Cari amici, il Natale si avvicina e prima di ricordarvi i simboli a cui questa festa è legata, vi sottoponiamo alcune riflessioni, importanti.
Sì, il Natale si avvicina, ma pensiamo che – a parte la bella opportunità di rivedersi con persone vicine e lontane – siate tutti abbastanza d’accordo con noi nel sottolineare che – da adulti quali si è, o si dovrebbe essere – il Natale rischia di non essere più quella straordinaria occasione di riflessione profonda e sincera di cui l’uomo ha bisogno, per non perdersi definitivamente nei “non-luoghi” della “non-vita” contemporanea, retta dal regime della consumocrazia.
Ovviamente non intendiamo proporvi un sermone da padri protestante, né intendiamo convincervi che il “Male radicale” di kantiana memoria abbia ormai permeato la coscienza degli uomini, né tanto meno vogliamo suggerirvi di andare alla messa di mezzanotte per contemplare quel presepe che non dice granché, se non ai bambini e agli addormentati di ogni età !
Ciò che ci preme, semmai, per la nostra vita e per quella delle persone che ci possono essere care, è ritrovare nel momento del Natale, l’occasione per chiudere il bilancio di un anno, e aprire il prossimo, all’insegna di ciò che veramente è la “natura essenziale” dell’essere umano, e che lo guida, spesso inconsapevolmente, nelle sue scelte, grandi e piccole, ma che lo conduce, o lo condurrà, un giorno già scritto, a realizzare quella vera e unica realtà di cui l’uomo è espressione più profonda e concreta.
Questa natura essenziale ha tanti nomi, ma forse quello che tutti meglio conoscono (anche se è notevolmente annacquato) è “AMORE”. Sì, è un termine decisamente impoverito perché gli umani spesso lo confondono con l’amore di coppia (che è una forma di amore, che sarebbe meglio chiamare “Eros”). Maggiori danni sono stati fatti quando questo termine fu tradotto con “Carità” (derivato dal greco Charis) da cui poi tutte le deviazioni nello stile da mercatino di parrocchia, o obolo prenatalizio. In realtà saebbe meglio non utilizzare il termine “amore” proprio perché è fuorviante, come “pace” e “amicizia”, ma prendere a di prestito un termine, forse meno conosciuto ma sicuramente più adatto, e che appare soprattutto nella versione in greco del Nuovo Testamento: questo termine è “AGAPE”.
Orbene, Paolo di Tarso (poi conosciuto come San Paolo) di questa AGAPE scrisse un inno, che molti di voi già conosceranno. Questo inno per me non solo è un “must” o il DNA di tutto il cristianesimo, ma ne è l’essenza più profonda, il messaggio più vero e più autentico, ed è soprattutto ciò che ogni uomo, credente o meno, cristiano o indù, dovrebbe – anzi deve – realizzare dentro di sé per essere vivo.
Ve lo proponiamo qui mantenendo tuttavia il termine AMORE, con la preghiera di interpretare questo AMORE nel senso di AGAPE.
AGAPE non è traducibile, ma l’avete dentro di voi, e non è possibile insegnarla a nessuno perché l’amore lo si vive e non lo si può trasmettere come una conoscenza duale. L’amore, l’agape è la totalità della vita, è il trascendente e l’immanente che si incontrano, è la pace di Dio (e non del mondo) che permea e trasforma l’uomo, è lo sposalizio del Cielo con la Terra, di Dio con l’Uomo, è l’incontro della fisica con la metafisica. L’amore, l’agape sono l’essere perfettamente consapevole della propria pienezza autorisplendente di luce. L’amore, una volta realizzato, porta l’uomo, qualsiasi uomo, a dire: “Io sono la vita, io sono la verità”.
La vita, la verità che rende liberi, sono il risultato della formula segreta che è l’amore. Il risultato è sempre 1, qualsiasi sia la formula matematica che lo precede, intendendosi per formula il credo, istituzionale o meno, cui ciascuno aderisce. L’amore è la radice quadrata e quindi l’essenza di ogni cosa. Qualsiasi numero posto sotto radice “per enne volte” darà poi il risultato di 1.
