia stata la conquista della capacità di discriminare, cercando di creare un distacco, una bolla ove potesse affiorare una modalità meno sanguigna ed emotiva di decodificare fatti e accadimenti e più disincantata, contattare una forma di pensiero logico-causale e razionale, finalizzato alla conoscenza il più possibile obiettiva della realtà circostante, portando dentro informazioni non distorte dal suo forte sentire intuitivo, dall'apprendere un metodo per modulare un reale scambio con gli altri fissando i propri confini mediante un'autentica sintonizzazione su se stessa e dall'acquisizione di un impianto intellettivo-logico-razionale, ossia di quelle qualità mercuriali che indichiamo come “esame di realtà”. La congiunzione Chirone/Mercurio in gemelli, segno comunicativo per eccellenza, potrebbe indicare della compulsione nella comunicazione, in linea con quanto già suggerisce il tema, perché probabilmente Artemisia aveva difficoltà a mettere in parole l'affastellarsi sovrabbondante e quasi infuocato del fluire dei suoi pensieri spinti alla superficie della coscienza da correnti energetiche intuitivo-emotive di provenienza dal profondo (Sole in cancro, Luna in scorpione), quindi tutt'altro che facili da trasmettere e da condividere con gli altri.
L'inconscio di Artemisia Gentileschi nelle sue opere
Ecco le opere che ho eletto per questa analisi:
Susanna e i Vecchioni (1620)
Giuditta che decapita Oloferne (1612/13 e 1620)
Giaele e Sisara (1620)
Autoritratto come allegoria della pittura (1639)
Autoritratto come martire (1615)
Dopo la dolorosa vicenda personale Artemisia, retta da una dignità esemplare per una donna dell’epoca, incomincia a rielaborare in maniera originale lo stupro subito che, come potevamo aspettarci, fu solo in parte attribuito al Tassi, dal momento che i più si chiedevano se non fosse stata consenziente ai ripetuti atti sessuali. Probabilmente Artemisia era realmente innamorata di Agostino, e questo spiegherebbe le allusioni alla sua capigliatura corvina, presente in alcuni celebri quadri, di epoca precedente al misfatto.
La pittrice rielaborò personalmente il suo rapporto col maschile, come si evince dai suoi più celebri quadri. Il primo di questi è: “Susanna e i Vecchioni” del 1610
Il tema di questo suo celebre quadro è tratto dai vangeli apocrifi.
C'è un altro mistero qui: la data che si legge sembra essere il 1610; a quell'epoca Artemisia ha soltanto 17 anni ed è dunque ancora nella stagione della piena innocenza perché la violenza, se ci sarà, avverrà nell'anno seguente.
Eppure in questo quadro la violenza c'è tutta...
Susanna, la protagonista, è completamente nuda con un corpo chiaro, isolato, vulnerabile, bellissimo e i due vecchi lascivi vorrebbero concupirla e possederla. Guardando il quadro attentamente, si vede che uno dei due uomini non è anziano ed ha dei bellissimi riccioli neri, gli stessi che ha anche Agostino Tassi. Parrebbe dunque che Artemisia abbia trasferito sulla tela, in una sorta di immagine biografica, le insidie che da tempo sta subendo da Agostino.
Comunque, tutto quanto detto indurrebbe a pensare che il quadro sia stato dipinto dopo il processo e non prima. Un'altra cosa è assolutamente inspiegabile e induce a pensare a un'altra data: per quanto Artemisia fosse pittrice provetta e di talento, come può a soli 17 anni firmare un'opera così complessa e di tale qualità? Qualcuno dice che, nel realizzare questo quadro, Artemisia sia stata aiutata da Orazio, ma se davvero è stato così, in quale misura ha collaborato all'opera? Alcuni storici ritengono invece errata la lettura della data, non sarebbe il 1610 ma piuttosto il 1616 e questo vorrebbe dire che il quadro è stato realizzato durante il soggiorno fiorentino dopo il processo.
Dopo questo elucubrare, rimane il fatto che la storia di Susanna assomiglia a quella di Artemisia. Interessante anche la scelta del soggetto, che sembra dirci molto della condizione della donna all’epoca della Gentileschi. Susanna era infatti un personaggio biblico e rappresentava una donna virtuosa che veniva insidiata da due anziani, che minacciavano di denunciarla per adulterio nel caso in cui non si fosse loro concessa. Questo nudo rimanda a molti altri nudi femminili che Artemisia ha realizzato durante la sua vita di pittrice. Anche lei, come suo padre, era molto brava nel disegnare le forme delle donne e a giudicare dal numero delle sue opere che impiegano il nudo femminile sembra davvero che quello fosse uno dei suoi cavalli di battaglia. Lei stessa in una lettera a uno dei suoi committenti ne parla accennando alla difficoltà di trovare e di pagare delle buone modelle, delle donne belle, delle donne che accettassero di spogliarsi, in mancanza delle quali abbiamo detto che Artemisia si rifaceva al proprio corpo, guardandosi allo specchio senza veli.
Nell’iconografia rinascimentale questo soggetto veniva spesso rappresentato in pose ammiccanti, in scene erotiche in cui la donna sembrava più sedurre che respingere. Questa infatti la morale maschilista del tempo. Ma qui la Gentileschi, al contrario, presenta una scena drammatica, in cui Susanna, sorpresa mentre fa il bagno, cerca di sfuggire alle pesanti avances dei due uomini. Un tema così pressante anche per le sue vicende biografiche, che venne ripreso più volte lungo il percorso artistico della sua carriera.
“… Ogni lavoro creativo si fonda sul presupposto di un coinvolgimento intenso, un’esperienza “sensoriale” che lega il soggetto all’oggetto che andrà a rappresentare”.
(Tratto dal web: “Psicologia ed Arte” di Maria Luisa Vallino “Artemisia Gentileschi: l’opera pittorica di una donna violata”)
Giuditta che decapita Oloferne (versione 1613 e versione 1620)
Giuditta che decapita Oloferne
Giuditta che decapita Oloferne
La modifica del modello caravaggesco
Il secondo quadro che ho scelto comprende due versioni il cui titolo è: “Giuditta che decapita Oloferne” (1612-1613 e1620), (Fig. 4) e Fig. 5), dove nella raffigurazione ritroviamo i tratti autobiografici. Poco tempo dopo il matrimonio, quando arriva a Firenze nel 1613, Artemisia si stacca dalla pittura del padre e si mette all’opera su questo soggetto. In pochi anni realizza i due capolavori.
Tema già caro alla pittura dell’epoca e soprattutto a Caravaggio, la cui influenza sull’arte della Gentileschi è ben evidente ma, rispetto alla versione del maestro, realizzata nel 1599 e conservata a Palazzo Barberini, quella di Artemisia è ancora più cruda e violenta, come la vicenda vissuta in prima persona.
Di esso, dicevo, Artemisia realizza due versioni molto simili. La prima fu completata nel 1613 ed è oggi conservata al Museo Nazionale di Capodimonte, la seconda, un po’ più grande, è datata 1620 e si trova agli Uffizi.
Nella composizione, la pittrice guarda alla versione di Caravaggio ma, attraverso questa composizione pittorica, Artemisia risponde così ai giudici e risponde così agli uomini, riscrivendo a suo modo uno scandalo che era stato scatenato da suo padre e che lei ha dovuto subire.
Questa tela rappresenta una tappa fondamentale di Artemisia, c'è una novità iconografica: per la prima volta due donne si scagliano contro un uomo!
L'analisi del quadro, in chiave psicologica, ha portato alcuni critici contemporanei a vedervi il desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita.
Ma una lettura veramente suggestiva è quella di Roberto Longhi nel 1916:
“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d'un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato [...] Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” ed aggiungeva “[...] che qui non v'è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l'impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riuscita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Stiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l'elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l'unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del Seicento europeo, dopo Van Dyck”
Le considerazioni di Roland Barthes aggiungono elementi che ne chiariscono ulteriormente la originalità iconografica, anche a paragone della Giuditta di Caravaggio.
“Il vero colpo di genio di Artemisia, forse, consiste nell’aver attinto ad una forza interiore fino a quel momento rimasta inespressa, a causa della supina accettazione di regole e condizionamenti provenienti dall’ambito paterno, che avevano limitato gli orizzonti della sua espressività. Dalla vicenda dello stupro in poi emerse a viva forza l’esigenza di un’autonomia artistica quanto personale. La stessa autonomia che la indusse a distanziarsi affettivamente dal marito che non amava, per dedicarsi alla coltivazione di se stessa e della sua arte sublime.
Il secondo colpo di genio – prosegue Barthes - è quello di aver messo nel quadro due donne, e non solo una, mentre nella versione biblica, la serva aspetta fuori; due donne associate nello stesso lavoro, le braccia frapposte, che riuniscono i loro sforzi muscolari sullo stesso oggetto: vincere una massa enorme, il cui peso supera le forze di una sola donna. Non sembrano due lavoranti sul punto di sgozzare un porco? Tutto ciò assomiglia a un'operazione di chirurgia veterinaria. Nel frattempo, la differenza sociale delle due compagne è messa in risalto con acume: la padrona tiene a distanza la carne, ha un'aria disgustata anche se risoluta; la sua occupazione consueta non è quella di uccidere il bestiame; la serva, al contrario, mantiene un viso tranquillo, inespressivo; trattenere la bestia è per lei un lavoro come un altro: mille volte in una giornata essa accudisce a delle mansioni così triviali”.
Le modalità della morte di Oloferne inscenano l’idea di un vendicativo rito sacrificale compiuto da due donne, secondo una sanguinosa liturgia rappresentativa che emula uno stupro, stavolta di oggetto maschile, realizzando così, nel ritmo compulsivo dell’atto omicida, una risposta figurativa altrettanto violenta di quella precedentemente subita. Non appare dunque casuale l’allontanamento di Artemisia dal racconto della tradizione biblica, che non menziona la figura attiva della fantesca all’esecuzione del generale assiro, quasi a proporre una contingente necessità di alleanza femminile per condurre a termine un inevitabile “proposito di genere”, in una situazione che potrebbe essere definita come l’esigenza di annullare la violenza subita mediante un rovesciamento di prospettiva, dal significato catartico.
La complicità tra donne, tema ricorrente nell’opera della pittrice, serviva a compensare il dolore di un’amicizia tradita, quella per Tuzia, vicina di casa, amica e modella, che durante il processo per stupro a sorpresa depose contro Artemisia, testimoniando a favore dello stupratore.
