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    GLI ARTICOLI DI ERIDANOSCHOOL
- Astrologia e dintorni

PETER PAN
     a cura di Fassio Lidia
 
PETER PAN
TRA FAVOLA E SINDROME

Questa sera parleremo di Peter Pan, il piccolo bambino che viveva nei Giardini di Kensington, o meglio, prenderemo spunto dalla bella favola di James Matthew Barrie per parlare di due diverse modalità di vivere che si legano entrambe agli spunti offerti dal piccolo e simpatico Peter Pan che non vuole crescere perché dovrebbe abbandonare il magico ed incantato mondo dell’infanzia in cui tutto “è ancora in divenire” e quindi “possibile” niente è già accaduto, per cui è uno stato di “continua sospensione” in cui i sogni, le immagini del futuro e le fantasie possono ancora svilupparsi e aprirsi al mondo.
Così, Peter Pan, Wendy, Campanellino, Capitan Uncino e Spugna e l’isola che non c’è sono tutte potenzialità molto ben espresse dal nostro autore per riuscire a far comprendere che l’immacolato e splendido mondo dell’infanzia può sopravvivere solo attraverso il mondo creativo e attraverso i sentimenti che possono mantenersi intatti insieme alle emozioni intense che in quella fase della vita ci hanno accompagnato e che pertanto ancora ci permettono di vedere come “magico” quel particolare periodo.
Difficile e addirittura patologico cercare di materializzare questo mondo nella realtà della vita poiché questo significherebbe rimanere “cristallizzati” in una fase infantile di eterna immaturità simbolo di una “fissazione” mai risolta che può solo portare la psiche al collasso e al congelamento in quanto l’Io fragile ed insicuro perderebbe il suo ancoraggio al Se’ e non sarebbe nutrita dal continuo bisogno di stimoli e di aperture che solo il progetto d’individuazione può portare a smuovere e a futuro compimento.

La favola di Peter Pan si apre con la figura del signor Darling un noioso gentiluomo scarsamente incline a prendere in considerazione questo mondo interno: appare infatti come una figura un po’ burbera che parla di “azioni” che salgono e che scendono; è un uomo tutto d’un pezzo interamente assorbito dalla sua vita professionale per cui non riesce neppure a percepire cosa accade nella psiche della signora Darling che, esattamente come i suoi figli, è sempre immersa nel mondo della fantasia e dell’immaginazione.
Potremmo vedere in questi due personaggi, a livello astrologico, una contrapposizione dinamica tra Saturno e Nettuno; in cui il signor Darling s’incarica di interpretare la parte Saturno per entrambi e la signora Darling quella Nettuno per entrambi.
Lui è pratico, efficiente e assolutamente realista e pragmatico, lei è sensibile, fantasiosa, immaginativa, eterea, un po’ mistica.

Peter Pan sceglie di apparire a questa particolare famiglia proprio in virtù della facilità che essa ha di vivere nella fantasia e nell’allegria.
Lui ha visto che all’interno di quella casa c’era spazio per i sogni e per le avventure immaginarie: infatti, la signora Darling da tempo si era allontanata dalla voglia di mettere giù conti confidando molto di più sul suo intuito tanto che, quando si era trattato di prender una bambinaia per i suoi tre bambini, essendo in ristrettezze economiche, aveva deciso di adottare Nana, una femmina di Terranova che si aggirava costantemente per i giardini di Kensington ossessionando le bambinaie andando a guardare i bambini dentro alle carrozzelle.