L’amore non ha limiti come il calore sprigionato dall’energia solare, mentre il dolore, il male, l’odio incontrano, come il freddo, il limite dello zero assoluto.
Sia l’amore, cari amici, la vostra scelta totale nella vita per vivere nella totalità ! Siamo chiamati a vivere nella gioia e nella verità anche e soprattutto nel corso della vita corporea. Solo con l’agape si realizzerà il paradiso che dorme latente dentro l’uomo.
Ciò premesso, vi lasciamo alle parole più brevi ma decisamente più sagge di Paolo di Tarso, perché il Natale torni ad essere l’occasione per iniziare a vivere nell’amore vero, nell’agape, in un clima di pienezza e totalità nella vita.
INNO ALL’AMORE di Paolo di Tarso
“Quand’anche io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho amore, io sono un bronzo che suona o un cembalo che squilla. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi una fede tale da trasportare le montagne, se non ho amore, io sono un niente. E se distribuissi anche tutti i miei beni ai poveri e dessi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho amore, tutto questo non mi giova a nulla.
L’amore è longanime, l’amore è benigno, non è invidioso, l’amore non si vanta, né si insuperbisce; non manca di rispetto, non cerca le cose sue, non si irrita, non tiene conto del male che riceve, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
L’amore non verrà mai meno. Le profezie, invece, avranno fine, come cesseranno le lingue e la scienza avrà termine. Perché ora noi parzialmente conosciamo e parzialmente profetiamo. Ma quando sarà venuta la cognizione perfetta di Dio, sparirà ciò che è parziale”.
Gli antichi simboli del Natale
Il mito del bambino “divino”
Il 25 di dicembre, ci ricorda che ogni anno vi è la reale possibilità di rinascita per tutta l’umanità festeggiando la venuta sulla Terra del Salvatore … di colui che “riporta luce”.
Il tema della “natività”, tuttavia, non è attribuibile alla cristianità perché la sua origine è molto più antica ed affonda le radici nelle mitologie pagane precedenti.
Non possiamo infatti dimenticare che i luoghi in cui è nata la filosofia giudaico cristiana sono gli stessi in cui erano nate le più antiche filosofie matriarcali legate ai culti delle Grandi Madri, a cui avevano fatto seguito quelle “eroiche – solari” che si sono espresse al meglio nelle culture greca e poi romana.
Lo stesso tema del “redentore del mondo” era già rappresentato in miti pagani per cui, il tema della natività di Cristo, si è inserito su un motivo sottostante; al redentore si attribuisce il “potere della rigenerazione” ed in effetti, proprio per queste potenzialità il Cristo venne chiamato il “Salvatore”. Con questo appellativo si intendeva l’incarnazione di una divinità in forma umana che recava in sé nuove possibilità per l’umanità tra le quali quella di poter superare la paura della morte attraverso l’ipotesi di un’anima immortale che sopravvive al corpo fisico.
Il bambino Divino è un simbolo anche molto caro a Jung che lo interpreta come un essere energizzante, in grado di trasformare, risanare e rinnovare; possiamo vederlo come un archetipo, un simbolo interiore che agisce dentro ad ognuno di noi e che tende a sollecitare quel bisogno di trovare nuove forze in grado di produrre nuove vie e nuove leggi che ci spingano a crescere e a rinnovarci; da un punto di vista transpersonale il bambino divino rinnova lo spirito e l’anima collettive portando luce e speranza in un nuovo ciclo.
Il parto virginale
Anche il tema della Vergine Maria, centrale nella mitologia cristiana, è stato in realtà ereditato dai rituali pagani da cui i padri fondatori della Chiesa hanno attinto a piene mani: nel mito greco già Kore, considerata “la Dea vergine”, partoriva un figlio adulto l’Aion il giorno 6 di gennaio, giorno dell’Epifania originariamente considerato anche il giorno della nascita e del battesimo di Cristo .
