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    GLI ARTICOLI DI ERIDANOSCHOOL
- Astrologia e dintorni

L'ARCHETIPO DI ESTIA
     a cura di Francesca Piombo
 
L'archetipo di Estia

Estia, la dea dei templi e del focolare era una dea senza immagine, ma non per questo non altrettanto rispettata ed onorata quanto gli altri dei.
Era la primogenita delle figlie di Crono ed Era, ingoiata per prima dal padre e liberata per ultima e quindi simbolicamente archetipo della forza interiore che si raggiunge in solitudine, attraverso l’incontro con la propria interiorità, col contatto prolungato col proprio fuoco creativo, che si riaccende e viene vivificato dalla Verità personale.
Non a caso, la dea era venerata come custode dei templi e del fuoco sacro che ardeva nel focolare, non solo quello dei templi ma anche delle case in cui occupava un posto centrale, tant’è che il suo simbolo era un cerchio, così come circolare e centrale era il manufatto che accoglieva il fuoco.
Tra le dee così dette “vergini” era la maggiore, ma a differenza di Atena ed Artemide, dee invocate per dare sostegno nella vita pratica di tutti i giorni, Estia proteggeva i templi e l’architettura domestica, messi in stretta analogia, nella psicologia mitica, sia con la tensione allo spirituale che vive nell’animo umano, sia con quella dimensione di massima concentrazione che permette di poter raggiungere una coscienza “focalizzata” soggettiva, capace di dare senso e significato alle scelte personali.
E’ per questo che l’introversione estiana diventa il prerequisito per focalizzare le priorità, per visualizzare ciò che è scevro dal bisogno, ma fonte di soddisfazione e gratificazione, al di là delle pressioni ed aspettative che arrivano dal sentire e dall’orientamento collettivo, ma anche dai bisogni interni che possono sviare la conquista della conoscenza di se stessi e dell’appagamento personale.
Scrive T.S. Eliot sulla dea in “Quattro Quartetti”: “La dea possiede la libertà interiore dal desiderio concreto, la libertà dell’azione e della sofferenza, la libertà dalla necessità interna ed esterna e tuttavia è circondata da una grazia di senso, una bianca luce immobile eppure mobilissima”.
D’altra parte, nella psicologia mitica, è proprio questa la differenza tra le “dee vergini” e le “dee vulnerate”, non collegata certamente alla sessualità, ma ad uno stato psicologico di maggiore o minore integrità interiore, tale che corpo, mente ed anima possano mantenersi liberi o meno da qualsiasi dipendenza materiale, psicologica, o emotiva/affettiva.
Infatti, l’archetipo della “Dea Vulnerata”, dal latino “vulnus”, “ferita”, si ritrova nella donna che ha bisogno di stringere rapporti molto intensi con le persone a lei care, perché certa di potersi realizzare solo se in relazione affettiva stretta con un’altra persona, mentre l’archetipo della “Dea Vergine” è di solito prescelto dalla donna che aspira a bastare a se stessa, a raggiungere uno stadio di “unità” al di là di identificazioni fisse o di ruoli voluti dalle convenzioni, a tal punto da rifiutare ogni legame sentimentale ed affettivo che si riveli a lungo andare limitante per la sua libertà o comunque da lei percepito come un ostacolo alla sua crescita ed emancipazione.
Tra le dee vergini, sicuramente Estia era la più polarizzata, la più centrata, ma anche onorata per questa sua particolarità, a tal punto che nessuna abitazione poteva considerarsi sacra se non dopo l’accensione del suo fuoco; è per questo che era in uso nell’antica Grecia per la fanciulla che andava sposa, che lasciasse la casa paterna portando con sé una parte del fuoco che ardeva nella casa del padre, per accenderlo poi nella propria e garantire così alla sua casa sacralità e continuità.
Così come il mito ce la riporta come primogenita di Crono, a cui avrebbero poi fatto seguito gli altri dei, altrettanto fondamentale ci appare il suo archetipo come prerequisito dell’azione illuminata, quella che fa seguito alla ricerca della conoscenza interiore perché l’azione esteriore possa poi acquistare senso in base alla scala personale di valori.
Il suo focolare, che rimanda a doti di edificazione e centratura, ricorda la forma dei mandala orientali, simbolo di completezza e totalità.
Scrive Jung in “Simbolismo del Mandala”: “Il suo motivo di base è l’idea di un centro della personalità, di una sorta di punto centrale all’interno dell’anima al quale tutto sia correlato, dal quale tutto sia ordinato e il quale sia al tempo stesso fonte d’energia: l’energia del punto centrale si manifesta in una coazione pressoché irresistibile, in un impulso a divenire ciò che si è; così come ogni organismo è costretto ad assumere la forma caratteristica della propria natura. Questo centro non è sentito o pensato come Io, ma – se così si può dire – come Sé”.
