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IL COUNSELING IN ASTROLOGIA
     a cura di Fassio Lidia
 
IL COUNSELING IN ASTROLOGIA
Prima di iniziare a parlare di “counselling”, vorrei affrontare quello che mi sembra essere un problema assai spinoso per tutti i consulenti astrologici e che riguarda l’incontro unico per interpretare il tema natale e, al massimo, un incontro o due l’anno per eventuali transiti o rivoluzioni solari. Questo è quanto accade nella maggior parte dei casi, con il risultato che il lavoro è necessariamente frammentario per l’utente, e assolutamente insoddisfacente per il consulente.
Credo inoltre che non vi sia alcun consulente al mondo che possa affrontare in una sola seduta la complessità di un tema natale che, non possiamo dimenticare, riguarda una intera personalità, quindi proprio per qualificare o riqualificare il nostro lavoro occorre sottoporre la problematica alla persona che si trova davanti a noi, cercando di sensibilizzarla verso la profondità a cui questo lavoro può e deve tendere.
Il primo incontro quasi sempre è un approccio, un modo attraverso cui il soggetto entra in contatto con questo strumento e in cui il consulente inizia a vedere come hanno lavorato i simboli su quella vita. Chiaro che l’astrologo può leggere in modo abbastanza preciso un tema natale, tuttavia, il risultato ottimale si ottiene solo qualora si instauri un vero e proprio scambio in cui il consulente può tradurre per il consultante i simboli che per lui sono sconosciuti e può indicargli con buona chiarezza il percorso, il significato di alcune cose, e a sua volta il consultante può fornire quelle informazioni che possono far comprendere il livello evolutivo e la risposta personale al vissuto e alle esperienze.
Inoltre, proprio per le tante motivazioni che vedremo in seguito, è impossibile stabilire una condizione di piena fiducia reciproca e di conoscenza in un unico incontro, ragion per cui sarebbe importantissimo vedere il proprio consultante con una certa regolarità. Ciò perché questa professione mi sembra cambiata molto negli ultimi dieci anni e quindi noi rappresentiamo vere figure professionali in grado di porgere un aiuto ed un sostegno a chi ci interpella. Ritengo anche che questo passaggio ci potrebbe definitivamente portare fuori da quell’aura di magia in cui spesso veniamo visti, come se fossimo capaci di pre-vedere i loro avvenimenti, mentre possiamo essere molto più utili se riusciamo a far comprendere qualcosa della loro vita piuttosto che qualche avvenimento spicciolo.





Ho spesso notato come gli astrologi mostrino molta resistenza quando si trovano a contatto con la parola “counselling”. Nei miei corsi ho incontrato allieve che davano poca importanza al contatto con il consultante, convinte che bastasse saper fare bene il proprio lavoro perché tutto possa avvenire di conseguenza. Questo approccio spesso è oggetto di confusione poiché la maggior parte dei consulenti ritiene che un’impostazione, o meglio, una preparazione adeguata per affrontare il colloquio con un cliente, sia importante esclusivamente se si opera in campo psicologico o psicanalitico.
Vi è poi un altro errore molto comune che ho spesso riscontrato, ed è la convinzione che in astrologia non vi sia alcun bisogno di saper condurre un colloquio, poiché non c’è nulla da tenere sotto controllo, non vi sono situazioni da padroneggiare o da dominare, trascurando del tutto il fatto che noi astrologi, a differenza di consulenti di altri campi (tipo gli avvocati, i commercialisti, i fiscalisti, ecc.) ci interessiamo della vita e, andrei ancora più in là, molte volte dell’anima di una persona, ovvero di quella parte della sua vita che non aprirebbe a nessun altro.
Vi è poi la categoria di persone che sono convinte che il counselling sia un’insieme di tecniche estremamente raffinate, basate su teorie complesse che servono a risolvere empasse tipo i “silenzi, gli stati d’ansia e le crisi emotive”. Ciò che vorrei invece sottolineare è il fatto che qualunque “consulente”, per potersi considerare tale in quale settore lavori, deve avere capacità di utilizzare in maniera ottimale un colloquio ed una relazione per poter offrire al consultante il massimo della sua prestazione. Nel caso specifico, occorre saper condurre una relazione per poter arrivare al cuore della persona accompagnandola pian piano a comprendere cose di sé che può non conoscere o non voler ancora conoscere.
Vorrei ancora aggiungere che noi astrologi possediamo uno strumento potentissimo che può darci informazioni a volte sbalorditive, e il più delle volte ad un’occhiata magari frettolosa e fugace, e di questo ognuno di noi dovrebbe essere consapevole, evitando di buttare qua e là banalità che possono ferire in profondità ed arrecare più danno che aiuto… come fu il caso di una mia consultante che, in palese stato di confusione per una fissazione su una relazione presunta del marito con una conoscente, andò da un’astrologa molto famosa che le assicurò che la relazione c’era e che sarebbe durata altri due anni anche se il marito negava l’evidenza. Se questa astrologa avesse conosciuto almeno un pò certe regole del counselling, avrebbe percepito che il soggetto che aveva di fronte non era sicuramente equilibrato ed avrebbe desistito dal profferire una sentenza che invece contribuì notevolmente ad immetterla nel tunnel della depressione, anziché farla ragionare su altri temi.