Nana si rivelò una bambinaia eccellente, sempre attenta, pronta e, soprattutto piena di affetto per i tre bambini.
In effetti, la signora Darling cominciò a conoscere il personaggio di Peter Pan perché i figli ne parlavano sempre più intensamente fino al punto da solleticare moltissimo la sua attenzione quando le dissero che ormai c’era costantemente l’ombra di Peter Pan dentro casa: ella aveva molti dubbi e ne aveva parlato anche al signor Darling il quale aveva letteralmente tagliato corto sostenendo che era Nana che metteva strane idee in testa ai suoi figli.
In ogni caso, l’ arte fantastica della favola consiste nel portarci gradualmente ad un grande significato che è espresso nel finale: in esso infatti l’autore sembra riproporre da un lato il sempre difficile tema della crescita che, nel caso, viene affrontato in modo chiaro da Wendy, nel momento in cui sente la nostalgia di casa e vuole tornare alla sua famiglia; dall’altro però fa leva sulle capacità dei bambini - o di chi rimane in contatto con questa parte - di far rivivere negli adulti delle fasi della vita che sembravano chiuse da sempre e per sempre.
Infatti, la storia si conclude con il burbero signor Darling che si ritrova a guardare anche lui dalla finestra dalla quale magicamente riesce a scorgere il galeone di Capitan Uncino che solca le nuvole, ma quel che è grande è che mentre guarda trasecolato e con stupore il cielo, riesce a dire ai suoi figli che quell’immagine e quell’isola lui le aveva già viste, tanto … tanto… tempo prima.
Ovviamente la favola riesce a sottolineare che nella psiche del signor Darling è accaduto qualcosa di interessante nell’arco dello spazio tempo raccontato : si è infatti ammorbidito, si è tolto la corazza e – quasi per miracolo - si è ricordato dell’infanzia e, proprio questo, lo ha fatto sentire bene e, soprattutto lo ha fatto sognare, ancora una volta, permettendogli di riaprire un canale che prima era chiuso: in una parola lo ha fatto ri-nascere.

Questa è la vera magia della favola, un gran finale che deve essere un monito: se non perdiamo questa parte siamo in grado di essere grandi – adulti e maturi senza però perdere le potenzialità, la creatività, la spontaneità e il sogno dell’infanzia: se ci scolleghiamo da essa, entriamo in una realtà imprigionante e limitante che non ci permette di creare e di mantenere il legame vero con la vita e, a quel punto, la vita risulterà inficiata nelle sue più grandi qualità.

L’uomo ha dentro una “matrice” originaria che è piena di forza, di originalità, d’inventiva che lo rende unico e speciale; se questa riesce a dispiegarsi si svilupperà la sua individualità; se non si può vivere questa fase e non si sviluppa la creatività, l’uomo saprà solo imitare il che significa che livellerà le sue potenzialità al minimo, e si appiattirà su territori conosciuti e collettivi, che non saranno mai in grado di “rinnovarlo”. Se si distrugge questa parte, pian piano diventa aliena, lontana; il prezzo da pagare per l’imprigionamento del nostro “bambino interiore” è la sudditanza alla realtà esteriore apparente, il che significa la costruzione di un’impalcatura rigida che relegherà l’uomo a vivere la vita sui livelli più bassi.
Se invece ha potuto esprimere bene questa parte e la fase infantile di sogno, di onnipotenza e di vera unicità si è svolta in modo regolamentare ci sarà un forte contatto con il proprio bambino interiore il che significa che ogni volta che sarà necessario l’uomo saprà far ricorso a quelle forze rigenerative che lo ri-creeranno.

