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    GLI ARTICOLI DI ERIDANOSCHOOL
- Astrologia e dintorni

ANAIS NIN ED HENRY MILLER
     a cura di Ljuba Cordara
 
ANAIS NIN ED HENRY MILLER
“Lo svelamento di una donna é cosa delicata. Non avviene mai di notte.

Non si sa che cosa si può trovare” Anais Nin da Hejda

Può una giovane donna di eccellente cultura, di buona educazione cattolica, di integerrimi principi morali, sposata per amore ad un uomo intelligente e sensibile, innamorarsi contemporaneamente di un altro uomo, iniziando una frenetica “educazione sentimentale” che porterà una metamorfosi fondamentale nella sua evoluzione personale e letteraria? Per un astrologo curioso di rispondere a questo interrogativo, la lettura dei Diari di Anais Nin é un’avventura estremamente affascinante: equivale ad introdursi in un labirinto di avvenimenti, sensazioni, emozioni, descritti giorno per giorno, quasi ora per ora, con ricchezza di particolari, sottigliezza di intuito ed intima partecipazione, avendo come duplice filo d’Arianna da una parte la penna di una delle scrittrici che meglio ha indagato nella propria vita emozionale e dall’altra la sottile tela di ragno dei transiti, tessuta arditamente su un tema natale di coinvolgente, incredibile intensità.

Anais Nin nasce a Parigi il 21.02.1903 alle ore 20.30, prima di diversi fratelli, da madre francese e da padre spagnolo, errabondo musicista di successo, e scopre assai presto la sua vocazione di scrittrice. A sette anni firma i suoi racconti “Anais Nin membro dell’Accademia Francese”.
La sua immaginazione è acuita e stimolata dalla necessità di tenere a bada i due fratellini minori ai quali racconta, a scopo di intrattenimento, storie interminabili.
Nel 1914, all’età di undici anni, in seguito all’evento fondamentale della sua vita, cioè l’abbandono della famiglia da parte del padre Joaquin, inizia la redazione del Diario, in quel momento ideato sotto forma di lettere indirizzate al padre.

Da una lettera all’amico Antonin Artaud del 20.06.1933 apprendiamo il dramma dell’adolescente Anais: “Ascoltami Nanaqui. Da bambina adoravo mio padre, corpo e anima (sempre insieme, il corpo obbediente all’anima). Quando avevo dieci anni, mio padre ci lasciò, abbandonò mia madre e la fece soffrire. Ma per me ero io quella che lui aveva abbandonata. Ero già strana, nient’affatto bambina, e avevo la premonizione che stesse per abbandonarci. Al momento della sua partenza mi sono aggrappata a lui. Mia madre non capì la mia disperazione. (…) Ero diventata serissima e per anni ho pianto. Nutrivo assoluta sfiducia nella vita. Mi sono ritirata in me stessa e ho cominciato una vita segreta nel mio diario, ho voltato le spalle alla vita reale.”

In quell’anno la famiglia di Anais emigra negli Stati Uniti.“Avevo undici anni quando salii la scala di un giardino spagnolo e spuntai in simmetriche strade nel cortile di una casa di New York. Camminavo protetta da ombre verdi e scure e seguivo un disegno che ero certa di ricordare.”

L’unico oggetto personale che gli impiegati dell’Ufficio Immigrazione consentirono ad Anais di fare entrare negli Stati Uniti fu proprio il cestino con dentro il Diario.

L’appassionata adorazione per il padre, stravagante ed egocentrico artista, è facilmente leggibile nel tema di Anais nella trionfale posizione del Sole, collocato – da manuale – nel sognante segno dei Pesci, in quinta casa, in buon aspetto con i signori del segno: congiunto a Giove, trigono a Nettuno, sestile a Luna… difficile immaginare un complesso di Edipo manifestato con altrettanto estatico furore.

Benché la Luna sia in sestile con il Sole, la figura materna viene vista come una personalità totalmente antitetica a quella paterna, tesa com’è a soddisfare tutti i bisogni pratici della famiglia; come vuole la Luna in Capricorno, al Fondo Cielo, congiunta ad un pragmatico Urano, in buon aspetto con la congiunzione Sole-Giove ma in conflitto con un travolgente Nettuno posto agli antipodi del Meridiano, nel lunare segno del Cancro. Questa drammatica opposizione Luna/Nettuno impedisce ad Anais di ricomporre dentro di sé la scissione che si verifica nella prima relazione oggettuale del bambino, quella con il seno materno.