La conoscenza di alcune regole del counselling, nonché di alcune problematiche di tipo psicologico, può servire ad illuminare il consulente sulle molte trappole in cui è facile cadere se si è inesperti.
Incomincerò con alcune premesse di base:


- Il primo requisito per chiunque faccia questo lavoro concerne l’accettazione della responsabilità personale e quella di dover portare il consultante a prendere coscienza della propria, in qualunque situazione si trovi in quel momento. Per arrivare a ciò, occorre eliminare il concetto di determinismo, proprio perché lavorerebbe contro qualsiasi tipo di salute o di ripristino di salute. Il determinismo vale esclusivamente per la sfera dell’inconscio, ovvero per quelle parti di noi e della nostra vita di cui non siamo consapevoli e sulle quali il consulente, anche quello astrologico, può contribuire a far luce.


- Chiunque tenti di scaricare le colpe sui genitori, sulla società, sulla famiglia e su quant’altro di esterno, dovrà essere sentito, ascoltato, il suo dolore dovrà essere accolto e condiviso, ma poi bisognerà accompagnare la persona a pensare a soluzioni per sé piuttosto che a continuare a dare spazio ed energia alle strutture del passato. Chi invece è profondamente determinista, mantiene un tratto nevrotico che consente già a sé stesso di scaricare su altri le proprie colpe e le proprie responsabilità o corresponsabilità e del tutto inconsciamente appoggerà certe caratteristiche del proprio cliente. Questo atteggiamento è molto negativo poiché preclude anche la possibilità di trovare e di far trovare una strada di trasformazione. Ribadisco quindi che il primo punto per qualunque consulente – anche astrologico – consiste nel far prendere atto che esiste una precisa responsabilità sulla vita personale e che tutto il resto ne è conseguenza.


- Molti sostengono il determinismo per potersi in qualche modo cullare nei fallimenti che in una vita inevitabilmente si incontrano: se io ho fallito su cento cose diventerà molto più facile credere che esista un destino che ha stabilito tutto da fuori piuttosto che affrontare la profonda revisione della propria nevrosi, che causerebbe sensi di colpa e assunzione di responsabilità e, in ultimo, imporrebbe cambiamenti di rotta nei propri comportamenti.


- Essere colpiti da nevrosi significa non avere libertà e quindi essere schiavi di qualcosa, di schemi rigidi al punto tale da essere diventati automatici.





Il secondo importante punto consiste nell’aiutare il consultante a pensare che la libertà è l’unica condizione per la personalità, ed è anche ciò che più ci distingue dagli animali, proprio perché siamo esseri capaci di rompere con gli automatismi di cui loro sono invece prigionieri.
Per poter fare il consulente bisognerebbe prima di tutto credere alla libertà individuale e, conseguentemente, al libero arbitrio. Con questo, non intendo dire che non vi siano fattori esterni che possano influire ed influenzare una personalità, ma che, in ultima analisi, abbiamo sempre la possibilità di trovare una strada personale proprio perché siamo dotati di un SÉ che può plasmare tutti gli elementi ambientali ed ereditari fondendoli in un modello pressoché unico.
A tale scopo vorrei sottolineare una teoria di Carotenuto, il quale sostiene che se non ci fosse libertà e libero arbitrio non avrebbe senso il fatto che noi siamo dotati di un cervello in grado di prefigurare, nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione, le conseguenze che possono derivarne, sia a breve che a lungo termine, per cui noi siamo in grado di immaginare gli “scenari” futuri; sulla base di questo fatto egli si domanda che senso avrebbe possedere un apparato neuronale capace di “mettere in scena” varie possibilità di comportamento anticipando le eventuali conseguenze, se tutto fosse già prefigurato e se, di conseguenza, avessimo una strada sola, già scritta e tracciata. Se ad ogni bivio, si domanda Carotenuto, ogni soggetto potesse imboccare solo la strada che gli indicano i suoi geni –benefici o malefici – l’azienda-mente dovrebbe aver chiuso da tanto tempo il reparto “ipotesi di comportamento”… Così, egli e noi tutti ci domandiamo a questo punto: ma se questo sofisticato apparecchio fosse del tutto inutile, anziché evolversi e raffinarsi, nel tempo avrebbe dovuto atrofizzarsi.
Infine, tanto per sostenere un qualcosa che già aveva afflitto Platone: se non ci fosse libertà non ci sarebbe neppure responsabilità, perché a che e a chi mai servirebbe?
Il problema consiste nel fatto che la libertà è molto appetibile, mentre molto meno lo è la responsabilità. Purtroppo, noi siamo condannati a scegliere: la scelta è esattamente come la comunicazione NON SI PUÒ NON COMUNICARE e, allo stesso modo NON SI PUÒ NON SCEGLIERE, in quanto lasciar fare agli altri è comunque una scelta. Affidare la propria vita a qualcuno all’esterno è comunque una scelta. Quindi siamo liberi. La libertà offre dignità e, una volta intrapresa questa strada, si tende a desiderarne sempre di più.