(Tratto da Roland Barthes, Nota su “Giuditta e Oloferne”, in: Artemisia Gentileschi, “Lettere…”, op.cit. Pagg.150-151”)
Notiamo le differenze: nel quadro di Caravaggio, Giuditta si pone lontana da Oloferne, quasi disgustata dal sangue, mentre in quelli della Gentileschi (che pure lo omaggia) agisce da coraggiosa protagonista, con foga e vigore e, come detto, c’è una sorta di collaborazione femminile da parte della serva, collaborazione che Artemisia non ricevette nella sua esperienza di vita.
Giaele e Sisara (1620)
In questa tela, ancora una volta, Artemisia Gentileschi raffigura una delle terribili eroine dell'Antico Testamento: si tratta di Giaele, le cui gesta sono narrate nel Libro dei Giudici. Dopo aver attratto nella propria tenda Sisara, generale canaanita sconfitto dall'esercito israeliano, che fugge dai suoi inseguitori, lo uccide nel sonno conficcandogli un picchetto della tenda nel cranio, con una violenza tale da trapassarlo completamente.
Al contrario del quadro precedente, dove la scena riprodotta è estremamente truculenta, oggi diremmo “splatter”, qui la scena non riproduce i toni tragici del racconto biblico; al contrario, sembra pervasa da un'atmosfera calma, che potrebbe sembrare quasi idilliaca: il guerriero giace sdraiato in un sonno ristoratore e parrebbe appoggiare la testa sul grembo di una fanciulla, vestita con un elegante abito di seta gialla e con i capelli ramati raccolti in un'acconciatura elegante e ricercata. Solo guardando le braccia scoperte e le mani della fanciulla ci si accorge che - armata di picchetto e martello - sta per colpire l'inconsapevole generale, che si era abbandonato a lei. Il viso di Giaele è calmo, come di chi si accinge ad una normale azione quotidiana, né si coglie nella leggerezza dei gesti lo sforzo necessario ad assestare un colpo di eccezionale violenza.
Pur essendo rappresentata una donna che si accinge con un maglio a conficcare nel cranio di un generale il picchetto di una tenda dei soldati (!!), per cui – diciamocelo – non possiamo negare che Artemisia sia preda di una fortissima rabbia verso il maschile, la scena non assomiglia alla tragedia della “Giuditta che decapita Oloferne” degli Uffizi.
La lezione caravaggesca è evidenziata da chiaroscuri e dall'essenzialità della scena: nulla emerge dall'ombra dello sfondo se non le due figure e la elegante impugnatura della spada di Sisara (si noti la precisione con cui Artemisia ne dipinge i particolari). Solo si intravede un plinto sul quale appare scolpita la firma dell'autrice e la data del quadro: "ARTEMITIA.LOMI / FACIBAT/ MDCXX".
Autoritratto come allegoria della pittura (1639)
Alla corte di Carlo I d’Inghilterra
Nel 1638, dopo un importante periodo napoletano, Artemisia si stabilisce in Inghilterra. A volerla a Londra alla propria reggia è nientemeno che il re Carlo I Stuart, fanatico ed avido collezionista d’arte che l'anno prima aveva già fatto arrivare il padre Orazio Gentileschi, che qui divenne presto pittore di corte.
Questo incontro costringerà Artemisia a rivedere il suo passato quando ritroverà l'uomo che più ha segnato il suo carattere ed il suo temperamento. Scrive Artemisia durante il lungo viaggio: “... Il re in persona mi invita a ritrovar quel tale Gentileschi da cui fuggo...”. Orazio è ormai vecchio però questo riavvicinamento padre/figlia e la rinnovata collaborazione artistica danno vita ad una magnifica opera comune che si intitola: “Il trionfo della pace e delle arti”, un grande complesso di nove tele che in origine era previsto per il vestibolo della casa delle delizie della regina a Greenwich e che consiste nella decorazione del soffitto della Queen's House.
In questo complesso pittorico è impossibile distinguere la mano del padre da quella della figlia. Artemisia è diventata una donna in pittura davvero, una “pittora” a tutti gli effetti. Orazio morirà poco dopo, nel febbraio del 1639 e Artemisia tornerà a Napoli all'inizio del 1640. In Inghilterra si sta aprendo l'agitata stagione della guerra civile, capeggiata da Cromwell e nel 1649 Carlo i viene decapitato. Si disperde anche la sua collezione d'arte.
Di quel periodo, durato una manciata d’anni, ci è rimasta una sola opera di rilievo, che è però anche uno dei capolavori della pittrice: “L’Autoritratto come allegoria della pittura” del 1639. Artemisia fu capace di guadagnarsi grande fama anche come ritrattista, nonostante molti dei suoi quadri di questa tipologia siano purtroppo andati perduti. L’opera, conservata oggi alla Royal Collection di Kensington Palace, è interessante perché presenta l'ennesima figura femminile, ma non più impegnata nella lotta contro gli uomini.
La sua abilità emerge infatti anche da questo quadro allegorico, in cui la pittura è raffigurata con le fattezze proprio della stessa Artemisia che si racconta in una maniera straordinaria: non è davanti al quadro che sta dipingendo ma, in grembiale di lavoro, appare di profilo, china davanti all'opera, discinta e scarmigliata, con i capelli sciolti, il braccio sollevato davanti alla tela, il viso illuminato dalla luce di una candela, ossia con quegli aspetti che la caratterizzano come donna animosa ed appassionata, immersa nel suo lavoro. Il tema non era nuovo nell’iconografia del tempo, ma la Gentileschi lo interpretò in chiave molto moderna, lavorando sulla postura del soggetto. La pittura viene rappresentata come un’artista intenta a dipingere, rapita completamente dalla tela su cui sta lavorando, estatica.
In evidenza, quasi al centro del dipinto, questa collana d'oro che era un riconoscimento estremamente importante che veniva tributato dai committenti a quegli artisti di cui fossero stati particolarmente soddisfatti e di cui avessero riconosciuto il grandissimo talento.
E' chiara dunque la finalità di Artemisia di voler sottolineare la sua bravura e la sua capacità di fare arte, che il mondo della pittura, prettamente maschile, le aveva pienamente riconosciuto e di ciò, ovviamente, era molto fiera.
Artemisia in questo quadro racconta come, nel fare pittura, faccia riferimento soltanto a se stessa, alle sue capacità, alla sua forza. Da qui comprendiamo come lo scandalo l'abbia segnata ma certo non vinta e quale faticoso percorso di evoluzione personale avesse intrapreso.
Una curiosità: nel raffigurarsi, la Gentileschi si concesse qualche piccolo vezzo e se i capelli di colore scuro potrebbero essere una concessione alla tradizione pittorica, certo l’età è inferiore a quella che all’epoca aveva ed evidentemente preferì non riprodurre le proprie rughe sulla tela.
Comunque la sua permanenza inglese fu breve. Nel giro di pochi anni tornò infatti a Napoli, sfuggendo così anche alla guerra civile che avrebbe portato alla fine della monarchia momentaneamente.
In conclusione ...
I quadri che ho voluto analizzare, confermano - da un punto di vista delle immagini pittoriche e della loro narrativa - che Artemisia ha messo sulla tela quanto già si evinceva dalla lettura astrologica degli archetipi. Possiamo dunque tornare a ribadire, arricchiti nella conoscenza da questo breve excursus tra alcune sue opere chiave, che Artemisia dovette entrare a patti con le sue energie potentemente maschili ed altrettanto potentemente femminili, che dentro di lei avevano dato origine ad una battaglia tra i due sessi. Ma prima di ciò dovette sicuramente prendere consapevolezza di entrambe queste forze contrastanti, perché sappiamo che l'Io cosciente quando avverte la presenza di due forze archetipiche uguali per intensità ma complementari per simbologia, effettua un processo di identificazione con l'una delle due, mentre l'altra automaticamente non la riconosce come parte di sé ed attiva il meccanismo della proiezione, di modo che l'Io stesso, attraverso un lento processo di evoluzione, possa prima “vederla” nel TU come condizione essenziale per raggiungere il successivo passaggio di poterla “vedere in sé”.
Azzarderei dunque l'ipotesi personale che - a partire da un IO adolescente, rappresentato in “Susanna e i vecchioni” - Artemisia si riconoscesse in un femminile costantemente controllato e tenuto in scacco da un maschile dominante e fortemente sessuato.
Non dimentichiamo che una Luna in scorpione segnala, nella fase simbiotica, sensazioni di pericolo e minaccia per la propria sopravvivenza, insieme alla sensazione di madre potente ed intensa in ambito emozionale e si colgono gli aspetti distruttivi e depressivi di tale figura. Attraverso questa esperienza pre-egoica, l'imprinting si struttura sulla necessità di controllare che nasce dalla personale inquietudine.
Artemisia avverte un maschile minaccioso, che ha esercitato il potere a suo nocumento (Sole/Plutone) dal quale abdica e non completa la fase di integrazione, tornando al femminile dal quale si sente molto più rappresentata e che, attraverso la tela, si manifesta incarnato in una Susanna che: “è completamente nuda con un corpo chiaro, isolato, vulnerabile, bellissimo...” Nella prima parte della sua vita Artemisia si identifica in questo femminile: vulnerabile, che conduce al concetto di “delicato, delicatezza”, e “chiaro” che conduce al concetto di purezza ed innocenza.
Ma questo tema natale suggerisce un femminile di ben altro tipo, con una Luna in scorpione, Luna/Marte, Luna/Saturno, questi aspetti ci parlano di tutt'altra tipologia di energie circolanti. Sono certa che la mentalità, i dettami educativi e la tradizione imperanti in quell'epoca, non rendessero affatto semplice, soprattutto per una donna come Artemisia, riconoscersi, “vedersi addosso” ed integrare energie tanto maschili, anche se espresse attraverso l'archetipo lunare, perché questa è una Luna fortemente virilizzata.
Dalla notte dei tempi la difficoltà per ognuno di noi, che il sistema astrologico pone sull'asse I/VII in opposizione, indicandola come prima grande sfida al momento della nascita, è proprio questa: affrontare con coraggio un processo di riconoscimento di ciò che siamo autenticamente, a discapito delle aspettative della famiglia, dei dettami della tradizione, della comunità, della società e di un mondo che per te vuole scrivere una storia, che fa comodo a tutti ed accontenta tutti tranne te, che sei il portatore di sacre energie che devono trovare la strada che tu indicherai loro per esprimersi, non altri.