Secondo le teorie formulate da Melanie Klein in Invidia e gratitudine, il seno materno, sia quale oggetto puramente fisico, sia quale simbolo dell’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce, viene diviso in due parti: la prima è il “seno positivo”, un gratificante garante del recupero dell’unità prenatale con la madre (in questo tema simboleggiato dal sestile Luna/Giove), la seconda è il “seno negativo” (espresso dalla congiunzione Luna/Urano), il risultato di un qualsiasi elemento di frustrazione che impedisca al bambino di accettare il latte con gioia e di interiorizzare il seno buono, ad esempio l’incapacità della madre di nutrire il bambino, oppure la presenza in lei di angosce e difficoltà psicologiche connesse con l’alimentazione. Sempre dalla Klein apprendiamo che “E’‘inevitabile che delusioni ed esperienze piacevoli si presentino insieme e rafforzino il conflitto innato tra amore e odio,e cioè tra gli istinti di vita e di morte e ciò porta il bambino a sentire che esiste un seno buono ed un seno cattivo. Di conseguenza, le prime esperienze emotive sono caratterizzate dalla sensazione di perdere e di riconquistare l’oggetto buono”. Quindi, quando il bambino non viene soddisfatto nei suoi bisogni nascono le pulsioni aggressive nei confronti della madre, pulsioni che impediscono di interiorizzarla completamente, ostacolando dal punto di vista dinamico la costruzione di un oggetto interno buono che è fondamento per la sicurezza e la serenità interiori. Ma il bambino dipende dalla madre e non può distruggerla, sia pure nella sua fantasia, quindi proietta le sue pulsioni aggressive su oggetti esterni, magari immaginari, che gli danno la possibilità di dividere la realtà fra oggetti buoni e oggetti cattivi; il bambino cercherà quindi di inserire la madre negli oggetti buoni, in modo da poterla interiorizzare ed identificarsi con lei, utilizzando contro questi oggetti “cattivi” gli impulsi aggressivi che in un primo tempo erano indirizzati contro la madre. Quando questo processo psicologico non avviene con successo, come nel caso di Anais, la figura materna viene vissuta in modo contraddittorio: è contemporaneamente la donna piena di salute, esuberante, ricca di progetti per l’avvenire che esce nella fredda New York per andare a racimolare qualche soldo, cantando nelle chiese la notte di Natale, ed é anche la stessa persona che le grida “Mauvais graine, va” quando é in collera con lei perché vede nella malinconia e nell’ipertrofica fantasia della figlia il cattivo gene ereditario del marito.

Fin d’allora Anais rimprovera alla madre la sua scarsa sensibilità, la sua incapacità di inserire nel loro rapporto una possibilità di evoluzione spirituale, di metamorfosi interiore (opposizione Luna/Nettuno), ma contemporaneamente le è grata per la sua affidabilità, per il suo coraggio nell’affrontare quel lato prosaico dell’esistenza, quel lato della vita che riempie di sgomento l’aristocratico genitore (figura idealizzata grazie al trigono Sole/Nettuno).

Tutta la vita di Anais sarà dedicata a ricreare questa difficile algebra emotiva in cui cercherà di riprodurre nella vita relazionale adulta questa doppia fissazione edipica: da una parte, in analogia con il modello materno di seno positivo, la necessità di un compagno di vita che la rassicuri, la accudisca sul piano materiale e la difenda nella vita quotidiana dalla minacciosa proliferazione dei suoi fantasmi interiori relativi al seno negativo, dall’altra parte l’esigenza di incontrare un personaggio simile al padre, in grado cioè di aiutarla a spiegare le ali della sua creatività, della sua fantasia, di liberare in lei la sensibilità poetica che si esprime nello scrivere, unica attività nella quale Anais si sente appagata e libera di manifestare se stessa.

L’impegno assiduo della scrittura, senza lettori o critici, durò ogni giorno della vita della scrittrice e ne affinò l’abilità di descrivere le emozioni momento per momento, una capacità che raggiunse tuttavia compiuta espressione solo nel 1931, dopo l’incontro con Henry Miller. E’ davvero l’incontro del destino quello che il primo dicembre 1931 dà vita alla relazione amorosa e letteraria fra i due scrittori che, all’apparenza, avevano ben poco che li unisse, tranne essere entrambi scrittori debuttanti ed innamorati dello scrivere, legame che si trasformerà in una appassionata amicizia che, non ostante i molti ostacoli, rimarrà intatta durante le lunghe vite dei due autori.