Prima di passare ad una seconda fase, vorrei sottolineare che i lavori di consulenza, come tutti i lavori del mondo, non possono essere fatti senza l’uso del BUON SENSO, che in molti casi purtroppo sembra essere diventata merce rara e quasi introvabile.
Il nostro lavoro un tempo lo facevano i confessori, gente che era capace di ascoltare e di valutare le cose senza andare a ricercare astrusi significati e possibilità remote: nel 90% dei casi, fortunatamente, la vita è abbastanza semplice, nonostante gli uomini facciano di tutto per complicarsela. Il 98% delle persone non soffre di gravi patologie, ma solo di incapacità di conoscersi e quindi sopporta insoddisfazioni che giungono dal non rispetto della propria essenza.





Parliamo ora degli scopi che deve prefiggersi un consulente:


- Accompagnare pian piano la persona ad accettare la responsabilità della propria condotta e dei risultati conseguiti nella propria vita. Si può quindi partire dal fatto che sicuramente vi sono state delle influenze, ma che alla fine saranno proprio le esperienze più difficili a portarlo alla ricerca di una sua libertà.


- Un altro grosso problema è quello dell’individualità: infatti la gran parte delle persone ha una grave difficoltà di accettazione di sé; non si sopporta e vorrebbe essere diversa. Una cosa però è certa: non si può essere qualcosa di diverso da ciò che si è. Ogni sé è unico, e buona parte della salute di una persona dipende dall’accettazione di questa sua unicità.


- Questo concetto è di importanza fondamentale e deve essere assolutamente acquisito dal consulente, perché altrimenti può tendere a considerare il consultante come una parte di sé, una sua propaggine. Il tratto più comune nei consulenti è quello di considerare la persona che si ha di fronte come se possedesse gli stessi meccanismi mentali, gli stessi standard morali, e quindi usare la proiezione, violando totalmente l’autonomia e l’individualità del cliente.


- Non servirà neppure dire al cliente di essere sé stesso se probabilmente non ci riesce o se, peggio ancora, non sa neppure chi è. Qualunque buon lavoro di consulenza dovrà quindi tendere a portare il cliente a trovare sé stesso, cosa abbastanza facile da individuare attraverso un tema natale. Del resto, se una persona va in cerca di aiuto, significa che in quel momento è anche particolarmente ricettiva. Nel momento in cui si pone delle domande sarà anche attenta alle risposte. Questa persona sta comunque cercandosi e ciò che riflette al momento spesso è solo una pallida e brutta fotocopia, molto distorta, di ciò che potrebbe essere. Dal tema natale potete vedere immediatamente quali potenziali ha e cercare di stimolarla a scoprirli. Inoltre, avete anche modo di vedere con estrema chiarezza e immediatezza quali pezzi di questa personalità sono attivi e quali sono invece muti.


- Una lettura di un tema natale a livello psicologico consentirà di vedere quali parti del suo tema e quindi della sua personalità sono poco accettate, poco sviluppate; consente anche di comprendere quanto il soggetto si è allontanato da quello che veramente è e deve divenire. La struttura della personalità non può essere modificata o amputata, può essere ricercata, risvegliata e poi successivamente ampliata: i cambiamenti e le nuove esperienze che inevitabilmente si fanno durante la vita devono servire ad aggiungere sempre più consapevolezza e quindi ad imparare sempre più lezioni, ma non devono in alcun modo servire a diventare qualcosa di diverso da ciò che si è.


- La lettura dei due luminari con i tre pianeti personali può dirvi esattamente chi potenzialmente è questa persona, quale progetto ha da portare a termine, quali meccanismi mentali ha, quali gusti e quali capacità affettive e come cercherà di scegliere, conquistare e realizzare ciò di cui ha bisogno. I blocchi su questi pianeti indicheranno deviazioni rispetto al suo vero modo di essere e quindi la costruzione di un falso Sé al quale probabilmente può essere attaccata per motivi di paura e di difesa.


