Quando la mia amica Paola mi ha offerto di accompagnarla a Ferrara per un sopralluogo all’opera di restauro e di recupero di Casa Minerbi Dal Sale, nel cuore medioevale della città, non avrei mai immaginato l’incredibile spettacolo che si sarebbe presentato ai miei occhi: su una delle pareti della sala più grande dell’antico complesso, denominata “Dei Vizi e delle Virtù”, si snoda una mirabile teoria di affreschi in tipico stile giottesco, ma con uno spessore ed una drammaticità tutte particolari. Nell’osservarli, non si può fare a meno di rintracciare nella loro struttura iconografica i tratti essenziali di alcune tra le lame degli Arcani Maggiori dei Tarocchi e di sentirsi trascinati in una danza di simboli, evocazioni e suggestioni che sembrano invitare lo spettatore a fermarsi ed interrogarsi sui motivi e sul misterioso significato di questa sublime teoria di immagini e di colori.
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Quale l’ispirazione?
Certo, è difficile dire con sicurezza che l’autore di questo capolavoro di grazia, leggerezza, ma anche di fine dettaglio, si sia voluto davvero ispirare ad alcune delle Lame dei Tarocchi anche perché l’origine delle carte che chiamiamo Tarocchi sembra più tarda, da collocare agli inizi del 1500.
Per i tempi precedenti comunque, tempi a cui risalgono gli affreschi di Casa Minerbi, sappiamo che era in uso dei principi e delle grandi famiglie del tempo procurarsi, anche spendendo piccole fortune, mazzi di carte molto simili nell’iconografia ai futuri Tarocchi, carte che si pensa addirittura fossero usate per l’insegnamento dei giovani nobili e per la loro formazione filosofico-culturale che si svolgeva direttamente all’interno delle Case più illustri.
Banchieri, uomini di legge ed artisti frequentavano e si muovevano nella prestigiosa Casa, dove si pensa abbia operato il misterioso pittore giottesco, forse toscano, poi conosciuto come Maestro di Casa Minerbi.
Non stupirebbe quindi trovare proprio nelle raffigurazioni delle carte più antiche, la fonte d’ispirazione che ha guidato l’artista nel dipingere i suoi mirabili affreschi, in particolar modo perché proprio a Ferrara è documentata una tradizione molto antica di interesse e di attenzione all’aspetto culturale e simbolico-filosofico di queste straordinarie carte da gioco.
Il simbolo come finestra sull’inconscio.
Ma più che carte da gioco, i Tarocchi sono gli archetipi della psiche umana che, attraverso la forza del simbolo, viene spinta alla ricerca di continue connessioni tra conscio e inconscio ed entra in contatto con un livello della coscienza che altrimenti rimarrebbe precluso.
Loro diventano la chiave per accedere a questo “pozzo” interiore; riflettono infatti i grandi misteri della vita e la lotta senza fine degli opposti: tra il bene e il male, tra l’amore e l’odio, tra la vittoria e la sconfitta, tra la ragione e l’istinto, tanto che, prima di essere uno strumento di arte divinatoria, sono un simbolo di ricerca e di conoscenza interiore: con le loro figure, che si stagliano su un teatro immaginario e senza sfondo, sembrano recitare un dramma universale e allo stesso tempo intimo; è come se due mondi paralleli entrassero in contatto tra di loro per condividere un mistero; macrocosmo e microcosmo s’incontrano in un intimo dialogo che va molto al di là di ogni collocazione storica o spiegazione razionale.
Il cammino verso la conoscenza di se stessi.
E così, è come se “Il Folle”, la prima figura dipinta che si incontra a sinistra, ci prendesse per mano in questo simbolico viaggio per renderci partecipi e spettatori privilegiati di un percorso ideale; è lui che dà il via alla mirabile sequenza.
Come il protagonista un po’ folle e un po’ genio della carta, anche la figura affrescata è un personaggio maschile che indossa un copricapo bizzarro adorno di sonagli, mentre con la destra impugna un bastone.
Identici i colori dei vestiti di entrambi i personaggi ed identica la direzione che li vede andare verso destra, mentre girano le spalle alle lusinghe del mondo per seguire il proprio cammino personale, a costo di sperimentare la solitudine e l’alienazione
(Fig. 1).