Nella vita Artemisia incontra inizialmente un maschile prevaricante, controllante e minaccioso ma nella realtà lo ha “dentro di sé” e poiché la sua coscienza lo percepisce come destabilizzante per sé, tanto quanto è inaccettabile per il suo tempo, lo sublima sulla tela. Queste sono energie che lei ha colto nel padre Orazio in primis, e che si sono espresse nella realtà attraverso il suo violentatore Agostino Tassi in secundis ma che, in ultima istanza, quella autentica, sono dentro di lei e richiedono prepotentemente di venire alla luce della coscienza. Nel prosieguo dell'analisi, valuteremo le energie maschili attraverso un'analisi dettagliata del Sole.
Cito una curiosità da “Istituto Italiano edizioni Atlas “Le donne nel rinascimento”: “La donna truccata e vestita in modo troppo curato era considerata privilegiare l'esteriorità del suo corpo rispetto alla sua anima e quindi era mal giudicata. Non poteva mangiare cibi troppo caldi o bere vino, i gesti che faceva dovevano essere strettamente controllati per non attirare l'attenzione, non doveva ridere mai, solo sorridere ma senza mostrare i denti, non doveva spalancare gli occhi ma tenerli socchiusi e rivolti verso il basso, doveva piangere senza far rumore, non agitare le mani e camminare lentamente senza muovere i fianchi ...“
Questo “quadretto triste” che descrive un femminile penalizzato, giudicato, controllato ed obbligato a seguire delle regole imposte da un maschile prevaricante che con il femminile (prima proprio e dunque anche esterno) non riesce a creare una sana alleanza, rende facilmente comprensibile quanto Artemisia fosse lontana negli atteggiamenti e nei modi dalla mentalità e dagli usi e costumi del suo tempo, così diversa nell'espressione di sé, con tutto quello che ne consegue in termini di difficoltà nel vedersi diversa e nell'accettarsi diversa, anche da parte del collettivo e forse, proprio per questo, possiamo comprendere quanto questa donna sia stata anche molto sola.
Il quadro successivo, ossia “Giuditta che decapita Oloferne” potrebbe rappresentare quella fase che Artemisia, al pari dell'Eroe nella mitologia, ha intrapreso del suo viaggio evolutivo e del suo percorso di auto-consapevolezza in cui ella vede il proprio femminile (nella tela rappresentato da Giuditta aiutata dalla fantesca) e lo avverte, perché tale ce lo dipinge, come un femminile virile, mascolino e attivo, che ha perso le caratteristiche di passività e così, attraverso questa nuova luce, lo introietta, ossia lo utilizza finalmente ma ancora in modo disfunzionale perché uccide il maschile (alias Oloferne, alias Agostino Tassi, alias il proprio maschile). Artemisia mostra nel tema un Sole in aspetti dissonanti con Plutone (una quadratura praticamente al grado), con Urano e con Giove e questo sappiamo che in un tema femminile è indice di una ferita sulla relazione con il maschile, ma che qui – a questo livello - è ancora sulla “coppia interna”, maschile/femminile, uomo/donna.
Molto probabilmente le difficoltà che Artemisia ha incontrato durante il processo di identificazione con il padre/Sole, i cui aspetti segnalano una problematica col maschile, l'hanno obbligatoriamente portata a non riuscire a contattare il proprio Sole di cui sono qualità integranti l'indipendenza, l'auto-determinazione, la ragione/Logos, la realizzazione, la libertà di essere sé stessa...
La terza tela evidenziata: “Giaele e Sisara” pressoché contemporanea alla precedente, se da una parte ci obbliga a ridimensionare il giudizio sulla pittrice ansiosa di sublimare sulle tele l'oltraggio della violenza carnale subita, dall'altro canto ci induce a ritenere che per forza di cose qualcosa dentro di lei è cambiato e se il quadro precedente evidenzia una violenza pari al terrore provato, qui abbiamo un rallentamento delle emozioni, un focus che congela l'istante precedente all'atto di uccidere, quasi a significare che - anche se l'arco temporale intercorso tra le due composizioni è brevissimo - ha avuto inizio un processo di auto-consapevolezza. Ed inoltre, con quella energia plutonica e scorpionica che l'abitava, potrei aggiungere che per Artemisia, la vendetta era un piatto che andava servito freddo...!
Con il quadro “Autoritratto come Allegoria della pittura” Artemisia, che nel frattempo ha un'età di circa 45 / 46 anni, direi che mostra una piena integrazione tra il suo maschile ed il suo femminile. Niente più uomini minacciosi e fortemente sessuati, niente pallide donne nude o seminude, ma nemmeno donne che brandiscono coltelli e sgozzano odiati maschili... Solo una grande donna, centrata nel quadro e rispetto ad essa è centrato anche il medaglione che porta al collo, simbolo della sua arte e del riconoscimento da parte del collettivo della sua capacità di fare arte.
Queste centrature, che Artemisia ha espresso nello spazio della tela, rappresentano a livello psicologico la centratura che lei ha conquistato per se stessa, non più agita e lacerata da un maschile verso una direzione e, a tratti, da un femminile, nella direzione opposta, in balia di alternanze inconciliabili ma, bensì, artefice di una completa integrazione tra le due energie archetipiche, di un dialogo proficuo e costruttivo che l'hanno condotta a poter esprimere il suo dono inestimabile: fare arte. Il gioco alla fune della prima parte della sua vita si è trasformato nel carro del Dio Apollo, ossia da un Io consapevole dei propri talenti e strumenti da applicare onde percorrere la direzione autentica e sentita della propria vita.
Il quadro trasmette sentimenti di entusiasmo e passione che sono il risultato ultimo di un processo di auto-conoscenza del ventaglio di energie che ci abitano, opportunamente incanalate ed espresse, secondo i propri talenti, al servizio del Sole e del suo sacro progetto di vita.
Cito da: Artemisia Gentileschi, LETTERE, precedute da Atti di un processo per Stupro, a cura di Eva Menzio: “In questo quadro, dell'ultimo periodo napoletano, Artemisia sta dipingendo un ritratto virile così che la testa dell'uomo è alla stessa altezza della sua. Tale autoritratto appare emblematico. Non si può infatti fare a meno di pensare che i due personaggi di Artemisia corrispondano a due diversi aspetti della personalità, la sua indiscussa femminilità, unita ad un carattere forte e virile.”
La rabbia della giovinezza si è trasformata in forza e volontà applicata per la propria riuscita, la propria espressione.
Artemisia ha le guance pienotte, la mascella un po' pronunciata, i capelli ramati raccolti in forma un po' scomposta, come quelli dell'Allegoria dell'Inclinazione.
Benché fosse una forma di gioco abbastanza diffusa nel Seicento rappresentarsi "in veste di martire" a me pare che ci sia comunque un risvolto psicologico da tenere nella dovuta considerazione in questa sua scelta di auto-rappresentazione. Artemisia quando dipinse questo quadro aveva all'incirca 22 anni, quindi ancora molto giovane, non anagraficamente per l'epoca, ma certamente psicologicamente nell'ottica di una evoluzione personale. Saturno non ha ancora completato la sua orbita intorno al Sole per la prima grande verifica e mancano ancora 18 / 20 anni alla chiamata del test uraniano. Una coscienza, quella di Artemisia, che si vede come “martire”, che porta in vista la palma del martirio simbolo della propria sofferenza, in una sorta di “agnello sacrificale”. Ancora Artemisia vive la sua forte dualità, è ancora scissa, lontana dalla presa di coscienza delle sue potenti energie maschili e femminili nella loro versione “virile” che, pertanto, rimangono proiettate sul “fuori di sé”. Si avverte la sua Venere leonina, che la porta a dipingersi con un civettuolo turbante color lapislazzuli e una sorta di peplo di seta rosa fermato sulla spalla.
Partendo dalle esperienze vissute da Artemisia, analizzando quali canali d'espressione hanno preso le energie, in considerazione delle scelte fatte in vita e come ha elaborato a livello psicologico le proprie vicissitudini, ritengo sia possibile fare delle supposizioni, di cui purtroppo non sarà mai possibile ricevere conferma, sulla struttura completa del tema, applicando la domificazione che renderà possibile attribuirle l'ascendente.
Credo appassionatamente alla logica ferrea dell'astrologica che comprende anche quell'ineffabile ingrediente che rende la dialettica tra pianeti, e pianeti nelle case, delicata e commovente nel fornire gli strumenti per operare sempre nella direzione del bene e dell'armonia, in linea con il volere universale.
A mio personale parere Artemisia potrebbe mostrare nel proprio tema le seguenti caratteristiche:
Un asse I/VII interessato.
•
Una donna ritenuta “scomoda” perché senz'altro ha turbato la collettività dell'epoca, attraverso la propria vita e la propria arte, portando nel suo tempo contenuti ancora “indigesti” che la società non era pronta a fare propri e ad integrare. Fondamentalmente Artemisia ha conquistato la propria autentica individualità con le unghie e coi denti, a discapito di una mentalità estremamente gretta e penalizzante verso la donna. Il portare alla luce, dopo un contatto profondo col Sé, il proprio IO autentico e vero, ha inferto alla collettività una sorta di ferita. Artemisia ha agito come un'incursione nella coscienza di ognuno, facendo da specchio, ferendo coloro che non erano pronti e coloro che non potevano permettersi di vedere oltre (la quasi totalità).
Una V casa abitata, data dalla creatività e vitalità dirompenti di Artemisia, la difficoltà di riconoscersi nella normalità e di rifuggire, difatti, dalla consuetudine ritenuta consona alla donna del tempo.
Un Sole in VIII e/o una VIII casa importante, per quei ripetuti tradimenti subiti: dall'uomo che ha probabilmente amato, ossia Agostino Tassi, dalla governante ed amica Tuzia, che l'ha abbandonata e venduta al processo, dal padre Orazio che, oltre ad averla tradita come padre, esponendola ad un processo umiliante e violento, ha avuto con la propria figlia un rapporto di seduzione reciproca, quasi incestuosa, come si rileva dagli atti del processo.