- Un altro pericolo sempre in agguato consiste nel fatto che ogni consultante considera il consulente come una specie di salvatore , o comunque attribuisce ad esso un certo tipo di potere e questo sollecita chiunque abbia una parte nettuniana o plutoniana a ricevere questa proiezione. Il punto da comprendere però non è solo questo, giacché chiunque intraprenda un lavoro di sostegno possiede sicuramente un nucleo che si infiamma e si attiva proprio nel momento in cui sente che qualcuno ha bisogno di lui; non a caso, in genere chi fa lavori di sostegno possiede forti case 11a o 12a, nonché valori uraniani o nettuniani, tuttavia il grosso problema è anche che spesso ci sono forti bisogni inconsci che danno una predisposizione a proiettare parti di sé. L’astrologa dell’esempio sicuramente non conosceva e non padroneggiava bene la sua parte di potere distruttivo (Plutoniana) ed ha finito per rendere un pessimo servizio ad una cliente.


- Questo è pericoloso se non viene compreso poiché porterà il consulente a creare stati di dipendenza che saranno necessari a farlo sentire forte e potente o in grado di salvare; proietterà la propria parte debole senza mai farla crescere e rafforzarla, perché la vive attraverso gli altri. Dietro ad ogni onnipotenza c’è sempre l’altra metà del cielo: un nucleo di impotenza e di debolezza forse non ancora agganciata, e qui le connotazioni Luna-Nettuno e Luna-Plutone nel tema del consulente… insegnano.





Ci sono poi alcune situazioni che possono far scaturire atteggiamenti non autentici del conduttore:


- I deficit nella percezione emozionale del consultante che spesso procurano frustrazione nel consulente che può tendere a ritirarsi. In questo caso il soggetto deve ancora lavorare sul proprio bisogno di riconoscimento che rischia di diventare preminente nei confronti dell’altra persona.


- Il bisogno del consultante di avere un modello – cosa che può lusingare il consulente che ha ancora bisogno di accettazione ed apprezzamento. Questo può indurre un comportamente falso poiché si preferisce non deludere l’interlocutore con un vero contatto.


- Il bisogno del consultante di dipendere affettivamente: l’insicurezza del consultante fa sì che si aggrappi a qualcuno pur di non trovarsi solo con i suoi problemi: Questo può enfatizzare il lato protettivo e la parte bisognosa del consulente, a scapito della sua presenza vera.


- Il bisogno del consultante di dipendere psicologicamente, perché magari non ha fiducia nei propri giudizi, nelle proprie idee, valutazioni ed intuizioni ed intravede nel consulente una persona di prestigio che può consigliarlo in tutto. Questo atteggiamento appaga fortemente il bisogno di riconoscimento intellettuale del consulente che può poi tendere a mantenere una asimmetria intellettiva vera o presunta.


- La coalizione: questo accade molto spesso nelle consultazioni in cui il consulente si coalizza con il consultante contro qualcuno di esterno (parente, marito, datore di lavoro, ecc). Nel far questo, però, si tende a spostare il problema del consultante, deviandolo, anziché portarlo a comprendere il perché del problema e come affrontarlo personalmente.


- La collusione: questa è una dinamica delicata, in cui entrambe le persone collaborano a confermarsi reciprocamente l’immagine di sé che vogliono presentare. È una sorta di tacito accordo inconscio tra i due; il problema che c’è dietro però appartiene al consulente che è ancora troppo concentrato a fornire un’immagine di sé tanto da perdere di vista l’autenticità del rapporto e dell’altro. Chiaro che in questo lavoro vi possono essere situazioni di “transfert” che possono rappresentare un grosso problema soprattutto se il consulente non ha fatto alcun lavoro sulla psiche personale.


- Il pregiudizio: il consulente tende a trovarsi in difficoltà se l’altro ha un pregiudizio nei suoi confronti. In questo caso il desiderio del consulente può essere quello di eliminare quegli aspetti del rapporto su cui gravano pregiudizi rendendo così tutto scarsamente vero.


- Un altro errore che spesso ho riscontrato fra i consulenti astrologici consiste nel fare temi natali a figli, mariti, discutendoli magari con la madre o con la moglie. Oppure, cosa molto frequente, la madre che dice “le porto mio figlio”, poi si scopre che il figlio ha 30 anni, il che rappresenta un bisogno della madre di mantenerlo in una posizione subordinata. In questo caso, il consulente ha l’obbligo di rifiutarsi di vedere il figlio con la madre e di cercare di far capire a quest’ultima che vi sono fasi della vita che escludono il prolungamento del ruolo di madre protettiva o, ancor peggio, di madre manipolante e decidente.





Il colloquio necessita poi della capacità di distinguere tra:


- ciò che si percepisce attraverso i sensi e attraverso le sensazioni del proprio corpo


- ciò che si sente , si prova ed esperisce attraverso le emozioni


- ciò che si presume attraverso il processo deduttivo


- ciò che è un dato di fatto evidente per entrambi


- ciò che è evidente solo per il consulente


Questa capacità discriminativa può esistere solo se si conoscono bene i propri confini, e la differenza tra componente soggettiva ed oggettiva della realtà percepita.