Peter Pan e il suo mondo incantato e fantastico sembrano ricordarci che all’intero della nostra psiche o del nostro cuore esiste un angolo in cui si mantiene intatto il nostro “bambino divino” o“bambino interiore” che possiede le potenzialità e le modalità di agire dell’infanzia; basta “risvegliarlo”.
Questa parte non ci abbandona mai e, quando non può attivarsi, rimane in attesa, in “sospensione”…; purtroppo la maggior parte degli adulti non si riconnette più con essa e così perde buona parte delle potenzialità e dei segreti che in essa sono contenute che sono anche ciò che l’uomo condivide con Dio e con l’universo; è proprio questa immagine interna di “creazione” che rende l’uomo unico e speciale; per creare però occorre essere liberi, aperti, contemplare ogni possibilità, bisogna non porsi dei limiti nella “visione”, bisogna, a volte, credere che i miracoli possono accadere e che i sogni possono avverarsi, e questo in virtù del fatto che nella nostra psiche tutto è già accaduto – accade ed accadrà, perché essa è un continuum che va oltre alle imprigionanti barriere dello spazio tempo che obbliga a limitare di tanto le cose.
Vi siete mai chiesti da dove origina l’inventiva? Da dove giunge quella forza misteriosa che fa si che su un milione di persone una riesca a vedere qualcosa che va “oltre” ciò che vedono tutti gli altri?
Pensate per un attimo alla meravigliosa frase che dice il bambino di due anni “…facciamo finta che” … è proprio qui che c’è la magia, ma è la magia della sua natura infinita, che ha voglia di creare, e che può in effetti “trasformare” tutto ciò che tocca.
Nei miti, gli Dei creativi venivano accreditati anche della potenzialità di trasformare ciò che toccavano: Zeus trasformava, Ade trasformava, Afrodite trasformava e rendeva bello tutto ciò che guardava e toccava.
Non potrà accadere nulla nella cosiddetta “realtà” se prima questo non è già accaduto nella nostra psiche: che cos’è che fa muovere le cose? Che cos’è che ci fa muovere? Pensate all’uomo primitivo che con il suo “pensiero mitico magico” riusciva a percepire l’essenza delle cose, in una forma totale e coinvolgente, qualcosa di molto improbabile per l’uomo moderno.
L’uomo è sicuramente cresciuto, ha acquisito una conoscenza pratica, tecnica, razionale che gli permette di risolvere grandi problemi; si ritiene in grado di padroneggiare la materia; la guarda, la studia, crede di averla in pugno: tuttavia l’uomo moderno ha perduto quasi totalmente la magia della vita e – almeno io credo fortemente – che sia proprio questo che deve essere riacquistato; questo è il passaggio, altrimenti il prezzo da pagare è troppo elevato!!!

Un mi insegnante diceva : “se una cosa ti rende monco : non farla!!” ciò che è naturale per l’uomo permette di allargare la mente, di aprire nuovi orizzonti, se limita non va, vuol dire che non siamo sulla strada giusta.
La grande conquista dell’uomo sarà la LIBERTA’, sarà il poter guardare il mondo affacciati sul grande terrazzo dell’universo e non barricati dietro ad una porta, costretti a cercare di capire i grandi segreti dell’universo sbirciando dal buco della serratura.
Forse è proprio questo che ci vuole dire PETER PAN…….

La specificità di questo pensiero mitico magico, consiste nella creatività che, come dice Aldo Carotenuto, è la capacità, ma anche il bisogno di recepire le percezioni del mondo naturale; il bambino ha la voglia di scoprire, di progettare il mondo, e proprio per questo, mentre cresce, modella se’stesso, ma modella anche il mondo; mentre conosce se’ stesso, conosce e trasforma anche il mondo che lo circonda.
Gran parte della creatività che il bambino possiede viene dimostrata nel gioco che dovrebbe essere considerato per il bambino un “vero e proprio lavoro”.
Ci sono addirittura scuole psicologiche, tipo quella di Berne, che sostengono che il bambino all’interno dell’uomo rappresenta l’aspetto piu’valido e più significativo della personalità; anche la pedagogia di Stainer è tutta incentrata sullo sviluppo di questa parte che deve poi rimanere intatta nell’adulto.