Ed è proprio il silenzio, in piena solitudine, collegato all’archetipo Estia, quello che assume un valore di vitale importanza nella fase iniziale del processo d’individuazione, quando – sotto le pressioni dell’inconscio – la mente può restare disorientata e confusa per le molte sollecitazioni irrazionali che salgono da sotto e che non riesce a spiegare.
Nella sacralità del silenzio infatti, si può recuperare quella dimensione psichica che può isolare dai tumulti emotivi e permettere l’incontro con l’inconscio senza causare traumi e i timori che sempre si rivelano al primo contatto tra le due dimensioni; uno spazio intimo e privatissimo in cui l’uomo e la donna possono ritrovare se stessi, l’unico luogo in cui si può toccare la propria anima e quindi la propria interezza, la propria Verità, senza giudicarla o ritrarsene perché intimoriti dalle sue rivelazioni.
L’archetipo potrebbe quindi rievocare l’elemento Aria, da sempre messo in analogia con la capacità di distacco e con l’invito a raggiungere quell’ “Io osservante” di cui parlava Jung e che è ben compendiato dalle parole di Jeffrey Raff, analista junghiano, nel suo “Jung e l’Immaginario alchemico”: “Al fine di poter compiere il lavoro d’immaginazione attiva, l’ego deve essere staccato dalle immagini dell’inconscio quanto basta per non rimanerne sopraffatto. L’immaginazione attiva richiede un certo distacco, che poi è espressione dell’unio mentalis. Si tratta di uno stato irreale, nel quale si entra per un breve periodo e che però è fondamentale se ci si vuole rendere conto delle forze che agiscono nell’inconscio. Per avviare l’immaginazione attiva si deve essere abbastanza distaccati da rimanere temporaneamente separati dai sentimenti e dalle spinte che s’incontreranno in quel dominio.”
Ma l’archetipo ha anche una valenza “ombra” che deve essere riconosciuta e controllata per impedire che l’individuo, uomo o donna che sia, venga rapito in una dimensione impersonale, in cui l’introversione e l’esasperata ricerca d’isolamento conducono alla freddezza e al congelamento di ogni impulso vitale, un territorio di deserto interiore, in cui si preferisce rifugiarsi non tanto per un bisogno di contatto con la propria interezza, quanto per timore del confronto, per un altrettanto irresistibile bisogno di fuga da ciò che può spaventare e turbare l’equilibrio interiore raggiunto, che spesso è solo apparente e ancor più esposto ad essere vulnerato.
E’ per questo che l’archetipo si incontra spesso nelle Lune in dodicesima casa che, tendenzialmente schive e bisognose di riservatezza, nonché di conquistare uno spazio emotivo che tranquillizzi e rassicuri, ricevono poi pressioni da pianeti più dinamici che le invitano ad esprimersi nel rispetto della propria totalità, sia assecondando il bisogno d’introspezione e segretezza senza dover per questo rinunciare al mondo e a quel confronto con gli altri che può far crescere e soprattutto tenere vivo il fuoco sacro che vibra nel loro cuore.
E il mito ancora una volta ci viene in aiuto perché l’archetipo possa esprimersi al meglio senza deviazioni o identificazioni dannose e fuorvianti.
Infatti, Estia veniva associata a tre divinità maschili, Apollo, Poseidone, ma soprattutto ad Ermes, il dio degli scambi, della parola, il viandante divino.
I primi due cercarono di far innamorare di loro la dea, ma senza riuscirci. Apollo, dio del Sole, simbolicamente messo in relazione col principio di Logos, in cui logica e ragione primeggiano su tutto, fu rifiutato al pari di Poseidone, il dio del mare, messo in relazione con le emozioni travolgenti che inondano la coscienza e minano la lucidità e fermezza mentale quando sia costretta ad incontrarsi con l’inconscio.
Se la donna riesce a non farsi travolgere dalle pressioni di un Animus troppo rigido che la spinge a rinunciare al suo fuoco intuitivo a favore solo di argomentazioni e connessioni logiche preposte a spiegare anche l’inspiegabile, a sospettare e rifiutare tutto ciò che non sia inquadrabile in un’ottica ideale, alla ricerca ossessiva di motivazioni e nessi causali che abbiano un senso e quindi impedisce alla coscienza di pensare all’esperienza prima ancora che viverla; se riesce a non perdersi in un mare di sensazioni irreali ed artefatte, in cui cadere vittima delle sue stesse idealizzazioni che congelano il suo fuoco interiore, ma resta centrata nel rispetto del suo essere “sacra” in quanto fonte di vita, integra ed importante soprattutto a se stessa, riesce ad onorare Estia, riprendendo il contatto con la sua Anima, con la sua vitalità, col suo fuoco creativo.
Diversa è invece la relazione che il mito vuole tra Estia ed Ermes, un incontro benefico ed equilibrato, che si ritrova spesso nel binomio Venere/Mercurio quando sia ben elaborato ed integrato nella ricchezza del suo potenziale.