Al di sopra di questo personaggio, quasi ad illustrare la “meta” del viaggio, c’è una grande figura femminile che potrebbe essere collegata alla ventunesima e quindi ultima carta dei Tarocchi, “Il Mondo”, la carta più prestigiosa e riassunto di tutte e ventidue le lame; nella carta è raffigurato un personaggio femminile che, inserito in un uovo cosmico primordiale, simboleggia il mondo e la sua creazione.
E un globo sorregge con la mano sinistra, mentre lo traccia con un compasso, anche la figura femminile nel primo riquadro in alto della sequenza pittorica, come a voler simboleggiare “la quadra” da ricercare nella propria vita per esprimere compiutamente se stessi in un percorso tutto personale ma anche armonicamente integrato col resto del mondo
(Fig. 2).
Alla destra di queste figure, una maschile e una femminile, una simbolo di inizio e l’altra di compimento, si dispiega la danza degli altri personaggi che simboleggiano, con grande potenza evocativa, gli impulsi creativi ma anche distruttivi dell’animo umano, i vizi e le virtù, che potranno far compiere nel migliore dei modi il viaggio o segnarne l’inevitabile fallimento.
E si potrebbe riconoscere l’undicesima carta dei Tarocchi, “La Forza” nel secondo riquadro della sequenza pittorica, dove un personaggio dalle sembianze femminili, ma in chiari abiti maschili, accarezza un leone, mentre con un piede ne schiaccia la coda.
Maschile e femminile si uniscono ancora una volta e si integrano alla ricerca della vera forza, fatta non solo di coraggio e di audacia, ma anche di dolcezza e di capacità di resa.
Anche nei Tarocchi troviamo la stessa figura, un androgino nell’atto di domare un leone, simbolo del trionfo dell’intelligenza sulla forza bruta. Ma il Maestro di Casa Minerbi potrebbe essere andato ancor più in là, per significati e intenzioni, di quanto proposto dalla carta: la figura infatti accarezza il leone quasi a voler significare che il nemico può diventare un amico nell’attimo in cui lo si riconosca e lo si rispetti
(Fig. 3).
A questo punto, tutte le altre raffigurazioni potrebbero ben simboleggiare la personificazione di particolari vizi che allontanano l’uomo dalla retta via, come l’ira o l’egoismo e, di contro, di alcune sue virtù, come la giustizia o la prodigalità.
In particolar modo, al mondo e agli ambienti legati alla legge, potrebbero far pensare le due raffigurazioni che iniziano la seconda teoria di immagini, alla destra della raffigurazione del Cristo Benedicente che si inserisce, a buon diritto, in questo viaggio allegorico tra umano e divino, tra sacro e profano.
Dalle poche tracce storiche di cui disponiamo, infatti, sembra che la prestigiosa famiglia Dal Sale, vicina ai Duchi d’Este e la cui presenza è accertata a Ferrara dal 1205 al 1587, fosse legata agli ambienti della giustizia e che tra i suoi membri ci fossero notai, magistrati e giudici di spicco.
Nei due grandi riquadri alla destra del Cristo, si osservano due personaggi, uno maschile e uno femminile che potrebbero essere avvicinati alla quarta e all’ottava carta dei Tarocchi: “L’Imperatore” e “La Giustizia”.
La figura maschile dell’affresco, purtroppo mutila per una buona parte, come la figura nella carta si presenta seduta e rivolta verso sinistra; entrambi i personaggi hanno la barba e indossano un copricapo con le punte triangolari, mentre sorreggono, con la mano destra, uno scettro, simbolo di autorevolezza e di potere.
Sia nell’immagine affrescata che nella carta, le due figure non guardano l’osservatore, ma scrutano in un orizzonte lontano la via della conoscenza e della verità
(Fig. 4).
La figura femminile, invece, che occupa il riquadro superiore a quello descritto, seduta in trono, mentre sorregge una bilancia, è incredibilmente vicina all’ottava carta dei Tarocchi, “La Giustizia”, che è simbolo della capacità che ha l’uomo di riconoscere le spinte opposte che coabitano in lotta dentro di lui e tentare di metterle in equilibrio fra di loro
(Fig. 5).
Un’audace lettura.
E in chiusura di questo mio studio, azzardo un’audace lettura: poiché la prima testimonianza dei Tarocchi in Italia, così come noi li conosciamo, è collegata proprio alla città di Ferrara ed è datata 1516, posteriore agli affreschi di Casa Minerbi-Dal Sale , perché non ipotizzare che proprio gli affreschi del Maestro di Casa Minerbi possano essere stati gli ispiratori di alcuni dei mirabili Arcani Maggiori delle ventidue mirabili carte?