ABBAGLI NELLA CONSULENZA





Vi sono alcuni abbagli che, come consulenti, possiamo prendere:


- Effetto “alone”: consiste nell’estendere all’intera personalità alcuni tratti percepiti nel cliente. Ad esempio, se una persona risulta simpatica ad un primo impatto, considerarla anche buona, disponibile e magari positiva il che tende a mettere in sordina eventuali aspetti negati.


- Errore logico: consiste nella tendenza a correlare tra loro tratti della personalità. Ad esempio, ho sentito dire da un astrologo che un Sole-Saturno, che dà ovviamente una perso schiva, riservata e introversa, dà automaticamente anche una persona fredda, severa e priva di sentimento; l’astrologo in questione aveva un’opposizione Sole Saturno e trasferiva su tutti i clienti una prerogativa che apparteneva a suo padre.


- Pregiudizio: consiste nel dare interiormente un giudizio di valore a qualità e tratti della personalità che il cliente espone o mostra, che sono in conflitto con proprie concezioni di vita o morali; oppure, fatto molto frequente, nell’estendere all’intera vita del cliente qualcosa di particolare che si è visto in un solo settore.


- Giudizio: molti consulenti tendono a dare giudizi su ciò che vedono del loro cliente. Questo è forse l’errore più grave ed anche quello eticamente più scorretto poiché la persona che viene da noi ha bisogno di aiuto e non può e non deve essere giudicata o criticata.


- Indulgenza: consiste nel mantenere un atteggiamento di pseudo-bontà, ovvero nel dire al cliente quello che lui vuole sentirsi dire, consentendogli così di illudersi o di continuare a cullarsi su comportamenti non responsabili. Questo generalmente è il frutto di un bisogno inconscio e non elaborato di accettazione.


Nel colloquio possiamo trovarci di fronte a persone che usano meccanismi di difesa o che adottano misure di sicurezza. Nel primo caso, abbiamo una personalità normale, che adotta difese in modo del tutto inconscio; nel secondo, invece, la persona adotta una precisa strategia per manipolare l’incontro con l’altro. Questa modalità accade spesso quando si ha di fronte madre e figlio, marito e moglie, oppure quando si toccano argomenti che il cliente non vuole discutere.


Le misure di sicurezza sono essenzialmente tre:


- Evasione: avviene quando il cliente accetta solo apparentemente lo scambio con l’altro e quindi lo riempie di banalità, soprattutto su argomenti per lui difficili, ovvero non affronta i contenuti veri; è abbastanza rara nel colloquio astrologico, mentre è una strategia comunissima nei colloqui psicologici, soprattutto quando sono coatti. Questa dinamica però, l’ho vista spesso nei consulenti alle prime armi: siccome non vogliono urtare il cliente, tendono ad indorare le pillole o a non dire con chiarezza ciò che dovrebbero dire, ma in questo modo tutto rimane sul vago e sul generico.


- Seduzione: il consultante accetta lo scambio offrendo cose di sé che mirano alla conquista dell’approvazione del consulente. Questo caso è estremamente frequente quando si fa, ad esempio, il tema ad una coppia: uno dei due può voler in ogni modo competere con l’altro e alla fine il consulente ha la sensazione di essersi lasciato “giocare”.


- Ribellione: è un atteggiamento inizialmente molto comune nelle persone marziane che sono insofferenti, e nei plutoniani che si mostrano chiusi e non collaborativi. Realizzano questa loro modalità in un modo abbastanza classico: silenzi lunghi che sottintendono che siete voi che dovete parlare; attacchi e negazioni quando parlate voi il che è una strategia di svalutazione del consulente e della sua professionalità. Tendono anche a cercare di sottolineare la superiorità proponendo una sfida al consulente. Questa è la più comune delle tre misure di sicurezza ed è quella che generalmente solletica di più i consulenti che sono investiti da manie di potere e di grandezza o di megalomania. Non possiamo dimenticare che, soprattutto all’inizio di questa professione, l’astrologo conosce pochissimo di sé, salvo rarissime eccezioni, è convinto di avere capito tutto e si pone su un palcoscenico da cui pensa di dirigere l’orchestra; in caso di consultanti di questo tipo, egli diventerà una preda facilissima poiché accetterà una sfida che in nessun modo poi sarà in grado di sostenere, anche perché non vi è consulto in cui non vi sia bisogno del consultante: chi crede di poter fare tutto da solo ha problemi di onnipotenza e vuole probabilmente strabiliare il prossimo con quel poco che sa.


- Altro punto rispetto a questo tipo di comportamento: il consultante vuole mettervi alla prova e tiene appositamente un atteggiamento irritante. Se siete in veste di consulente dovreste per lo meno essere in grado di non accettare provocazioni e di smontare lo schema che il soggetto vuole mettere in atto. I plutoniani vogliono che voi giungiate ad un atteggiamento collusivo, poiché il loro gioco consiste nel “vediamo chi è superiore o chi è più forte”.