Nella stessa lettera indirizzata ad Artaud, Anais cercherà di spiegare gli avvenimenti di quel periodo partendo dal matrimonio con Hugo Guiler, bello, giovane e “poetico” scozzese, nato a Boston il 15.02.1889 e sposato con idealistico fervore nell’anno 1923: “E all’epoca io volevo tutto, un amore assoluto. A diciannove anni mi sono innamorata di Hugo, soprattutto del suo gentile adorabile carattere. Non sono in grado di spiegare il perché, ma il nostro matrimonio è stato per me un martirio fisico; ma per sette anni gli sono stata fedele. Un anno fa, un’esplosione di angoscia e di passione mi ha tolto l’equilibrio, gettandomi prima tra le braccia di una donna, poi in quelle dell’uomo di cui ti ho parlato. Ho rinunciato alla sterile lotta in favore dell’ideale.”

Certo è difficile immaginare una “crisi del settimo anno” più deflagrante di questa, tuttavia Anais si preoccupò di tutelare la tranquillità dell’uomo che aveva sposato, al quale rimase legata fino alla propria morte, avvenuta nel gennaio 1977: “La mia lealtà verso Hugo è facilmente definibile – scrisse in un momento in cui era già nella necessità di celargli i manoscritti del Diario – e consiste nel non fargli del male”.

Hugo Guiler, nato a Boston da genitori scozzesi il 15.02.1889, trascorse l’infanzia a Puerto Rico prima di iscriversi all’Accademia di Edimburgo, per poi laurearsi in letteratura inglese ed economia alla Cambridge University. Dopo essere entrato alla First National Bank nel 1920, conobbe Anais mentre quest’ultima vive con i fratelli e la madre nel Queens, New York.

I transiti che portarono a questo matrimonio sono indicativi del bisogno di stabilità della scrittrice, particolarmente il transito di Urano in casa sesta sulla tormentata collocazione natale di Venere, transito che scioglie il conflittuale quadrato radix dello stesso Urano a Venere, ed il faticoso passaggio di Saturno sul Marte radix in Bilancia, in prima casa, dopo che il pianeta del rigore razionale aveva fatto trigono alla propria posizione natale e a quella di Mercurio.

Ma, se da una parte appaiono chiare dalla bella sinastria le ragioni che inducono Anais a scegliere Hugo fra gli altri pretendenti – valga per tutte la congiunzione dei due Soli anche se in segni diversi, e la simultanea, reciproca presenza del Giove di lei a infiammare e ispirare il Sole di lui, e quella del Giove di lui a confortare l’attonita Luna di lei – non altrettanto chiare sono, dall’altra parte, le motivazioni dell’intimo dissidio che si verificò fra i due sul piano fisico, per l’intera durata della loro unione coniugale. Se la presenza del Giove del marito sulla Luna di Anais si traduce sul piano pratico, per ammissione della stessa scrittrice, nel “preservarla dalla miseria, dal suicidio, dalla follia”, dandole una bella casa e mantenendo nell’agiatezza consentita da uno stipendio versato in dollari non solo lei stessa ma anche tutta la sua famiglia, non si capisce perché la permanenza del Marte di lui sulla Venere di lei nel sensualissimo segno dei Pesci e l’elettrica opposizione del Marte di lei alla focosa Venere di lui in Ariete, non concorrano ad una serena e soddisfacente vita sessuale della coppia. Forse, una delle ragioni dello scarso appagamento sessuale di Anais nel rapporto fisico con il marito, bello ed innamoratissimo di lei, è da ricercarsi in una forma d’ansia che le impedisce di abbandonarsi alle proprie sensazioni, riscontrabile nella subdola quadratura del Marte di lui alla Luna di lei, aspetto che si traduce per la scrittrice in una sottile minaccia di violenza recata alla sfera più intima della sua femminilità.

La reciproca congiunzione del pianeta Urano di ciascuno dei due con entrambe le posizioni del pianeta Marte non contribuisce certo a rasserenare l’atmosfera dei loro amplessi, che sono turbinosi, al limite dello scontro fisico; la stessa Anais annota nel suo diario nel novembre 1931: “Non siamo mai stati così felici o così disperati. Le nostre liti sono portentose, tremende, violente. Arriviamo a degli accessi di ira folli, desideriamo la morte. Ho la faccia sconvolta dalle lacrime, le vene alle tempie mi pulsano. La bocca di Hugo trema. Basta un mio singhiozzo per gettarlo tra le mie braccia in lacrime. Mi desidera fisicamente… E’ isteria… Tra un litigio e l’altro siamo intensamente felici. Inferno e Paradiso al tempo stesso”.

Più avanti scriverà, sempre nel Diario di quel mese: “Inconsciamente abbiamo creato un rapporto intenso ed effervescente all’interno della pace e della sicurezza stessa del matrimonio. Stiamo ampliando lo spettro dei nostri dolori e dei nostri piaceri nell’ambito della nostra casa e delle nostre due persone. E’ la nostra difesa contro l’intruso, contro l’ignoto”.