A parte un trigono tra Plutone e Nettuno, di poco conto in sé e per sé, in quanto generazionale (più opportuno verificare quali case mette in rapporto questo aspetto), sappiamo intanto che Plutone è quadrato sia al Sole, sia a Giove ed è trigono a Venere e che la Luna è in scorpione.
Una IX casa occupata, nella sua qualità di casa delle predisposizioni e della vocazione. Sappiamo che Artemisia ha viaggiato, traslocato e cambiato moltissime città della penisola, fino ad arrivare a Londra nel 1638, dove ha vissuto per qualche anno. Si tratta di veri e propri viaggi internazionali, pericolosi e fisicamente debilitanti e, se si pensa che a farli è una donna, è davvero straordinario, poiché all'epoca erano quasi nulle le donne che potevano esercitare questo tipo di indipendenza e di potere.
Il suo viaggio però non è stato solo ed esclusivamente geografico, ma soprattutto interiore, alla ricerca di un senso da attribuire al suo doloroso vissuto che, grazie al suo talento, ha trasformato in arte. Artemisia è stata una pioniera sia in senso artistico, in costante ricerca di nuove tecniche pittoriche, distillando dai pittori del tempo tratti che ha personalizzato, sia in senso personale attraverso un percorso evolutivo, che ha lasciato dei semi alle generazioni successive e che l'ha resa un'icona moderna.
Giove, signore della IX, è in opposizione al Sole e fa aspetti con Luna e Marte.
Una XI casa occupata, per quel desiderio di libertà e quella capacità di lungimiranza, per quel suo essere diversa, dunque particolare e preziosa. Cito al proposito il seguente articolo, tratto dall'intervista ad Annamaria Tagliavini – Direttore della “Biblioteca Italiana delle Donne”: “Artemisia è una donna molto particolare perché è una pittrice ed è una donna che incarna un'idea di libertà molto nuova per i tempi. Vasari diceva che le donne artiste sanno fare solo i ritratti, in quanto hanno una lunga consuetudine con lo specchio. Artemisia si distingue dalle altre artiste contemporanee, quali Lavinia Fontana o anche Sofonisba Anguissola perché, appunto, non è soltanto una ritrattista ma riesce a lavorare su personaggi particolari: i personaggi della scena biblica oppure Cleopatra e fa di queste figure femminili delle figure forti, delle donne forti, coraggiose ed è una delle prime volte che questo accade. Soprattutto nella pittura di Artemisia c'è un profondo intreccio con la sua esperienza biografica, con la sua vita. E' una donna molto fuori dal comune rispetto ai suoi tempi, questa donna libera, forte, indipendente che non teme la vergogna ed affronta il suo stupratore in un pubblico processo e che in seguito, e per tutta la sua vita, continua a dipingere, fa di lei un'icona di una delle pioniere di un lungo percorso verso la libertà femminile che dovrà occupare molti secoli prima di venire realizzata”
Nel tema, Urano è in aspetto di trigono con Venere e Saturno, in sestile con Chirone.
Detto ciò, parto dall'ipotesi - che a mio parere è percentualmente la più probabile - di un Sole in VIII casa, in modo da fare una prima verifica su come si sviluppa la struttura del tema, così vediamo come si colloca il resto dei pianeti nelle case, valutando appropriatamente il risultato ottenuto per verificare le eventuali rispondenze con il bagaglio delle esperienze sensibili di Artemisia di cui siamo ora a conoscenza.
Sappiamo che la mancanza oggettiva di un colloquio con Artemisia, ipotetica consultante, non potrà fornire una lettura completa e precisa della realtà soggettiva, che rimane dunque nel campo delle mie personali deduzioni.
Beh... nel complesso direi che i pianeti si inseriscono proprio come mi aspettavo: in V si inseriscono Urano e Plutone, sull'asse I/VII otteniamo una Luna all'ascendente e comunque in I casa ed un Chirone in VII in congiunzione al nodo, in VIII si inserisce anche Mercurio oltre al Sole che, volutamente, abbiamo collocato qui. C'è anche uno stellium in IX, la casa della vocazione, con Venere, Saturno e Nettuno.
L'ascendente verrebbe a cadere nel segno dello Scorpione e lo trovo calzante per questa donna intensa, carismatica e trasgressiva, dalla quale parecchi uomini si sono sentiti stregati per loro stessa ammissione (anche in virtù certo di una Luna nel magnetico e seducente scorpione). L'XI rimane vuota, ma non dimentichiamo che Urano, in V casa, è trigono a Venere, Saturno e sestile a Chirone.
A completamento, riprendiamo la questione legata alla divisione ternaria e quaternaria, ossia relativa ai pianeti nelle case ed ai pianeti negli segni:
pianeti nelle case: angolari 4 – succedenti 5 – cadenti 3
pianeti nei segni: cardinali 5 – fissi 3 – mobili 3
Dalla tabella si evince che c'è coerenza tra loro e la distribuzione è ottimale, anche in riferimento alla personalità che il tema mostra, tanto che possiamo affermare che in potenza coesistono in Artemisia sia l'attitudine di dare vita a progetti, di iniziare nuove cose, di dare spazio ed espressione alla molta energia centrifuga di cui dispone, sia di darle successivamente una forma ed una struttura adatte. Tra l'altro questo aspetto è suffragato dalla presenta di un trigono tra Saturno ed Urano, pianeti questi che, quando cooperano tra loro costruttivamente, attivano un ciclo di continuo rinnovamento psichico, che è vitale per l'IO, attraverso il quale la psiche struttura, ossia da forma al nuovo che entra e destruttura, ossia modifica e abbandona, il vecchio che non contiene più valori di crescita ed evoluzione e che dunque vanno lasciati andare per fare spazio a nuove opportunità, nuove energie. Con questi presupposti un Sole in VIII, indipendentemente dal segno in cui si trova, è facilitato in questo compito di non trattenere ciò che non è più di alcuna utilità all'evoluzione personale.
E' compresente, con un totale di sei pianeti, anche una buona capacità di ricavare un insegnamento da ogni esperienza che viene vissuta, utilizzando i contenuti metabolizzati per la costruzione della propria evoluzione psichica e psicologica, sulla quale potranno inserirsi nuovi inizi e nuove strutture, in un circolo virtuoso di crescita interiore, che miri ad un dialogo sempre più proficuo tra coscienza ed inconscio.
Siccome stiamo trattando un'artista dotata di grande talento, volevo analizzare innanzitutto Nettuno, che rappresenta l'arte ed il talento artistico per eccellenza. E' di tutto rispetto: nella casa IX, che simboleggia le nostre predisposizioni e la vocazione, strettamente congiunto a Venere/Afrodite, dea della bellezza, che rafforza Nettuno nell'ottica di una espressione artistica, poiché porta un contributo notevole a questo aspetto in termini di senso estetico, gusto e raffinatezza.
Nettuno è in aspetto di trigono con Urano e Plutone ma essendo pianeti trans-personali coinvolti in aspetti generazionali, sono poco parlanti in termini di coscienza personale. Semmai è più significativo rilevare che nel tema di Artemisia la casa IX della vocazione forma trigoni alla V, la casa della creatività. La stessa Venere IX riceve trigoni dalla V e non dimentichiamo Sole, Luna, Marte, Saturno in segni di acqua e tutto ad indicare, come condizione necessaria, una forte sensibilità artistica. Ogni qualvolta un tema natale mostra un Nettuno importante, come avviene per Artemisia, è opportuno valutare Saturno, indispensabile a strutturare un IO che sia in grado di fare fronte ai continui richiami nettuniani che potrebbero destabilizzare la coscienza fino a distruggerla. E' pertanto necessario disporre nel tema di un Saturno che risponda in termini di organizzazione psichica ed auto-disciplina alle incursioni ed alle suggestioni inconsce che provengono dagli oceani infiniti rappresentati da Nettuno, che possono far perdere se' stessi. Saturno dunque deve opporre un'energia uguale e contraria al richiamo del Dio così che il suo tocco divino sia salvifico e non distruttivo.
Artemisia ha Saturno beneficato nella IX casa, congiunto a Venere, in aspetto di trigono a Luna e Urano. I fatti biografici salienti indicano che Artemisia utilizzò bene il suo Saturno. La IX casa ci parla dell'esistenza di innumerevoli culture, filosofie di vita, linguaggi, modi di vivere e terre inesplorate con le quali poter entrare in contatto. Lo zodiaco rappresenta il viaggio dell'Eroe mitologico e la IX casa è il contatto dell'Eroe con lo straniero che all'inizio del viaggio è dentro di sé. Saturno qui chiede di abbandonare il giudizio verso le nostre parti “straniere” e di accogliere la potenziale totalità del nostro IO. Penso che questo Saturno abbia operato in modo del tutto funzionale come opportuno vaglio critico in una donna dominata da energie di acqua/fuoco, plutonica e marziana, impulsiva e inquieta, intuitiva e irrazionale, Qui Saturno chiede di verificare che le visioni della mente analogica e simbolica che in lei abbondavano, fossero valide e perseguibili.
In prima casa si accomoda la Luna, che potrebbe verosimilmente essere congiunta all'ascendente; in ogni caso Artemisia è stata portatrice di caratteristiche lunari, femminili, quali sensibilità, ricettività, emotività ed un bisogno un po' infantile di attenzione (che tra l'altro sarebbe in linea con la predominanza di pianeti sulla destra del grafico) ed il bisogno di sentirsi speciale, dato anche da una V casa importante. Nello specifico, abbiamo visto che Artemisia ha lottato per contattare al suo interno le abbondanti energie femminili e ciò l'ha spinta in età adulta a combattere la stessa battaglia all'esterno, per essere riconosciuta ed accettata in quanto donna e in quanto pittore donna.
Nel 1635 scriveva al collezionista Don Antonio Ruffo: “Farò vedere a Vostra illustre Signoria cosa sa fare una donna” e, appena giunta alla Corte di Re Carlo I d'Inghilterra, nel 1638, annotò in un manoscritto personale: “Il nome di una donna fa stare in dubbio sinché non si è vista l'opera. Ora al re d'Inghilterra i miei quadri sono graditi, mi invita a corte, curioso...”.