- Non bisogna mai perdere di vista che in linea di massima voi siete lì per ascoltare, quindi dovete dare la massima importanza a questa dimensione, tralasciando il bisogno dell’Io di riuscire a “rielaborare frettolosamente” per poter dare risposte veloci.


- Nel colloquio bisogna saper distinguere bene tra ciò che la persona dice di avere come intenzione e ciò che invece sono le controintenzioni., che si basano su convinzioni personali. Queste saranno importantissime al fine di vedere come la persona riuscirà nella vita. Ad esempio, se una persona dice “ho intenzione di prendere la patente”, si presuppone che vi sia una certa determinazione interna che la porterà a superare gli ostacoli presenti tra lei e la patente; se però la persona dice “ ho intenzione di prendere la patente, ma credo che non supererò mai gli esami”, il comportamento sarà fortemente contaminato da questo conflitto interno, reso palese da una comunicazione apparentemente normale. Infatti, il soggetto in questione potrà andare a scuola guida ma magari abbandonerà, o si ritirerà prima dell’esame, oppure si presenterà all’esame e ne minerà l’esito in anticipo perché convinto di non poterlo superare. In questo modo, la sua convinzione avrà avuto la meglio sull’intenzione. Ho notato questo nelle persone che hanno quadrature e opposizioni Saturno-Marte e Saturno-Plutone, in cui l’intenzione di Plutone si scontra con le convinzioni o la volontà personale.








COMUNICAZIONE NON VERBALE





In ogni colloquio, a qualunque livello, diventa importante la comunicazione non verbale, ovvero tutti quei messaggi che vengono trasmessi e che influiscono sulla comunicazione. La comunicazione non verbale è divenuta interessante e frutto di studio perché ha la capacità di trasmettere messaggi impliciti e poi perché influenza la relazione interpersonale. Per intenderci, in questa sede come comunicazione non-verbale, affronteremo esclusivamente quella analogica, ovvero quella che deve essere letta e compresa “per analogia”. Parlando di analogia, dobbiamo quindi prendere in considerazione una sorta di traduzione, perché interpretando un gesto o uno sguardo, interpretiamo un’intenzione o un’emozione. Cerchiamo di vedere di cosa si tratta.


Quando comunico sono all’interno di un sistema verbale in cui attivo processi comunicativi che passano attraverso parole, frasi e discorsi. Se comunico non-verbalmente, uso invece una serie di comportamenti diversi:


1 - Elementi non verbali del parlato: qualità della voce, modulazione, vocalizzazioni, intonazioni, pause, ecc.


2 - Cinesica: si divide in macro e micro, la prima comprende i gesti del corpo, il movimento e l’orientamento del corpo nello spazio, tratta per lo più la postura. La seconda comprende espressioni più sottili, come lo sguardo, le espressioni del volto e i suoi movimenti, nonché quelli dello sguardo che trasmettono elementi emozionali e coinvolgimento.


3 - Prossemica: riguarda l’uso della distanza interpersonale e dello spazio disponibile.


Vi sono poi tutte le manifestazioni neurovegetative (lacrime, sudorazione, rossore, pallore) che giungono dal sistema nervoso autonomo involontario. Ultimo messaggio di comunicazione non verbale è l’abbigliamento, l’acconciatura e il trucco.





Certo, per una persona non abituata non è facile prestare attenzione ai vari elementi della comunicazione, tuttavia, attraverso i diversi canali comunicativi si rivelano i conflitti motivazionali, quelli emozionali e quelli tra le diverse sub-personalità.


Una situazione conflittuale può essere palesata in una discrepanza tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale, ma anche tra gli stessi canali non verbali (ad esempio quando la voce non è in linea con la direzione dello sguardo, oppure ciò che sottolineo con lo sguardo viene contraddetto dalla postura del corpo). Di fronte ad incongruenze tra il verbale e il non-verbale, viene tenuta in maggior considerazione la non-verbale, in quando manifestazione non cosciente.


È interessante il fatto che, a livello psicologico, la mancanza di comunicazione non verbale viene considerata un’incongruenza, comunque il risultato di un conflitto psichico o di un tentativo di ingannare gli altri o sé stessi, che nasce dal bisogno di mascherare un messaggio negativo o socialmente non accettato e che, tuttavia, trapelerebbe a livello non verbale.


I genitori psicotici o schizofrenici sono quelli che più di tutti veicolano messaggi negativi attraverso la comunicazione non verbale. I figli di queste persone sviluppano una tendenza abnorme ad interpretare messaggi, unitamente ad una sfiducia di fondo nella propria capacità di leggere correttamente ciò che vedono negli altri. Ad esempio, i Plutone quadrati o opposti a Mercurio, il Plutone leso in casa terza, sono spesso indizi di incongruenza tra comunicazione verbale e non verbale.