Paradossalmente si può dire che Anais sia costretta a tradire Hugo perché si sente legata a lui da una fusione troppo intensa, dalla quale deve ristabilire i confini del proprio io. Dice infatti Aldo Carotenuto: “Il rapporto, ed in particolare il rapporto passionale, è contraddistinto dal motivo della fusionalità. La fantasia di rappresentare un’unità o di sentire perdere la propria identità senza la presenza dell’altro, costituisce il perno attorno al quale ruotano le dinamiche degli amanti. Ciò implica, anche, che nel rapporto si è riconosciuti solo nella misura in cui si corrisponde alle esigenze dell’altro. In ogni coppia si strutturano così degli schemi di comportamento, delle coazioni, e solo su di esse si fondano le dinamiche relazionali della coppia stessa. E’ molto istruttivo osservare come sia sempre lo stesso motivo a generare rancori ed incomprensioni all’interno di una coppia… Se però l’altro è accettato solo nella misura in cui corrisponde a delle aspettative, è anche chiaro che nella coppia ognuno è delimitato da un ruolo e non può uscirne. Il tradimento può essere letto quindi non solo come un abbandono dell’altro, ma come un rabbioso riconoscimento di quelle parti di sé soffocate nella relazione. Se nella coppia la fantasia fusionale fa perdere a entrambi, in qualche modo, la propria identità e quindi i propri confini, il tradimento si propone come un tentativo di ristabilirli. (…) Gli aspetti della personalità messi in ombra nel legame con il partner, quelli più salienti, possono riemergere ed essere manifestati in un altro rapporto. Se si studiasse più a fondo la personalità di colui che muove l’interesse del ‘traditore’, si potrebbe osservare che essa si discosta spesso notevolmente da quella della persona amata in precedenza, forse è più simile a quella del traditore stesso. E’ per questo che io sostengo che il tradimento rappresenta, simbolicamente, un passaggio inevitabile nella vita degli amanti: un momento di apertura verso l’esterno e verso l’interno, un momento di riconquista della propria identità”.

La scoperta e la confessione di quelle che Anais definiva le proprie “sensibilità di amante”, una divorante brama di esperienze, favorita anche dall’erotismo apertamente esibito, dalla viziosità di Parigi, generò, com’è ovvio, un contrasto fra questa sua inclinazione e la sua fedeltà ed amore per il marito, lasciandola “vuota” e “moribonda”. Fu in quel periodo di crisi che Henry Miller, povero in canna e senza casa, arrivò a Louvenciennes per avere quel pasto gratis che il suo amico e benefattore Richard Osborn, altro scrittore esordiente, gli aveva promesso. Tutto iniziò in modo innocente con questo pranzo nell’aggraziata ed accogliente casa dei Guiler alle porte di Parigi, ma l’impatto emozionale dell’incontro fra il ragazzo di Broklijn, come si definiva Henry Miller con la donna-bambina spagnola, come era soprannominata Anais, fu di tale entità da lasciare stupefatti tutti, non solo quelli che conoscevano Anais come moglie decorativa del giovane dirigente di banca emergente, come figlia premurosa, come candida fanciulla cattolica con la stravaganza di difendere scrittori messi all’indice, ma anche e soprattutto lei stessa.

Anais annotò il 1 dicembre 1931 nel suo diario: “Ho conosciuto Henry Miller. E’ venuto a colazione con Richard Osborn, un avvocato che avevo dovuto consultare a proposito del contratto per il mio libro su D.H. Lawrence. Mi è piaciuto subito, non appena l’ho visto scendere dalla macchina e mi è venuto incontro sulla porta dove lo stavo aspettando. La sua scrittura è ardita, virile, animale, magnifica. E’ un uomo la cui vita inebria, pensai. E’ come me”.

Nel primo volume del Diario da lei pubblicato, che comincia proprio dal momento in cui Miller entrò nella sua esistenza, troviamo una descrizione dell’uomo: “Era caldo, allegro, disteso, naturale. Sarebbe passato inosservato in una folla. Era snello, magro, non molto alto (…). Ha occhi azzurri, freddi e attenti, ma la sua bocca rivela emotiva vulnerabilità. Il suo riso è contagioso, la sua voce è carezzevole e calda come quella di un negro”. E aggiunge: “Era tanto diverso dalla sua scrittura brutale, violenta, vitale, dalle sue caricature, dalle sue farse rabelaisiane, dalle sue esagerazioni”.