Mentre Estia non viveva nell’Olimpo, già sottolineando in questa particolarità la sua singolarità ma anche l’umanità di fondo dell’archetipo, Ermes era l’unico che poteva andare e venire a piacimento nei tre mondi dell’esperienza: scambiava infatti con il cielo, perché gli era consentito l’ingresso nell’Olimpo dove si adoperava per riconciliare gli dei quando litigavano tra loro; scambiava con la terra, dove portava agli uomini gli ordini che dovevano eseguire per non far adirare gli dei, oppure riportava agli dei i desideri degli uomini e scambiava infine con gli Inferi perché era l’unico tra tutti gli dei a cui era consentito di scendere all’Ade per accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba ed incontrarsi col giudizio divino.
È Ermes infatti che, con l’appellativo di Psicopompo, accompagnatore di anime, già attribuito al dio egizio Anubis “la guida dei cammini d’oltretomba”, scende agli Inferi per aiutare Persefone rapita da Ade e la riporta alla madre che non si dava pace per la sua perdita improvvisa ed è lui che conduce Ulisse attraverso gli Inferi in cerca dell’amico morto, per poi farlo tornare ai suoi compagni che lo attendono in superficie.
Come interprete degli ordini divini poi, era anche il dio della parola e dell’eloquenza, ma anche dei sogni con i quali faceva addormentare i mortali, quand’erano tormentati da affanni e preoccupazioni, toccandoli con il Caduceo, la sua verga divina.
E’ per questo che Estia, dea del silenzio e del bisogno d’isolamento, veniva associata ad Ermes nel mito, perché è dall’incontro con gli opposti che si può giungere al giusto mezzo cui tende la psiche: tanto Estia era preposta a proteggere l’interno delle case e quindi simbolicamente la sfera animica, la radice stessa della spiritualità, tanto Ermes era preposto a proteggerne l’esterno, la soglia come apertura al mondo, Ermes era “l’andare oltre la soglia”, era il viaggio esterno e non solo interno, in maniera tale che dalla collaborazione dei due archetipi si potesse avere uno scambio ottimale fra il dentro ed il fuori, tra l’azione e l’introspezione, tra il silenzio e la parola, tra il pensare e il sentire, senza la prevaricazione di un archetipo sull’altro.
Scrive James Hillman sull’importanza dell’archetipo Estia e quella che lui definiva “L’intossicazione ermetica”: “Architettonicamente Estia era accoppiata a Ermes. Lui all´esterno, lei all´interno. Via via che ci spostiamo verso l’ipertrofia di Ermes - ciberspazio, telefoni cellulari, satelliti, call-waiting, realtà virtuali - possiamo essere connessi dovunque "fuori", ma avremo sempre più un disperato bisogno della centrante forza circolare di Estia, che ci impedisca di dissolverci nello spazio. Il richiamo dell´interno, del più intimo, dell´introvertito, del dentro, non se ne va; siamo noi che dobbiamo andare da Estia, la dea creatrice dell´architettura domestica. La sua immagine è architettonica e il rituale estiano deve svolgersi in una situazione chiusa: soltanto lì può esserci focus. L´interiore si rivela fra le pareti chiuse e può essere estratto dalla sua errata collocazione. In altre parole, in questo tempo di eccessivo Ermes, l’osservanza di Estia rivolta verso l´interno può essere più necessaria di quanto non lo sia mai stata e quanto si fa per mantenere ardenti i suoi carboni significa fare anima”.
Ciò significa che “tornare ad Estia” e quindi rientrare in contatto col proprio centro interiore, soprattutto in quei momenti in cui confusione e perdita di direzione rischiano i far perdere il contatto con se stessi e di conseguenza con la propria Verità, può garantire l’uso equilibrato della funzione Ermes, perché non vi può essere comunicazione equilibrata con l’esterno se non ci si è aperti innanzitutto alla comunicazione con se stessi, rischiando di confondere i propri valori personali con quelli universalmente riconosciuti e perseguiti dal collettivo.
E’ per questo che la funzione estiana della psiche partecipa attivamente ad un atto religioso, dal latino “religere”, “riunire” e cioè riuscire a visualizzare le spinte polari della propria natura, comprese quelle più primitive ed istintive senza ritrarsene, ma accogliendole come una parte di sé, ma non Tutto di sé perché, solo dopo questo atto di riconoscimento e materna accettazione, l’ombra potrà trasformarsi in luce, attraverso la focalizzazione di ciò che va conservato perché fonte di senso e ciò che va modificato o lasciato andare perché inutile alla propria evoluzione.


Bibliografia:
J.S. Bolen, Le dee dentro la donna, Astrolabio, 1991
C.G. Jung, Simbolismo del mandala, in Opere vol. IX, Boringhieri, 1980
J. Raff, Jung e l’immaginario alchemico, Edizioni Mediterranee, 2001
L. Fassio, Gli archetipi del femminile

J. Hillman, Sul mistero dell´anima e sugli archetipi:
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=11420
 

 
 
 
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