I GESTI E LE POSTURE





Rispetto alla cinesica, non sempre è facile leggere bene i gesti poiché bisognerebbe conoscere bene la persona; in secondo luogo è difficile seguire tutto inizialmente, ovvero sguardo, viso e movimento del corpo. La parte superiore del corpo, le mani e il viso sono le parti che abbiamo imparato ad usare al meglio e che sfruttiamo intenzionalmente; tuttavia, la complessità della muscolatura facciale rende difficile il controllo completo. Si ha meno consapevolezza delle gambe, a meno che non ci troviamo di fronte una persona con un controllo totale su di sé.


Vediamo di leggere i gesti.


- Ci sono gesti definiti emblematici perché codificati e sono: la mano alzata per dire alt, fare no con il dito ecc. Questi sono indipendenti dal messaggio verbale ma sono inequivocabili.


- Ci sono poi i gesti illustratori che servono ad accompagnare le parole e facilitano la comunicazione. Si chiamano espressivi.


- Ci sono gesti collegati ad uno stato emozionale: quasi sempre espressioni e movimenti facciali.


- Ci sono i gesti regolatori che sono i punti che servono a delimitare i ruoli tra gli interlocutori nel parlare e nell’ascoltare: comprendono le pause, il distogliere lo sguardo o volgerlo da un’altra parte con interesse, ecc. (sono gesti impercettibili, eppure universalmente riconosciuti e usati).


- Anche la posizione è importante: l’inizio o la fine di una conversazione vengono spesso segnalati da un netto cambiamento posturale di almeno metà del corpo. La posizione, in generale, indica l’atteggiamento verso l’altro e il grado di attenzione riposta nella conversazione.


- La “presentazione” rappresenta l’insieme delle posture con cui appunto ci si presenta e ci si mantiene in rapporto con l’altro durante il colloquio. Quando questo termina, ci si sposta in modo da modificare la distanza e l’angolatura, il che significa che si sta mettendo fine al contatto interpersonale. La presentazione indica il grado di coinvolgimento, di partecipazione emotiva e di intimità tra i due interlocutori.


- Gli adattatori sono gesti che soddisfano esigenze fisiche e/o emotive (grattarsi il capo o toccarsi i capelli, stropicciarsi gli occhi, aggiustare oggetti): vengono in genere usati, anche se del tutto inconsciamente, come riequilibranti di uno stato di tensione, che spesso si manifesta a livello somatico (una parte del corpo che prude e un impellente bisogno di toccarsi, oppure si sdrammatizza e si spezza la tensione ad esempio mettendo a posto gli oggetti sulla scrivania, togliendo frammenti di polvere).


Per quanto concerne l’atteggiamento posturale di base premetto che rappresenta il condizionamento esercitato oggi dalle esperienze emozionali sedimentate del passato, quindi di questo parleremo nell’ambito dei seminari di counselling, poiché in questo caso la postura non ha nulla a che fare con l’espressione del momento, ma servirà a darci un quadro generale del tipo di persona che abbiamo davanti. Quando parlo quindi di postura nell’ambito di un colloquio intendo le sequenze posturali che sono il riflesso dello stato d’animo della persona che abbiamo di fronte. Ovviamente, la postura andrà osservata durante tutto il colloquio o, meglio ancora, durante più colloqui. Se la persona, nell’ambito di più incontri mostra costantemente una fissità nella postura, questo tende ad essere visto come un controllo psicologico o meglio il mantenimento di un controllo e può essere a scapito di una disponibilità ad accettare ed accompagnare le esperienze emozionali. In genere, a ciò si accompagna anche una certa inespressività nel volto.
Un errore in cui si incorre facilmente è quello di giudicare elastica una persona che tende a torcere il busto o a rotarlo: questo in genere appartiene a posture rigide che denotano scarsa possibilità di movimento e quasi sempre da una sola parte del corpo; ha come scopo il controllo dello spazio.
Parlando di postura, occorre tenere presente che una stessa postura può avere significati differenti a seconda del contesto in cui si trova la persona: ad esempio una posizione seduta con i piedi ben poggiati a terra e le mani sulle cosce può indicare rilassamento totale, oppure tensione e rigidità; la differenza tra i due stati dipenderà dalla contrazione o meno dei muscoli respiratori e dall’aumento della rigidità delle articolazioni del collo.


- Annuire con il capo in modo lento e ripetuto significa approvazione e comprensione; annuire invece in modo veloce e risoluto denota impazienza e volontà di intervenire nella discussione; è un invito per l’altro a terminare presto.


- Annuire in modo un po’ vago ha invece spesso a che fare con la voglia di assentarsi e quindi è un modo implicito di assecondare per non essere disturbato.


- Lo stesso può essere detto della testa di lato con lo sguardo verso l’alto: è una presa di distanza dall’interlocutore e dal contenuto della conversazione; se il capo invece tende in avanti è un chiaro segno di sottomissione, di non affermazione di sé.


- Spostare la testa indietro invece ha il significato di cedimento: “tirarsi indietro”. Se invece questo è presente come tratto posturale di base, è più in relazione ad un atteggiamento di superiorità.