In realtà, esaminando il tema astrale di questo scrittore, nato a New York il 26.12.1891 alle ore 12.30, non si può fare a meno di avvertire qualche nota di esagerazione, di enfasi eccessiva, ad esempio negli aspetti che coinvolgono i pianeti femminili, a cui fanno da contraltare gli aspetti drastici che piovono su quelli maschili. La Luna di Henry Miller è un esempio di luminare femminile, che pur trovandosi in un tema maschile, non esprime solo il valore di “anima” junghianamente intesa, ma si trasforma nel nucleo centrale della personalità del soggetto, a tal punto da divenire quasi più importante del Sole, cosicché il rapporto con l’universo femminile, dentro e fuori di sé, è il vero banco di prova delle capacità espressive della persona, letterarie e non.


La Luna scorpionica, già di per se stessa “un oscuro oggetto del desiderio” per chi la possiede, diventa ancor meno rassicurante e più nevrotizzata a causa della stretta congiunzione con due pianeti maschili, bellicosi e violenti, quali Marte e Urano. La discesa agli Inferi, irrinunciabile compito di ogni anima scorpionica, per Miller diventa un percorso costellato da mostruose figure femminili, alcune delle quali ridotte a mere personificazioni del fantasma della vagina dentata, descritte tutte come vampire, o meglio come mantidi religiose in attesa di succhiare la linfa vitale a qualche malcapitato. Ecco quindi apparire i suoi ritratti deformanti e crudamente realistici di prostitute, frequentatrici di bar malfamati in cerca di clienti, di esuli in cerca di pasti gratuiti, di artiste in cerca di scritture. Anche la scelta di iniziare la sua catarsi letteraria in un luogo come la Parigi dei primi anni trenta è sintomatica del bisogno del “tetto alieno” tipico delle valenze scorpioniche, e la narrazione che fa della Ville Lumiere è uno spaccato impietoso da cui emergono i vicoli dal selciato sconnesso, il tanfo delle immondizie, le osterie dal banco di zinco sempre sporco, le verdi acque della Senna, i vespasiani sgangherati, il caratteristico odore dolciastro delle stazioni del metrò, le sigarette che si disfano, i piccioni del Lussemburgo, le stanze piene di cimici in albergucci operai, i postriboli, le risse, le sbornie ricorrenti, i prestiti, le truffe; nella sua prosa sconnessa e crudele c’è tutto questo, o comunque c’è il senso di tutto questo.

Eppure Miller trarrà da questo pulsante universo femminile, brulicante di umanità, come la città di Parigi, l’unico alimento in grado di nutrire la sua arte e la sua vita, come vuole il trigono della Luna a Giove in Pesci ed il sestile a Mercurio e al M.C. in Capricorno.

In effetti, sono le donne della sua vita ad aver cura di lui materialmente ed affettivamente, a cominciare dalla sua seconda moglie June Edith Smith, incontrata nella sala da ballo di Broadway, dove la donna lavorava come taxi dancer. Fu June che lo spronò a dedicarsi con costanza alla scrittura dal 1924, anno del loro matrimonio, e che provvide, in modo talvolta misterioso, ai loro scarni introiti, dal momento in cui lo scrittore lasciò il suo ultimo impiego retribuito. Ed è sempre June, la celebre Mara/Mona delle sue successive, ossessive reinvenzioni letterarie, a pagare il biglietto, “dono inaspettato” di uno dei suoi oscuri sostenitori, che porterà Miller a Parigi nel 1930, con la sola compagnia di una logora valigia, piena di manoscritti non pubblicati.

Questi manoscritti rimarrannno non pubblicati “non perché la mia opera fosse infarcita di pornografia – scriverà nel 1957 lo stesso Miller – ma, ora ne sono convinto, perché non avevo ancora scoperto la mia vera identità”.

La sua vera identità emergerà chiaramente solo dopo aver trascorso i primi due terribili anni del suo soggiorno parigino, il periodo più disperato e miserabile della sua esistenza, quello che gli fornirà però la spinta per scrivere il suo primo libro dato alle stampe. E’ il contemporaneo transito di Giove in opposizione al Sole e di Saturno in congiunzione allo stesso luminare (Saturno “scioglie” con questo transito la quadratura radix al Sole) a rendere così difficili gli esordi parigini del Nostro, il quale però riuscì a resistere, al pari di altri bohemiens espatriati, senza un soldo in tasca, anche grazie al trigono dello stesso Giove alla Luna, e al sestile che si stava appena formando fra Nettuno di transito nel segno della Vergine e i suoi pianeti natali nel segno dello Scorpione.