Nella mia vita io ho avuto una gran fortuna, quella di incontrare “l’astrologia”.
Non so dirvi se sono io che sono capitata a lei, oppure se è stata lei che ha creato le possibilità e le occasioni per accadere a me e alla mia vita; comunque questo è un tema non importante, il fantastico sta nel fatto che “l’incontro è avvenuto”; ovviamente – faccio la premessa doverosa – l’astrologia non è l’oroscopo, ma è anche l’oroscopo e, prima di essere quel meraviglioso strumento di conoscenza e di autoconoscenza che pochissimi conoscono - mentre molti “misconoscono” pensando che sia quella presentata alla Tv come un giochino da salotto – è invece un modello universale che spiega in maniera inequivocabile come funziona l’universo, ma se l’Universo è il grande ARCHETIPO, il prototipo di qualunque “sistema” vivente, comprenderlo significa comprendere quali sono le energie che muovono le cose, in attesa che vi sia un’evoluzione tale per permetta di “muovere insieme alle cose, partecipando al Tutto”.

Ebbene, senza troppo divagare, nello Zodiaco e nel tema natale, il settore della vita in cui può sopravvivere il nostro PETER PAN personale è quello della casa quinta, quella casa che personalmente chiamo “la casa del nostro bambino interiore” che però - qualunque astrologo può confermare quello che dico stasera – è anche la casa della nostra CREATIVITA’, è la casa della potenzialità riproduttiva che noi possediamo, è la casa dei “figli”; ora, cerchiamo di fare un po’ di associazioni, anche se per fare queste associazioni dobbiamo by-passare un minimo lo schema che si usa di “solito”.
La possibilità di riprodurci è legata indissolubilmente alla nostra CREATIVITA’,se perdiamo contatto con essa, ci sentiamo “sterili”.
Non esiste solo la creatività biologica, esiste anche una creatività psicologica; così, mentre la prima sempre essere più collaudata – anche perché è strutturata in modo tale da garantire la sopravvivenza della specie – la seconda è più “sofisticata”, ha bisogno di maggiori stimoli, ha bisogno di essere alimentata e nutrita.
Andiamo ancora più in là: pensate che il settore della riproduzione in astrologia è lo stesso – per ovvi motivi – anche della sessualità; la parte biologica della sessualità è stimolata e mossa dal desiderio, dall’attrazione verso l’altro ed è questo che mette in moto la “pulsione ad accoppiarsi che è in fondo…una pulsione a riprodursi”, ma che è anche una mossa dal bisogno d’immortalità dell’uomo che vede così nella propria riproduzione “figlio”, una parte di se’ che sopravvive.
Certo, non è difficile fare sesso e riprodurci …. Ma dove sta però il “sesso psichico”, dov’è che possiamo trovare “l’orgasmo psichico”?

IMMAGINANDO, FANTASTICANDO, SIMBOLEGGIANDO, DIVERTENDOCI, CREANDO nella nostra psiche il nostro futuro, il nostro mondo; non c’è nulla che possa essere realizzato se prima non è stato CREATO, CONCEPITO ED IDEATO nella nostra psiche. Questo è il significato vero della parola “creare”, quando creiamo, lo facciamo per noi stessi, ma al tempo stesso offriamo anche la nostra creazione al mondo; mentre creiamo condividiamo la potenzialità che è più vicina a Dio, ci sentiamo come lui, forse …. Siamo come Lui.

Purtroppo la nostra società non così incline ad alimentare la creatività – che può esistere solo in regime di libertà e di individualità – in effetti, quanto più un individuo può affermare ed esprimere in maniera naturale e fiduciosa la propria personalità e la propria unicità, tanto più la comunità si arricchirà di questo contributo (asse quinta/undicesima); esiste, infatti, un profondo rapporto dialettico tra il bisogno di esistere in quanto “essere sociali” e quello invece di procedere al soddisfare il proprio bisogno di sviluppo individuale.
Se questa creatività non viene esaltata e se non viene premiata, lo scotto e il prezzo da pagare non è solo quello dell’alienazione da SE’, ma è anche un non sviluppo del “senso sociale”; l’uomo che rimane monco, lontano da sè stesso, sarà anche lontano dal mondo e non arricchirà la comunità in cui vive.
La nostra società, non premia l’individualità, cerca anzi di appiattirci su una vita collettiva, monotona ma molto più possibile da gestire, e così, perde sia in potenzialità individuali, sia in vita sociale. Possiamo andare ancora più in là; siamo una società per certi versi “immatura”, poiché abbiamo uno scarsissimo senso degli “altri” in generale, abbiamo una scarsa sensibilità verso ciò che ci appartiene e troviamo scarso interesse nel “partecipare” al mondo e a tutto ciò che riguarda il mondo, come se noi fossimo “alieni” a tutto ciò che ci circonda e che – è NOI.