- Ritirare la testa fra le spalle è simbolicamente un gesto di riduzione della propria altezza, però equivale ad un gesto di protezione e di chiusura. Se lo si osserva con continuità può essere un’attitudine di opposizione passiva-aggressiva.


I gesti delle mani, contrariamente a quanto si pensa non sono mai molto indicativi, perché le mani accompagnano la parola ed anche l’espressione del viso. Le mani infatti modulano e seguono l’interazione con l’altro.





Certe forme di aggressività e di ansia tendono a far assumere una incontrollabilità nei movimenti (come se diventassero dei gesti auto-adattatori); le espressioni di rabbia tendono invece ad irrigidire le mani e a chiudersi a pugno. L’aggressività tende a dare maggior mobilità della testa e delle gambe.
Le gambe indicano stati emozionali elementari: esser seduti con le gambe aperte può indicare disponibilità e apertura, ma anche aggressività e dominanza. L’elemento aggressività è accentuato dalla posizione con i piedi ben piantati per terra. La diagonalità delle gambe (messe da un lato) verso l’uscita tende a significare il desiderio di sottrarsi, di andare e di fuggire, unitamente al bisogno di controllare un angolo prospettivo di spazio più ampio.
Le gambe accavallate sono un segno di protezione e di chiusura; più è stretto l’accavallamento più c’è bisogno di autoproteggersi. Anche altri gesti possono accompagnare l’autoprotezione: la chiusura delle braccia attorno al corpo; la rigidità della gamba accavallata e del piede sospeso a terra, l’inclinazione del busto in avanti.
Nel corso del colloquio, il cambiamento della posizione delle gambe può indicare un cambiamento di atteggiamento e quindi, una maggior disponibilità e apertura.








IL VISO E LO SGUARDO





Il viso è sicuramente l’elemento non verbale a cui si presta più attenzione; ha un’enorme capacità di espressione e quindi può svolgere un grande ruolo. Le emozioni spontanee si manifestano molto rapidamente sul viso, anche quelle che si vorrebbero controllare o nascondere possono apparire per un brevissimo istante e poi scomparire. Sul volto però possono anche essere espresse emozioni deliberate che possono servire a dissimulare altre emozioni spontanee: occorre una grande attenzione poiché vedrete quelle dissimulate prolungate e accentuate, mentre le microespressioni autentiche saranno veloci, rapide e sfuggevoli. A volte sfuggono anche ad un occhio esperto; di solito vengono individuate attraverso filmati, tuttavia, quando vi sono queste incongruenze solitamente si ha una impressione di non autenticità nei confronti della persona. Le espressioni facciali possono essere simulate non solo per ingannare, ma spesso come forma di circostanza: sorrisini, saluti, convenevoli; la perdita di queste espressioni quasi sempre denota personalità molto disturbate.
Ci sono poi caratteri personali: alcune persone non possono nascondere nulla di ciò che passa sul loro viso, altre invece mostrano una certa fissità.
Lo sguardo è la prima forma di contatto (Venere). Può essere usato per una forma di corteggiamento fino ad una forma aggressiva. Uno sguardo distolto in modo fisso è segno di psicosi od è un sintomo autistico: mentre per l’autismo però questo corrisponde al voler eludere ogni stimolo visivo, nelle psicosi schizofreniche e nei depressi evitare lo sguardo ha a che fare con problematiche personali.
L’espressione attraverso lo sguardo e la mimica facciale è ampiamente usata come regolatore dello scambio verbale. Il cambiamento della direzionalità dello sguardo viene considerato un gesto regolatore o autoregolatore della conversazione. Terminare di parlare e rivolgere lo sguardo all’interlocutore significa cedere la parole e mettersi nella posizione di ascolto; mentre non guardare l’altro tra una frase e l’altro indica esattamente il contrario.
Distogliere lo sguardo verso l’alto soprattutto all’inizio di una conversazione significa che si sta pensando prima di parlare. Se invece durante tutta la sequenza verbale si guarda altrove, significa che si stanno cercando le parole appropriate per continuare: è una sorta di discorso fra sé e sé.
Guardare mentre si parla è anche collegato alla persuasività. Se si vuole persuadere l’altro si guarda con più intensità ed espressività: si è più efficaci. La direzione dello sguardo suggerisce anche se una persona è identificata in un ruolo genitoriale o filiale: guardare dall’alto verso il basso è un atteggiamento “parentale”, mentre dal basso verso l’alto è più “filiale”.
Gli oratori usano con estrema padronanza lo sguardo. Guardare un’altra persona negli occhi rende difficile per chi parla concentrarsi su ciò che sta dicendo e sui propri pensieri. Quanto più è difficile l’argomento, quanto meno si tende a mantenere il contatto oculare. Un soggetto che parla mantenendo il contatto con lo sguardo segnala una grande padronanza dell’argomento che tratta.

 

 
 
 
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