Artemisia, nel prosieguo della sua vita, quanto più ha preso coscienza delle sue potenti energie femminili, tanto più le ha fatte proprie e le ha messe in campo con vigore, coraggio, convinzione, nella precisa volontà di affermare la propria femminilità, il proprio essere donna, donna “pittora”. In continua lotta con la mentalità dell'epoca per essere accettata come donna pittrice in un mondo maschile e maschilista, nel quale nessuno credeva al potere femminile, Artemisia non a caso 400 anni dopo è diventata icona del femminismo.
Proseguendo nella lettura dei simboli, ecco che la VII ospita il nodo nord e Chirone congiunti. Questo equivale ad una ferita di tipo relazionale, probabilmente riconducibile ad un materno con il quale non è stato possibile sviluppare un attaccamento sicuro, per via di Luna scorpione, che alimenta nel neonato la sensazione di una madre minacciosa e potente ma non a proprio beneficio, bensì potenzialmente per la nostra distruzione. Aspetti Luna/Marte, Luna/Saturno si accordano male con il luminare femminile, per quel suo bisogno di simbiosi e fusione di cui non c'è traccia nella simbologia di Marte, che chiede individuazione, e di calore ed accoglienza che non trova spazio in un Saturno freddo, rigido e normativo. La presenza del nodo nord, congiunto a Chirone, la ferita da recuperare, si potrebbe tradurre dal linguaggio simbolico affermando che “dove c'è il problema, c'è la risoluzione”, ossia: “posso attivare un processo di guarigione proprio lì, dove sono stato ferito” perché una ferita psicologica, se opportunamente riconosciuta e metabolizzata, attraverso l'elaborazione di un lutto, abbandona la sua connotazione di “perdita”, come, in senso biologico: “fessura da cui fuoriesce qualcosa di mio” per acquisire una connotazione luminosa ed evoluta di “apertura” come “accesso, portale a qualcosa di non mio” che, seppur con qualche rischio, è in grado di condurmi ad una conoscenza superiore, ad una fortificazione dell'architettura psicologica.
La dialettica I/VII afferma sostanzialmente che non ci può essere un “TU” se prima non costruiamo un “IO” e che non ci può essere relazione senza una personale individuazione. In Artemisia il nodo gordiano da sciogliere nella prima parte del suo cammino evolutivo è stato essenzialmente “le altre parti di Sé” inaccettabili per la sua morale e per quella del suo tempo, pertanto non riconoscibili. Sul piano di realtà, la dinamica si sposta su “gli Altri”, nell'affrontare attraverso essi la relazione, lo scambio ed il confronto di tipo mercuriale (VII in gemelli). I continui tradimenti che ha subito nella prima parte della vita (Sole in VIII. Luna ed Asc. Scorpione) altro non erano che il riflesso di un primo vero tradimento avvenuto verso se stessa, non avendo riconosciuto parti di se che le appartenevano.
Ritengo che Artemisia sia stata una donna che ha sofferto molto nella sua interiorità, che ha necessariamente dovuto affrontare una catarsi potente inizialmente destabilizzante, per la personale guarigione. Non c’è traccia nei documenti personali ed in quelli della storiografia ufficiale di crisi o di depressioni, ma è certo che a fronte di quanto ha conquistato durante il suo percorso evolutivo possiamo dedurre un altrettanto sforzo in termini psicologici ed emotivi verso il profondo e doloroso di sé: “È vero senza errore e menzogna, è certo e verissimo: Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della Cosa-Una”. Così si espresse Ermete Trismegisto nella “Tabula Smaragdina”.
Ciò le ha fornito la possibilità e la forza di rinascere dalle proprie ceneri, una sorta di “Araba Fenice”. Sole e Mercurio in VIII, Sole/Plutone, ascendente e Luna in Scorpione: queste energie l'hanno obbligata ad entrare in contatto profondo con le proprie scorie, fatte di rabbia, livore, risentimento, odio viscerale e desiderio di rivendicazione. Questi aspetti hanno preteso una presa di coscienza ed un contatto certo sofferto e pauroso con la propria “anima nera”, ma esimersi sarebbe costato una mancata realizzazione ed una tendenza all'autodistruzione che l'avrebbero condotta ad una vita di infelicità come per molte donne del suo tempo, perché qui le energie sono talmente potenti che se si riesce ad incanalarle fanno miracoli, come nel caso della pittrice, altrimenti l'auto-sabotaggio è dietro l'angolo, fino alle estreme conseguenze (ossia sul soma).
Plutone in V casa deve dare vita a qualcosa. Nel caso di Artemisia, questo Plutone in V è in quadratura con il Sole in VIII ed a loro volta i due pianeti coinvolti si trovano al quadrato dei loro domicili. Certo la creatività della V e della VIII sono assai diverse, colorano la personalità di luci ed ombre, di angeli e demoni, ma il comune denominatore di queste case è individuabile nel senso della propria forza personale, del proprio potere, del bisogno prepotente di essere in qualche modo creativo. “Se uccidi tutti i tuoi demoni, anche gli angeli potrebbero morire”.
Plutone è qui nella casa dell'Io-Sole, della luce della propria coscienza, dove il concetto di eterno e permanente trova la propria certezza ed una dimora sicura, mentre il Sole è nella casa del sé plutonico, dell'inconscio collettivo, dell'impermanenza. La quadratura, qui anche nei gradi, dà indicazione di una figura paterna non chiara e non diretta e dunque, per estensione, di un blocco esistente nel rapporto tra l'Io ed il Sé che obbligherà l'Io, ammesso e non concesso che l'Io voglia accettare la sfida, a rimuovere sicurezze e difese fasulle, addotte dalla parte cosciente come atto di sopravvivenza. Ecco la necessità di imporsi un cambiamento, una catarsi per attingere attraverso il proprio Se' alle sicurezze autentiche.
L'Io deve rimuovere il blocco per sentirsi definitivamente creativo e motivato nel profondo, portando i sentimenti di distruzione ed auto-distruzione che covano negli aspetti dinamici, ad un piano nobile di creazione e fecondazione, di “dare vita” a qualcosa, doppiamente importante dunque per un Sole cancro il quale, così come la sua funzione al primo livello evolutivo è dare vita fisica e nutrirla, parallelamente a livello psicologico il progetto cancerino è dare vita emotiva, trasmettere un'architettura emotiva, sostenendo e preparando all'indipendenza ed all'autonomia.
Urano in V, se pensiamo alla V come creatività e ad Urano come il diverso, l'anticonvenzionale, colui che va fuori tempo o, meglio dire, a tempo “proprio” e controcorrente, potremmo affermare che si è manifestata una creatività anti-tradizionalista, che in lei si è espressa attraverso canoni anti-conformisti, assolutamente rivoluzionari per i suoi tempi.
Urano qui si trova all'opposto della sua sede naturale, dunque ben capiamo che – se non opportunamente integrato – può dare origine a miscele esplosive. Gli ingredienti energetici di cui Urano colora la V, casa dell'egocentrismo e del bisogno di individualismo e riconoscimento esterno, sono la ricerca della propria individualità e l'abbattimento delle frontiere dell'Io, per prepararsi ad accogliere il diverso da sé. Nelle pagine precedenti abbiamo detto che Urano è in aspetto di trigono con Venere e Saturno in casa IX, dunque un Urano beneficato che potrebbe sostenere l'ipotesi di un'Artemisia bambina (tra i 4 ed i 6 anni) riconosciuta ed accolta nella sua diversità durante la fase edipica di onnipotenza. Tale sua diversità, grazie a ciò, è diventata in età adulta un segno di distinzione che lei ha coltivato ed esaltato, da portare con vanto ed orgoglio nell'ambito creativo dell'arte.
E sempre a proposito della V come fase edipica, Plutone registra una difficoltà nel vivere questa fase - che passa attraverso la conquista del genitore di sesso opposto, suggerendo il fatto di non essersi riconosciuta in questo maschile, anche per un problema di fiducia ed accettazione della figura paterna, ipotesi sostenuta da un Sole/Plutone in quadratura e da un Sole in VIII, che sottolineano la difficoltà a percepire con chiarezza le energie paterne.
Certo è che Artemisia ebbe problemi tutta la vita con suo padre, dal quale ha cercato di affrancarsi a molti livelli: fisicamente e psicologicamente abbandonando la casa paterna ed allontanandosi dal suo giogo, artisticamente ricercando metodi e tecniche innovative per dare vita ad uno stile molto personale. Questo l'ha condotta a dover affrontare una pulizia ed una personale rielaborazione del maschile introiettato. Le figure maschili incontrate ed i suoi quadri ne sono una valida prova.
Sullo stupro di Artemisia sono state scritte molte pagine e la sua straordinaria carriera, spesso pittrice di donne forti, è stata letta dalla critica di genere come un riscatto da quella violenza subita. In realtà le cose sono più sfumate, come ha illustrato, in occasione della Mostra di Palazzo Reale a Milano avvenuta nel 2012, dedicata all'artista, la storica femminista italiana Lea Melandri che, insieme alla critica Marina Moiana, aveva riletto le carte del processo e così le aveva commentate in una intervista-video apparsa sul web:
“Intanto dalle testariate del processo viene fuori l'ambiguità della relazione che si stabilisce fin da quando Artemisia è bambina, col padre pittore ed anche con gli amici del padre, pittori anch'essi. C'è sicuramente alcunché di oscuro intrecciato ad una seduzione reciproca, un po' incestuosa. Con lo stupratore, viene fuori che c'era stato, sì, un atto violento ma in seguito è continuato perché lui le aveva promesso di sposarla. Nel momento in cui, durante il processo, è sottoposta alla tortura delle dita, lei dice rivolgendosi ad Agostino: “questo è l'anello che mi hai promesso”. Ciò lascia pensare alla torbida complessità di queste relazioni morbose e con riferimento alla relazione con il Tassi, la giovane pittrice di appena 18 anni viene soggiogata da quest'uomo molto spregiudicato e potente ammaliatore che le aveva oltretutto promesso di sposarla mentre lei non sapeva che lui aveva già una moglie a Livorno.
A quest'inganno del matrimonio Artemisia accenna sotto tortura ed è dunque immaginabile quanto sia stato complesso e poco chiaro il rapporto tra lei ed Agostino e quanto in questo rapporto Orazio abbia avuto un ruolo di giudice che osservava la vicenda da lontano, un giudice che però aspetta un anno a denunciare, ma soprattutto quanto lei sia stata manipolata e tradita per scopi personali...”