Psicologicamente parlando esiste dunque una predisposizione naturale della psiche a rivolgersi al mondo esterno e alla totalità, a creare e a dare un contributo al mondo ed è proprio il restare in contatto con il nostro bambino interiore che può favorire questo spirito: la creatività psicologica è lo strumento indispensabile per costruire il mondo, e allo stesso tempo costruire sè stessi.
Se però i bisogni del bambino vengono inibiti in favore dei bisogni dell’adulto – troppo spesso poco creativo – ecco che verranno messi in atto modelli che saranno di congelamento di questa potenzialità. E’ così che Peter Pan è costretto ad andare in luoghi che siano “altro da noi”; però è anche così che si allevano figli con una logica competitiva anziché cooperativa.

Se questo modo è negato, disatteso e se non riusciamo ad entrare in contatto con la nostra spontaneità, se rimane solo un “bambino ferito” anziché un “bambino divino”, rischiamo di incontrare il lato ombra di PETER PAN, che è un lato patologico, una vera e propria sindrome.

La sindrome di Peter Pan è l’impossibilità di crescere che invece è una vera e propria nevrosi che si caratterizza con la difficoltà a staccarsi dalla matrice originaria il che comporta una problematicità con l’equilibrio interno e con la stabilità: queste persone sono mosse da continue ideazioni che spiccano dalla loro vivacità immaginativa, tuttavia, il processo non si compie e tutto rimane a livello di idea e di progetto senza che vi sia un successivo passaggio alla concretizzazione degli stessi. Questi soggetti devono cambiare in continuazione i loro obiettivi perché in realtà non sono in grado di portarli avanti essi sono però la conseguenza di una non crescita, di un blocco che vede nella maturità emotiva un ambito pericoloso ed angosciante verso cui attivare difese titaniche che possono andare dalle ossessioni, alle fobie, e alle massicce proiezioni tutto tendente a mantenere lontano da se’ e dalla coscienza, quei contenuti psichici che appaiono sotto forma di persecutori, di demoni contro cui solo l’isolamento e la fuga sembrano dare tranquillità.
All’interno della nostra psiche possediamo, infatti, due energie potentissime che apparentemente sembrano opposte ed inconciliabili ma che in realtà rappresentano la possibilità di poter avere una personalità sana, stabile e al tempo stessa aperta alle nuove opportunità che la vita in continuazione ci porta attraverso l’interazione con il mondo: se riusciamo a metterle in linea e a farle funzionare entrambe e non in modo conflittuale, potremo andare molto lontani e non saremo mai individui troppo difesi o troppo labili.
In effetti, la favola c’insegna che dobbiamo rimanere giovani e legati allo spirito della giovinezza, che non dobbiamo crescere e non dobbiamo invecchiare.

Purtroppo, oggi giorno ci troviamo sempre più spesso di fronte a persone che vorrebbero avere un ritratto (tipo quello di Dorian Gray) che fosse in grado di assumersi le rughe e gli acciacchi della vecchiaia, permettendoci di restare “intatti” e, con questa parola, intendo dire ETERNAMENTE GIOVANI.
Questo modo di pensare è in parte dettato da fattori esterni, legati all’immagine e al tipo di cultura imperante che sembra premiare solo le persone che non invecchiano e che si mantengono “giovani nel fisico”.