La Madonna è invece l’immagine di una Madre che partorisce un bambino “Salvifico” ; anche questo simbolo era già ben presente nei miti matriarcali; il più antico prototipo di Madonna risale addirittura al 6000 avanti Cristo nei primi insediamenti urbani del neolitico.
Il 25 dicembre – La nascita
Il Giorno della ricorrenza del Natale è stato scelto a tavolino; di certo non ci è dato di conoscere precisa della nascita del Cristo, ma, di fatti, per noi è importante ricordare il simbolismo profondo espresso in questa data; non a caso infatti, tutti i “figli divini” a partire da Dioniso, Buddha, Odino, fino ad arrivare a Cristo - considerati divinità legate al simbolismo solare in quanto capaci di “scaccciare le ombre” - sono ipoteticamente fatti nascere nel giorno del “solstizio d’inverno” che rappresenta il momento in cui il massimo dell’oscurità (il giorno più corto dell’anno) consente anche la nascita del nuovo ciclo di luce che porterà la primavera mantenendo così vivida la promessa della vita e di possibilità di rigenerazione per la Terra, l’umanità e la coscienza. E’ il simbolo dell’alba che vince sull’oscurità ed annuncia trionfante il nuovo giorno che si manifesta con il “bambino divino” in grado di scacciare non più i nemici esterni, ma le ombre interne.
La scelta di questa data è attribuita alle figure di Costantino il Grande e di papa Liberio intorno al 353 – 354 d. C. che, temendo un allargarsi a macchia d’olio dell’adorazione del Sole , pensarono di unificare la data della nascita di Cristo con quella che era precedentemente considerata la nascita del salvatore persiano Mitra “il Dies Natalasi Solis Invicti” ; così, Il bambinello divino incarnatore della luce eterna, nasce nella notte del solstizio d’inverno - che allora cadeva proprio alla mezzanotte del 25 dicembre - esattamente quando il ciclo dell’anno volge dall’oscurità alla luce crescente.
I solstizi nell’antichità erano legati simbolicamente alle “porte della caverna cosmica” che erano anch’esse due: “la porta dell’uomo” legata al solstizio d’estate e al segno del Cancro e “la porta degli Dei”, legata a quello d’inverno e al segno del Capricorno; questo apparteneva ad un concetto iniziatico secondo il quale la caverna cosmica era il luogo della manifestazione dell’essere che prima si presenta con la forma umana per affrontare la sua crescita spirituale; a seconda poi della sua evoluzione finale poteva uscire definitivamente dal mondo manifesto passando dalla “porta degli Dei”, oppure rientrare nuovamente dalla “porta degli uomini” per una nuova incarnazione.
I moderni simboli del Natale
E’ indubbio che molte cose delle cose che ancora oggi facciamo affondano le loro radici dentro al mito della “nascita divina” cerchiamo di vederne i collegamenti:
la novena di Natale rappresenta l’attesa della festa;
la messa di mezzanotte è il momento in cui si completa il presepe mettendo il “bambinello” che è il tema centrale del mito della natività;
lo zampone, piatto tipico della vigilia di Natale che simboleggia la vera possibilità di rinnovamento in cui la parte grezza (zampone di maiale) viene consumata per fare spazio alla parte spirituale e questo per indicare che, nella notte magica, le energie permettono la trasformazione attraverso un “processo alchemico”: oggi ancora mangiamo lo zampone senza però conoscere i significati arcaici di questa tradizione.
Altri simboli importanti sono il vischio, l’albero di Natale, la figura di Gesù Bambino o Babbo Natale e quella della Befana che interviene la notte in cui i tre Re Magi raggiunsero la stalla della natività.
Il vischio è un simbolo sacro introdotto dai popoli nordici, dai Celti in particolare; è una pianta parassita che cresce preferibilmente sulle querce; gli antichi Celti credevano che il vischio nascesse laddove un fulmine aveva colpito la quercia e che, proprio per il fatto che nasceva dalla “luce” rappresentasse una promessa di immortalità e di illuminazione.