Non risulta alcuna registrazione di un riscontro letterario di Henry Miller nell’immediatezza del suo ingresso nel mondo di Anais Nin, a parte quanto ne è filtrato nella voluminosa corrispondenza tra i due, ma qualche anno dopo, quando, con il sostegno di Anais, stava lavorando al Tropico del Capricorno, Miller scrisse: “La donna che non speravi mai di incontrare, eccola ora seduta di fronte a te, e parla e sembra tale e quale la persona che sognavi. Ma la cosa più strana è che mai prima ti eri reso conto che sognavi proprio lei”. Questa frase è scritta naturalmente per narrare l’incontro del protagonista del romanzo con un’altra donna, ma è lecito supporre che queste parole si riferiscano a quel giorno del dicembre 1931 in cui Miller per la prima volta sedette al tavolo da pranzo di Anais a Louvenciennes, ed è una splendida descrizione di quanto avviene quando un Sole in Capricorno, sprezzante e solitario esule della nona casa, incontra insperatamente una Luna Capricorno al F.C., suo costante contraltare e fedele compagna di strada.

La passione fra i due non scoppia immediatamente – Anais annota nel suo Diario: “Henry mi interessa. Ma non in senso fisico” – anche perché non si tratta di pura attrazione sessuale (i pianeti Marte e Venere non hanno aspetti reciproci nella sinastria), ma di una complessa alchimia intellettuale e fisica, che porta entrambi i partners ad una radicale trasformazione di tutta la loro personalità, come dimostrano la fatale congiunzione della Luna Nera di lei con Sole, Mercurio e M.C. di lui e la contemporanea congiunzione della Luna Nera di lui con il Marte di lei.

Questa potente reazione chimica non si sarebbe comunque mai realizzata se, pochi giorni dopo questo primo incontro fra Anais e Miller, sempre nel dicembre 1931, non fosse arrivata a Parigi improvvisamente June, la moglie di Miller, che farà da catalizzatore fra i due. “Jung fa spesso riferimento al simbolismo alchemico per descrivere la dinamica della relazione: tra due sostanze accade qualcosa che produce ciò che gli alchimisti chiamavano Lapis”, scrive Liz Greene in Astrologia Moderna. “Il Lapis è estremamente misterioso e Jung riteneva che riflettesse un elemento psicologico, più che fisico, qualcosa che ha a che fare con la percezione del proprio centro interiore. Se questo tipo di esperienza ha luogo in una relazione è un fatto raro e prezioso.”

Anais rimase colpita dalla sessualità aperta e manifesta di June di cui scriverà nel Diario: “la donna più bella che avessi mai visto”, la femme fatale che aveva incantato Henry Miller. Per le quattro settimane del soggiorno di June a Parigi, le due donne si dedicarono ad una strana, nebulosa seduzione reciproca. L’aspetto di sestile fra Giove e Luna è presente nel tema di molte donne che preferiscono intessere relazioni interpersonali con persone del loro stesso sesso, inserendo talvolta in questi rapporti una sfumatura di sessualità, che può essere vissuta o rimanere allo stato inconscio. Questa ipervalutazione dell’elemento femminile, che non è necessariamente una componente dell’omosessualità, ha piuttosto a che vedere con la fusione del mito della Luna, vista come la Grande Madre arcaica, con il mito di Zeus, lo spirito creativo primitivo ed indifferenziato della psiche maschile. In questo caso la Luna assorbe la caotica forza fecondante di Zeus, ne costituisce una “forma” che, racchiudendo l’indiscriminata energia fisica dello spirito maschile, diviene il luogo privilegiato in cui si prende contatto con le proprie figure archetipiche.

Riportandoci alle teorie della Klein possiamo azzardare che, inconsciamente, June sia divenuta per Anais un sostituto della figura materna all’interno della sua problematica edipica, a tal punto che, prima, un tentativo di seduzione della stessa June e quindi una conquista dell’uomo appartenente al sostituto materno, costituiranno un risarcimento dovuto per quella mancata identificazione con l’oggetto interno buono, che abbiamo constatato essere la radice dei problemi di Anais e per la conseguente invidia distruttiva nei confronti della figura materna. La Klein, nel libro sopracitato, spiega che “il rapporto carico di invidia verso la madre si manifesta in una rivalità edipica eccessiva, dovuta più che all’amore per il padre all’invidia nei confronti della madre per il suo possesso del padre e del suo pene. L’invidia provata nei confronti del seno viene così trasferita in pieno sulla situazione edipica. Il padre (o il suo pene) diventa un’appendice della madre e per questa ragione la bambina desidera portarlo via alla madre. In futuro, ogni successo nei suoi rapporti con gli uomini, diventerà una vittoria riportata su di un’altra donna. (…) Questo atteggiamento nei confronti della donna rivale significa: “Tu (nel senso della madre) avevi quel meraviglioso seno che io non potevo avere perché tu me lo toglievi e che io desidero tuttora portarti via; perciò ti sottraggo quel pene che tu hai caro”. Inoltre, in questo nuovo rapporto edipico che Anais inscena con le figure parentali sostitutive dei genitori reali, la scrittrice può permettersi il lusso di riscrivere la trama dell’abbandono paterno, cioè evita che il padre abbandoni la madre per un’altra donna che non sia lei stessa, traendo da questa rappresentazione gratificante la forza di rivedere il padre reale dopo anni di rancorosa indifferenza.