Ovviamente, bisogna capire bene che cosa c’è dietro a questo “sogno” che sembra piu’ una cristallizzazione, un senso di blocco e d’implosione della personalità e, infatti, è utile cercare di capire quali sono i risvolti nascosti spesso anche alle stesse persone che vorrebbero questa soluzione.
Uno dei temi fondamentali della vita è il senso dell’esperienza che è qualcosa che si ottiene nel tempo e attraverso la crescita della consapevolezza; questa però è possibile solo se è stato concesso fin da piccoli di esprimere l’inevitabile spinta verso la conoscenza : il bambino da solo va verso l’esplorazione: è così che il bambino incontra il mondo e va verso il mondo.
L’impulso creativo non è qualcosa che si acquisisce da adulti, è qualcosa che nasce con la vita e, nella visione di Winnicott, questa creatività è vista come la possibilità in ogni momento di dare inizio ad una nuova genesi del mondo; ha a che fare con il concepimento dal nulla, che sembra essere un processo attraverso il quale un nuovo contenuto psichico appare sotto nuova veste alla coscienza la quale, immediatamente lo afferra, lo riconosce e intuisce ciò che prima sembrava irrilevante. Il risultato – sempre secondo Winnicott – è un felice intreccio tra il senso di realtà e la fantasia del soggetto, ma è anche quello che fa si che la vita valga la pena di essere vissuta; in pratica, ciò che dà il senso di pienezza della vita.
Se questa parte non c’è ecco allora che con facilità può emergere – quasi a compensare il vuoto - l’idea di restare sempre giovani che è però qualcosa di fantasmatico e di illusorio, la cui realizzazione suonerebbe così:
belli ma assolutamente senza senso della vita il che non sembra essere una cosa così desiderabile: tra l’altro vi sono anche visioni diverse: la maggior parte delle persone ha idealizzato la fase dell’adolescenza, anche se la psicologia legge in questa fase uno dei momenti più difficili della vita in assoluto.
Dunque, perché questa dicotomia, questa differenza di vedute?
Forse perché noi dell’adolescenza apprezziamo le tantissime opportunità, la capacità di ricominciare ogni volta da capo, l’immagine aperta di un futuro ancora tutto da disegnare e colorare…, un futuro tutto da creare in cui noi possiamo ancora scriverci ciò che vogliamo; sono proprio queste potenzialità dell’adolescenza, queste “promesse” di qualcosa che deve ancora venire e che si deve ancora realizzare che rendono così magica l’adolescenza e la giovinezza.

C’è un altro punto importante: la sensazione del tempo; in effetti dai 18 ai 30 anni il tempo sembra essere infinito, sembra non scorrere…; gli adolescenti spesso vorrebbero aggiungersi degli anni nella speranza di essere “visti più grandi” e molte volte mi hanno confidato di non vedere l’ora di avere 30 anni….
Perché dunque gli adulti sognano di tornare indietro mentre gli adolescenti invidiano la condizione adulta?
Gli adulti vorrebbero tutto il tempo che gli adolescenti hanno e tutte le opportunità ancora da cogliere e da vivere degli adolescenti e dei giovani; i giovani sognano invece la capacità di autodeterminarsi e di essere padroni della loro vita, ma anche la capacità di scegliere, tipica manifestazione della condizione adulta matura, capacità tra le difficili da affrontare e da raggiungere; ma mano che si cresce le scelte ovviamente si fanno piu’ forti ma piu’ rare, proprio perché indubbiamente diminuiscono le opportunità, diminuiscono non significa che cessano.

Forse, è solo l’immagine che si vorrebbe mantenere integra e giovane, magari non l’essenza…. Infatti il sogno sarebbe di mostrare all’esterno un involucro giovane e dinamico mentre all’interno si vorrebbe godere invece dell’esperienza che si è accumulata con l’età e, magari, anche del maggior distacco dalle cose che permette una maggior capacità di scelta.
Il punto è che le due cose sono viste irrimediabilmente come separate, mentre in realtà non lo sono, è solo la nostra mente che le vede come tali. Infatti, non è la giovinezza fisica a concedere quelle potenzialità ma bensì è quella psichica che corrisponde ad una fase di apertura, di possibilità e di desiderio di conoscenza ed è questa che – quando è perduta – ci fa sentire “vecchi”, indipendentemente dal fatto che lo siamo o meno come immagine fisica.