Nei passi precedenti ho accennato alla IX come la casa dei viaggi e degli spostamenti il cui motto è: “Io divento”. A livello psicologico profondo, è la casa in cui si delinea la propria vocazione, qui si entra in contatto con la propria aspirazione, ciò per cui siamo naturalmente dotati. Viene alla luce (della coscienza) cosa si vuole diventare. Nettuno in IX nel tema è beneficato da trigoni dalla V casa di Urano e Plutone (generazionale) ed è congiunto a Venere.
Cito al proposito Lidia Fassio, dal testo: “Le Case astrologiche” - § I trigoni V/IX, pag. 293: “Con questo trigono, il bisogno di avere un'identità forte e visibile può essere facilmente incanalato in qualcosa di creativo, in grado anche di toccare l'anima di molti: ne sono esempio scrittori, uomini di spettacolo, sportivi, nonché molti dei personaggi che hanno sublimato le loro energie nella religione. Equivale sostanzialmente ad un trigono tra Sole e Giove, che è altamente dilatante e conduce l'Io verso la sua naturale espansione.
Trovando un canale che possa adeguatamente accoglierne il pensiero e le aspirazioni, senza dubbio è un trigono che regala all'individuo che lo possiede una grande fiducia nelle proprie potenzialità unitamente ad una buona capacità di farsi valere, e questo perché aumenta sì le ambizioni ma nel contempo offre anche la disponibilità a mettersi in gioco.”
Le energie della IX rendono il soggetto interessato alla studio ed allo apprendimento, alla cultura in generale, anche nella veste di insegnante.
Intervista televisiva a Michele Nicolaci – storico dell'arte, nella trasmissione dedicata ad Artemisia Gentileschi (SkyArte, nov. 2016): “A Napoli Artemisia approda nel 1630 e, tranne la breve parentesi londinese, presso questa città in realtà instaura la sua bottega assai importante, capace di attirare committenze prestigiosissime e capace anche di attirare artisti che vedono in questa donna, che ha conosciuto tutto, che è figlia di un grande artista, che ha visto le opere di Caravaggio dal vivo, che è stata a Venezia ed anche a Firenze, di trovare in lei la possibile maestra, la possibile chiave per dare una svolta al proprio futuro ed alla propria formazione artistica: Maestra Artemisia”.
Effettivamente Artemisia a Napoli, dove rientra nel 1630, fonda una sua bottega, una bottega importante che diventa una scuola ed un punto di riferimento del caravaggismo napoletano. Grazie all'appoggio del letterato Michelangelo Buonarroti il giovane, pronipote del più grande Michelangelo, Artemisia si inserisce in pieno nel sofisticato entourage di Cosimo II. Difatti, a luglio del 1616, poco più che ventenne, è la prima donna (dopo di lei ce ne saranno davvero poche!) ad essere ammessa all'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, fatto fondamentale in quanto tale Accademia ha mecenati di altissimo livello. Lavora per il Granduca di Toscana, per la famiglia De Medici. Frequenta grandi intellettuali. Prende parte agli eventi mondani e le cerchie giuste. Da adulta impara a leggere ed a scrivere, fatto rarissimo per le donne dell'epoca; le sue lettere la mostrano capace di dialogare tanto con uomini illustri come Galileo Galilei, di cui è grande amica, quanto con il nobiluomo Francesco Maria Maringhi, vero amore di tutta la sua vita e di cui sarà amante appassionata.
Ricco rampollo di un’antica famiglia dell’aristocrazia fiorentina, Artemisia con lui visse un amore travolgente e travagliato, un amore accettato persino dal marito. Fu pervasa da sensazioni che soddisfacevano il suo bisogno di passioni, di incontri segreti e nascosti, di intense emozioni, senza mai avvicinarsi alla consuetudine ed al concetto di “quotidiano”. Esiste una fitta corrispondenza tra lei ed il suo amante ritrovata nell’Archivio dei Marchesi Frescobaldi a Firenze, lettere uniche interamente autografe della pittrice in una prosa un po' sgrammaticata ma colta, che cita Petrarca, Ariosto, Ovidio, le Rime di Michelangelo e il Tasso.
“Core!
Io ho ricevuto da voi di quelle lettere che sono il mio refrigerio e mi fanno tornare da morte a vita. Voglio bene alla vostra anima quanto voglio il vostro corpo. So che il mio destino mi fa che a mio dispetto vi ami ma voi, quando sono distante, fate carezze ad una dama nuova...Vorrei pregarvi con tutto il core che con questo mio ritratto voi non vi dimenticaste di me!
I miei occhi vi fisseranno mentre voi starete peccando sui miei seni in ogni nota soave di questo liuto. Vorrei cantare l'idillio sentimentale e tutto far vibrar al solo mio pensiero”.
Questo il dipinto di cui parla Artemisia nella lettera:
Mai vivranno insieme e la loro relazione, proprio in virtù di questa impossibilità, durerà tutta la vita. La sua Luna in Scorpione, Venere in Leone nella IX ed anche un Sole/Marte segnalano una donna focosa, sessualmente intraprendente, spigliata ma anche insofferente ai legami, libera ed avventurosa. Venere è congiunta strettamente a Nettuno e largamente, ma sempre entro i 10 gradi, a Saturno ed in trigono ad Urano. E' una Venere sollecitata, per la sua presenza in IX e per la congiunzione a Nettuno, ad avventurarsi fiduciosa nei regni di Amore, fantasticando il rapporto affettivo perfetto e sognando l'amore ideale senza separazioni ma, per la presenza di Saturno, le aspettative di assoluta perfezione si ridimensionano fortemente, riportando il soggetto a certa rassegnazione ed alla convinzione che ci si deve accontentare. Immagino che per Artemisia sia stato un ampio altalenare di queste spinte a tratti su l'uno e poi sull'altro fronte. La precarietà ed il gusto per l'imprevisto, l'erotizzazione del piacere di sentirsi libera, suggeriti dall'aspetto con Urano, formano un blending che lascia uno spazio pressoché nullo a relazioni sicure, prevedibili e che si mantengono nel tempo. Il marito se ne andrà improvvisamente da casa, sicché Artemisia non lo rivedrà più e non ne saprà mai nulla. Non si risposerà ed avrà parecchie liaison (rendiamoci conto che è una donna del 1600!!)
Infatti, la reputazione di “donna dai facili costumi” perseguiterà Artemisia fino alla tomba. Cito al proposito, alcuni versi a guisa di epitaffio pubblicati nel 1653, poco dopo la sua morte, da un amico veneziano, il letterato Gian Francesco Loredano, che le assicureranno una gloria postuma di grande seduttrice e donna lasciva. Ma indubbiamente lei era anche mossa dalla ricerca di una simbiosi ed una fusione di coppia (sole cancro, Venere/Nettuno).
La quartina in questione, epitaffio XXXIX, figura a pagina 60 della II edizione del “Cimiterio – Epitaffi giocosi”:
“Co'l dipinger la faccia a questo, e a quello
Nel mundo m'acquistai merto infinito
Nell'intagliar le corna al mio marito
Lasciai penello e presi lo scalpello.”
Orazio non considerò che con la richiesta del processo, che metterà scandalosamente la giovane figlia sulla bocca di tutti, le impose un’ulteriore violenza al pari di quella subita un anno prima. Artemisia infatti, già guardata stranamente perché faceva “essercitio di pittura”, così inconsueto ad una donna, si ritrovò al centro di una vicenda la cui eco percorse l'intera penisola. Da allora fu sempre accusata di avere troppi amanti e di condurre una vita disonesta, come del resto riportano ancora alcuni biografi del secolo successivo. Infatti vari documenti e testi storiografici dell'epoca attribuiscono ad Artemisia amanti, tra i quali il Duca di Alcalà, ambasciatore di Spagna, l'agente inglese Nicholas Lanier, il pittore francese Simon Vouet e l'ambasciatore di Venezia Pietro Contarini, per citarne alcuni.
Esploriamo ora altri aspetti caratteriali di Artemisia che si aggancino al tema natale. Cito dunque a tal proposito: “Artemisia Gentileschi – LETTERE – precedute da Atti di un processo per stupro”, a cura di Eva Menzio, Ed. AbsCondita”: “Ad Artemisia piace il lusso ed ama ricoprirsi di broccati, ermellini e perle, è una grande impresaria, una donna che sa valorizzarsi al massimo e vuole rappresentarsi come donna ricca – che non è in realtà – proprio perché spende e dilapida tantissimo e fa' vita da gran dama. Ha sempre problemi di soldi e chiede prestiti in continuazione. Conduce una vita al di sopra delle sue possibilità (…). Assediata dai debiti e con i creditori alla porta, Artemisia scappa da Firenze e torna a Roma, dove vive in via del Corso con la famiglia ed alcuni servitori. I problemi però continuano. Due anni dopo il marito se ne va e di lui Artemisia non avrà mai più notizie. Vive dunque da sola in via del Corso con la figlia Prudenzia ed una domestica che però non paga, sicché quest'ultima stanca di non essere saldata, decide quindi di citarla in giudizio per avere i soldi che le spettano. Ancora debiti, ancora traslochi. Sempre in cerca di commesse, Artemisia va a Genova, poi a Venezia e poi ritorna a Roma ed infine si stabilisce a Napoli ma ha sempre bisogno di soldi...”
Le conferme per quanto riguarda le caratteristiche legate allo sperpero di denaro e di risorse economiche, il fatto di voler vivere al di sopra delle proprie possibilità, che va a braccetto con il voler apparire “più di quello che si è” economicamente e socialmente, trovano una possibile motivazione rintracciabile nella concomitanza degli aspetti astrologici che evidenzierei di seguito:
Massiccia presenza di fuoco, che rende desiderosi di apparire ed essere visibili, di essere notati per la propria unicità;
Stellium in IX che intercetta il Leone e che, con la casa V cuspide in Ariete, crea numerosi trigoni di Fuoco che imprimono un'energia dilatante all'IO e che danno grande fiducia nelle proprie possibilità, indipendentemente dalle reali risorse di cui si dispone. Non dimentichiamo comunque che il segno del cancro, in cui Artemisia ha il Sole, è un segno fortemente ego-patico, dunque ancora incentrato sull'IO;
Sollecitazioni di Marte in trigono ai luminari che imprimono energia ed impulsività, a discapito della ponderatezza e della corretta valutazione logica delle situazioni e delle proprie risorse;
Venere in IX casa in Leone, insaziabile amante del lusso, dell'oro, dei gioielli, concentrata sulla valorizzazione personale da un punto di vista estetico, quindi anche sull'abbigliamento, l'apparire, il distinguersi per aspetto vistoso e personale che dona unicità;
Un “sostegno” al negativo di un Mercurio che è sì in gemelli ma isolato e dunque vaglia e discrimina ad intermittenza.