Sicuramente per Anais, come per Miller, June era divenuta un’esperienza vitale, non tanto come persona reale, ma in quanto interprete delle proiezioni dei fantasmi interiori di entrambi, e fu senz’altro June a scatenare l’impulso che qualche mese più tardi, nel maggio 1932, indusse Anais Nin a salire per la prima volta in vita sua le scale di un malfamato albergo di Parigi diretta alla stanza di Henry Miller. Da questo momento in poi il loro rapporto si trasformerà da semplice incontro culturale, basato su affinità intellettuali, in una storia intensa, ben più carnale e terrena di quanto si potesse immaginare, e che durerà, tra dichiarazioni d’amore, ricatti, gelosie e rimproveri, ben sedici anni di tenerezze, di affetti e di crude aspettative sessuali.

Nel primo anno della loro amicizia Miller spedì ad Anais un fiume di lettere, ben novecento pagine, più che sufficienti a comporre un corposo volume. E durante i primi anni della loro relazione quella straordinaria produzione epistolare non diminuì, benché venisse prodotta nel bel mezzo della loro variegata esistenza quotidiana, ricca di infinite occasioni sociali vissute insieme, ma anche di ore clandestinamente passate in compagnia l’uno dell’altra. Sono queste lettere a fornirci nuove indicazioni biografiche che ci riportano ai flemmatici giorni di Clichy, al loro “laboratorio di pizzo nero”, dove i due scrittori affinavano il proprio mestiere e facevano l’amore. L’epistolario mette anche in risalto la facilità che questo rapporto amoroso ha di rigenerarsi, partecipando allo sviluppo di queste due anime di grande formato, che riversarono nella scrittura ogni moto del loro spirito.

Anais Nin, fermamente persuasa della grandezza e dello splendore del talento di Henry Miller, soffocò rapidamente i propri dubbi sulla sincerità e l’intelligenza di lui, e fece propria la sua causa, aiutandolo finanziariamente, portandogli doni in libri, denaro, cibarie, biglietti per il cinema e altro. A quanti fra i familiari e gli amici consideravano Miller un opportunista che aveva approfittato di una donna debole, necessitata a dare al prossimo da una forma di coazione, Anais rispondeva dalle pagine del Diario: “Quando per la prima volta ho dato ad Henry e June una cospicua somma di denaro, e loro l’hanno sperperata in bevande in una sola notte, mi sono sentita umanamente ferita, ma non per questo ho cessato di comprendere. Ho dato perché desideravo farlo, e in pari tempo ho dato loro libertà. Altrimenti non darei, ma prenderei”. E’ questo dono della libertà il grande ammaestramento che la Venere di Anais, di nascita quadrata a Plutone e quindi con una innata tendenza a manipolare il suo oggetto d’amore, riceve dal rapporto con Henry Miller, la cui Venere radix è invece trigona allo stesso Plutone. Ripensando al suo primo anno con Henry Miller, anno in cui l’appena scoperto Plutone faceva un trigono liberatorio alla sua Venere natale, Anais soggiunse: “In seguito ho dato amore. (…) Henry ha usato il mio amore bene, in modo bello – ne ha edificato libri”.

Anche dopo che il loro legame sentimentale si fu concluso Miller scrisse di lei all’amico Wallace Fowlie, nel gennaio 1944: “Per me è stata, ed è ancora, la miglior persona che abbia mai conosciuto, una persona che si può ben definire un’anima devota. A lei devo tutto”. Quanto ad Anais, aveva scritto nel suo diario segreto, dopo il ritorno di June ed i conseguenti problemi relazionali con Miller: “Ieri sera ho pianto. Ho pianto perché il processo grazie al quale sono divenuta donna è stato doloroso. Ho pianto perché non sono più una bambina, con la fede cieca di una bambina. Ho pianto perché i miei occhi sono aperti sulla realtà: sull’egoismo di Henry, sulla smania di potere di June, sulla mia creatività insaziabile che deve sempre occuparsi degli altri e non sa bastare a se stessa. Ho pianto perché non posso più credere e io amo credere. Posso anche amare senza credere. Questo significa che amo umanamente. Ho pianto perché ho perso il mio dolore e non sono ancora abituata alla sua assenza. Ho pianto perché d’ora in avanti piangerò meno.”