Il secondo punto è che restare giovani per molta gente significa in realtà non crescere per cui entriamo in una sfera “ patologica” quella del narcisismo in cui vogliamo essere in linea con ciò che l’informazione mediatica ci propina quotidianamente in cui sembrerebbe che per contare, bisogna essere “l’archetipo del bello e vincente”.
In realtà la maggior parte di queste persone sono dei gusci vuoti, esattamente quello che ci trasmette la televisione, un’immagine senza un’anima e, infatti, il narcisismo da un punto di vista psicologico viene visto come una patologia in cui l’identità è rinnegata ed anche questo fa parte della nostra cultura che è tipicamente narcisista, legata molto di più al culto dell’immagine e alla perdita dei veri valori umani.

Per assurdo il narcisista è una persona “anaffettiva” che non si ama e non si da’ valore poiché se amasse sé stesso come solitamente si pensa, sarebbe anche in grado di amare gli altri; il suo problema origina dal fatto di non essere stato amato e di aver iniziato a compiacere gli altri e i valori degli altri per poter sopravvivere.
Alla fine del suo viaggio evolutivo è così incentrato nella parte da avere ancora un continuo bisogno dell’approvazione del collettivo e quindi è adattato solo ed esclusivamente alla sua maschera e, giorno dopo giorno, svuota sempre di più la sua identità. L’investimento è sull’immagine, non sul SE’.

Ritornando invece a Jung e all’archetipo del bambino, troviamo i due lati dell’archetipo; quello luce “bambino divino” in cui il bambino è vulnerabile, ingenuo, spontaneo e creativo, mente quello ombra “bambino ferito” in cui il bambino è negato, egoista, infantile e si oppone alla crescita sia emozionale che intellettuale.
Tuttavia, quando questo accade è sintomo di una difficoltà ad essere riconosciuto nella sua autenticità proprio nella fase in cui doveva essere premiata la vivacità e l’unicità anche se in forma un po’ debordante ed esuberante.
Alice Miller, la celebre psicoanalista tedesca ha dimostrato come sia facile negare le piu’ importanti prerogative del bambino. Nel suo bellissimo e tragico libro “il dramma del bambino dotato” l’autrice espone i suoi punti di vista su come l’educazione troppo spesso finisce per essere una vera e propria amputazione delle qualità migliori dell’essere bambino dovute ai problemi dell’adulto che si trova a proiettare la propria immagine uccidendo così la personalità nascente mantenendo al tempo stesso un senso di trance profonda nella psiche infantile che è quello che consente per tantissimi anni di coltivare un’immagine assolutamente illusoria e deformata del genitore stesso.
Tutto questo dice l’autrice – ha permesso l’abuso su molti bambini, per secoli.

Il bambino ferito , è quello “assassinato nell’anima” ed è anche quello che non vuole crescere, quello che non vuole abbandonare i giardini di Kensington poiché ancora non ha vissuto la parte del gioco, del rispetto delle sue possibilità e delle sue potenzialità ; nessuno lo ha aiutato a crescere e lui, non sa come si cresce e come si affronta la vita, e per questo vorrebbe rimanere nel mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, dove non si devono necessariamente affrontare responsabilità e conflitti che lui non è in grado di tollerare.

Il piccolo Peter Pan pauroso guarda il mondo dai suoi giardini, la sua anima non è curiosa di andare al di là e di conoscere cosa c’è dietro alla sua ristretta visione; lui è un ferito nell’anima, ed è proprio questa la ferita che ha annientato la sua “parte divina” quella che ci permette di rimanere in contatto con fonte straordinaria di creatività e di amore.