Ancora oggi si usa fare e regalare ghirlande natalizie con i bellissimi rametti di vischio che brillano per il loro colore e per le frizzanti bacche rosse che fanno da ornamento alle case, alle porte e alle tavole imbandite.
L’Albero di Natale invece è un simbolo che prende spunto nientemeno che dal mito di Adamo ed Eva e all’Eden dov’era posto l’albero più famoso al mondo che rappresentava la forza che sostiene l’Universo; anche l’albero è ovviamente un simbolo di vita che, per la sua stessa forma, sembra unire Terra e Cielo, poiché pianta le sue radici e poi si eleva verso l’alto con la sua chioma . Per arrivare però ad un collegamento tra l’albero e il Natale dobbiamo arrivare intorno all’anno mille quando la chiesa adottò la tradizione antica che prevedeva un rituale in cui si bruciava un pino resinoso per commemorare l’apparizione sulla terra di una luce straordinaria. Dietro a questa memoria c’è probabilmente un richiamo ad una “festa del Sole” ma anche al simbolismo dell’albero del Mondo da cui pendono i frutti che Dio offre all’adepto, ovvero a colui che “riceve il verbo e lo comprende” ; oggi noi lo addobbiamo con le luci e in questo ricordiamo la “luce straordinaria” di cui parla la tradizione; mettiamo però anche i doni ai piedi dell’albero quasi a rappresentare quei frutti divini di cui parlano gli ermetici.
Gesù Bambino e Babbo Natale sono entrambi preposti a portare i doni e a metterli sotto l’albero; in altre tradizioni i doni vengono invece consegnati personalmente da Nonno Gelo o Nonno Inverno e anche qui troviamo una sovrapposizione ad un rituale antico in cui il era vecchio Saturno a distribuire i doni a dicembre. In alcune tradizioni è invece la Befana al 6 di gennaio che porta i doni, simbolo della venuta dei Magi che seguirono la stella per onorare la nascita del bambinello. Anche questa immagine si lega ad un simbolismo precristiano probabilmente molto vicino ad Ecate, la vecchia saggia che portava con sé i suoi doni e la sua benevolenza; Ecate però subì una gravissima trasformazione nel passaggio dal matriarcato al patriarcato diventando nell’immaginario collettivo una “vecchia strega” sdentata protettrice dei maghi e della stregoneria. La Befana odierna sembra essere un miscuglio tra queste due immagini.
Il più antico progenitore di Babbo Natale sembra essere il lappone Santa Claus che parte ogni anno dalla sua casa a bordo di una slitta trainata da renne carica di doni da distribuire. Santa Claus è verosimilmente una stroppiatura del nome latino Sanctus Nicolaus, il nostro San Nicola di Bari, patrono della Russia. Siccome c’era un’antica usanza in cui la notte di San Nicola si facevano dei doni segreti, si decise di spostare questa usanza nel giorno di Natale, così che anche i popoli nordici potessero festeggiare Santa Claus il 25 di dicembre.
Il mantello rosso però arrivò solamente quando il vecchio babbo Natale traghettò in America all’inizio dell’ottocento: fu li’ che assunse definitivamente l’immagine moderna con la barba bianca, il mantello rosso, la slitta e le renne.
E’ molto importante sapere che dietro a tutto ciò che festeggiamo oggi, ci sono simboli profondi che acquisiscono significato solo se vengono compresi interamente; è interessante vedere come la nuova storia abbia inglobato quella più antica e come nelle tradizioni cristiane siano rintracciabili i vecchi simboli dei miti solari pagani che si sono fusi con quelli del Cristo portatore di Luce e di Vita, ma soprattutto di “nuova coscienza”.
Proprio per la sacralità del simbolismo di questa festa dobbiamo cercare di riavvicinarci ai temi più profondi che riguardano l’anima e l’essenza dell’uomo cercando di far rivivere dentro di noi il reale significato di cui oggi c’è più che mai bisogno.
Buon Natale a tutti voi dallo staff di Eridanoschool