I rapporti di Anais Nin ed Henry Miller con l’Astrologia

Nella lettera ad Henry Miller datata 8 settembre 1932, Anais ingiunge all’amante: “Scrivi oggi a tua madre chiedendole la data e l’ora esatta della tua nascita”. Ed in seguito, nella missiva del 24 settembre 1932, prosegue: “Senza dubbio giovedì avevo la testa piena di astrologia, solo in un secondo tempo mi sono resa conto di aver lasciato che Fred pagasse la cena. (…) Dobbiamo ricavare il massimo da ottobre e novembre, poiché gli astri in dicembre ci separeranno! Ma Allendy ieri mi ha detto una cosa degna di nota: un unico individuo o un’unica volontà non possono opporsi alle predestinazioni, ma due possono farcela. Due persone che si oppongono all’influenza di un pianeta sono in grado di alterarne il corso (…) anche Henry ed io possiamo farlo: Henry, io e la Bilancia”.

In seguito anche Henry Miller verrà contagiato dall’interesse di Anais per l’astrologia, a tal punto da esercitare lui stesso la professione di astrologo. Nelle note biografiche introduttive al Tropico del Cancro scritte da G. Orwell, leggiamo che al ritorno negli Stati Uniti, nei primi anni quaranta, lo scrittore conobbe un altro periodo di difficoltà economiche: “le sue opere, accusate di oscenità, erano proibite in tutto il mondo anglosassone, non riusciva ad incassare i proventi della vendita dei suoi libri dall’editore francese, così per sbarcare il lunario compilava oroscopi e scriveva racconti erotici a pagamento (riuniti in Opus Pistorum pubblicato postumo)”. Disgraziatamente nessuno di questi oroscopi è giunto fino a noi!

Ci è invece pervenuto un racconto di Anais Nin ispirato a Conrad Moricand, astrologo e occultista francese, autore di un Miroir d’Astrologie, conosciuto dai due scrittori nel 1936 a Parigi. Nel racconto intitolato Il Moicano, Anais lo descrive con questi tratti: “Le persone gli apparivano prive della loro densità umana. Egli vedeva la loro fosforescenza. Parlava della intensità o debolezza della luce in loro, le loro collere erano lingue di rosso idrogeno che guizzavano fuori; un atto di tenerezza: vomito di Venere. (…) Egli ci vedeva tutti senza centro di gravità, meri raggi cosmici di luce liberati dall’esplosione di stelle incostanti”. Anche il suo studio ha, per noi astrologi, un’aria familiare: “Sulle pareti erano appesi oroscopi disegnati con geometrica finezza. I pianeti tracciati in sottili linee blu, rosse e nere traversanti le ‘case’. Le opposizioni fra di loro spiccavano in inchiostro rosso, i quadrati in nero, le congiunzioni in blu. La Luna ed il Sole a volte urtavano e si fondevano nella lotta per dominare. Il dominatore del mondo inferiore, Plutone, era stato scoperto solo di recente e il Moicano ne aveva paura (…), diceva ‘è troppo presto per dire definitivamente quello che Plutone ci fa”.

Davvero non possiamo non provare simpatia per questo studioso bizzarro e profondo dell’astrologia: “Voleva solo sapere l’ora, la data e il luogo di nascita. Spariva per parecchi giorni nel suo laboratorio dell’anima, e noi l’avremmo rivisto solo quando l’oroscopo era – come egli diceva – debitamente infuso, come se ci stesse preparando un decotto di erbe. (…) Non sapeva distinguere fra potenza e atto, fra sogno e realtà. Molte esperienze ed eventi che egli predisse non vennero mai alla superficie della nostra vita: accaddero solo nel sogno. E molti sogni che egli si aspettava rimanessero miti, presero forma umana e divennero reali”. Anche il destino di questo nostro collega – come ce lo racconta Anais – non può non indurci a riflessioni: “Quando venne la guerra, si trovava seduto alla Biblioteca Nazionale intento ad un lavoro di ricerca mitologica. Gradualmente i libri che stava leggendo furono trasportati in luoghi più sicuri. Il Moicano si trovò privato di sostentamento. Studiò tutto quello che rimaneva: cristallografia, erbe e profumi, magia nera e alchimia. Ma presto anche quelli furono imballati in cantine, nei sottomondi di Plutone. Questo significava fame spirituale, e il Moicano perdette peso. Quando vennero i tedeschi, a causa delle sue carte, mappe e calcoli e predizioni sulla morte di Hitler, fu arrestato come sabotatore celeste”.
 

 
 
 
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