La parte luce di Peter Pan è quella del bambino divino che è presente nei miti di ogni paese come la rappresentazione di nuove possibilità, quella che viene rappresentata anche come l’inizio di una nuova era; in alcune culture o versioni di questo mito, il bambino ha una tale forza che riesce addirittura ad alterare la struttura del cosmo.
Ricordate sempre il mito di Gesu’ che è appunto un “bambino divino” che ha il compito di trasformare, rinnovare e dare nuova speranza al mondo. Con l’avvento del bambino si intende che tutti gli opposti vengono trascesi e riconciliati; tutto viene risanato e l’intero mondo sembra ringiovanire e ringiovanirsi.
In pratica, Jung dice che l’apparire del bambino – ad esempio nel sogno – è sempre un’immagine che anticipa la sintesi della personalità in cui sono riconnessi aspetti consci ed aspetti inconsci della stessa. E’ sempre un simbolo d’unificazione e di rinnovamento.

Forse è a questo che noi tutti vorremmo aggrapparci quando pensiamo a Peter Pan e quando non vogliamo crescere perché lo troviamo difficile e non riusciamo a ritrovare la forza interna per superare la tensione che la psiche ci produce.
Tuttavia, chi non cresce in un certo senso si congela; immaginate un “bonsai”, carino, bello da vedersi, però amputato nella sua radice più profonda: perché un bonsai resti tale ha bisogno che gli si tagli il fittone ogni mese, come a dire che bisogna tagliare al suo spuntare ogni possibilità di crescita.

Resta si’, qualcosa di carino e di bello da vedersi, però, forse bisognerebbe chiedere alla pianta se è altrettanto felice di essere “tranciata”.
Se invece abbiamo potuto crescere, se siamo stati rispettati ed aiutati nelle fasi cruciali della nostra esistenza allora siamo abituati a crescere e allora, proprio il nostro bambino interno, lui stesso ci sollecita e ci sprona ad andar avanti, a non accontentarci e a cercare sempre soluzioni più interessanti ed evolute.

In questi casi, il piccolo bambino interno, il piccolo Peter Pan parla da dentro e ispira, aiuta a trovare soluzioni intelligenti e creative, ma aiuta anche a sentire palpitare il cuore tutte le volte che si vive un’emozione intensa ed è grazie a questo che la vita sostiene e che sembra invitarci ad andare avanti.
E’ in questo bambino che sta al vostro interno che ritroverete i sentimenti, i bisogni e i desideri autentici; per la maggior parte degli adulti però questo bambino si è perduto molto tempo fa e si manifesta solo sotto forma di bambino ferito sempre a credito con il mondo intero.
Se pero’ lo si contatta esattamente come fa il signor Darling in un certo senso lo si protegge, lo si accoglie e lo si nutre: ecco allora … che può accadere il miracolo.

E’ dunque questa la giovinezza che dobbiamo ricercare, quella del bambino come portatore di ogni individualità, qualcosa che ci indica che facendo crescere le nostre differenze possiamo veramente realizzare le potenzialità umane.
Forse proprio attraverso questa parte possiamo trovare il coraggio di restare bambini pur essendo diventati uomini.
Solo così il PUER AETERNUS produce quell’apertura alla speranza futura che in certi momenti può anche essere molto prossima a diventare reale.
Hillmann sostiene che l’archetipo del PUER è la vocazione delle persone ad essere fedeli a Se’ stesse, a giungere alla propria perfezione e a mantenere il contatto con il proprio EIDOS, che è la creazione divina. E’ quindi l’archetipo del Puer che mantiene il contatto con lo spirito; se pero’ questa connessione si rompe, le ali del puer si spezzano e lui non saprà più volare e noi, a quel punto, perdiamo il senso dello scopo ed allora il nostro cuore si indurisce e ricade nell’altro archetipo che a lui è indissolubilmente legato: quello del SENEX, ma questa è un’altra storia.

Restare giovani nell’anima o non voler diventare adulti?
(conferenza da me tenuta a Ravenna e a Jesi)

 

 
 
 
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