Analizziamo per un attimo questo Giove in capricorno che occupa una II casa cuspide sagittario. Si trova nel primo dei suoi tre domicili zodiacali ma nel segno del capricorno. Certamente Giove in questo segno è spaesato e le simbologie del pianeta con quelle del segno equivalgono a dover necessariamente mettere in relazione, onde creare una dialettica costruttiva, Giove e Saturno, ossia il principio di espansione con il principio di restringimento, grandeur e ricchezza con morigeratezza e misura, fantasia con logica, simbolismo con razionalità, fantastico con reale. E' opposto al Sole e quadrato al grado preciso a Plutone (17°), sestile alla Luna ed a Marte. Il padre viene percepito come un uomo di grandi risorse in cui lui per primo non crede, di grande talento e capacità in cui non ha fiducia.
Anche se qui l'aspetto Giove/Plutone è disarmonico, è comunque un chiaro indicatore della presenza di un elevato potenziale creativo. Non sarà stato semplice contattare da subito queste energie dense e grezze ed immagino che Artemisia anche qui abbia dovuto lavorare parecchio e per lungo tempo sulla necessità di raffinare, da questi moti inconsci e destabilizzanti e dai contatti sporadici con la propria parte inconscia, la vera intenzione del sé, quell'energia positiva che lei poi ha incanalato nella sua pittura, aiutata anche dall'aspetto di sestile tra lo stesso Giove e Marte, in cui l'azione marziana e l'ambizione gioviana lavorano in sinergia, a stretto contatto verso una meta comune, che è sempre il raggiungimento di un'auto-realizzazione solare.
Ritengo comunque che questa lesione da parte del Sole proprio su uno degli assi di Giove, ossia l'asse II/VIII che è l'asse delle sicurezze, sia materiali (II casa), sia emotive (VIII casa) in un segno che a mio parere lo lede ulteriormente, lo rendano avido per quanto riguarda il possesso materiale (è in casa II) e che per questo motivo si attiva in modo compensatorio, a risarcimento di gratificazioni e sicurezze che non ha mai avuto (fase natale di casa II: dai 60gg ai 6 mesi circa).
Artemisia ha un Nodo gemelli. I Gemelli sono portatori di una scissione interna e la loro chiamata è quella di contattare parti di sé che non sono entrate nella coscienza e che, per questo motivo, sono estranee all'IO.
Il Signore dei Gemelli, Mercurio, alla stregua di uno psicopompo che accompagnava le anime dei defunti nel regno dell'oltretomba, deve mettere in comunicazione il conscio con l'inconscio, infatti nel mito di Ermes era l'unico Dio che poteva accedere all'Olimpo, così come agli Inferi. In altre parole, poiché il segno dei gemelli è collegato con il mondo dell'inconscio, deve perciò conquistare la sua parte “luce”, acquisendo la capacità di mettere in relazione, di far comunicare dentro di sé, creando un ponte, la parte razionale con la parte emotiva.
Attraverso l'intelligente simbologia astrologica, il tema di Artemisia evidenzia ulteriormente questa necessità per lei, per il raggiungimento del suo progetto, di mettere in relazione in maniera sinergica la propria parte razionale, il Logos, l'energia maschile con la propria parte emotiva, l'Anima, l'energia femminile, onde non essere agita né dall'uno né dall'altro archetipo, ma agirli consciamente e con consapevolezza nel legame solido di una coppia interiore che estragga dai punti di forza e dalle caratteristiche luminose di entrambi, una struttura psico-emotiva solida che la conduca ad abbracciare il suo progetto.
E la creazione della coppia interiore, che altro è se non una tematica di relazione? Su base egoica certo, ma sempre di casa VII! In fondo la casa XII, l'ultima casa zodiacale, ci informa sulla necessità di effettuare un percorso - prima dell'IO nel viaggio in se stesso e poi dell'eroe nel mondo su piani evolutivi superiori – verso l'UNITA', che poggia le basi sull'integrazione personale di tutte le proprie parti e che successivamente diventa integrità.
Infatti il Nodo in Gemelli è nella VII casa, che ospita anche Chirone, sempre in Gemelli. Indica l'ambito della vita che porta la vera ferita di Artemisia, la sua sofferenza e la sua difficoltà, verso cui quindi dovrà tendere ai fini della risoluzione del conflitto interiore e sta nuovamente a rimarcare la necessità di formare la sua coppia maschile/femminile dentro di sé, alla stregua di un uomo ed una donna che devono imparare a relazionarsi per strutturare un “NOI” forte, deve imparare ad entrare in relazione, prima dentro, poi fuori.
Artemisia ha come compito karmico di scambiare e comunicare con il TU, prima interiore, con “l'Altro” da sé” interiore che, per buona parte della sua vita, si è materializzato nella realtà esterna a voler portare alla sua parte cosciente un conflitto inconscio, nel suo profondo, della sua coppia archetipica interiore, tra il suo maschile ed il suo femminile che certamente ha sublimato nell'arte della sua pittura.
Non a caso, attraverso i suoi quadri, abbiamo proprio potuto toccare con mano un percorso evolutivo che l'ha condotta ad una integrazione del suo maschile con il suo femminile.
Il maschile ha smussato i tratti irruenti e violenti, la carica istintuale ed impulsiva marziano/arietina di Giuditta che taglia la testa ad Oloferne”, dove l'artista chiede la presenza femminile (il proprio femminile, alias la Serdar, alias Tuzia) che aiuti a dominare gli istinti destabilizzanti di un fuoco intuitivo, maschile e arrabbiato, potente, che la sua coscienza non poteva accettare e che quindi andava “vinto” (vincere è la sublimazione di un'uccisione): Oloferne, il suo maschile interiore, alias il padre Orazio, alias Agostino Tassi.
Artemisia ha in seguito mostrato al mondo una femminilità vincente, non solo attraverso i suoi quadri, ma attraverso i fatti reali di una vita condotta all'insegna della scelta libera e consapevole, dimostrando un'autonomia, una forza ed una determinazione che a quei tempi nessuna donna avrebbe nemmeno concepito. Questa femminilità lei l'ha creata per sé, come un abito su misura, distillata da un maschile introiettato con il Sole/padre che ha una quadratura al grado a Plutone contestualmente ad una opposizione quasi al grado di Giove sull'asse II/VIII. Giove e Plutone, entrambi in aspetto dinamico al Sole, ci danno indicazioni di un maschile che possiede grandi doti di intuito ed immaginazione in cui però non crede per sfiducia nelle proprie capacità (Giove) e della presenza contestuale di un potenziale creativo enorme (Plutone) che però, essendo bloccato (per l'aspetto di quadratura), non viene espresso e dunque, rimanendo inutilizzato, diventa auto-distruttivo (ossia entra nell'ombra perché non viene riconosciuto ed onorato) e dà origine ad una rabbia appunto lesiva. Un padre depresso dunque? Sfiduciato? Un padre arrabbiato, dai modi bruschi? La conferma potrebbe venire anche da un Marte in IV casa, che effettivamente richiama, in mezzo alle molte simbologie, un padre irruento, sino ad arrivare all'aggressività ed alla violenza.
Il Sole in ottava casa ci parla di una persona che conosce bene la perdita, in Artemisia vissuta attraverso il tradimento e che per questo ha difficoltà a fidarsi e lasciarsi andare all’intimità profonda. C’è una paura di dipendere dagli altri, perché in passato, tutte le volte che si è provato ad appoggiarsi a qualcosa, non si è trovato niente o quello che c’era è stato portato via. Pertanto è difficile fidarsi ed entrare in intimità reale con le persone (ma anche con gli oggetti, che acquisiscono un significato transizionale).
Il lavoro che ha dovuto fare Artemisia è stato dunque quello che riguarda il ricontattare il valore personale (Venere/Saturno, Venere/Nettuno), la fiducia in sé, nella vita e nelle proprie suggestioni (Sole/Giove in opposizione) e, attraverso questi due elementi basilari, imparare a vivere pienamente quello che c’è nel momento presente: relazioni, situazioni, schemi mentali, identità, lasciando che finiscano o si trasformino quando hanno esaurito la loro funzione (progetto del Sole in VIII casa).
Sono mancate le condizioni per un attaccamento sicuro (Luna/Saturno, Luna/Marte) che può aver lasciato un profondo anelito ad un rapporto fusionale e simbiotico (Venere congiunta a Nettuno) che può creare frustrazione, dovuta a due spinte contrastanti, quella legata a Venere/Saturno, anch'essa in aspetto di congiunzione, che non vuole assolutamente dipendere dall’altro e pertanto frena ogni tipo di slancio e si propone in maniera tendenzialmente fredda e distaccata (razionalizzando i sentimenti che finiscono col rispondere all’intelletto), e quella più fusionale che risponde a un bisogno di profonda intimità (che però viene di fatto, se non consapevolmente almeno inconsciamente, evitata) e di un rapporto simbiotico in cui ci si possa appoggiare a qualcuno (Sole cancro). E’ molto presente anche un bisogno di sicurezze (Opposizione Sole/Giove sull'asse II/VIII) che però Artemisia dovette cercare all’interno piuttosto che all’esterno.
Intervista a Michele Nicolaci, storico dell'arte, nella trasmissione su SkyArte HD del novembre 2016 “Artemisia Gentileschi, donna ed artista al maschile”:
“Artemisia è una grande artista, a volte la si definisce un'artista al maschile, per non definirla un caso anomalo, ma è una protagonista a tutti gli effetti di quella che è la scena europea della storia dell'arte.
Artemisia ovunque vada si mimetizza e per questo motivo verrà definita un'artista camaleontica, in quanto capace di prendere vari stimoli a seconda dei contesti culturali e artistici in cui si trova. Quindi a Roma, la Roma prima del padre, poi negli anni '20, la Firenze del secondo decennio del '600 ma soprattutto la Napoli, questa città piena di tutto, una città di incredibile fermento culturale ed artistico, in cui lei passa in realtà metà della sua vita”.
E ancora Francesca Cappelletti studiosa di storia dell'arte, esperta caravaggesca: “A Firenze dipinge quadri che firma con il nome dello zio, si firma infatti Artemisia Lomi, come se volesse proprio mettere una pietra sopra il processo, lo scaldalo e perfino sul nome Gentileschi (…) Artemisia è una donna prensile, camaleontica, una spugna che dà e che riceve un dono, una star isolata del suo tempo ma una pittrice che dà e che prende dai pittori con i quali si trova a lavorare”.
Entrambe le considerazioni riportate dai due storici dell'arte su Artemisia Gentileschi, riferiscono di una pittrice camaleontica e mimetica, prensile, che assorbe come una spugna i molti stimoli dei vari milieu artistici e culturali con i quali entrerà in contatto nella sua vita. Ritengo sia un'inclinazione psicologica data dalla compenetrazione di due tipi di acqua: quella scorpionica della sua Luna e quella cancerina del suo Sole, quindi ancora una volta un'ottima dialettica raggiunta da Artemisia ed ulteriormente espressa sul piano artistico e creativo dal suo maschile con il femminile.
Due anni dopo la sua partenza per Londra, avvenuta tra il 1640 ed il 1641, Artemisia la ritroviamo a Napoli, ossia in quella realtà in cui si sente a proprio agio e riprende il suo giro di committenze che, benché anziana, continua a ricevere numerose ed importanti, Entra nel giro “giusto” e incominciano ad arrivare richieste persino dall'imperatrice Maria d'Austria, mentre altre ne giungono da tutta Europa; insomma qui a Napoli le cose vanno bene e, per questo motivo, è costretta a chiamare anche pittori meno raffinati ed eleganti per aiutarla al completamento delle opere. A questo proposito in quegli ultimi anni, si rivolge al pittore Onofrio Palumbo, con il quale dipinge “Il trionfo di Galatea” e, soprattutto, uno degli ultimi quadri di Artemisia, la “Susanna e i vecchioni”, nella versione che troviamo alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dove come sempre, la donna è dipinta dalla pittrice ma i vecchioni sono dipinti da Onofrio Palumbo. Direi che questo ultimo passaggio nella sua vita di donna e pittrice è proprio l'ufficializzazione materiale e pratica della sua vittoria piena nella lotta tra il maschile ed il femminile che per tanti anni l'ha agita.
Esistono poche e frammentarie notizie sul rientro della “pittora” in Italia e sulla fase finale della sua vita a Napoli, dove morirà prima del 1653. Fu ivi seppellita presso la Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini, sotto una lapide che recitava due semplici parole: «Heic Artemisia».
Attualmente questa lapide, così come il sepolcro dell'artista, risulta perduta in seguito alla ricollocazione dell'edificio. Sinceramente pianta dalle due figlie superstiti e da pochi intimi amici, i detrattori non persero invece occasione per colpirla con volgari ed oltraggiosi scherni postumi.
Cito un sonetto, epitaffio XL, pagina 60 della II edizione del “Cimiterio – Epitaffi giocosi”, composto poco dopo la sua morte, avvenuta appunto tra il 1652 ed il 1653, da due contemporanei, Giovan Francesco Loredano e Pietro Michele i quali, facendosi portavoce del “sentiment” della collettività verso la “pittora”, non le perdonarono mai di essere stata ammirata protagonista in un mondo da sempre considerato solo maschile:
“Gentil'esca de cori a chi vedermi poteva,
sempre fui nel cieco mondo.
Hor, che tra questi marmi mi nascondo,
sono fatta Gentil'esca de' vermi.”
Ma è anche vero che, tra i numerosi detrattori, spiccano anche ammiratori del suo tempo che in Artemisia riconobbero la genialità, come Jerome David, famoso e stimato incisore francese dell’epoca (Francia 1605 – Roma 1670) che nel 1625 fece un ritratto di Artemisia, chiamato: “Prodigio della pittura, più facile da invidiare che da imitare".
Nel seicento, secolo di violenze e chiaroscuri caravaggeschi, una donna si impone in un mondo dominato dagli uomini. E' Artemisia Gentileschi, l'artista che nelle sue tele ha riportato la stessa passione e lo stesso sentimento con cui ha vissuto, orgogliosa e consapevole del suo talento, proprio come le sue eroine.
La scrittrice Anna Banfi, che nel 1947 ha dedicato ad Artemisia un ritratto romanzesco, la definiva cosi: “Una delle prime donne che sostennero, con le parole e con le opere, il diritto al lavoro congeniale ed una parità di spirito tra i due sessi”. E noi sappiamo che non potrebbe esistere affermazione più vera, in virtù del fatto che, attraverso lo strumento dell'astrologia psicologica che abbiamo applicato, abbiamo potuto constatare con mano che Artemisia dovette proprio affrontare questo percorso al suo interno e risulta dunque chiaro che effettivamente questa pittrice sia l'esponente più titolata per simboleggiare la parità tra i due sessi.
La fama di Artemisia è caratterizzata da un'alterna fortuna. Riconosciuta in vita come artista eccellente e gran dama, nonostante non ne avesse il rango, viene subito dimenticata. È un lungo oblio. Solo all'inizio del novecento, nel 1916, la sua pittura e quella del padre Orazio vengono riscoperte da un giovane Roberto Longhi, destinato a diventare il maestro della storia dell'arte italiana. Tra l'altro a lui si deve la rivalutazione di Caravaggio, modello di tanti pittori del primo seicento, tra cui proprio i Gentileschi.
Un nuovo recupero arriva anche da oltre oceano: nell'America degli anni '70 le femministe radicali, che – guarda caso - fanno di lei un simbolo della lotta per la parità e l'affermazione della donna, guardano alla sua biografia, alla ricerca di indipendenza, alla violenza subita, al coraggio delle scelte.
Artemisia è stata tante cose, la grande mostra allestita a Roma presso Palazzo Braschi, da gennaio a maggio di quest’anno e che ho avuto la fortuna di visitare, le restituisce il ruolo di protagonista del suo tempo. Grazie al suo “fare arte” e grazie alla sua capacità di imporsi come personalità, non in quanto donna ma in quanto artista, in quanto pittrice, riesce ad avere una posizione centrale nel milieu artistico del suo tempo. In fondo la sua importanza come pittrice, che non è importante quanto il padre Orazio, che resta pittore superiore, è soprattutto la sua capacità, malgrado fosse donna, al di là dell'episodio della violenza subita che è stato molto strumentalizzato da una parte della storiografia, ad imporsi in un ambiente dominato dal pittore maschio, o dal maschio pittore.
La sua imprenditorialità di donna e di artista sta proprio nell'essere uscita dagli stereotipi tradizionali del maschile e del femminile, per cui le donne sono appunto vittime, sono lamentose, sono idealizzanti. Nella sua pittura non c'è nulla di idealizzante: lei rappresenta il corpo femminile nella sua materialità. Con un anticipo che ha dell'incredibile sulle altre pittrici ed artiste che hanno davvero faticato ad affermarsi nel mondo dell'arte, Artemisia è una vera rarità perché quel mondo era precluso al genere femminile. Ha dimostrato volontà e forza d'animo encomiabili, per cui è riuscita a “tradire” con coraggio il modello di femminile del tempo, il quale contemplava per la donna esclusivamente una vita semplice di moglie e madre, dedita alla procreazione ed alla crescita dei figli, a preparare i pasti, a rammendare e fare ricami e pizzi oppure, alternativa altrettanto riservata ad una donna dell'epoca, di vivere rinchiusa in convento in solitudine e preghiera.
A distanza di circa 3 secoli e mezzo dalla sua morte, che è un arco temporale lunghissimo, dove la realtà femminile si è veramente modificata, si può affermare che Artemisia sia stata un'artista ed una donna nel senso per me più alto: pura, fedele a se stessa ed al suo desiderio, una vita vissuta della sua prorompente passione, impastando con ardore i colori per le sue tele, sublimando tra le tavolozze le sofferenze vissute sulla sua pelle, fatte di tradimenti subiti, distillando grande arte dalla rabbia e dal veleno del suo dolore. Una vita libera e indomita, di riscatto da quello che avrebbe dovuto essere un destino già pronto, in quanto segnato dal peggiore dei disonori per una donna del tempo. Artemisia invece, attraverso la sua stessa arte, si è nobilitata al cospetto del suo tempo fino ad oggi. I suoi personaggi pittorici sono senza tempo e sempre validi secondo me, perché nascono da una ferita dell'anima che lei ha saputo trasformare con una forza morale ed una grinta che l'hanno resa donna e pittrice straordinarie.
E’ indubbio che attorno ad Artemisia Gentileschi sia stata costruita nel tempo un’impalcatura abbastanza “letteraria”. Quel che nessuno può contestare è che ci troviamo di fronte ad una figura fuori dal comune. Riuscì a trasformare lo stupro che avrebbe potuto avere gravi ripercussioni, in una opportunità per attingere ad una propria forza interiore, al proprio coraggio e ad una tempra d'acciaio che hanno dell'incredibile.
Pur subendone gli influssi, fu in grado di non farsi soggiogare artisticamente dal Caravaggio, pittore di grandissimo peso nel campo della pittura, già allora di qualità eccelsa, e di realizzare uno stile assai personale perché espressione della propria vicenda biografica. Riuscì a tenere testa a suo padre, sia come uomo, sia come artista. Nonostante gli accadimenti traumatici e dolorosi non rimosse l'arte dalla sua vita, anzi, utilizzò proprio l'arte come vera ed unica opportunità per lenire le ferite della sua anima, noncurante e superiore alla mentalità che la circondava, una mentalità radicata ed avversa alle sue scelte ed al suo modo di vivere. Ha creduto in se stessa, nonostante i giudizi, ha scelto di creare la sua vita, proprio come un pittore crea la sua opera sulla tela, conformemente alle sue scelte, riconoscendo ed applicando le sue risorse, rispettando i suoi valori personali ed onorando il progetto di un Sole cancro nell'ottava casa: abbandonare rabbia, livore e risentimento, tutte passioni negative che senz'altro affondavano le radici in un'eredità famigliare, un DNA psichico che l'ha sfidata a lungo, per dare vita, al pari di figli, come vuole un Sole cancro, ai suoi quadri, decine e decine di capolavori a noi rimasti, ma si ritiene che altrettanti siano andati perduti.